SOMMARIO: 1.Premessa – 2.Fattispecie – 3.La soluzione dei giudici di legittimità – 4.Conclusioni.
1. Premessa
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza dell’11 settembre 2018, n. 22089, ha ripreso un importante principio, su cui vale la pena soffermarsi, in tema di accertamento bancario svolto sul conto corrente di terzi. Il coniuge, i genitori o i soci, spesso si trovano coinvolti in situazioni che riguardano il contribuente sottoposto ad accertamento, proprio per la stretta contiguità familiare o professionale che li lega. Quindi preme analizzare, partendo dalla sentenza in esame, quanto lo stretto legame tra i soggetti influisce sull’accertamento fiscale e in che modo il contribuente può difendersi.
2. Fattispecie
La Guardia di Finanza svolge, in relazione al periodo d’imposta 2008, un accertamento bancario nei confronti di un libero professionista. Al termine delle indagini redige l’apposito processo verbale di constatazione, dal quale risultano maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati. Le indagini finanziarie sono state rivolte dapprima al conto corrente del contribuente (di cui la moglie era contitolare) e successivamente al conto corrente dei genitori. Su quest’ultimo il contribuente disponeva di una delega ad operare.
Dall’attività accertativa sono risultate movimentazioni bancarie, presenti sul c/c dei genitori, riferibili all’attività professionale del contribuente ed, inoltre, è stata rinvenuta documentazione extra-contabile (49 schede clienti). In primo grado è stato accolto totalmente il ricorso del contribuente, annullando l’accertamento. In sede di appello, il Giudice del gravame ha accolto le doglianze dell’Agenzia delle Entrate limitatamente a quattro movimentazioni, espressamente riconosciute dal contribuente come afferenti l’attività professionale svolta (per soli € 1.500,00). Il Fisco, non contento della sentenza in CTR, ha proposto ricorso in Cassazione. La difesa erariale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.32 del D.P.R. n.600 del 1973, sostenendo che i Giudici d’appello avessero errato nell’escludere dai ricavi professionali del contribuente le somme movimentate ed accertate in p.v.c. sul conto corrente intestato ai genitori del medesimo. Inoltre, la doglianza riguardava l’omissione commessa dagli stessi Giudici in sede d’esame dei dati extracontabili rilevati dalle indagini fiscali. La Suprema Corte accoglie, in definitiva, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando con rinvio la sentenza della CTR, alla stregua delle argomentazioni di seguito esposte.
3. La soluzione dei giudici di legittimità
È d’uopo evidenziare le conclusioni degli Ermellini sul caso concreto per enucleare il principio cardine, utile a questa trattazione.
Si premette che l’attività accertativa è disciplinata dall’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. 1973/600 e, ai fini IVA, dall’art. 51, comma 2, n. 2, del D.P.R. 1972/633. Tali disposizioni prevedono che gli importi riscossi nell’ambito di rapporti finanziari sono posti alla voce ricavi o compensi, qualora i contribuenti non ne indichino il beneficiario e/o in ogni caso non risultino dalle scritture contabili.
Si evince una presunzione legale (juris tantum) a favore dell’Ufficio. La Corte ha affermato che, al fine di superare tale presunzione, è necessario fornire la prova analitica, e non generica, della riferibilità o dell’estraneità di ogni singola movimentazione rilevata. Così facendo si opera un’inversione dell’onere probatorio nei confronti del contribuente. Tale principio si applica in presenza di elementi sintomatici come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra il professionista e i terzi (moglie, figli, genitori, soci). Questo legame aumenta la probabilità di imputazione al contribuente delle movimentazioni rinvenute su detti conti e la loro riferibilità all’attività professionale da questo svolta (cfr. Cass.civ.Sez.VI-5 Ord.,01-08-2018, n. 20408).
Inoltre, la sentenza in commento ha affermato che, qualora l’accertamento dell’ufficio finanziario ricadesse su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art.32 D.P.R. 1973/600 e art.51 D.P.R 1972/633 (in materia di Iva), attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti. Dopo tale fase si determina l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve fornire prova contraria a ciò che è stato rilevato dalle indagini, dimostrando che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e/o la loro estraneità a fatti imponibili (CTR Lazio -Sez. XVI- sent.29/05/18). Per tale ragione, l’Amministrazione finanziaria è esonerata da ulteriore prova, essendo sufficiente che essa abbia verificato l’esistenza di movimentazioni finanziarie delle quali il contribuente, per colpa o dolo, non aveva considerato nella determinazione del reddito imponibile. In aggiunta, una recente giurisprudenza di legittimità conferma la necessità che l‘Agenzia delle Entrate provi che i conti intestati a soggetti terzi siano comunque utilizzati, anche in parte, per operazioni di attività professionale dal contribuente; e, nel caso in cui essa non rilevasse elementi atti a confermare la riferibilità di predette movimentazioni all’attività professionale, queste non possono essere imputate al soggetto accertato (Cass.civ.Sez.V, Ord.13-04-18, n.9212).
Gli Ermellini, partendo dalla sentenza impugnata, confermano l’esistenza in essa di un’immotivata esclusione di riferibilità a ricavi conseguiti dal contribuente, nell’esercizio della propria attività professionale, delle somme rinvenute sul conto corrente intestato ai genitori. Di contro, si aggiunge che egli godesse di una delega ad operare e che palesemente avesse utilizzato codesto conto per attività professionali, per il fatto che lo stesso contribuente avesse indicato alcune operazioni come afferenti la propria attività professionale. Preme specificare una peculiarità, ovverosia che, con riferimento alla presunzione legale posta dall’art.32 sopra citato, rientrano nel reddito imponibile tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, considerando qualsiasi accredito come ricavi. Un fatto alquanto gravoso per il < soggetto accertato> che, in caso di mancata confutazione, si troverà un reddito imponibile maggiorato per presunzione, rispetto a quello dichiarato. Infine, la Corte precisa che il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente per ogni singola movimentazione accertata, lungi da qualsiasi valutazione irragionevole.
4. Conclusioni
Si comprende che i due principi enucleati dai Giudici della Suprema Corte, ed esposti in commento, sono i seguenti: “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta dall’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973, a carico del contribuente, in virtù della quale i prelevamenti e i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero della estraneità delle stesse alla sua attività. Lo stretto rapporto familiare, in particolare, è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica del soggetto sottoposto a verifica.”
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