Accertamento tecnico preventivo obbligatorio

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L’art. 38, c. 1, legge 15 luglio 2011, n. 111 recante disposizioni in materia di contenzioso previdenziale ed assistenziale, “AI fine di realizzare una maggiore economicità dell’azione amministrativa e favorire la piena operatività e trasparenza dei pagamenti nonchè deflazionare il contenzioso in materia previdenziale, di contenere la durata dei processi in materia previdenziale, nei termini di durata ragionevole dei processi”, introduce il nuovo art. 445 bis del codice di procedura civile, rubricato accertamento tecnico preventivo obbligatorio (ATP)

”L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio” prevede che, nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonchè di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinate dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti, presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell’articolo 442 cod. proc. civ., presso il tribunale nel cui circondario risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico della verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.

La parte che intende proporre la domanda giudiziale deve, dunque, presentare ricorso contenente “istanza di accertamento tecnico della verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere”.

L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda.

L’articolo 445-bis dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, ove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.

A seguito dell’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo, in caso di mancata contestazione delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (entro il termine perentorio non superiore a trenta giorni fissato con apposito decreto), il giudice, con decreto non impugnabile e non modificabile, omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese.

A seguito della notifica agli enti competenti, questi provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.

Condizioni per l’accesso allo strumento processuale di cui all’art 445 bis

Il Giudice potrà negare l’accesso allo strumento processuale di cui all’art. 445bis qualora (se del caso, dietro eccezione del resistente) si verifichino le seguenti condizioni:

-Improponibilità per mancata presentazione della domanda amministrativa;

-Improcedibilità per mancato esaurimento del procedimento amministrativo (per le sole prestazioni di invalidità

pensionabile);

Decadenza ex art. 47 DPR 639/70 (invalidità pensionabile) o ex art. 42 D.L. 269/03 (in materia di invalidità

civile);

-Esistenza di precedente giudicato;

-Litispendenza;

-Pagamento della prestazione già in corso;

-Prescrizione.

 Decadenza

Le prestazioni di invalidità civile e quelle di invalidità pensionabile ex l. 222/84 soggiacciono ad un regime decadenziale:

-per i procedimenti giurisdizionali concernenti l’invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, l’art. 42 D.L. 269/03, conv. con legge 326/03, abrogando le disposizioni in materia di ricorso amministrativo, ha previsto che la domanda giudiziale sia proposta, a pena di decadenza, avanti alla competente autorità giudiziaria entro e non oltre sei mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa;

– per le prestazioni ex l. 222/84 l’art. 47 D.P.R. 639/1970, 2° co., prevede che: “Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione”.

Accertamento tecnico preventivo: procedimento

Per approfondire leggi anche “L’accertamento tecnico preventivo” di Maria Teresa De Luca

La presentazione dell’istanza di accertamento tecnico preventivo costituisce una modalità di proposizione della domanda per il riconoscimento dei propri diritti previdenziali. Essa, infatti, interrompe la prescrizione, deve rivolgersi in ogni caso al tribunale competente per il merito e deve comunque contenere precisi riferimenti alla situazione sostanziale dedotta in giudizio essendo, altrimenti, incomprensibile prima che inammissibile .

L’ammissibilità dell’a.t.p. presuppone – come proiezione dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) – che l’accertamento medico legale, pur sempre richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale, risponda ad effettivo interesse del ricorrente, dovendo escludersi che esso possa essere totalmente avulso dalla sussistenza di qualsivoglia ulteriore presupposto richiesto dalla legge per il riconoscimento dei diritti corrispondenti allo stato di invalidità allegato dal ricorrente, con il rischio di un’eccessiva proliferazione del contenzioso sanitario.

Deve quindi affermarsi che l’ammissibilità dell’a.t.p.o. richiede che il giudice adito accerti sommariamente, nella verifica dei presupposti processuali, oltre alla propria competenza, anche la ricorrenza di una delle ipotesi per le quali è previsto il ricorso alla procedura prevista dall’art. 445 bis c.p.c., nonché la presentazione della domanda amministrativa, l’eventuale presentazione del ricorso amministrativo, la tempestività del ricorso giudiziario; ed inoltre il profilo dell’interesse ad agire dovrà, dal giudice, essere valutato nella prospettiva dell’utilità dell’accertamento medico richiesto al fine di ottenere il riconoscimento del diritto soggettivo sostanziale di cui l’istante si afferma titolare; utilità che potrebbe difettare ove manifestamente manchino, con una valutazione prima facie, altri presupposti della prestazione previdenziale o assistenziale in vista della quale il ricorrente domanda l’a.t.p.

Solo qualora tale verifica abbia dato esito positivo e sussistano, sulla base della prospettazione effettuata dal ricorrente, i requisiti per darsi ingresso all’accertamento tecnico, il giudice potrà proseguire nella procedura descritta dalla disposizione, dovendo altrimenti dichiarare il ricorso inammissibile, con pronuncia priva di incidenza con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale (come ritenuto da Cass. n. 5338 del 2014), che non preclude l‘ordinario giudizio di cognizione sul diritto vantato.

In assenza di contestazioni, viene poi emesso il decreto di omologa, che viene espressamente definito non impugnabile giacché il rimedio concesso a chi intenda precludere la ratifica delle conclusioni del CTU si colloca esclusivamente in un momento anteriore, ossia “prima” dell’omologa e nel termine fissato dal giudice per muovere contestazioni alla consulenza. In assenza di contestazioni, si chiude quindi definitivamente la fase dell’accertamento sanitario e le conclusioni del CTU sono ormai intangibili. Il che si spiega considerando che sarebbe evidentemente illogico attribuire un rimedio impugnatorio avverso l’omologa alla parte che, nel momento anteriore ad essa, quando le era consentito di farlo, non ha contestato la possibilità di ratificare le conclusioni del CTU su cui la medesima omologa si fonda. Coerentemente con tale premessa, deve ritenersi che la dichiarazione di dissenso che la parte deve formulare al fine di evitare l’emissione del decreto di omologa (ai sensi dei commi 4 e 5) può avere ad oggetto sia le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u., sia gli aspetti preliminari che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell’ulteriore corso, relativi ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione così come sopra delineati; in mancanza di contestazioni, l’accertamento sanitario ratificato con il decreto di omologa diviene definitivo e non è successivamente contestabile, ne’ il decreto ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost..

Se invece una delle parti contesti (non solo le conclusioni del c.t.u., ma complessivamente) la possibilità del giudice di ratificare l’accertamento medico, si apre un procedimento secondo il rito ordinario, con onere della parte dissenziente di proporre al giudice, in un termine perentorio, un ricorso in cui, a pena di inammissibilità, deve specificare i motivi della contestazione.”( Cass. n. 8932 del 2015).

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