Abbandono di animali: sequestro preventivo per condizioni igienico-sanitarie precarie

Scarica PDF Stampa Allegati

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 30369 del 24 luglio 2024, ha chiarito che, in tema di abbandono di animali, il sequestro preventivo può essere disposto anche in presenza di condizioni igienico-sanitarie incompatibili.

Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per il Professionista: Formulario annotato del processo penale

Corte di Cassazione – Sez. III Pen. – Sent. n. 30369 del 24/07/2024

Cass-30369-2024.pdf 3 MB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Indice

1. I fatti

Il Gip del Tribunale di Vicenza ha confermato il decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto tre cani di proprietà della ricorrente, in ordine alla contravvenzione di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen., in quanto detenuti in condizioni incompatibili con le esigenze minime, in condizioni di abbandono, scarsa igiene, incuria nella somministrazione dell’acqua e nella cura delle malattie.
Avverso tale ordinanza, è stato proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge in ordine all’applicazione della fattispecie incriminatrice rappresentando che non è stata acquisita, presso gli uffici della Procura della Repubblica, né successivamente valutata la relazione del medico veterinario presente al momento del sequestro. Ad avviso della difesa, tale relazione è rilevante in quanto descrive lo stato di salute degli animali a nulla rilevando lo stato dei luoghi.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per il Professionista:

FORMATO CARTACEO

Formulario Annotato del Processo Penale

Il presente formulario, aggiornato al D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31 (cd. correttivo Cartabia), rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per l’Avvocato penalista, oltre che per i Giudici di pace o per gli aspiranti Avvocati, mettendo a loro disposizione tutti gli schemi degli atti difensivi contemplati dal codice di procedura penale, contestualizzati con il relativo quadro normativo di riferimento e corredati dalle più significative pronunce della Corte di Cassazione, oltre che dai più opportuni suggerimenti per una loro migliore redazione.La struttura del volume, divisa per sezioni seguendo sostanzialmente l’impianto del codice di procedura penale, consente la rapida individuazione degli atti correlati alle diverse fasi processuali: Giurisdizione e competenza – Giudice – Pubblico ministero – Parte civile – Responsabile civile – Civilmente obbligato – Persona offesa – Enti e associazioni – Difensore – Gli atti – Le notificazioni – Le prove – Misure cautelari personali – Riparazione per ingiusta detenzione – Misure cautelari reali – Arresto in flagranza e fermo – Indagini difensive e investigazioni difensive – Incidente probatorio – Chiusura delle indagini – Udienza preliminare – Procedimenti speciali – Giudizio – Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica – Appello – Ricorso per cassazione – Revisione – Riparazione per errore giudiziario – Esecuzione – Rapporti giurisdizionali con le autorità straniere.Specifiche sezioni, infine, sono state dedicate al Patrocinio a spese dello stato, alle Misure cautelari nei confronti degli enti (D.Lgs. n. 231 del 2001) ed al Processo penale davanti al Giudice di pace (D.Lgs. n. 274 del 2000).L’opera è corredata da un’utilissima appendice, contenente schemi riepilogativi e riferimenti normativi in grado di rendere maggiormente agevole l’attività del legale.Valerio de GioiaConsigliere della Corte di Appello di Roma.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.

Valerio De Gioia, Paolo Emilio De Simone | Maggioli Editore 2024

2. Abbandono di animali e condizioni igienico-sanitarie precarie: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva che il Gip del Tribunale di Vicenza ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 727 cod. pen. essendo stato accertato dai militari intervenuti sul posto uno stato di sporcizia e di sostanziale abbandono in cui si trovavano i cani di proprietà dell’indagata, detenuti in condizioni non compatibili con le esigenze minime che devono essere assicurate agli animali domestici.
Nello specifico, dagli accessi dei militari risulta che la detenzione degli animali era in un contesto caratterizzato da precaria igiene, deiezioni diffuse non rimosse, cibo sparso sul terreno, incuria nella somministrazione dell’acqua e che questi erano lasciati soli per molte ore in spazi angusti e pieni di rifiuti.
Al riguardo, la Suprema Corte riprende un consolidato principio di diritto secondo il quale, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 727 cod. pen., “la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico dell’animale, ma anche in quella che produce meri patimenti, in quanto non è necessaria la ricorrenza di situazioni quali la malnutrizione e il pessimo stato di salute degli animali, ma rilevano tutte quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurando dolore e afflizione, compresi comportamenti colposi di abbandono e incuria“.
Per ciò che riguarda il secondo motivo, invece, la Corte richiama l’annotazione di Polizia giudiziaria e la relazione dell’Enpa secondo cui era presente una grave situazione igienico sanitaria e di salute degli animali malati e in condizioni incompatibili con la loro natura.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha osservato, da un lato, il pericolo di reiterazione per la perdurante disponibilità degli animali, considerate anche le ripetute segnalazioni e i diversi accessi effettuati da parte della polizia giudiziaria in un lasso di tempo non breve, e, dall’altro che la relazione del medico veterinario non poteva essere esaminata dal giudice a quo in quanto acquisita dopo la pronuncia dello stesso.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Riccardo Polito

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento