Così è (se ti pare): l’accettazione del piano di ammortamento rende irrilevante la conoscenza di come esso sia ab initio “composto”. Brevissime considerazioni a prima lettura di Cass. S.U. 29 maggio 2024, n. 15130.
Per una disamina approfondita della sentenza rimandiamo agli articoli: Mutuo a tasso fisso e Ammortamento alla Francese: la sentenza delle Sezioni Unite e Ammortamento alla francese e invalidità del mutuo a tasso fisso: Sezioni Unite civili
Per approfondire abbiamo anche organizzato il corso di formazione online: Regimi di capitalizzazione nei contratti di mutuo e finanziamenti: argomentazioni difensive e accertamenti necessari dopo la sentenza delle Sezioni Unite 15130/2024
Indice
1. L’ordinanza del Tribunale di Salerno del 19 luglio 2023 e il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 29 maggio 2024, n. 15130 [1], ha deciso in merito al quesito che era stato posto, con rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c, dal Tribunale di Salerno con l’ordinanza del 19 luglio 2023 [2]: “Dica la Corte di Cassazione se la mancata indicazione della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” e/o del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi passivi all’interno di un contratto di mutuo bancario stipulato nella vigenza del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, anche per il caso in cui la modalità di ammortamento c.d. “alla francese” ed il regime di capitalizzazione “composto” siano desumibili dal cliente facendo ricorso al complesso delle condizioni contrattuali ed economiche pattuite (comprese quelle contenute nel piano di ammortamento allegato al contratto), integri oppure no un’ipotesi di nullità parziale del contratto di mutuo bancario ai sensi dell’articolo 117, comma 4, del D.Lgs. n. 385/1993, con le conseguenze di cui al comma 7 della succitata disposizione”. Il Primo Presidente della Cassazione, con decreto del 6 settembre 2023 [3] aveva conseguentemente assegnato alle Sezioni Unite la decisione, oltre che sulla questione oggetto del quesito posto dal Tribunale di Salerno, anche in merito all’ammissibilità del rinvio pregiudiziale.
Si tratta, come è noto, di un nuovo istituto, introdotto nel codice di procedura civile, all’art. 363 bis, dal d.l.gs. 10 ottobre 2022 n. 149 (cosiddetta “Riforma Cartabia”) con il quale il Giudice di merito “sentite le parti” può disporre il rinvio degli atti alla Suprema Corte per la risoluzione di una questione “esclusivamente di diritto” [4] al ricorrere delle condizioni indicate dalla medesima norma e, precisamente, quando: “1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di Cassazione”; “2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative”; “3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi”.
Nel caso di specie, come rilevato dalla Procura Generale e dalla difesa della banca (che era convenuta nel giudizio di merito da parte di una mutuataria), il Giudice rimettente aveva omesso di sentire le parti con ritenuta violazione del diritto al contraddittorio (anche sulla sussistenza delle condizioni prescritte dalla norma ai fini dell’ammissibilità dell’ordinanza di rinvio) e, dunque, delle norme di cui agli articoli 101 c.p.c. e 111 Cost.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza del 29 maggio 2024, n. 15130, non condividendo quanto rilevato dalla Procura Generale [5], ha dichiarato ammissibile l’ordinanza di rinvio affermando che, nel caso di specie, non vi sarebbe stata una violazione del contraddittorio trattandosi, oltretutto, di una questione di diritto che il Giudice avrebbe potuto rilevare anche d’ufficio e che, in ogni caso, esso sarebbe assicurato dalla possibilità, comunque, garantita alle parti “ex post” di interloquire sulla questione [6]. Pur non volendo entrare nel merito dell’ammissibilità o meno dell’ordinanza di rinvio, sia consentito allo scrivente di manifestare la propria condivisione di quanto, sul punto, era stato espresso dalla Procura Generale. Sia permesso, oltretutto, di aggiungere che se è vero che il contraddittorio sarebbe stato garantito -sia pure con le difficoltà connesse alla necessità di contemperare l’esigenza di sintesi (prescritta dall’art. 378 c.p.c.) con la complessità della questione- mediante la facoltà del deposito delle memorie e della discussione in pubblica udienza, l’esigenza di certezza del diritto determinerebbe la necessità del rispetto dell’interpretazione letterale, oltre che sistematica, della norma. Sarebbe arduo comprendere la ragione per la quale il Legislatore avrebbe scelto di precisare, nella norma di recente introduzione, che, prima dell’emissione dell’ordinanza di rinvio, debbano essere “sentite le parti” [7] se, poi, invece, tale adempimento possa ritenersi differibile dinanzi alla Corte quando, però, il giudizio di merito è, ormai, stato già sospeso con l’ordinanza di rinvio. Vero è che, allora, il preventivo contraddittorio dinanzi al Giudice di merito potrebbe sempre essere omesso e si potrebbe pensare che il Legislatore abbia contribuito (a dire il vero, forse, non per la prima volta) a “provocare” e a “confondere” quello stesso cittadino, quelle stesse parti, quegli stessi difensori a cui richiede la collaborazione per la celerità e deflazione dei giudizi introducendo una locuzione (“sentite le parti”) per ragioni che, tuttavia, resterebbero “ignote”. La presente nota ha anche il fine di anticipare le tematiche che saranno più approfonditamente trattate nel corso del webinar del 2 Luglio 2024).
2. Il principio di diritto è vincolante in ogni causa o soltanto nel giudizio a quo?
L’istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione ex art. 363 bis c.p.c., -ispirato alla saisine pour avis vigente nell’ordinamento francese- [8] è stato introdotto [9] nel nostro ordinamento con la riforma di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 con l’obiettivo di “permettere che la Cassazione affermi celermente, prevenendo un probabile contenzioso su una normativa nuova o sulla quale non si è ancora pronunziata la giurisprudenza di legittimità, una regola ermeneutica chiara, capace di fornire indirizzi per il futuro ai tribunali di merito” [10]. La norma prevede, al terzo comma, che il Primo Presidente, ricevuta l’ordinanza, se non dichiara l’inammissibilità della questione per mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma [11], la assegna alle Sezioni Unite o alla sezione semplice per l’enunciazione del principio di diritto. L’ultimo comma della medesima disposizione prevede, poi, che “Il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti” [12]. Tale norma solleva, a modesto parere di chi scrive, un primo interrogativo sugli effetti vincolanti o meno della pronuncia nei confronti di Giudici diversi da quello che ha disposto il rinvio o dinanzi al quale è proposta la medesima domanda tra le stesse parti. Sebbene dal tenore letterale della disposizione risulti chiaro che la sentenza sia vincolante soltanto nei confronti delle parti (pur essendo evidente, come si desume dalla relazione alla riforma del codice di rito, il fine di fornire una interpretazione da parte del Giudice della nomofilachia), qualche interrogativo potrebbe sorgere dall’esame di altre norme laddove la decisione sul rinvio pregiudiziale sia emessa dalle Sezioni Unite. La norma di cui all’art. 374, terzo comma, c.p.c. già prevede -sia pur relativamente al diverso caso del ricorso in Cassazione- che “Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”. L’art. 360 bis prevede, poi, tra i casi di inammissibilità del ricorso l’ipotesi in cui “il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa” per cui potrebbe ipotizzarsi il timore, da parte del Giudice del merito, che una propria decisione difforme da quanto affermato dalle Sezioni Unite possa essere annullata. Vero è che, tuttavia, il Giudice può sempre discostarsi da quanto riconosciuto anche dalle Sezioni Unite laddove fondi la propria decisione su argomentazioni nuove e, dunque, differenti da quelle precedentemente esaminate e, probabilmente, la norma di cui all’art. 363 bis, ultimo comma, c.p.c. non avrebbe ragion d’essere se non si fosse voluto limitare l’efficacia vincolante della pronuncia al solo procedimento nell’ambito del quale è stato disposto il rinvio o, in caso di estinzione, all’eventuale nuovo processo in cui dovesse riproporsi la medesima domanda tra le stesse parti. Per quel che rileva nel caso di specie, quand’anche si volesse ricordare che la ratio e il fine dell’istituto del rinvio pregiudiziale -come si desume sia dalla norma che dalla relazione sopra menzionata- è quello di fornire “una regola ermeneutica chiara, capace di fornire indirizzi per il futuro ai tribunali di merito”, la pronuncia dovrebbe presupporre una chiarezza ed esaustività che, a sommesso avviso di chi scrive e ad una prima lettura, non sembra risultino nella recente decisione delle Sezioni Unite.
3. Il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 15130/2024: il piano di ammortamento
Il contrasto effettivamente registratosi, nella giurisprudenza di merito, relativamente alle conseguenze della mancata indicazione, nei contratti di finanziamento con piano di ammortamento a rata costante, del regime finanziario -e, in particolare, se tale omissione possa determinare la nullità della clausola determinativa degli interessi (per indeterminatezza ed indeterminabilità) o la violazione della norma di cui all’art. 117, quarto comma, d.lgs. 385/1993 con la conseguente rideterminazione del piano applicandosi il tasso sostitutivo previsto dal settimo comma della medesima norma- ha generato, soprattutto in seguito al rinvio pregiudiziale disposto dal tribunale campano, una comprensibile attesa e speranza di un intervento chiarificatore da parte della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. [13]
La Suprema Corte, nella più autorevole composizione, con la sentenza del 29 maggio 2024, n. 15130 ha affermato il seguente principio di diritto: “in tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento «alla francese» di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione «composto» degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti”.
Una prima lettura della sentenza, come mi limiterò ad accennare appresso e sarà approfondito durante il webinar del 2 luglio 2024 insieme al Prof. Annibali e al dott. Olivieri, suscita non poche perplessità lasciando l’impressione che, pur con il massimo ossequio verso la Suprema Corte, la motivazione della pronuncia e il principio affermato possano non solo prestarsi ad alcune critiche od osservazioni tali da potere determinare anche un discostamento per ragioni differenti e non esaminate dalla Corte ma possano anche non avere soddisfatto quel fine insito nella condizione di cui al n. 3 dell’art. 363 bis c.p.c., ossia, di fornire un chiarimento esaustivo su una questione “suscettibile di porsi in numerosi giudizi”.
La decisione, come espressamente affermato nella parte motivazionale della pronuncia, non riguarda i mutui a tasso variabile e/o i mutui (anche a tasso fisso) che siano privi di piano di ammortamento [14] ;si deduce, poi, che non dovrebbe riguardare nemmeno i mutui con piano di ammortamento diversi da quello “alla francese” laddove non sia comprensibile il concreto piano o regime finanziario in cui è formato.
Ciò che balza all’evidenza, anche al fine di riflettere attentamente sulla reale portata del principio affermato, è il riconoscimento che dalla memoria difensiva della mutuataria emergeva una impostazione diversa rispetto a quella prospettata nell’ordinanza di rinvio e, in particolare, l’argomentazione secondo cui sarebbe pur possibile un piano di ammortamento alla francese con capitalizzazione semplice. La Corte non ha smentito tale possibilità né si è espressa sulle conseguenze in termini di validità del contratto limitandosi a rilevare che ciò costituirebbe una “questione fattuale implicante l’accertamento -che non compete a questa Corte- della tipologia di capitalizzazione applicata in concreto nel contratto di mutuo stipulato tra le parti”. Deve considerarsi, pertanto, che la Corte si è espressamente pronunciata sulle questioni poste dal Tribunale con riferimento ai “piani di ammortamento <<alla francese>> standardizzati tradizionali” [15] e, sia pure -ad avviso di chi scrive- con una non corretta interpretazione della rilevanza della questione del regime composto, talvolta confusa con il diverso fenomeno dell’applicazione degli interessi su interessi, ha attribuito particolare rilevanza agli accertamenti di fatto che devono essere compiuti caso per caso [16].
Ma non è (soltanto) questo il punto che si intende evidenziare (sebbene la presente nota abbia solo il limitato fine di anticipare le tematiche che saranno più approfonditamente trattate nel corso del webinar del 2 Luglio 2024).
La Corte ha escluso che la mancata esplicitazione, nel contratto, del maggior costo derivante dal sistema “composto” di capitalizzazione degli interessi possa determinare una questione di determinatezza o indeterminatezza dell’oggetto del contratto e ritiene che il maggior costo dipenderebbe dalla circostanza che, nei piani di ammortamento “alla francese” “standardizzati”, la restituzione del capitale sarebbe ritardata “per la necessità di assicurare la rata costante (calmierata nei primi anni) in equilibrio finanziario, il che comporta la debenza di più interessi corrispettivi da parte del mutuatario a favore del mutuante per il differimento del termine per la restituzione dell’equivalente del capitale ricevuto”.
Sembra, poi, che, per rispondere al quesito se la mancata indicazione del regime di capitalizzazione composta determini una violazione della trasparenza e un prezzo ulteriore “che rende il tasso di interesse effettivo maggiore di quello nominale (TAN) e del TAEG dichiarati nel contratto, di cui il cliente dovrebbe essere informato (…)” l’attenzione sia stata eccessivamente concentrata sulla differenza di costi per la parte mutuataria tra il piano di ammortamento “alla francese” e quello “all’italiana” piuttosto che, come sarebbe stato necessario, sul differente costo determinato da un piano in regime di capitalizzazione composta rispetto ad un piano in capitalizzazione semplice. Nel piano di ammortamento “alla francese” standardizzato, in sostanza, la maggiore onerosità non dipenderebbe -secondo quanto affermato dalla Corte- dal regime finanziario in capitalizzazione composta, bensì, dalla scelta (?) da parte dell’utente di un piano che prevede, all’inizio, il pagamento di una quota capitale di importo più basso e, quindi, l’addebito di una quota di interessi sul capitale residuo che, di conseguenza, è di importo superiore [17].
Tale affermazione, ad avviso di chi scrive, renderebbe, tuttavia, necessario -anche al fine di comprendere quali possano essere gli accertamenti di fatto che dovrebbero essere sempre effettuati o che, comunque, il difensore e il consulente dovrebbero chiedere che il Giudice disponga- una preliminare conoscenza o maggiore attenzione non solo degli effetti dei diversi regimi (in capitalizzazione composta e in capitalizzazione semplice), ma, ancor prima, forse, dei concetti di equivalenza finanziaria e convertibilità, così come, del tasso nominale, del tasso periodale e del tasso effettivo.
In ogni caso, la conoscenza e sottoscrizione, da parte del mutuatario, di un piano di ammortamento che, costituendo documento negoziale, deve considerarsi conosciuto ed accettato dal cliente, escluderebbe -è stato riconosciuto dalla Corte- l’ipotesi di nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità così come la violazione della trasparenza di cui all’art. 117, quarto comma, d.lgs. 385/1993.
Non sono pochi, infine, i punti della pronuncia in cui le Sezioni Unite hanno precisato i limiti del thema decidendum entro il quale erano chiamate a decidere ed evidenziato le questioni di cui non erano, invece, investite.
Uno dei più noti matematici che, in materia, ha pubblicato i propri studi in merito ai regimi finanziari ha, più volte, chiarito cosa sia, in matematica, una congettura e cosa sia un teorema [18]: “Una congettura è un’affermazione (neutra oppure logica) di cui non risulta dimostrata la sua veridicità, né il suo contrario”; “un teorema è una congettura dimostrata”; “una congettura soggiace a un teorema ad essa contrapposto”.
L’affermazione contenuta in alcune pronunce giurisprudenziali richiamate anche dalle Sezioni Unite secondo cui nei piani di ammortamento a rata costante “alla francese” l’anatocismo sarebbe escluso dal fatto che la quota di interessi dovuta per ciascuna rata sarebbe “calcolata applicando il tasso convenuto solo sul capitale residuo”, come autorevolmente osservato [19], sarebbe una congettura: può essere dimostrato, infatti, che la quota interessi è calcolata su un capitale residuo che è la conseguenza della modalità di determinazione della prima rata la quale, si ricorda ancora una volta, nel piano di ammortamento a rata costante “standardizzato” è determinata con l’utilizzo di una formula in capitalizzazione composta in cui, nella rata che ne risulta, gli interessi non sono funzione proporzionale del tempo di utilizzo del capitale, bensì, geometrica (con, all’esponente, nella formula di calcolo, la variabile “tempo”).
La giurisprudenza e la matematica sono, certamente, discipline differenti: la prima è applicazione di norme di diritto e “interpretazione”, la seconda richiede, invece, certezza e dimostrazioni.
Una norma giuridica può essere interpretata in modo contrastante con la logica e la matematica?
Le Sezioni Unite, si ripete, non negano che il piano di ammortamento a rate costanti “alla francese” in capitalizzazione composta possa essere redatto in capitalizzazione semplice (con conseguente minore onerosità per il mutuatario): si limitano a constatare che ciò è stato affermato nella memoria difensiva dell’utente ma implica una questione fattuale e un accertamento “sulla tipologia di capitalizzazione applicata in concreto nel contratto di mutuo stipulato tra le parti” [20]. Relativamente al piano di ammortamento “alla francese” standardizzato [21], a tasso fisso, la Suprema Corte giunge, però, ad una conclusione: laddove sia stato allegato un piano di ammortamento dal quale risulti l’importo del capitale erogato, della rata, la composizione di quest’ultima nella sua quota capitale e interessi, la durata del prestito, l’indicazione del tasso di interesse nominale, la parte mutuataria sarebbe in grado di conoscere il costo dell’operazione; una volta che esso sia stato, quindi, accettato e sottoscritto, la mancata indicazione del regime finanziario in capitalizzazione composta non costituirebbe un vizio di nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità dal momento che il tasso di interesse è determinato e nemmeno potrebbe ritenersi configurata una violazione dell’obbligo di trasparenza ex art. 117, quarto comma, d.lgs. 385/1993.
La parte mutuataria -secondo quanto affermato nella pronuncia- è in grado di conoscere il costo dell’operazione e quanto desumibile dal piano di ammortamento. Così è. Prendere o lasciare. Se il cliente lo accetta, sarebbe irrilevante, dunque, che questi effettivamente sappia o meno come quel piano sia “composto” ab origine, quale sia il regime finanziario sottostante e, soprattutto, che quello che ha sottoscritto comporta un costo superiore rispetto ad un piano in capitalizzazione semplice.
Pur comprendendosi che la sentenza è stata emessa nell’ambito di un rinvio pregiudiziale e, quindi, con il thema decidendum delimitato dalla questione oggetto del quesito, sarebbe utile, forse, una maggiore riflessione e una verifica su quale sia, in concreto, la prassi che precede la stipula di un mutuo: il cliente è sempre in grado di ricevere, di conoscere e di potere esaminare il piano di ammortamento prima della stipula del mutuo (visto che, non di rado, viene sottoposto al mutuatario quando, ormai, è dinanzi al Notaio)? E’ sempre in condizione di pretenderne la visione molto tempo prima senza temere ritorsioni quale un eventuale rifiuto da parte della banca di procedere con la stipula? E ancora: quante sarebbero le banche che, in alternativa, concederebbero quello stesso mutuo o leasing, a quel determinato tasso, ma in regime di capitalizzazione semplice? Qual è, di fatto, il mercato? C’è un’effettiva concorrenza sui prodotti bancari in Italia? Sarebbe possibile la verifica di un’effettiva offerta, sul mercato bancario, di mutui, finanziamenti o leasing con piani di ammortamento, a rate costanti, con regime di capitalizzazione semplice allo stesso tasso nominale (ma, per quanto si è detto, tasso effettivo e, dunque, costo complessivo differente) di quelli offerti in regime di capitalizzazione composta?
Viene da chiedersi, poi: qualora il cliente sia un “consumatore”, non si applicherebbe quell’esigenza di protezione della parte più debole che costituisce, spesso, il preambolo, il “considerando”, la ratio della pressoché intera normativa consumeristica dell’Unione Europea oltre che della giurisprudenza della Corte di Giustizia che, peraltro, in vari settori, impone la più completa informativa precontrattuale?
Ed ancora: laddove il cliente sia un consumatore e in un giudizio di merito venisse accertato che -a parità di capitale erogato, di tasso di interesse nominale indicato, di durata del prestito e di numero di rate- il costo complessivo dell’operazione risultante da un determinato piano di ammortamento in capitalizzazione composta sia effettivamente superiore ad un diverso piano redatto, a parità di condizioni, in regime di capitalizzazione semplice, potrebbe la clausola determinativa degli interessi considerarsi ugualmente chiara, non vessatoria ed esente da qualsivoglia vizio?
Sia consentito invitare ad un’ulteriore riflessione: qualora sia accertata una differenza significativa di costi nei due diversi regimi, il cliente potrebbe invocare un vizio del consenso e, dunque, domandare, ex artt. 1427 e segg. cod. civ. l’annullamento del contratto? Qualora ricorressero i presupposti (l’errore -che non potrebbe consistere in un mero errore di calcolo- deve essere, peraltro, essenziale e riconoscibile), l’azione di annullamento potrebbe essere proposta nei cinque anni dalla scoperta incolpevole del vizio o dalla stipula del contratto. Vero è che, però, l’annullamento potrebbe essere opposto, in via di eccezione, anche oltre il suddetto termine dalla parte convenuta per l’adempimento.
Quel che pare certo dalla lettura della sentenza -anche in considerazione dei vari richiami delle Sezioni Unite al giudizio di merito- è la rilevanza della fase istruttoria e, dunque, gli accertamenti contabili che devono essere domandati ed effettuati dinanzi al Tribunale.
Il difensore, con l’ausilio di un consulente o di una consulenza tecnica, dovrà sollecitare al Giudice gli accertamenti utili e indispensabili alla verifica della fondatezza della domanda.
Sono queste le tematiche che saranno oggetto del webinar previsto il 2 luglio 2024 che sarà introdotto e moderato dall’avv. Monica Mandico e nel quale interverranno, oltre che il sottoscritto, i matematici prof. Antonio Annibali e Francesco Olivieri che cercheranno di fornire ai partecipanti suggerimenti principalmente sulle verifiche contabili, sulle domande e sulle argomentazioni difensive che, tenuto conto della recente sentenza, possono rivelarsi indispensabili nei giudizi di merito.
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Note
[1] Cass. Sezioni Unite civili, sent. 29 maggio 2024, n. 15130, banca dati Diritto e contenzioso bancario, nonché pubblicata sulle principali riviste giuridiche anche telematiche.
[2] Trib. Salerno, ord. 19 luglio 2023, pubblicata in varie riviste giuridiche anche telematiche tra cui Diritto del Risparmio al seguente indirizzo https://www.dirittodelrisparmio.it/wp-content/uploads/2023/07/Trib.-Salerno-Sez.-I-19-luglio-2023.pdf annotata da A. Zurlo, Modalità di ammortamento c.d. “alla francese” e indicazione del regime di capitalizzazione composto: rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, https://www.dirittodelrisparmio.it/2023/07/22/modalita-di-ammortamento-c-d-alla-francese-e-indicazione-del-regime-di-capitalizzazione-composto-rinvio-pregiudiziale-alla-corte-di-cassazione/
[3] Cass. civ. decr. Primo Presidente, 6 settembre 2023, pubblicata anche sulla rivista giuridica telematica ilcaso.it, al seguente indirizzo https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/29760.pdf
[4] Si consideri che l’art. 1, comma 9, lettera g), della legge 26 novembre 2021, n. 206 (“Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”) prevedeva che la questione dovesse essere, oltre che esclusivamente di diritto, “non ancora affrontata dalla Corte di cassazione e di particolare importanza”
[5] La nullità dell’ordinanza di rinvio e l’inammissibilità era stata eccepita anche dalla banca convenuta nel giudizio di merito che, tuttavia, rinunciava alle suddette eccezioni nel corso della discussione orale.
[6] La Corte, in conclusione, sulla questione di ammissibilità dell’ordinanza di rinvio non preceduta dal contraddittorio dinanzi al Giudice di merito ha affermato il principio secondo cui “l’ordinanza di rinvio emessa dal giudice di merito senza avere sentito le parti sul proposito di investire la Corte di cassazione, in violazione del primo comma dell’art. 363-bis (il giudice «sentite le parti costituite» può disporre il rinvio), non è automaticamente nulla né rende di per sé inammissibile il rinvio, potendo il contraddittorio preventivo essere recuperato nella fase dinanzi alla Corte di cassazione con le memorie in vista della pubblica udienza e con la discussione orale dinanzi alla Corte; all’esito di tali attività l’ammissibilità del rinvio, già valutata dal Primo Presidente «prima facie», potrà avere conferma se il Collegio riterrà che sussistono le condizioni oggettive previste dalla medesima disposizione (natura esclusivamente di diritto della questione, novità e necessità della stessa ai fini della definizione del giudizio, gravi difficoltà interpretative, ripetibilità della questione in numerosi giudizi) o smentita, nel qual caso il rinvio sarà dichiarato inammissibile.”
[7] Si segnala che il previo contraddittorio dinanzi al Giudice di merito, prescritto espressamente nell’art. 363 bis, c.p.c. è conforme a quanto era indicato anche nella legge delega di cui all’art. 1, comma 9, lett. g) l. 206/2021 ossia: “introdurre la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto, prevedendo che (…)”
[8] E. Calzolaio, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e il ruolo «normativo» della giurisprudenza. Spunti comparativi, in Foro Italiano, 2023, parte V, col. 129; A. Scarpa, Il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: una nuova «occasione» di nomofilachia?, in Giustizia Insieme, pubblicato al seguente indirizzo https://www.giustiziainsieme.it/en/riforma-cartabia-civile/2680-il-rinvio-pregiudiziale-ex-art-363-bis-c-p-c-una-nuova-occasione-di-nomofilachia?hitcount=0
[9] sia pure con significative differenze rispetto all’istituto a cui è ispirato e vigente, come detto, nel diritto processuale civile e amministrativo francese.
[10] Vedasi la relazione della commissione ministeriale che ha formulato la proposta di riforma del codice di procedura civile “Proposte normative e note illustrative”, accessibile al seguente indirizzo https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_LUISO_relazione_finale_24mag21.pdf
[11] Come risulta avvenuto con decreto del 17 maggio 2024 del Primo Presidente della Corte di Cassazione, relativamente alla questione sollevata da Trib. Brindisi, ord. 16 aprile 2024 con la quale il Giudice a quo aveva richiesto alla Corte di Cassazione di pronunciarsi ex art. 363 bis c.p.c. “sulla validità o meno del contratto di cessione, stipulato con soggetto non iscritto al registro ex art. 106 tub alla luce della normativa antiriclaggio di fonte interna e comunitaria, cosi come del generale principio di trasparenza (che è ipotesi diversa da quella già affrontata dalla Corte, per quanto in un mero obiter dictum, della sorte giuridica del mandato o della procura conferite per l’incasso dei correlati crediti). In particolare, in quanto afferente al caso di specie, si chiede la pronuncia dell’Autorevole consesso in relazione all’ipotesi in cui la cessione intervenga fra due soggetti entrambi non iscritti e non qualificati, dunque né vigilati, né conformati nel proprio assetto organizzativo; 2. qualora lo ritenga opportuno, chiarire quali rimedi l’ordinamento appresti a fronte dell’eventuale invalidità (nullità o inefficacia o rilievo solo amministrativo della violazione) del predetto negozio; 3. premessa la vigenza del livello comunitario della disciplina antiriclaggio e la sua univocità, nell’ipotesi di ritenuto contrasto con la stessa, chiarire se il contratto di cessione possa ritenersi invalido e, nell’ipotesi affermativa, se lo stesso sia da ritenersi nullo o inefficace o disapplicabile, nei suoi effetti, come concluso dalla univoca giurisprudenza di legittimità con riguardo alle norma interna anticomunitaria; 4. in subordine, ove il Supremo Collegio ritenga che la normativa comunitaria in materia di riciclaggio non sia univoca, anche alla luce della giurisprudenza della Cge, valutare la possibilità di un rinvio pregiudiziale all’organo della giurisdizione comunitaria, per una compiuta interpretazione della normativa sovranazionale”
[12] Si consideri che, nel modello francese del saisine pour avis a cui l’istituto è ispirato, il provvedimento è un “parere” -e non una sentenza- che, al contrario di quanto disposto nella norma introdotta nel codice di rito all’art. 363 bis ultimo comma, c.p.c. non vincola nemmeno il Giudice che ha disposto il rinvio: “L’avis rendu ne lie pas la juridiction qui a formulé la demande”.
[13] Si consideri, sul tema, oltre al contrasto giurisprudenziale, anche l’acceso dibattito tra giuristi e matematici che ha visto, talvolta, anche in questa complessa materia, perfino “disinvolte” “invasioni di campo” con “tecnici contabili” che si sono spinti ad acute considerazioni giuridiche e, di converso, “tecnici del diritto” che hanno svolto considerazioni, sviluppato calcoli o esposto teoremi.
[14] Si legge, infatti, a pagina 12 “Si premette che queste Sezioni Unite non sono chiamate a pronunciarsi con riferimento ai piani di ammortamento relativi ai contratti di mutuo a tasso variabile né sul tema, introdotto dalla difesa” […] “nella memoria, dell’anticipata estinzione del rapporto di mutuo per scelta volontaria del mutuatario, che è estraneo ai quesiti pregiudiziali e alla materia del contendere, risultando astratto in quanto privo di rilevanza ai fini della definizione del giudizio di merito; neppure sono chiamate a pronunciarsi sul tema relativo alle eventuali conseguenze della mancata allegazione o inserzione del piano di ammortamento nel contratto”.
[15] Cass. Sez. Un. 15130/2024, pg. 14
[16] Cass. Sez. Un. n. 15130/2024, pg. 18 “Non potrebbe escludersi in astratto che l’operazione di finanziamento si realizzi mediante la produzione di interessi su interessi per effetto della quale il tasso effettivo risulti maggiore di quello nominale e sfugga alla rilevazione nel TAEG, ma tale evenienza sarebbe una patologia da affrontare caso per caso, nel quadro delle domande ed eccezioni delle parti, attraverso indagini contabili volte a verificare se nella singola fattispecie siano pretesi o siano stati pagati interessi superiori a quelli pattuiti (è coerente l’affermazione per cui stabilire in concreto se vi sia, o no, produzione di interessi su interessi, è questione di fatto incensurabile in sede di legittimità, cfr. Cass. n. 9237/2020, n. 8382/2022, n. 13144/2023 cit.). Pertanto, al principio che si chiede di enunciare, nel senso di dichiarare in generale la invalidità dei piani di ammortamento «alla francese», può rispondersi avendo riguardo ai piani standardizzati tradizionali, rispetto ai quali deve escludersi che si verifichi la situazione patologica poc’anzi descritta”.
[17] Si legge, a pagina 26 della sentenza n. 15130/2024: “Come puntualmente osservato dalla Procura Generale, la differenza tra i due piani di ammortamento non dipende dal fatto che il tasso di interesse effettivo nel caso di ammortamento «alla francese» sia complessivamente maggiore di quello nominale, quanto piuttosto dall’essere tale effetto riconducibile alla scelta concordata del tempo e del modo del rimborso del capitale, in cui le rate iniziali prevedono interessi più elevati perché è più elevato il capitale (non ancora restituito) di cui il debitore ha beneficiato; detta differenza è, invero, ascrivibile alla circostanza che nell’ammortamento «all’italiana» si abbatte più velocemente il capitale (con pagamento di rate iniziali più alte) e, quindi, gli interessi che maturano sul capitale residuo inferiore sono inevitabilmente più bassi.
Come si è detto, il maggior carico di interessi derivante dalla tipologia di ammortamento in questione non deriva da un fenomeno di moltiplicazione in senso tecnico degli interessi che non maturano su altri interessi e non si traduce in una maggiore voce di costo, prezzo o esborso da esplicitare nel contratto, non incidendo sul TAN e sul TAEG, ma costituisce il naturale effetto della scelta concordata di prevedere che il piano di rimborso si articoli nel pagamento di una rata costante (inizialmente calmierata) e non decrescente.”
[18] Antonio Annibali, pubblicazioni, interventi ed elaborati sul sito www.attuariale.eu nonché in “Anatocismo e usura nei contratti bancari Profili civilistici alla ricerca di un linguaggio comune tra matematica e diritto. Ammortamento “alla francese” di un mutuo nel regime finanziario della capitalizzazione semplice”, Università degli studi de L’Aquila del 4 ottobre 2019
[19] A. Annibali, vd. nota precedente
[20] Si ricorda che il Giudice a quo ha disposto il rinvio pregiudiziale prima di decidere in merito all’ammissione di consulenza tecnica contabile.
[21] L’espressione “standardizzato” -non proprio inequivoca- più volte utilizzata dalla Corte si ritiene che sia intesa con riferimento, in astratto, al piano di ammortamento alla francese “più diffuso” visto che nella stessa sentenza, più volte, si fanno salvi eventuali diversi accertamenti di fatto estranei al quesito o che, comunque, possono essere compiuti nei giudizi di merito.
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