INDICE:
2. I motivi addotti nel ricorso in Cassazione.
3. Le osservazioni esposte dalla Corte di Cassazione.
Il fatto
La Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino (giudizio abbreviato) con la quale F.L. era stato condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione per il reato di adescamento di minorenni previsto dall’art. 609 undecies c.p.
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I motivi addotti nel ricorso in Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso in Cassazione adducendo le seguenti violazioni:
1) violazione di legge per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sull’accertamento della responsabilità dell’imputato.
2) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sull’applicazione della recidiva.
3) violazione di legge per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul trattamento sanzionatorio.
In particolare, quanto al primo profilo, il quale si dimostra essere il più problematico, secondo il ricorrente, non vi sarebbe stato un adeguato accertamento dell’elemento soggettivo del reato dato dal dolo specifico il quale risulta integrato dal porre in essere la condotta illecita “allo scopo di commettere il reato di cui agli articoli 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater c.p., anche se relativi al materiale pornografico di cui agli artt. 600 quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies”.
L’accertamento del dolo specifico sarebbe stato effettuato nei precedenti gradi basandosi soltanto sulle conversazioni intercorse tra l’imputato e la persona offesa e sulle dichiarazioni della madre della minore. Inoltre, i contatti tra il ricorrente e la persona offesa sarebbero intercorsi in un arco di tempo eccessivamente limitato (pochi giorni) nel quale ci sarebbe stata un’unica richiesta di foto nude della minore.
Tali elementi non sarebbero sufficienti a dimostrare la finalità richiesta ai fini dell’integrazione del dolo specifico, ma potrebbero integrare soltanto il reato di detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c.p.).
Il secondo motivo attiene all’applicazione della recidiva: i precedenti penali presi in considerazione dal giudice di merito ai fini dell’applicazione della recidiva sarebbero risalenti nel tempo e riguarderebbero condotte criminose diverse (furto e falso). Inoltre, secondo il ricorrente, l’accertamento della recidiva non dovrebbe essere interessato dall’elemento oggettivo del reato in esame (la minore età della ragazza) come invece è avvenuto nella pronuncia impugnata.
Infine, il terzo motivo addotto riguarda la pena irrogata la quale risulta essere superiore al minimo edittale, ma, secondo il ricorrente, non vi è stata un’adeguata motivazione circa i criteri applicati per quantificare la pena. La Corte di Appello ha fatto riferimento soltanto alla gravità del fatto, e non avrebbe, quindi, considerato tutti gli altri elementi, come l’intensità del dolo, i motivi a delinquere, la condotta del reo, il suo carattere e le sue condizioni personali e sociali.
Le osservazioni esposte dalla Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato per le seguenti ragioni.
Nel ricorso sarebbero stati addotti motivi generici e ripetitivi già presentati in sede di appello, senza formulare critiche specifiche di legittimità sulle motivazioni della sentenza impugnata.
Inoltre, il ricorso, così come formulato, richiederebbe una rivalutazione del fatto, la quale non è certamente consentita in sede di legittimità. Il giudice di legittimità non può riesaminare gli elementi di fatto posti alla base della sentenza impugnata pervenendo così ad una nuova ed autonoma valutazione e ricostruzione della vicenda fattuale.
Quanto al profilo attinente all’accertamento dell’elemento soggettivo, la Corte di Cassazione ha sottolineato che il dolo specifico richiesto ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 609 undecies c.p. consiste nell’intenzione di commettere il reato di “Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù” (art. 600 c.p.) o di “Prostituzione minorile” (art. 600 bis c.p.) o di “Pornografia minorile” (art. 600 ter c.p.) o di “Detenzione di materiale pornografico” (art. 600 quater c.p.). Tale ulteriore scopo perseguito dal soggetto agente non deve essere necessariamente desumibile in modo chiaro ed evidente dalla condotta attuata nei confronti del minore, ma la relativa prova potrà essere ricavata anche aliunde. Qualora vi fossero già invece atti idonei e diretti in maniera non equivoca a commettere il reato fine contro il minore non sarebbe certamente configurabile il reato di adescamento di minorenni ma, piuttosto, la forma tentata del reato fine.
Il legislatore ha costruito la norma incriminatrice di cui all’art. 609 undecies c.p. come un delitto di c.d. pericolo indiretto: ciò che viene sanzionato è una condotta che non si traduce in un vero e proprio abuso sessuale del minore ma si arresta ad un momento anteriore, meramente “preparatorio” il quale, però, potrebbe essere prodromico all’azione illecita prima menzionata. Si noti che il legislatore di regola[1] non conferisce rilevanza penale ai meri “atti preparatori” ma in questo caso prevale sicuramente la tutela del soggetto minore, la cui libertà individuale potrebbe essere indebitamente lesa dall’azione illecita in esame e il cui sviluppo psico-sessuale potrebbe essere definitivamente compromesso. Tale pericolo giustifica e legittima senz’altro un intervento repressivo anticipato.
Alla luce delle suddette osservazioni, in aderenza anche a quanto stabilito dalla Convenzione di Lanzarote[2], si è voluto anticipare la soglia di punibilità già al momento del c.d. child grooming: si fa riferimento a quel fenomeno atto a carpire la fiducia del minore al fine di perseguire uno scopo penalmente illecito dato solitamente da una forma di abuso sessuale nei confronti dello stesso minore. Ciò che rileva ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 609 undecies c.p. è già solo la fase iniziale della c.d. “Friendship Forming Stage”, costituita dalla mera costruzione del rapporto fiduciario con il soggetto minore, attuata e perfezionata attraverso lusinghe, artifici, minacce o violenze. Dunque, si tratta di una condotta dal carattere camaleontico, la quale presenta contorni di apparente liceità non destando (almeno inizialmente e superficialmente) particolare allarmismo o preoccupazione fino a quando non raggiunga lo scopo illecitamente perseguito.
Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione ha rigettato anche il secondo motivo addotto dal ricorrente riguardante il profilo della recidiva: secondo i giudici ermellini nella sentenza impugnata vi sarebbe un’adeguata e completa motivazione sul suddetto profilo.
Anche il terzo ed ultimo motivo riguardante il trattamento sanzionatorio applicato al condannato è stato dichiarato inammissibile in quanto generico e infondato. Sul punto la Corte di Cassazione ha argomentato che la determinazione della pena in misura poco inferiore al minimo edittale è stata adeguatamente motivata dalla Corte di Appello nella sentenza impugnata, nella quale sono state prese in considerazione, ai fini del quantum di pena da irrogare, le condanne precedenti annoverate dall’imputato e la presenza di un procedimento in corso, nonché la gravità della condotta attuata e le conseguenze psicologiche sofferte dalla persona offesa. Mentre le condizioni sociali del soggetto hanno rilevato ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla recidiva. A sostegno di ciò è stato richiamato il consolidato orientamento condiviso dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale “in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena” (Cass. pen., sez. III, n. 38251/2016; Cass. pen., sez. IV, n. 46412/2015; Cass. pen., sez. II, n. 28852/2013).
Conclusioni
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul delitto di adescamento di minorenni previsto dall’art. 609 undecies c.p. Tale disposizione è stata introdotta dalla Legge n. 172/2012 (“Legge di Ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale”), al fine di uniformarsi alla Convenzione di Lanzarote (art. 23) nella quale è stato sancito l’obbligo di ciascuno Stato aderente di inserire nel proprio ordinamento una fattispecie per contrastare l’allarmante fenomeno del c.d. child grooming.
La sentenza esaminata si rivela molto interessante in quanto ha analizzato in chiave innovativa una fattispecie penale che potrebbe suscitare delle problematicità in ragione delle modalità con le quali è stata costruita dal legislatore: si tratta di un reato di c.d. pericolo indiretto con il quale si sanzionano atti meramente “preparatori” che potrebbero sfociare nelle condotte penalmente rilevanti punite ai sensi degli artt. 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater c.p. Si assiste, dunque, ad un’anticipazione della soglia della punibilità in vista della tutela di un interesse giuridico di rango particolarmente elevato dato dalla tutela del minore e, in particolare, della sua libertà di autodeterminazione e del suo corretto e sano sviluppo psico-fisico.
Le criticità che potrebbero derivare da tale fattispecie attengono alla compatibilità di quest’ultima con i principi costituzionali vigenti in materia penale, e in particolare con il principio di offensività. Sul punto la Corte di Cassazione (n. 32170/2018) ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 609 undecies c.p. per violazione del principio di offensività, sostenendo che il delitto di adescamento di minorenni non si pone in contrasto con il suddetto principio, in quanto, trattandosi di un reato di pericolo concreto, “non richiede necessariamente il nocumento effettivo del bene giuridico protetto, essendo sufficiente la messa in pericolo dello stesso, che si concreta in una lesione potenziale all’interesse meritevole di tutela, minacciato e dunque esposto al rischio più grave di incorrere nell’evento finale di danno che l’ordinamento intende neutralizzare”.
Tale orientamento si pone perfettamente in linea con la pronuncia in esame, nella quale la Suprema Corte, analizzando l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 609 undecies c.p., ha sottolineato che la finalità di commettere uno dei reati di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater c.p. non deve essere necessariamente espressa, ma piuttosto potrà essere ricavata dalle circostanze del caso concreto.
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La sentenza in esame rappresenterà, quindi, un importante punto di riferimento per valutare la configurabilità del dolo specifico richiesto ai fini dell’integrazione del delitto di adescamento di minorenni.
Note
[1] Fanno eccezione a tale regola, ad esempio, il reato di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.) con il quale si punisce la mera offerta o promessa di denaro o altra utilità che si pone quindi come condotta anteriore (e soltanto eventualmente prodromica) all’instaurazione dell’accordo corruttivo, e il reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) che sanziona la condotta di tre o più soggetti che si associano allo scopo di commettere delitti.
[2] L’art. 23 della Convenzione di Lanzarote impone a tutti gli Stati aderenti di adoperarsi per inserire nel proprio sistema normativo una fattispecie incriminatrice con la quale sanzionare le condotte di adescamento di soggetti minori, attuate anche attraverso l’utilizzo degli strumenti informatici e telematici.
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