Abuso di posizione dominante nel mercato concorrenziale: il caso Unilever dei gelati Algida

 La vicenda Unilever dei gelati Algida

Con provvedimento n. 26822 del 6 dicembre 2017, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito AGCM) ha concluso un caso di abuso di posizione dominante nella vendita dei gelati di marca Algida. La vicenda ha avuto come protagonista l’azienda Unilever Italia Mkt. Operations S.r.l. (da ora in poi Unilever)[1], cui è stata irrogata una sanzione di oltre 60 milioni di euro per aver posto in essere una condotta abusiva di natura escludente idonea ad ostacolare la crescita dei propri concorrenti nel mercato del gelato preconfezionato monodose da impulso[2].

Il procedimento istruttorio è iniziato su segnalazione da parte della società La Bomba[3], che ha lamentato l’intimidazione da parte di Unilever, agli esercenti dei bar e degli stabilimenti balneari di varie zone[4], di non commercializzare, insieme ai propri prodotti, i ghiaccioli del concorrente La Bomba (né all’interno dei freezer Algida, né all’interno di quelli propri di La Bomba); ove ciò non fosse avvenuto la società multata non avrebbe applicato gli sconti previsti nel contratto stipulato dagli esercenti e avrebbe applicato il pagamento obbligatorio di penali e la risoluzione del contratto di fornitura.
Dopo una prima fase preistruttoria che ha visto lo scambio di informazioni tra  l’AGCM e Unilever, nel corso dell’istruttoria vera e propria, l’AGCM ha proceduto in prima battuta ad analizzare la posizione di mercato di Unilever. Infatti ha ritenuto che questa detenesse una posizione dominante nel mercato della vendita di gelati monodose confezionati nel canale ”impulso”, nel quale Unilever con il marchio Algida, rappresenta appunto l’operatore leader[5]: ne è emerso che la società multata detiene infatti una quota di mercato superiore al 60% in volume e in valore;  gode della forza e della notorietà del proprio marchio commerciale e di alcuni prodotti della propria gamma; ha la capacità di selezionare i propri clienti concentrando le proprie vendite su punti vendita altovendenti; ha la disponibilità di una rete distributiva particolarmente estesa e capillare; gode di una maggiore presenza in determinate aree geografiche caratterizzate da minori rischi di fluttuazione delle vendite; ha la capacità di mantenere e rafforzare nel tempo la propria posizione di vantaggio strutturale rispetto ai propri competitor, in questo caso Nestlè e Sammontana (con quote di volume pari rispettivamente al 10%-20% e al 10%-20% circa), oltre altri piccoli concorrenti come appunto il segnalante La Bomba, facente parte del mercato soltanto con riferimento ai prodotti a base di ghiaccio, con una percentuale inferiore all’1%[6].

Le condotte abusive di Unilever erano basate, secondo l’AGCM, sulla massiccia applicazione di clausole di esclusiva, quali quelle di esclusiva merceologica che prevedevano un obbligo a rifornirsi da Unilever per l’intero fabbisogno di gelati confezionati e di cabinet exclusivity contenenti l’obbligo di utilizzo esclusivo dei frigoriferi forniti in comodato d’uso[7]. Gli stessi esercenti che avevano stipulato contratti con la società, erano stati plagiati anche dalla contemporanea applicazione di sconti convenienti[8] e compensi di natura fidelizzante[9] per il contenuto e le modalità con cui venivano concessi, condizionati al rispetto delle clausole contrattuali.

Dall’istruttoria dell’Autorità è emerso che la condotta tenuta da Unilever avrebbe fortemente ostacolato lo sviluppo della società denunciante, limitando al contempo la scelta dei consumatori di apprezzare la qualità dei prodotti ghiacciati La Bomba. Tali sconti e compensi sarebbero stati previsti nei confronti della quasi totalità della clientela di Unilever anche se con modalità e frequenze di applicazione variabili; anche per i clienti non vincolati da un obbligo scritto di esclusiva merceologica, gli incentivi sarebbero stati adottati per impedire il ricorso alle forniture prodotto di operatori concorrenti[10].

Ad aggravare il tutto, sono state poi le condotte di controllo poste in essere da Unilever attraverso i propri funzionari, volte a verificare il concreto approvvigionamento esclusivo dei prodotti da parte della clientela[11].
Nella valutazione finale, per l’AGCM Unilever avrebbe poi applicato clausole contrattuali relative alle modalità e ai tempi di retrocessione degli sconti e alla durata dei contratti[12], anche queste volte a limitare la concorrenza. Tali clausole, in particolare, avrebbero incrementato i costi di subentro nella fornitura da parte degli altri concorrenti. Per l’Autorità nell’applicare tali condizioni contrattuali, Unilever avrebbe analizzato le caratteristiche dei singoli suoi clienti e avrebbe valutato il rischio rappresentato in termini di fatturato che eventualmente sarebbe stato sottratto a Unilever. Una condotta dunque, ampiamente voluta e studiata nel dettaglio, posta in essere facendo leva sui propri punti forti e vantaggi competitivi[13].

Usando le parole dell’AGCM “l’adozione da parte di Unilever di una strategia escludente a danno dei concorrenti (sia quelli piccoli che quelli di maggiore dimensione), composta da un ampio utilizzo di clausole di esclusiva merceologica e da una serie articolata di ulteriori condizioni fidelizzanti, strumenti di politica commerciale e condotte complessivamente volti a mantenere, formalmente o sostanzialmente, l’esclusiva delle forniture agli esercizi commerciali che costituiscono la propria clientela, ostacolando, per tale via, la concorrenza sul mercato”; Unilever “obbligando o incentivando la clientela […] a mantenere in offerta una sola marca di gelato, hanno arrecato un sostanziale pregiudizio alla libertà di scelta del consumatore finale, limitandone la possibilità di reperire i gelati offerti dai concorrenti che, per qualità e gusto, avrebbero potuto essere preferiti a una parte dei gelati Algida[14].

Nella parte finale del provvedimento sanzionatorio, l’Autorità dunque afferma che la politica di obblighi e incentivi, condotta da Unilever, è stata applicata proprio in base alla posizione di forza dominante sul relevant market del gelato monodose confezionato, derivante soprattutto dal possesso di una base di clientela altamente stabile e ampia rispetto a quella dei concorrenti[15]. Con ciò si è ritenuto violato in pieno l’art. 102 lett. B) TFUE in relazione al pregiudizio al commercio tra Stati membri: nel caso specifico l’abuso ha interessato i prodotti distribuiti nello Stato italiano, corrispondente in ogni caso ad una parte significativa del mercato unico europeo[16].

In virtù dell’art. 15, comma 1 della legge n. 287/1990, l’AGCM ha ritenuto che le condotte in esame costituissero un abuso grave ed ha applicato dunque la sopraindicata sanzione amministrativa pecuniaria alla società[17].

Contro tale decisione si è schierata Unilever che, nel respingere le conclusioni contenute nella delibera dell’Antitrust, ritenendole a suo avviso del tutto infondate e derivanti da diversi errori di valutazione, ha annunciato di ricorrere in sede giurisdizionale a tutela dei propri interessi[18].

La disciplina della concorrenza in ambito nazionale e comunitario

Il caso descritto” è una tipica e particolare fattispecie rientrante nella generale disciplina della concorrenza tra le imprese.

In un’epoca di forte globalizzazione come quella attuale, caratterizzata da un imponente sviluppo dei mercati e degli scambi tra Stati nazionali, il perseguimento della efficienza del mercato, ha fatto sì che si introducessero nei singoli ordinamenti discipline volte a tutelare la concorrenza, intesa quest’ultima come una condizione/forma di mercato che caratterizza l’iniziativa economica da contrapporsi del tutto alla situazione di monopolio: in uno spazio concorrenziale due o più imprese competono nello  stesso mercato, inteso come l’incontro ideale tra domanda e offerta, producendo gli stessi beni o servizi (offerta) che soddisfano una pluralità di acquirenti (domanda):  nessuno degli operatori, in tale assetto, è quindi in grado di influenzare l’andamento delle contrattazioni con le proprie decisioni[19].

Dal punto di vista normativo, sia a livello nazionale (in questo caso italiano) che comunitario manca una disposizione che rechi una esatta e precisa definizione del bene giuridico “concorrenza”[20]: storicamente essa si è identificata con la libertà economica attribuita ai soggetti privati. Proprio a causa di questi contorni poco delimitanti che caratterizzano la materia, l’operatore del diritto che si trova dinanzi a casi concreti rientranti nella disciplina concorrenziale, il più delle volte è portato ad individuare e distinguere le limitazioni della concorrenza lecite da quelle illecite, sulla base di una  valutazione di un solo modello di mercato perfettamente funzionante che non è previsto e definitivo da alcuna disposizione normativa, ma che è implicito nella scelta delle norme a tutela della concorrenza[21].

In generale, la legislazione per la tutela della concorrenza si inserisce tra gli strumenti di intervento pubblico nell’economia volti a tutelare non solo la libertà di impresa ma anche i diritti dei consumatori da comportamenti delle imprese stesse (come la formazione di accordi con cui vengono fissati prezzi discriminanti) che escludono dal godimento di alcuni servizi, i soggetti che non possono sostenere prezzi elevati o altre condizioni contrattuali imposte. Il ruolo dello Stato nel promuovere la crescita economica è limitato ad interventi indiretti in grado di fornire un quadro di riferimento al fine di indirizzare i comportamenti che gli operatori economici si accingono a porre in essere nel mercato. Il tutto influenzato dalle correnti derivanti dall’Unione Europea. Un’efficace applicazione delle regole create per il funzionamento di un mercato concorrenziale da parte delle istituzioni, è diretto, dunque, a favorire lo sviluppo del mercato e della crescita economica: il mercato è quindi concorrenziale sul piano istituzionale quando le “autoregole” coercitive vengono fatte valere da istituzioni specifiche[22].

Nell’ordinamento italiano la normativa antritrust si sdoppia su due binari che finiscono poi per intersecarsi: quello prettamente nazionale/interno e quello comunitario[23].

La legge nazionale che ha dettato, per la prima volta, una disciplina completa per la tutela della concorrenza e del mercato è la n. 287/1990 di chiara derivazione comunitaria: tra le attività dirette a fare dell’Unione Europea un mercato aperto, vi è appunto la creazione, negli Stati membri, di regimi di mercati interni concorrenziali non falsati[24]. Tale intervento legislativo risulta essere conforme con il principio indicato nell’art. 41 della Costituzione che al comma 1 stabilisce che “l’iniziativa economica privata è libera”[25].

Con la riforma del Titolo V della Costituzione, attuata con legge cost. n. 3/2001, il testo riformulato dell’art. 117 Cost. prevede oggi esplicitamente, in materia di regolazione dei mercati, che le leggi statali e regionali sono tenute al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, tra cui in primis il principio della libera concorrenza: in proposito il legislatore ha deciso di inserire la concorrenza tra le materie affidate alla legislazione esclusiva dello Stato[26].

Nell’ambito dell’ordinamento comunitario, tale disciplina è stata interessata da due recenti evoluzioni normative. Dopo il primo Regolamento n. 17/1962[27], è intervenuto il Regolamento n. 1/2003[28] con lo scopo di assicurare l’esigenza di coordinamento di un mercato unico integrato anche a seguito dell’entrata nell’Unione Europea di nuovi Stati membri[29]. Si è realizzato con questo intervento, un passaggio da un sistema di divieti ad un sistema di eccezioni immediatamente applicabili, oltre ad una migliore efficienza dell’azione della Commissione tramite una maggiore trasparenza delle procedure di controllo e il decentramento del processo decisionale in capo alle autorità nazionali[30]. Successivamente, la disciplina normativa comunitaria sulla concorrenza è cambiata notevolmente a seguito dell’entrata in vigore nel 2009 del Trattato di Lisbona: sono scomparse alcune locuzioni, quale ad esempio quella di “concorrenza non falsata” nell’art. 3 del Trattato UE[31], mentre sono state confermate le norme antitrust già presenti nei precedenti Trattati europei, ossia gli artt. 101 ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)[32]. La normativa comunitaria sulla concorrenza non trova applicazione finché gli scambi tra gli Stati membri non siano caratterizzati da effetti negativi delle pratiche illecite considerate che possono aversi in presenza di due elementi fondamentali: a) la quota di mercato delle parti dell’accordo non deve superare il 5%; b) il fatturato totale della vendita dei prodotti oggetto del contratto non deve superare i 40 milioni di euro[33].

Tornando alla legge nazionale n. 287/1990, occorre ricordare che il legislatore si è preoccupato di istituire un organismo ad hoc, l’AGCM, Autorità indipendente che sin dai primi anni della sua costituzione, ha orientato l’Italia verso un’efficienza economica corretta e basata sui principi fondamentali del mercato. Tra le numerose funzioni assegnate, l’AGCM vigila sul rispetto della legge e in particolare sulle intese restrittive della concorrenza, sugli abusi di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione atte a rafforzare la posizione dominante di imprese. A tal fine ha poteri istruttori e decisionali utile a garantire il ripristino delle condizioni di concorrenza effettiva. È titolare, inoltre, di poteri consultivi in ordine alle iniziative legislative e regolamentari e deve segnalare al Parlamento e al Governo ogni eventuale distorsione determinata da norme di legge, di regolamento o da provvedimenti amministrativi di carattere generale[34]. L’ambito di applicazione della legge nazionale antitrust è tuttavia residuale nel senso che riguarda tutte le intese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni di imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, né in quello dei regolamenti o altri atti UE con efficacia normativa equiparata.

L’abuso di posizione dominante: una fattispecie anticoncorrenziale a formazione giurisprudenziale

Come accennato in precedenza, tra i comportamenti che rientrano nel mirino dell’attività dell’Autorità antitrust e della Commissione europea[35], al primo posto vi sono quelli inerenti alla fattispecie di abuso di posizione dominante; dopo questi si collocano le fattispecie anticoncorrenziali delle intese e concentrazioni[36].  Un tipico esempio di tali condotte, che comportano al contempo però delle vere e proprie asimmetrie, è quello della discriminazione di prezzo, azione vietata per le imprese in posizione dominante ma permessa alle new entries del mercato di riferimento[37].

Onde evitare tali fenomeni, il mercato unico europeo e i singoli mercati nazionali necessitano dunque di regole stringenti che, al contempo, consentano agli organi deputati al controllo, di valutare con un ampio margine di discrezionalità, tutti i comportamenti ritenuti potenzialmente dannosi per l’evoluzione in senso pro-concorrenziale del mercato comune interno[38].

La normativa fondante tale tipo di controllo su pericolose fattispecie di abuso di posizione dominante è contenuta nell’art. 102 del TFUE (ex art. 82 Trattato CE), così come modificato dal Trattato di Lisbona nel 2009, che recita: “E’ incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo”[39].

Dall’analisi letterale/ermeneutica del testo dell’articolo emerge che quattro sono gli elementi essenziali e cumulativi affinché si realizzi la fattispecie vietata in tale norma: l’esistenza di una impresa o di associazioni di imprese; una posizione dominante nel mercato interno o su una sua parte sostanziale; un abuso di tale posizione; che tale comportamento abbia l’effetto di influenzare il mercato comune (MEC)[40].

Quanto al primo requisito, il TFUE non fornisce una definizione precisa di impresa, dovendosi essa ricavare dalla elaborazione giurisprudenziale. Nei casi Hofner & Elser C-41/90 [41] e Pavlov & Altri C-180-184/98[42], la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha definito l’impresa come ogni entità che esercita un’attività economica consistente nell’offerta di beni o servizi, indipendentemente dai metodi di finanziamento dell’attività posta in essere e dallo status giuridico della impresa stessa. Nel caso Wouters C-309/99[43], invece, la Corte ha ritenuto che le regole della concorrenza non si applicano ad attività che sono legate all’esercizio dei poteri di una Pubblica Autorità. Dall’esame di alcuni casi giurisprudenziali e dalle norme desumibili dal Trattato, si delinea dunque una definizione molto ampia di impresa, con l’esclusione della Pubblica Autorità[44].

Il riferimento all’influenza nel mercato comune risulta alquanto incerto e dai contorni non chiaramente delimitati. Il concetto è ricavabile in materia molto ampia in parte dall’art. 101 del TFUE e in parte da pronunce della giurisprudenza europea[45]. Con la sentenza resa nel caso T-Mobile Netherlands C-8/08 [46], la Corte ha ribadito che stante l’inesistenza di una definizione esatta, occorre procedere caso per caso ad un’attenta interpretazione degli accordi, dei comportamenti e delle azioni dei soggetti interessati: e tale compito è affidato alla Commissione europea, d’intesa a volte, con le Autorità dei singoli Stati membri[47].

A tal proposito è chiaro che l’effetto distorsivo del mercato attraverso un comportamento anticoncorrenziale nel commercio è provocato anche soltanto dalla presenza di condizioni che limitino fortemente la concorrenza all’interno dello spazio nazionale di un singolo Stato membro impedendo forme di competizione all’interno di uno spazio che è comunque Mercato comune Europeo: non è dunque necessario l’effettivo scambio di prodotti o servizi da uno Stato membro all’altro per l’applicazione della disciplina antitrust europea[48].

Quanto alla nozione giuridica del fenomeno, gli aspetti da considerare, affinché possa venire ad esistenza la fattispecie di abuso di posizione dominante, sono due, corrispondenti esattamente all’aspetto oggettivo ed a quello soggettivo della definizione in esame: in primis occorre la presenza di un’impresa che occupi una posizione dominante nel mercato (aspetto oggettivo)[49], in secondo luogo la realizzazione di un abuso di tale condizione iniziale (aspetto soggettivo, legato appunto al comportamento dell’impresa)[50].

La nozione giuridica di posizione dominante si è sviluppata nel diritto antitrust dell’Unione Europea e, in particolare, in alcune importanti pronunce della Corte di Giustizia; infatti questa è stata definita come “una situazione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato rilevante e ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti, ed in ultima analisi, dei consumatori. […] Siffatta posizione, a differenza di una situazione di monopolio o quasi monopolio, non esclude l’esistenza di una certa concorrenza, ma pone l’impresa che la detiene in grado, se non di decidere, almeno di influire notevolmente sul modo in cui si svolgerà detta concorrenza, e comunque, di comportarsi sovente senza doverne tenere conto e senza che, per questo, simile condotta le arrechi pregiudizio[51].

I fattori che concorrono a determinare e a portare ad esistenza l’aspetto oggettivo di posizione dominante sono vari ma tra i tanti assume un valore preminente la quota di mercato detenuta dall’impresa, parametro per misurare indirettamente il potere di mercato: maggiore è la quota di mercato, maggiore è ceteris paribus la capacità dell’impresa di esercitare un potere di mercato, cioè di occupare una posizione dominante[52].

Il valore della quota di mercato per il quale un’impresa appare in posizione dominante, si abbassa sempre di più nella giurisprudenza[53]: la Commissione europea ha invece determinato la quota di mercato al 40%, al di sotto della quale la posizione è ritenuta “improbabile”. Per misurare la quota di mercato di una o più imprese occorre stabilire qual è il mercato di riferimento e dunque il cosiddetto “relevant market” (marchè en cause)[54]: la valutazione di ogni caso di possibile abuso presuppone necessariamente la preventiva individuazione di un mercato di riferimento (e dunque rilevante)[55].

La posizione di dominanza di per sé non è proibita, ma è solo l’abuso di tale posizione e dunque l’aspetto definito in precedenza “soggettivo” del fenomeno, ad essere oggetto del divieto contenuto nell’art. 102 del TFUE, il quale indica tra le pratiche abusive: l’imposizione di prezzi o di condizioni non eque; le limitazioni nella produzione o nello sviluppo in danno ai consumatori; l’applicazione di condizioni dissimili per prestazioni equivalenti a svantaggio della concorrenza; il subordinamento della conclusione dei contratti a prestazioni supplementari estranee all’oggetto dei contratti stessi[56].

Tale articolo, è stato testualmente ripreso dalla normativa antitrust italiana e ricondotto nell’art. 3 della legge n. 287/1990 che vieta nel mercato nazionale comportamenti abusivi da parte delle imprese in posizione dominante e che riprende l’elenco delle fattispecie abusive del tutto simile a quello contenuto nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea[57].

In entrambe le normative richiamate, l’elenco delle fattispecie di illeciti ricollegati alla posizione dominante non risulta essere però esaustivo. Infatti, i comportamenti abusivi da parte delle imprese in dominanza sono molteplici e diversi tra loro, il che rende l’operazione dell’interprete molto artificiosa: la mancanza di tipicità rende dunque complicato stabilire con certezza l’esistenza di una condotta abusiva[58].

Tra i numerosi altri comportamenti non menzionati nella norma ma ricavabili dalla giurisprudenza comunitaria, in generale è possibile distinguere tra abusi di sfruttamento e abusi di esclusione[59]: i primi si riferiscono alle condotte tramite le quali le imprese in posizione di supremazia di mercato, sfruttano il loro potere in maniera non equa e discriminatoria, a prescindere dagli effetti sulla struttura concorrenziale del mercato[60].

Gli abusi di esclusione invece, rappresentano l’insieme di condotte di un’impresa dominante con cui la stessa ostacola l’accesso al mercato agli altri concorrenti, con evidenti effetti negativi e pregiudizievoli sulla concorrenza effettiva[61]. Esempi di condotte di esclusione sono il rifiuto di fornire un prodotto, l’applicazione di prezzi predatori, l’introduzione di clausole e rapporti di esclusiva e sconti fidelizzanti[62].

Al verificarsi di tali fattispecie, è l’AGCM, come ricordato, l’Autorità competente a vigilare: in presenza di presumibili condotte di abuso, questa può infatti agire ex post mediante istruttorie o indagini conoscitive su determinate condotte che si concludono con una diffida o con una sanzione amministrativa. È anche competente ad applicare in via decentrata la normativa antitrust europea, tramite un coordinamento con la Commissione europea disciplinato da regole specifiche[63].

 Il caso Sagit del 2003: intese restrittive della concorrenza o abuso di posizione dominante?

Esposta la recente vicenda e la normativa di riferimento, si può ricordare in questa sede un precedente procedimento istruttorio condotto dall’AGCM nei confronti della medesima società Sagit S.r.l., già Unilever Italia S.p.a. (procedimento I487): si è trattato di un caso di condotte anticoncorrenziali simili a quelle poste in essere dalla società nel recente caso sopra esaminato ma che sono state qualificate giuridicamente in maniera differente dall’Autorità, successivamente oggetto di ricorso e di pronuncia definitiva del Consiglio di Stato in grado di appello.

Le società coinvolte erano le quattro maggiori imprese attive nel mercato del gelato preconfezionato da impulso: Sagit S.r.l. (Algida), Nestè Italiana S.p.a. (Motta ed Antica gelateria del corso), Sammontana S.r.l. e Gelati Sanson S.p.a.  Il 98% delle quote del mercato del gelato da impulso era detenuto da queste società con un grado di concentrazione molto elevato[64]; queste avevano cercato nuovi punti vendita come strumento di diffusione d’immagine e del marchio[65]: la strategia concorrenziale alla base delle intese poste in essere dalle società, era incentrata sull’attuazione di una politica di acquisizione di punti vendita nuovi in esclusiva o di aggressione di punti vendita in esclusiva ad altri[66]. Il 3 luglio 2001 era pervenuta all’Autorità Garante della Concorrenza sul Mercato una comunicazione volontaria di intesa[67]avente ad oggetto un modello contrattuale che la società Sagit intendeva applicare nei rapporti con i propri rivenditori e con i punti vendita finali. Secondo quanto disposto dall’art. 14 della legge 287/1990, l’Autorità in data 31 ottobre 2001 avviava l’attività istruttoria per accertare se il modello presentato da Unilever configurasse o meno un’intesa restrittiva della concorrenza e per verificare l’impatto complessivo sul mercato di contratti simili posti in essere dalle altre tre società[68].

Il modello contrattuale presentato inizialmente da Sagit (di durata quinquennale) si basava su determinate tipologie di clausole quali quelle recanti un’esclusiva di prodotto[69], un’esclusiva sul punto vendita[70], clausole di Freezer exclusivity[71]e altre condizioni contrattuali (subentro di nuovo gestore in caso di cambio gestione (per i contratti di Sagit e Sanson) e l’obbligo per l’esercizio commerciale di rifornirsi sempre dallo stesso concessionario (solo nei contratti Sagit); prevedeva inoltre una penale per inadempimento pari al 50% del fabbisogno. A seguito della comunicazione delle risultanze istruttorie alle parti, inviate l’8 novembre 2002, Sagit aveva apportato dei cambiamenti al modello contrattuale in data 3 dicembre 2002: aveva infatti eliminato le clausole d) e) e posto un limite massimo del 50% per i punti vendita esclusivi.

Tenuto conto delle argomentazioni delle parti, delle modifiche apportate da Sagit e di tutte le informazioni reperite nell’istruttoria, l’AGCM con provvedimento n. 11662 del 30 gennaio 2003 deliberava che i contratti posti in essere dalle quattro società non sarebbero stati restrittivi della concorrenza ai sensi dell’art. 81 Trattato CE e che il modello contrattuale comunicato da Sagit, come da ultimo modificato, non avrebbe affatto violato l’art. 2 della legge n. 287/90[72].

Nelle valutazioni conclusive l’AGCM ha sostenuto la tesi delle quattro imprese secondo cui i contratti di esclusiva sarebbero stati una necessità organizzativa ed essenziale per garantire la qualità del prodotto[73]; in particolare dopo aver messo in evidenza che nessuna delle società si trovava in posizione dominante (motivo per cui di conseguenza sarebbe stato impossibile punire le stesse per un abuso di tale condizione), ha affermato (circa l’esclusiva sul punto vendita) che si trattava di un contratto bilaterale in cui entrambe le parti ricevevano benefici e sopportavano costi da non impedire però l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato, dato anche l’ampio numero di concessionari presenti; per di più l’esclusiva sui freezer non è stata considerata restrittiva della concorrenza anche per la volontà manifestata da Sagit, di non superare il limite del 50% di punti vendita in esclusiva[74].

In tale caso, il citato provvedimento n. 11662 dell’AGCM è stato oggetto della sentenza del Consiglio di Stato n. 5070/2007 del 13 luglio 2007, con la quale il Giudice amministrativo ha riformato la precedente decisione di primo grado del TAR Lazio n. 1715/2004. In primo grado le società ricorrenti avevano sollevato come motivo di doglianza la censura circa il mancato accertamento da parte dell’AGCM di un eventuale abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 3 della l. 287/1990 da parte di Sagit: il TAR in tal caso aveva dichiarato inammissibile  tale motivo di ricorso in quanto “nella specie l’omogeneità rilevata nel mercato italiano del gelato da impulso industriale eslcude[va] la presenza di un operatore dominate…[75] e aveva confermato la correttezza dell’accertamento negativo dell’intesa nell’ambito del citato procedimento I487.

Il Consiglio di Stato dal canto suo ha riformato la sentenza di primo grado, annullando l’impugnato provvedimento dell’Autorità: secondo tale Giudice amministrativo il provvedimento finale del caso I487 era viziato nella misura in cui non erano stati svolti accertamenti istruttori e valutazioni riguardo alla posizione dominante, poiché essa “assume(va) carattere preliminare alla verifica della compatibilità dei modelli contrattuali adoperati da Sagit [in quanto] faciliterebbe l’imposizione di contratti con clausole di esclusiva[76]; in particolare, il Giudice amministrativo osservava che “si sarebbe dovuto accertare e valutare se la società medesima, in virtù anche della quota detenuta nel mercato rilevante (50-60% in un settore concentrato per il 98% tra quattro produttori), non detenesse, invece, una posizione dominante e se le varie tipologie contrattuali da essa adoperate (che vincolano in esclusiva il 30-40% del totale dei punti vendita e del totale del mercato in valore) dessero luogo a un abuso di posizione dominante”[77]. Lo stesso Giudice poi rilevava che tali censure non attinenti al merito “non involgono la discrezionalità tecnica dell’Autorità a cui spettano i relativi accertamenti e valutazioni, ma previa adeguata istruttoria e con una motivazione sufficiente sull’insussistenza, da parte di Sagit s.r.l. della violazione di quanto previsto dagli artt. 3 della l. n. 287/1990 e 82 del Trattato CE[78]. Nonostante tutto, l’Autorità ha ritenuto di non istruire nuovamente il caso dopo la decisione del Consiglio di Stato.

Pertanto, la decisione del Consiglio di Stato circa la qualificazione giuridica della condotta posta in essere da Sagit come posizione dominate e dunque come abuso della stessa, da verificare preliminarmente, potrebbe ritenersi corretta: ciò si può notare anche attraverso un confronto con il caso Unilever del dicembre 2017 su esaminato. Le caratteristiche per una condotta di abuso di posizione dominante in quella circostanza ci sarebbero state tutte: l’AGCM si sarebbe limitata ad analizzare i contratti posti in essere da Sagit per considerarli o meno come possibili intese atte a restringere o falsare il meccanismo del mercato concorrenziale (tutto ciò a seguito di una comunicazione volontaria di intesa ai sensi degli artt. 4 e 13 della legge 287/1990 avente ad oggetto un modello contrattuale da applicare nella vendita di gelati, pervenuta all’Autorità da parte della società), senza analizzare la posizione presumibilmente dominante di Sagit nel mercato di riferimento. Infatti, in questa occasione la società, avrebbe effettivamente detenuto una posizione dominante: dalla fase istruttoria descritta nel provvedimento n. 11662 infatti, è emerso che il settore interessato dagli accordi oggetto della comunicazione di Sagit, assunto anche come relevant market per quanto riguarda la fattispecie di posizione dominante, era quello della produzione e della commercializzazione di gelato da impulso industriale confezionato attraverso l’insieme di alcuni punti vendita[79], mercato avente una dimensione geografica coincidente all’incirca con il territorio nazionale; in tal mercato Sagit esercitava una posizione di leadership con un quota di mercato in volume di 50%-60% e in valore del 50%-60% mentre soltanto il 2% risultava nelle mani di altre piccole imprese (come ad esempio GIS, Mars, Bindi, ecc.)[80]; la politica distributiva di Sagit, basata sui tre livelli di esclusione su menzionati, che coinvolgevano in primis i concessionari, poi i punti vendita ed infine i frigocongelatori, si basava sull’acquisizione di punti vendita nuovi in esclusiva o di aggressione di punti vendita in esclusiva ad altri. Anche in tal caso Sagit, a seguito dell’assunzione dell’impegno di esclusiva, si impegnava a riconoscere ai concessionari, uno sconto sull’acquisto dei prodotti e sconti quantità al raggiungimento dei quantitativi concordati[81]: si sarebbe potuto trattare degli sconti conveniente e di quelli fidelizzanti che sono stati usati da Unilever anche nel recente caso Algida. In relazione a tali clausole di esclusiva per dipiù, alcune società[82] avevano sostenuto che l’esclusiva di vendita non era affatto “una giustificazione per poter offrire prodotti di qualità ma piuttosto un’esigenza per tutelarsi una quota di mercato e per creare difficoltà di penetrazione nello stesso”[83]: dunque il comportamento della Sagit avrebbe potuto comportare senza ombra di dubbio effetti negativi ed anticoncorrenziali soprattutto per imprese più piccole, seppur  la strategia escludente adottata sarebbe stata caratterizzata da un più ridotto utilizzo delle clausole di esclusiva merceologica e da un comportamento intimidatorio assente rispetto alla condotta di Unilever nel caso attuale. Non meriterebbero di essere trascurate neanche le risultanze dell’audizione finale di Sammontana del 17 dicembre 2002 che sosteneva come “Sagit detenga una posizione dominante sul mercato di riferimento e, conseguentemente ponendo in essere contratti con esclusiva, abusi di tale posizione, dando luogo ad una violazione dell’art. 3 della legge n. 287/1990[84]. Ne emerge dunque che la decisione del Consiglio di Stato sulla necessità di un accertamento più attento da parte dell’AGCM di una posizione dominate di Sagit e dell’eventuale abuso della stessa, sembrerebbe dimostrare un ragionamento logico-giuridico corretto, data la presenza di elementi che avrebbero potuto dimostrare e far emergere un’effettiva condizione di dominanza nel mercato rilevante dell’operatore in questione.

Considerazioni conclusive

Fatte queste premesse e questa breve disamina del procedimento Sagit I487, si rilevi come il caso recente che ha interessato la società Unilever (e probabilmente per alcuni aspetti anche il caso simile di Sagit da ultimo descritto, se si tende a rimanere sulla linea marcata dal Consiglio di Stato nella sua pronuncia e dunque a descrivere la condotta di Sagit come posizione dominante e relativo abuso) rientri nella categoria delle condotte abusive di carattere escludente: la società ha innescato dei veri e propri meccanismi di corporate bullying attraverso l’applicazione di sconti fidelizzanti e di clausole di esclusiva nei contratti stipulati con i clienti. I due tipi di condotte dell’impresa in dominanza, anche se differenti strutturalmente, presentano molti elementi in comune soprattutto dal punto di vista degli effetti economici, tali appunto da rendere difficile a volte l’attività del giurista di far rientrare la fattispecie concreta che gli si presenta, nella disciplina giurisprudenziale dell’uno o dell’altro comportamento[85].

Partendo dall’analisi della condotta dei cosiddetti “sconti fidelizzanti”, in passato l’area degli sconti è stata interessata da una contraddittorietà della prassi applicativa e dell’interpretazione giurisprudenziale; la Commissione ha cercato di ovviare a questa situazione di disordine introducendo linee guida nazionali ma ha trovato più volte la resistenza delle giurisdizioni dei singoli Stati europei.

L’originaria posizione della Corte di Giustizia era plausibile e ben delineata: le imprese in posizione dominante non possono concedere sconti subordinati alla condizione che quel cliente acquisti esclusivamente dall’impresa in questione (sconti fedeltà), mentre possono concedere sconti fondati sulla quantità dell’ordine (sconti quantità)[86]. Si può prendere come riferimento il caso British Airways nel quale la Corte ha osservato che “occorre in primo luogo verificare se tali sconti o premi possono produrre un effetto preclusivo, cioè se siano in grado, da un lato, di rendere più difficoltoso o addirittura impossibile, l’accesso al mercato per i concorrenti dell’impresa in posizione dominante e, dall’altro, di rendere più difficoltosa, o addirittura impossibile, per le sue controparti commerciali, la scelta tra più fonti di approvvigionamento o controparti commerciali[87].

Le imprese in posizione dominante, anche a causa dello sviluppo della giurisprudenza comunitaria, hanno poi cominciato ad adottare sistemi di sconti sempre più complessi; la Corte si è evoluta dunque nel senso di iniziare a considerare come illeciti anche condotte di sconti quantità che potessero avere un effetto fidelizzante sui clienti, fino ad arrivare a raggiungere una posizione restrittiva in quanto è stato spostato l’onere della prova sull’impresa in posizione dominante [88]. La Commissione dal canto suo, si è sforzata di razionalizzare tutta l’area degli sconti condizionati applicando il metodo dell’approccio economico; nei suoi orientamenti ha basato questo sistema su un quesito: bisogna chiedersi quale prezzo dovrebbe offrire un concorrente per compensare il cliente della perdita dello sconto condizionato offerto dall’impresa se quest’ultimo trasferisce parte della sua domanda dall’impresa dominante al concorrente. Si tratta di un’analisi simile a quella condotta per i prezzi predatori[89].

Da un punto di vista economico dunque, il problema degli sconti fidelizzanti è assai complesso potendo avere questi gli stessi effetti dei comportamenti e condotte diverse, come i prezzi discriminatori, le pratiche leganti e le clausole di esclusiva in particolare.

Ma sia negli sconti fidelizzanti, sia nelle clausole di esclusiva, il problema principale risulta essere quello della preclusione del concorrente attuale o potenziale. Dal punto di vista economico ed oggi anche giuridico, la differenza tra le due fattispecie sta svanendo sempre di più. Anche per l’esclusiva vale lo stesso discorso fatto per gli sconti fedeltà: mentre le imprese in posizione dominante hanno cercato in tutti i modi di aggirare il divieto con meccanismi sempre più complessi (cliente preferenziale, sconti obiettivo)[90], la Commissione, con il sostegno delle Corti, ha ampliato notevolmente la nozione di condotta esclusiva abusiva[91]. Nel già citato caso Hoffmann La Roche, la Corte ha affermato che “per un’impresa che si trova in posizione dominante su un mercato, il fatto di vincolare gli acquirenti con l’obbligo o la promessa di rifornirsi per tutto o gran parte del loro fabbisogno esclusivamente presso l’impresa in questione, costituisce sfruttamento abusivo di posizione dominante ai sensi dell’art.102 TFUE, tanto se l’obbligo in questione è imposto sic et simpliciter, quanto se ha come contropartita la concessione di sconti[92].

La materia ha avuto un importante sviluppo ed applicazione in tempi recenti nel settore del Food, in particolare nella vendita dei gelati preconfezionati: in tale disciplina rientrano le condotte degli imprenditori in posizione dominante che danno in comodato agli esercizi di distribuzione dei gelati, uno o più frigoriferi, con l’impegno di non conservarvi all’interno altri gelati se non quelli forniti dal produttore dominante.[93] In questi comportamenti sembra rientrare appieno il caso Unilever-La Bomba. Pertanto, la Corte di Giustizia è intervenuta varie volte a pronunciarsi su queste tipologie di fattispecie confermando l’orientamento secondo cui l’imposizione di una serie di obblighi di esclusiva da parte dell’impresa in posizione dominante (soprattutto quando questa è un’impresa di “marca”, come nel caso di Unilever nella vendita dei gelati della nota marca “Algida”), integra una condotta recante effetti di esclusione dei concorrenti dal mercato di riferimento, rappresentando dunque, una violazione dell’art. 102 TFUE[94].

Così come per gli sconti fedeltà, dietro al fenomeno delle clausole di esclusiva, vi è lo studio di economisti che tramite la predisposizione di complessi ragionamenti, si sono affannati a ricercare una spiegazione al proliferarsi sempre più frequente di questi fenomeni. L’analisi economica e giuridica è quindi come si è detto, simile a quella degli sconti fidelizzanti. In tal modo, affinché l’esclusiva possa essere considerata condotta di abuso, dovrà produrre un effetto preclusivo, misurabile anche sulla quantità di clientela, in quanto se rilevante, la sottrazione della stessa rappresenta un blocco all’entrata e alla crescita dei concorrenti nel mercato[95].

La condotta tenuta da Unilever nella vendita dei gelati Algida, sembrerebbe dunque possedere tutte le caratteristiche giuridico-economiche delle due fattispecie esaminate, essendo stata posta in essere (come si può desumere anche dai profili giuridici delineati in precedenti pronunce della Corte di Giustizia) attraverso l’applicazione di sconti fidelizzanti e di clausole di esclusiva, entrambe fattispecie di corporate bullying altamente dannose per il mercato concorrenziale italiano ed europeo.

[1] Società attiva nello sviluppo e nella commercializzazione di prodotti di largo consumo, con marchi di notorietà nei settori Ice-cream, Food, Home & Personal Care. Il fatturato complessivo realizzato in Italia nel 2016 da Unilever è pari circa a 1.424.589.926 euro di cui 100.000.000-200.000.000 euro per la vendita (sell-in) di gelati monodose preconfezionati nel canale Out of Home.

[2] In tale mercato Unilever detiene una posizione dominante, con una quota compresa tra il 60% ed il 70%; sul mercato da impulso e su un precedente caso Unilever si veda L. Ferrucci, Strategie competitive e processi di crescita dell’impresa, Milano, 2002, pp. 60 ss.

[3] La prima segnalazione è pervenuta in data 3 aprile 2013 e integrata poi dall’ultima del 15 settembre 2017.

[4] Nello specifico si tratta di esercenti di attività balneari nelle zone del litorale adriatico e laziale.

[5] La giurisprudenza europea ha adottato in passato diverse definizioni di mercato, non sempre perfettamente coincidenti. Per la definizione del mercato del gelato da impulso si vedano Langnese-Iglo Gmbv, Dec. CE del 23 dicembre 1992, n. IV/34.072; analoga definizione del mercato e analoghe argomentazioni sono state utilizzate anche nel caso Van Den Bergh Foods Limited, Dec. CE dell’11 marzo 1998, sui casi IV/34.073, IV/34.395 e IV/35.436.

[6] Il mercato italiano del gelato vale 5,15 mln di euro di cui 780 mln provengono dalla vendita dei gelati monodose. In questo ultimo mercato, la presenza di Unilever ammonta al 63%. Unilever Italia ha fatturato nel 2016 un totale di 1,4 mld di euro. Il fatturato di La Bomba nel 2016 è stato pari a meno di un milione di euro.

[7] La prassi di settore dell’utilizzo esclusivo di freezer in comodato d’uso per la conservazione dei propri gelati ha fatto sì che anche i produttori che offrono solo una parte dei gelati d’impulso, abbiano dovuto ricorrere alla distribuzione di un proprio frigorifero, come nel caso di La Bomba; importante a riguardo è una precedente decisione della Commissione europea concernente la politica di cabinet exclusivity applicata da Unilever nel mercato irlandese dei gelati, IP/98/242 Brussels, 11th March 1998.

[8] Quali sconti fissi in fattura, sconti fine anno, sconti target condizionati al raggiungimento di certe soglie di ricavi/fatturato relativi alle vendite complessive di gelati.

[9] Quali compensi promozionali, compensi gamma/assortimento, compensi target (una volta raggiunta la soglia di fatturato specificata, vengono applicati retroattivamente su tutte le quantità acquistate), compensi destinati alle associazioni di categoria.

[10] Si veda Provvedimento AGCM n. 26822, A.484; cfr. Corte di Giustizia 17 febbraio 2011, caso Telia Sonera Sverige e giurisprudenza ivi citata.

[11] Anche per il tramite di associazioni di categoria, parti degli accordi quadro stipulati.

[12] Sconti di fine anno erogati con nota di credito e contratti di durata superiore ai due anni e tacitamente rinnovabili.

[13] Per usare le parole dell’AGCM: “Unilever ha modulato e articolato l’insieme delle condizioni contrattuali e delle condotte sopra descritte con il precipuo intento di ostacolare la penetrazione dei concorrenti in grado di erodere significativamente il fatturato realizzato da Unilever con la propria clientela”.

[14] Cit. in Provvedimento AGCM n. 26822, A.484.

[15] L’AGCM riprende in parte la sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia 6 settembre 2017, C-413/13 P, Intel Corporation Inc. c. Commissione: “La decisione Intel ha comunque precisato che, ove l’impresa dominante sostenga, sulla base di elementi di prova, che il suo comportamento non ha avuto la capacità di restringere la concorrenza, l’Autorità è tenuta ad analizzare “da un lato, l’ampiezza della posizione dominante dell’impresa sul mercato pertinente e, dall’altro, il tasso di copertura del mercato ad opera della pratica concordata, nonché le condizioni e le modalità di concessione degli sconti di cui trattasi, la loro durata e il loro importo, ma deve anche valutare l’eventuale esistenza di una strategia diretta ad escludere dal mercato i concorrenti quantomeno altrettanto efficaci” (si veda per analogia, sentenza del 27 marzo 2012, Post Danmark, C-209/10, EU:C:2012:172, punto 29).

[16] Cfr. Comunicazione della Commissione UE sulla nozione del pregiudizio al commercio fra Stati membri di cui agli articoli 81 e 82 Trattato CE (2004/C 101/07, in GUCE C 101/81 del 27 aprile 2004); Corte di Giustizia UE, 11 luglio 2005, C-42/84, Remia BV ed altri c. Commissione.

[17] Si tratterebbe di un caso di inflazione grave e la percentuale dell’importo-base sanzionatorio è stata collocata tra il 5 ed il 10% del valore delle vendite; secondo quanto espressamente chiarito dalla Corte di Giustizia “per valutare la gravità di un’infrazione, si deve tener conto di un gran numero di fattori il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa” (Corte di Giustizia UE, C.100/8 a 103/89 (cause riunite), sentenza del 7 giugno 1983, caso Musique Diffusion Francaise, para. 120). Tra questi rilevano principalmente la natura della restrizione della concorrenza nonché il ruolo e la rappresentatività sul mercato delle imprese coinvolte; cfr. Consiglio di Stato, sentenze del 9 febbraio 2011, n. 896 e del 16 settembre 2011, nn. 5171 e 5172, in relazione al caso I694 – Listino prezzi della pasta.

[18] La società multata, era stata già in passato protagonista di altri episodi simili, in Italia e all’estero, alcuni dei quali conclusisi in maniera sostanzialmente diversa: è il caso Unilever verificatosi il 9 agosto 2017 nel Regno Unito. In tale occasione, la Competition & Markets Authoriy (CMA) al contrario, ha deliberato la chiusura delle indagini che aveva intrapreso per abuso di posizione dominante a carico della stessa società ritenendo che le condotte promozionali sotto forma di “pacchetti di offerte” applicate da Unilever, non costituivano affatto una condotta abusiva.

[19]In tal senso si veda G. D’Attore, Una “ragionevole concorrenza”: il ruolo della rule of reason dopo la riforma del diritto antitrust comunitario, in Giur. Comm., 2004, I; cfr. R. Franceschelli, Concorrenza, in Enc. Giur. VIII, 2007, p. 2 e M. Circi, Concorrenza, in Enc. Giur. VIII, 2008, p. 1.

[20] Cfr. in tal senso M. Libertini, Concorrenza, in Enc. del diritto, Annali, III, 2010, pp. 197-198.

[21] Cfr. S. Cassese, La nuova Costituzione economica, Roma-Bari, 2007.

[22]Secondo V. Mangini, G. Olivieri: “all’origine di ogni legislazione antimonopolistica vi è dunque la consapevolezza dell’inevitabile insufficienza dei meccanismi correttivi spontanei del mercato a scongiurare possibili effetti distorsivi”, (cit. in Diritto Antitrust, Torino, 2005, p. 2).

[23] Sull’argomento si veda il pensiero di S. Cassese, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2007, pp.59 ss.; la sede normativa di questo incrocio è l’art. 1 della l. 287/1990 (comma 1 e 4) definita “norma a gestazione comunitaria”, affetta da “strabismo costituzionale”: si veda a tal proposito M. V. Benedettelli, Sul rapporto fra diritto comunitario e diritto italiano della concorrenza (Riflessioni in margine al disegno di legge n. 3755 ed al regolamento comunitario sulle concentrazioni), in Il Foro italiano, V, 1990, p. 235 e G. Oppo, Costituzione e diritto privato nella “tutela della concorrenza”, in “Rivista di diritto civile”, 1993, p. 543.

[24] Tale politica è stata ritenuta “costituzionalizzata” nella costituzione economica già con il Trattato di Maastricht del 1992: qui la concorrenza diviene principio cardine dell’intero ordinamento comunitario.

[25] Si veda art. 41 Cost.: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

[26] La previsione di una “legge annuale per la concorrenza e il mercato”, contenuta nella l. n.19/2009, ha accentuato ancor di più la volontà di operare riforme della regolazione in senso pro-concorrenziale. Tali risultati non sempre sono stati soddisfacenti come ad es. per l’anno 2016: “fra le novità normative attese nel 2016 c’era anche l’approvazione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza. Purtroppo, trascorsi quasi due anni dalla presentazione alle Camere del testo da parte del Governo, deve constatarsi il progressivo allungamento dei tempi dell’iter parlamentare del provvedimento che, nel frattempo, ha visto anche crescere vistosamente il numero degli articoli in esso previsti: nel corso dei vari passaggi, infatti, l’articolato ha subito significative modifiche e integrazioni, passando dagli originari 33 articoli ai 76 della versione approvata in Commissione al Senato, con disposizioni che trattano temi eterogenei di non immediata rilevanza concorrenziale. L’inserimento di tali disposizioni nel testo di legge è stato, peraltro, uno degli elementi che ne ha ritardato l’approvazione e che, inoltre, rischia di compromettere la finalità principale dello strumento”, cit. in Relazione annuale sull’attività svolta, AGCM 2016.

[27] Tale Regolamento è stato pubblicato in G.U.C.E. n. 13 del 21 febbraio 1962, pagg. 204 ss.: faceva riferimento agli articoli 85 ed 86 del Trattato che, in seguito alla rinumerazione operata con il Trattato di Amsterdam, sono divenuti articoli 81 ed 82.

[28] Cfr. per un approfondimento M. Siragusa, E. Guerri, L’applicazione del regolamento n. 1/2003 da parte dell’Autorità garante e possibili modifiche alla legge n. 287, in Adeguare l’ordinamento italiano al regolamento (CE) n. 1/2003: quali scelte normative per la modernizzazione dell’antitrust, Atti del Convegno Assonime tenuto il 15 dicembre 2003 presso la Corte Suprema di Cassazione.

[29] Per un approfondimento sul punto si veda M. De Dominicis, Concorrenza e nozione d’impresa nella giurisprudenza comunitaria, Napoli, 2005, p.34 ss.;

[30] In termini analoghi A.M. Calamia, La nuova disciplina della concorrenza nel diritto comunitario, Milano, 2004, p. 89 ss.

[31] Sostituita dall’affermazioni per cui l’Unione Europea “si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente”.

[32] Prima artt. 81 e ss. del Trattato CE.

[33] Cfr. E. Cardi, Mercati e Istituzioni in Italia, Diritto Pubblico dell’Economia, Torino, 2014, p. 78 ss.

[34] Si vedano gli artt. 21, 21 bis e 22 della legge italiana antitrust.

Per un approfondimento sulla disciplina, struttura e funzioni dell’AGCM si vedano M. Clarish, Per uno studio sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Dir. Amministrativo, n. 1, 1993, p. 77 ss.; G. Amato, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Riv. Trimestrale del Dir. Pubblico, n. 3, 1997, p. 646 ss.; M. De Benedetto, L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Bologna, 2000.

[35] Per un approfondimento sulle competenze e la cooperazione tra Commissione europea e Autorità dei singoli Stati membri, si veda E. Cardi, Mercati e Istituzioni in Italia, Diritto Pubblico dell’Economia, Torino, 2014, p. 108 ss.

[36] Per le intese, la relativa disciplina è contenuta nell’art. 2 della legge antitrust italiana, secondo la quale: “1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. 2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi. 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”; le operazioni di concentrazione invece, sono definite dall’art. 5: “1. L’operazione di concentrazione si realizza: a) quando due o più imprese procedono a fusione; b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un’impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell’insieme o di parti di una o più imprese; c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un’impresa comune. 2. L’assunzione del controllo di un’impresa non si verifica nel caso in cui una banca o un istituto finanziario acquisti, all’atto della costituzione di un’impresa o dell’aumento del suo capitale, partecipazioni in tale impresa al fine di rivenderle sul mercato, a condizione che durante il periodo di possesso di dette partecipazioni, comunque non superiore a ventiquattro mesi, non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse. 3. Le operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti non danno luogo ad una concentrazione”.

[37] Tale asimmetria ha un importante fondamento e fine economico: quello di evitare l’avvicinamento dei mercati a strutture di monopolio per raggiungere invece una struttura pro-concorrenziale.

[38]Per un approfondimento si veda L. Torchia, Gli interessi affidati alla cura delle autorità indipendenti, in I garanti delle regole, a cura di S. Cassese, C. Franchini, Bologna, 1996.

[39] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A12012E%2FTXT

[40] C. Osti, voce Abuso di posizione dominante, in Enc. del diritto, Annali, Vol. 5, 2012.

[41] Corte di Giustizia 23 aprile 1991, causa C-41/90, Hofner & Elser c. Macrotron, in Racc. giuri. C. giust. 1991, I.

[42] Corte di Giustizia, cause riunite C-180-184/98, Pavel Pavlov and Others v Stichting Pensioenfonds Medische Specialisten, 2000, ECR I-6451.

[43] Corte di Giustizia 19 febbraio 2002, causa C-309/99, J.C.J. Wouters and Others c. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten, in Racc. giur. C. giust. 2002, I-1580.

[44]Cfr.  A. Palazzo, Diritto privato del mercato, Perugia, 2007, pp. 60 ss.

[45] Cfr. art. 101 TFUE.

[46] Si vedano anche Glaxo Smith Kline Services Unlimited T-168/01 (2006) e Ahlström Oy c. Commissione (Woodpulp) C-89/85 (1988).

[47] È assai raro che le imprese formano per iscritto accordi palesemente anticoncorrenziali: per questo gli organi competenti devono procedere ad un’attenta esegesi di accordi e comportamenti degli operatori.

[48] Cfr. L. Nogler, Introduzione al mercato unico delle attività autonome, in l. Nogler (a cura di), Le attività autonome, Torino, 2006.

[49] Il fatto che un’impresa detenga una posizione dominante non distorce di per sé il mercato, anzi è assolutamente lecito che grazie ad un comportamento virtuoso, investendo in innovazione, marketing o offrendo prodotti migliori o ad un miglior prezzo un’azienda possa detenere un certo potere di mercato.

[50] Si veda S. Bastianon, L’abuso di posizione dominante, Milano, 2001, pp.206 ss.; L. C. Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, 2007, pp. 2517 ss.

[51] Si veda Corte di Giustizia Europea, causa C-85/76, Hoffmann La Roche/Commissione, sentenza del 13 febbraio 1979.

[52] Si tratta di un metodo indiretto in quanto la quota di mercato in realtà può non corrispondere alla potenziale perdita dei ricavi derivante dall’aumento del prezzo e risulta essere insensibile a fattori estremamente rilevanti quali le barriere all’ingresso, economie di scala, potere degli acquirenti e via dicendo. La Commissione ha dichiarato che: “Le quote di mercato forniscono una prima indicazione utile per la Commissione sulla struttura del mercato e sulla relativa importanza delle varie imprese in esso operanti. La Commissione interpreterà tuttavia le quote di mercato alla luce delle condizioni di mercato rilevanti e, in particolare, della dinamica del mercato e del grado di differenziazione dei prodotti”, Comunicazione della Commissione n.2009/C 45/02, Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’art. 82 del Trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti.

[53] Oggi la giurisprudenza della Corte di Giustizia considera come posizione dominante una quota di mercato superiore al 55% mentre un’attenta analisi di altri fattori deve effettuarsi per la valutazione di quote di mercato compresa tra il 35% e il 50%-55%; si veda a tal proposito la sentenza della Corte di Giustizia, nel caso Akzo Chemie C – 62/86 (1991).

[54] Cfr. S. Bastianon, L’abuso di posizione dominante, Milano, 2001; la definizione del mercato rilevante passa attraverso la valutazione dei potenziali sostituti del prodotto: maggiore è la sostituibilità dei prodotti – e quindi, maggiore è la loro omogeneità – minore potrà essere il potere di mercato dell’impresa, perché più ampio il mercato. L’ esame della potential competition ha poi una notevole importanza nel giudizio sulla posizione dominante di un’impresa: per definire il mercato rilevante e stabilire il potere di mercato su di esso, non basta guardare alla quota posseduta, ma occorre valutare fattori aggiuntivi, tra cui le barriere all’ entrata, che possono avere anche origine legale, come nel caso di un marchio; cfr. A. Vanzetti, V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2000, p.124 ss.

[55] Varie sono le interpretazioni della Corte di Giustizia del concetto di relevant market; la Corte ha ad esempio osservato che “ai fini della valutazione […]della posizione dominante, ha importanza essenziale la delimitazione del mercato di cui trattasi, poiché le possibilità di concorrenza non possono essere valutate se non in funzione delle caratteristiche dei prodotti di cui trattasi, grazie alle quali detti prodotti sarebbero particolarmente atti a soddisfare bisogni costanti e non sarebbero facilmente intercambiabili con altri prodotti” (C.G.CE 21 febbraio 1973, causa 6/72,Europem-ballage Corporatione Continental Can Company Inc. c. Commissione, in Racc. Giur. C. giust., 1973, 215, punto 32; brevemente, altri fattori da considerare, oltre la quota di mercato dell’ipotizzata impresa dominante, sono: le quote di mercato dei concorrenti, l’esistenza di barriere all’entrata, le possibilità di espansione dei concorrenti presenti sul mercato e il contropotere degli acquirenti.

[56] Si veda art. 102 TFUE (ex articolo 82 del TCE): “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi”.

[57] Si veda art. 3 legge n.287/1990: “E’ vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato: a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori; c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; d) subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi”.

[58] L. C. Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, 2007, p. 2483; cfr. F. Scaglione, Correttezza Economica e Autonomia Privata, Perugia, 2007, pp. 245 ss.

[59] L’accertamento dello sfruttamento abusivo presuppone valutazioni differenti a seconda che si tratti di comportamenti posti in essere nei confronti dei concorrenti o di atteggiamenti diretti verso i fornitori e gli acquirenti: è’ di questo avviso M. Frignani, La concorrenza, in Trattato di diritto europeo, (a cura di Frignani, Pardolesi), Torino, 2007, p. 200: “avendo la nozione di abuso una doppia faccia, non si potrebbe applicarle un criterio unico”.

[60] Un esempio può essere l’imposizione di prezzi o condizioni commerciali ingiustificatamente gravose; molto spesso la determinazione dei prezzi può essere di tipo selettivo, che implica ad esempio, che vi sia discriminazione di prezzo tra clienti diversi e/o mercati geografici differenti; si veda S. Bastianon, L’abuso di posizione dominante, Milano, 2001; ne è un esempio il caso 27/76 Corte di Giustizia, United Brands (1978), nel quale la Commissione ha accusato la United Brands di vendere banane Chiquita a prezzi eccessivi a consumatori residenti in Germania, Danimarca, Olanda, Belgio e Lussemburgo, basandosi sul fatto che le banane Chiquita erano doppi in quei Paesi rispetto ai prezzi di vendita in Irlanda e che le banane di questa marca costavano il 20%-40% in più rispetto a banane  senza marchio.

[61] Il concetto di abuso di esclusione è stato puntualizzato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Hoffman – La Roche del 1979: la Corte ha elaborato una distinzione tra concorrenza basata sul merito e condotta di esclusione che costituisce un abuso. Tale distinzione richiede la necessaria comprensione delle complesse realtà economiche del mercato.

[62] Per un’analisi dei casi concreti, si vedano come esempi: Commissione CE 26 luglio 1988, caso Tetra-Pak I, in GUCE 4 ottobre 1988, n. L 272 sui prezzi predatori; AGCM, 1532/93, caso SIP/Sistema GSM in Boll. n. 321993 e AGCM, 4547/96, caso Contratti di distribuzione esclusiva gelati, in Nuova giur. Civ. comm. 1998, I, sulle pratiche escludenti.

[63] I criteri per la divisione del lavoro tra AGCM e Commissione, vanno ricercati nella Comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete (C 101/43) del 27 aprile 2004.

[64] Si trattava di un mercato oligopolista: in quegli anni tale forma di mercato risultava consolidata senza particolari modifiche subite dalle quote di mercato ed in cui l’ingresso di nuovi operatori era marginale.

[65] I punti vendita alternativi erano giornalai, aeroporti, stazioni oltre a quelli tradizionali quali bar, gelaterie, stabilimenti balneari.

[66] I cosiddetti punti vendita in promiscuità.

[67] Art. 4 legge 287/1990: “Deroghe al divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza. 1. L’Autorità può autorizzare, con proprio provvedimento, per un periodo limitato, intese o categorie di intese vietate ai sensi dell’articolo 2, che diano luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato i quali abbiano effetti tali da comportare un sostanziale beneficio per i consumatori e che siano individuati anche tenendo conto della necessità di assicurare alle imprese la necessaria concorrenzialità sul piano internazionale e connessi in particolare con l’aumento della produzione, o con il miglioramento qualitativo della produzione stessa o della distribuzione ovvero con il progresso tecnico o tecnologico. L’autorizzazione non può comunque consentire restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità di cui al presente comma né può consentire che risulti eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato. 2. L’Autorità può revocare il provvedimento di autorizzazione in deroga di cui al comma 1, previa diffida, qualora l’interessato abusi dell’autorizzazione ovvero quando venga meno alcuno dei presupposti per l’autorizzazione. 3. La richiesta di autorizzazione è presentata all’Autorità, che si avvale dei poteri di istruttoria di cui all’articolo 14 e provvede entro centoventi giorni dalla presentazione della richiesta stessa”; art. 13 legge 287/1990: ”Comunicazione delle intese 1. Le imprese possono comunicare all’Autorità le intese intercorse. Se l’Autorità non avvia l’istruttoria di cui all’articolo 14 entro centoventi giorni dalla comunicazione non può più procedere a detta istruttoria, fatto salvo il caso di comunicazioni incomplete o non veritiere”.

[68] Per un approfondimento sulla disciplina delle intese di veda M. Toni, La sorte delle intese concluse prima dell’entrata in vigore della l. 287/90 e l’arbitrabilità degli accordi aventi ad oggetto la disciplina della concorrenza, in Riv. dir. ind., 1997, p. 156 ss.

[69] Tali clausole prevedono un accordo fra produttore e concessionario/distributore, secondo cui quest’ultimo può vendere una sola marca di gelati ed in cambio gli viene assicurata l’esclusiva territoriale.

[70] Prevedono accordi fra il produttore e i punti vendita, secondo cui questi ultimi sono vincolati alla distribuzione di gelati di un unico marchio ed a promuovere quanto più possibile la vendita di tale prodotto (utilizzando materiale pubblicitario e aderendo ad azioni promozionali). Il produttore in cambio si impegna a riconoscere uno sconto sull’acquisto dei prodotti e sconti quantità.

[71] Clausole con le quali il produttore dà in comodato i frigocongelatori per la conservazione dei gelati e l’esercizio commerciale deve garantire l’utilizzo esclusivo di esse per quel prodotto.

[72][72] Art. 2 l. 287/1990: “Intese restrittive della libertà di concorrenza. 1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari. 2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l’oggetto dei contratti stessi. 3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”; cfr. M. Meli, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese anticoncorrenziali, Milano, 2001; sull’autorizzazione in deroga si veda P. Autieri, Nullità e autorizzazione delle intese restrittive della concorrenza nella normativa antitrust nazionale, in Riv. Dir. Ind., 1996, I, pag. 83 ss.

[73] Si veda p. 16 ss. del provvedimento n. 11662 AGCM.

[74] L’Autorità ha ritenuto valida anche l’esclusiva c) sul subentro di nuovo gestore in caso di cambio gestione, data l’importanza di protezione degli investimenti del produttore da eventuali fenomeni di opportunismo della controparte (locked-in) e vista la durata breve dei contratti di comodato (1 anno).

[75] Cit. in sentenza TAR Lazio n. 1715/2004, p. 6.

[76] Cit. in sentenza Consiglio di Stato n. 5070/2007, p. 11.

[77] Cit. in sentenza Consiglio di Stato n. 5070/2007, p. 11.

[78] Cit. p. 13 della sentenza citata.

[79] In tal caso sono soprattutto i punti vendita del canale Horeca, termine usato per indicare la distribuzione di un prodotto presso hotelristorantitrattoriePizzeriebar e simili, catering. In pratica, il canale Horeca è rappresentato da chi, per professione, somministra alimenti e bevande mentre quello della grande distribuzione organizzata (GDO) o dei negozi è relativo a chi commercia alimenti e bevande. La stragrande maggioranza dei soggetti del mondo Horeca sono piccole o micro imprese.

[80] “..nel 2001 le prime due imprese (Sagit e Nestlè) detengono oltre il 70% delle vendite complessive in volume e circa l’80% in valore, mentre l’indice di concentrazione relativo alle prime quattro imprese (Sagit, Nestlè, Sammontana, Sanson), misurato dal CR4, raggiunge circa il 98% sia in volume che in valore” cit. in Provvedimento n. 11662 AGCM, p. 3.

[81] I concessionari beneficiavano di uno sconto che oscillava tra il 20% e il 30% a seconda degli operatori e del volume di fatturato.

[82] A tal proposito società quale Bianchi, Stocchi, Ambrosiana Gelati ed altre minori.

[83] Cit. in Provvedimento n. 11662, p. 9.

[84] Si veda par. 3 73 della deliberazione n. 11662/2003.

[85] Per un approfondimento si veda C. Osti, voce Abuso di posizione dominante, in Enc. del diritto, Annali, Vol. 5, 2012, p. 5 ss.

[86] Cfr. E. Stradella, L’applicazione dell’art. 82 TCE agli sconti-obiettivo, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2007, p. 1414 ss.; se gli sconti quantità si fondano sulle economie di scala del fornitore, causate da una maggiore produzione di beni, gli altri sono ingiustificati e hanno l’effetto di impedire ai concorrenti di entrare e di espandersi nel mercato: in tal senso Corte di Giustizia 16 dicembre 1975 cause riunite 40/73-48/73, 54/73-56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e altro c. Commissione, in Racc. Giur. C. Giust,1975, 1663.

[87] Si veda Corte di Giustizia 15 marzo 2007, causa C-95/04 P.

[88] Si veda caso Michelin, Trib. CE 30 settembre 2003, causa T-203/01; il problema degli sconti è proprio la potenziale preclusione dei concorrenti attuali o potenziali dal mercato. Dunque, per effettuare una valutazione effettiva di tale fenomeno, i giudici e le autorità dovrebbero chiedersi quale sia lo svantaggio dei concorrenti a seguito degli sconti applicati dal dominante; quale sia la rilevanza di tale svantaggio; quale sia la rilevanza della clientela toccata dalla pratica abusiva; se lo sconto sia effettivamente tale da creare un danno ai consumatori.

[89] Si applica l’importo degli sconti alla parte contendibile e cioè a quella parte di fatturato del cliente che si può realisticamente immaginare che i concorrenti possano sottrarre all’impresa dominante; cfr. Comunicazione della Commissione n.2009/C 45/02.

[90] Si veda una rassegna di casi in Trib. UE 9 settembre 2010, causa T-155/06; cfr. E. Stradella, L’applicazione dell’art. 82 TCE agli sconti-obiettivo, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2007, p. 1414 ss.

[91] Cfr. in V. Mangini, G. Olivieri, Diritto Antitrust, Torino, 2005, p. 76 ss.

[92] Cit. in Corte di Giustizia 13 febbraio 1979, causa 85/76, punto 89.

[93] Comportamento anche questo posto in essere da Unilever nel 2017 e da Sagit nel 2003.

[94] Si veda Corte di Giustizia ordinanza 28 settembre 2006, causa C-552/03 P, Unilever Bestfoods (Ireland) Ltd c. Commissione e altri, in Racc. giur. C. giust., 2006, I-9091; cfr. Comunicazione della Commissione n. 2009/C 45/02.

[95] A tal proposito si vedano le considerazioni contenute nel lavoro di un gruppo di economisti nominati dalla Commissione per lo studio della risistemazione dell’applicazione dell’art. 102 TFUE, Economic Advisory Group on Competition Policy, Report by the EAGCP. An economic approach to Article 82, si veda la sentenza Corte di Giustizia UE 6 ottobre 2015, causa C-23/14, Post Danmark A/S c. Konkurrencerådet: per valutare la sussistenza dell’abuso come quello nel caso di specie, la Corte ha sottolineato la necessità, in primo luogo, di “valutare tutte le circostanze, in particolare i criteri e le modalità della concessione degli sconti”; di considerare le caratteristiche del mercato e “la portata della posizione dominante” rivestita su di esso.

Nell’ambito di tali valutazioni, la Corte ha ritenuto dotate di rilievo le circostanze che gli sconti praticati fossero retroattivi e che il periodo di riferimento fosse “relativamente lungo” (pari ad un anno) accennando ad un “effetto di aspirazione” da parte della Post Danmark, della quota di domanda soggetta a concorrenza, e quindi contendibile, nel mercato di riferimento. la Corte ha sottolineato in generale come “il possesso di una quota di mercato estremamente elevata” ponga l’incumbentin una situazione di forza che lo rende controparte ineludibile. Nel caso di specie, la quota detenuta dalla Post Danmark (pari al 95% del mercato), le caratteristiche del mercato stesso, i vantaggi strutturali goduti dall’impresa e la sua copertura geografica estesa a tutto il territorio nazionale, sono circostanze tali da far ritenere che si produca un effetto di preclusione concorrenziale. Il fatto che il sistema di sconti sia applicabile alla maggior parte della clientela sul mercato “può costituire un’indicazione utile della rilevanza di tale pratica e del suo impatto sul mercato”.

 

Lo Conte Roberta

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