La Corte di Cassazione con una recente sentenza ha chiarito come, in mancanza di accertamento del nesso di causalità tra l’intervento posto in essere dal medico e l’evento lesivo è accertato, non sia legittima la condanna fondata su un giudizio espresso in termini probabilistici dai consulenti tecnici.
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Indice
1. I fatti
La pronuncia della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dall’imputato avverso la pronuncia della Corte di appello di Messina, la quale aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale aveva ritenuto lo stesso, nella qualità di ginecologo, colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p. in relazione all’art. 583 c.p., comma 1 per aver cagionato alla paziente la perforazione dell’utero e dell’intestino con conseguente insorgenza di un’ileite acuta virulenta gangrenosa che culminava con la resezione di 25 cm di ileo, condannandolo alla pena di mesi tre di reclusione nonché al risarcimento del danno.
Nello specifico, la paziente veniva sottoposta ad un intervento di revisione della cavità uterina per un aborto intervenuto alla quinta settimana. La stessa lamentava forti dolori e, a seguito dell’intervento, sono subentrate nuove successive complicazioni dovute all’insorgenza di linfedema degli arti inferiori ed infezione della ferita chirurgica oltre che per il persistere delle algie.
Il giudice di primo grado, sulla scorta della consulenza del PM e della parte civile e delle prove testimoniali assunte, ha affermato il nesso di causalità tra l’intervento di revisione della cavità uterina e la perforazione dell’utero e dell’intestino con conseguente insorgenza di un’ileite acuta gangrenosa conseguente alla omessa tempestiva diagnosi della lesione intestinale che culminava nella resezione di 25 cm di intestino.
Quanto all’elemento soggettivo, il Tribunale ha ritenuto che la condotta del medico fosse connotata da imperizia nell’esecuzione dell’intervento e da negligenza per aver omesso di porre in essere i dovuti esami in fase di esecuzione del medesimo previsti dalle linee guida e comunque dalle buone pratiche clinico-assistenziali.
Con il ricorso avverso la sentenza di appello che confermava la pronuncia del giudice di primo grado, l’imputato deduceva la violazione di legge rilevando che la struttura e l’articolazione della sentenza impugnata non appaiono conformi alla regola del giudizio “oltre ogni ragionevole dubbio” sotto il profilo della ritenuta sussistenza dell’indispensabile nesso causale tra la condotta tenuta dal medico e le lesioni occorse alla persona offesa; e la motivazione illogica e contraddittoria in relazione al meccanismo di determinazione della pena laddove il giudice di appello non ha inteso diminuire la pena irrogata in primo grado.
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2. Nesso di causalità e giudizio dei consulenti: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, osserva come il primo motivo colga nel segno per una serie di motivi.
Infatti, secondo consolidata giurisprudenza, in tema di responsabilità medica, “ai fini dell’accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento lesivo per il paziente, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario onde effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo per il paziente sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio (vedi tra le ultime Sez. 4, n. 37193 del 15.9.2022)“.
Chiarisce la Corte che, in tema di nesso di causalità, “il giudizio controfattuale – imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento o, in ipotesi di condotta commissiva, l’assenza della condotta commissiva vietata, avrebbe potuto evitare l’evento – richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è accaduto (cosiddetto giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta“.
Per effettuare tale giudizio, dunque, è necessario ricostruire con precisione la sequenza fattuale che ha condotto all’evento.
La Suprema Corte, poi, riprende dei principi di diritto delle Sezioni Unite che chiariscono ulteriormente come il nesso causale possa essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Arrivati a tal punto, la Corte sottolinea come non sia “consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì eslcuso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con alto grado di credibilità razionale“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno concludere sottolineando come la Corte territoriale non abbia fatto buon governo dei principi enunciati.
Riprendendo consolidata giurisprudenza, la Corte osserva come, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale debba essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
Nel pervenire a formulare il giudizio di responsabilità nei riguardi dell’odierno imputato, la sentenza impugnata si è fondata solo sulle conclusioni espresse dal consulente del PM, senza prendere come riferimento i principi relativi al nesso di causalità per procedere al relativo accertamento.
Ne consegue che la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio alla Corte di appello di Messina, altra sezione, per un nuovo giudizio.
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