Accordi amministrativi e PIAO

Gli accordi ex articolo 11, della legge n. 241 del 1990, possono contribuire all’attuazione delle finalità del Piano integrato di attività e organizzazione (in seguito, per brevità, “PIAO”), e più in particolare, all’accrescimento della capacità amministrativa della pubblica amministrazione e alla produzione di valore pubblico?
Per rispondere a tale interrogativo occorre isolare gli elementi che lo compongono, mettere a fuoco le finalità di ognuno, ricercare eventuali connessioni, e laddove queste ultime risultino significative, partire dalle stesse per formulare valutazioni di sistema che possano – questo è l’auspicio – risultare in qualche modo utili. Ragioni di economia impongono di procedere in modo chirurgico concentrando l’attenzione solo su quegli aspetti che maggiormente si prestano alla finalità del presente contributo che, è bene precisarlo sin d’ora, non è tanto rispondere all’interrogativo dal quale siamo partiti, quanto piuttosto, sviluppare una breve riflessione in materia di PIAO per accendere un riflettore su alcuni istituti che de iure condito possono agevolare la messa a terra degli obiettivi di accrescimento della capacità amministrativa e di produzione di valore pubblico, propri del PIAO.

Indice

1. Inquadramento sistematico, natura giuridica, ambito oggettivo e soggettivo di applicazione degli accordi amministrativi ex articolo 11 della legge n. 241 del 1990.

Gli accordi amministrativi, integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo, sono  disciplinati dall’articolo 11, della legge n. 241 del 1990. Rientrano nel quadro dei cosiddetti strumenti di partecipazione[1] (o se si preferisce di democratizzazione) del procedimento amministrativo la cui disciplina generale, come noto, è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico proprio dalla legge n. 241 del 1990. Ne costituiscono uno dei più significativi, quantomeno nella loro costruzione teorica. Grazie a tali accordi, infatti, la partecipazione del privato al procedimento amministrativo travalica i confini della fase istruttoria e qualifica i contenuti dell’atto finale cui è preordinato l’intero procedimento, ovvero, l’atto con il quale la pubblica amministrazione manifesta all’esterno la propria volontà incidendo sulla sfera giuridica del destinatario (il provvedimento amministrativo).
Secondo il paradigma normativo fissato dall’articolo 11 testé richiamato, due sono le tipologie di accordi che la pubblica amministrazione ha il potere di concludere: gli accordi integrativi e gli accordi sostituivi del provvedimento amministrativo. Entrambi partecipano della speciale caratterizzazione poc’anzi riferita. Nel primo caso (accordi integrativi), la partecipazione del privato informa “solo” il contenuto dell’atto finale del procedimento che manterrà, quindi, la forma del provvedimento amministrativo. Nel secondo caso (accordi sostitutivi), invece, oltre al contenuto dell’atto finale anche la “forma” viene attratta e qualificata dalla predetta caratterizzazione. Infatti, in questo caso l’atto finale assume l’aspetto di un “accordo[2] e non più di un provvedimento amministrativo. Al netto di tale differenziazione, sul piano ordinamentale tra le due tipologie di accordi non sembrano porsene di ulteriori, soprattutto a seguito della novella recata nel 2005 dalla legge n. 15 che ha disposto l’abrogazione dell’originaria previsione che limitava la stipulazione degli accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo ai soli casi previsti espressamente dalla legge[3].
Il tema della qualificazione giuridica degli accordi de quibus è stato in passato piuttosto acceso. Senza addentrarci nell’elencazione di tute le ricostruzioni teorico-dottrinali[4] formulate nel tempo, è sufficiente qui ricordare come queste si siano fin da subito polarizzate intorno a due tesi contrapposte (tesi privatistica e tesi pubblicistica) e che, solo in un secondo momento, si è avuta la prevalenza dell’una (tesi pubblicistica) sull’altra (tesi privatistica). Secondo la prevalente tesi pubblicistica – avallata anche dalla giurisprudenza[5] – gli accordi ex articolo 11, della legge n. 241 del 1990, hanno natura pubblicistica in quanto, anche quando si tratta di accordi sostitutivi, integrano comunque solo un modello operativo a disposizione della pubblica amministrazione per la cura e la gestione degli interessi pubblici. Si parla, al riguardo, di contratti di diritto pubblico. Espressione utilizzata proprio per rimarcare le differenze rispetto ai contratti di diritto comune. Si tratta di differenze delle quali era ben consapevole anche il legislatore nazionale del 1990 che, non a caso, pur introducendo un rinvio al codice civile ne ha controbilanciato l’operatività statuendo che lo stesso opera “ove non diversamente previsto” e limitatamente “ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili” (comma 2, dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990)[6].
Decisamente meno controverse sono state, sempre in materia di accordi ex articolo 11 della legge n. 241 del 1990, le questioni relative alla delimitazione dell’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione degli stessi. Su entrambe si è pronunciato a monte il legislatore risolvendole. Sul piano soggettivo, tenuto conto delle previsioni contenute all’articolo 29[7], della legge n. 241 del 1990, non solo le pubbliche amministrazioni, ma più in generale tutti i soggetti – di diritto pubblico o di diritto privato – che risultano investiti dall’ordinamento giuridico di poteri autoritativi possono stipulare tali accordi. Sul piano oggettivo, invece, è interessante evidenziare come non ogni attività  autoritativa può divenire l’occasione per la costruzione di un accordo integrativo o sostitutivo. Il legislatore nazionale, al comma primo dell’articolo 11, circoscrive la formazione di tali accordi ai soli <<contenuti discrezionali del provvedimento>>[8]. Le parti, quindi, possono ricorrere agli accordi in parola solo nei limiti in cui la legge riconosca, in capo all’amministrazione procedente, facoltà e spazi di manovra nell’esercizio del potere autoritativo di cui è investita (in particolare in ordine al quomodo, ma non solo) e che, in senso opposto, il ricorso agli stessi dovrà considerarsi precluso laddove l’ordinamento non riconosca alcuno spazio di azione all’amministrazione avendo già la norma definito a monte, oltre all’an e al quantum, anche il quomodo del provvedimento finale (cd attività vincolata).
La messa a fuoco, sia pur in modo molto sintetico, di questi aspetti generali in materia di accordi amministrativi ex articolo 11, della legge n. 241 del 1990, ci consente di gettare un ponte ideale verso l’altro oggetto del raffronto (il PIAO) per provare a comprendere in che misura, la relativa disciplina, possa essere ricettiva e sensibile alle sollecitazioni applicative (e non solo) degli accordi de quibus.
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2. Il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO).

Il PIAO è un innovativo strumento di programmazione introdotto, nel nostro ordinamento giuridico, dall’articolo 6, del decreto legge n. 80 del 2021. Escluse le scuole di ogni ordine e grado, sono chiamate alla relativa adozione tutte le pubbliche amministrazioni – con più di cinquanta dipendenti – rientranti nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Dalle previsioni contenute nella norma istitutiva risulta chiaramente che il PIAO – dotato di un orizzonte temporale triennale e soggetto ad aggiornamento annuale entro il 31 gennaio di ogni anno[9] – è stato concepito <<Per assicurare la qualità e la trasparenza dell’attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese e procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi anche in materia di diritto di accesso…>> (articolo 6, comma 1, decreto legge n. 80 del 2021). In questa sede non è possibile soffermarsi su tutte le finalità (trasparenza, semplificazione e reingegnerizzazione, tanto per citarne alcune) sottese al nuovo strumento di programmazione ma, per lo scopo che qui interessa, è sufficiente concentrarsi solo su quello che può essere considerato l’elemento forse maggiormente rappresentativo del PIAO. Ci si riferisce all’idea che ne sta alla base. Si tratta di un’idea di miglioramento dell’azione amministrativa così riassumibile: per migliorare l’azione della pubblica amministrazione occorre migliorare la relativa attività di programmazione (integrando gli strumenti di programmazione esistenti) e incrementare la capacità amministrativa della stessa, in una prospettiva di azione attenta non più soltanto alle esigenze della pubblica amministrazione, ma anche, a quelle dei destinatari delle relative azioni (cittadini, utenti dei servizi pubblici, e più in generale, gli stakeholders), generando così valore pubblico.
Lungi dal voler essere la mera sommatoria degli strumenti di programmazione rientranti nel proprio perimetro applicativo, il PIAO si presenta come uno strumento di integrazione degli stessi: non più una programmazione settoriale per materia, ma per l’appunto, una programmazione che, sia pur nel rispetto delle varie normative di settore (anticorruzione e trasparenza, privacy, performance del pubblico impiego, etc…), risulti integrata.
Fondamentale, a questo punto, è la messa a fuoco dei concetti di capacità amministrativa e di valore pubblico, così prepotentemente sottoposti all’attenzione delle pubbliche amministrazioni[10].
La capacità amministrativa rappresenta l’idoneità di una pubblica amministrazione a svolgere efficacemente le funzioni assegnate dall’ordinamento. Il concetto di capacità amministrativa coinvolge la sfera del “fare”, o meglio, del “saper fare” secondo i canoni costituzionali di buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97 Costituzione). Migliorare la capacità amministrativa non significa banalmente accrescere la produttività di un soggetto pubblico (es. più provvedimenti amministrativi rispetto all’anno precedente), ma amministrare meglio gli interessi pubblici in una prospettiva quali-quantitativa[11]. Questa attenzione verso la componente qualitativa, oltre che a quella quantitativa[12], è sintomatica della forte connessione esistente con l’altro elemento di indagine, il valore pubblico.
Il valore pubblico è un concetto analizzabile da molteplici punti di vista. Per poter essere misurato e interpretato, richiede l’impiego di un approccio necessariamente multidisciplinare. Non solo, avendo a che fare con la dimensione valoriale, presenta una naturale tendenza all’assiologico. Il valore pubblico, infatti, ha a che fare, intercetta e misura, elementi valoriali connessi alla manifestazione e alla percezione, in concreto e non in astratto, della capacità amministrativa (cioè dal “saper fare”) della pubblica amministrazione la cui “azione” costituisce, quindi, il naturale punto di riferimento[13]. È dunque un concetto dai contenuti decisamente ampi. Questa accezione ampia di valore pubblico, sembra trovare un’importante sponda nel Piano Nazione Anticorruzione 2022 di ANAC – approvato in via definitiva con la deliberazione n. 7 del 17 gennaio 2023 – secondo il quale <<va privilegiata una nozione ampia di valore pubblico intesa come miglioramento della qualità della vita e del benessere economico, sociale, ambientale delle comunità di riferimento, degli utenti, degli stakeholder, dei destinatari di una politica o di un servizio. Si tratta di un concetto che non va limitato agli obiettivi finanziari/monetizzabili ma comprensivo anche di quelli socio-economici, che ha diverse sfaccettature e copre varie dimensioni del vivere individuale e collettivo>>. Si tratta, in estrema sintesi, della percezione quali-quantitativa dell’attività della pubblica amministrazione condotta dalla prospettiva dei cittadini/stakeholders destinatari della stessa, secondo una logica che ricorda molto quella della customer satisfaction propria dei servizi pubblici. Non a caso, il comma terzo, dell’articolo 6, del decreto legge n. 80 del 2021, prevede che <<Il Piano definisce le modalità di monitoraggio degli esiti, con cadenza periodica, inclusi gli impatti sugli utenti, anche attraverso rilevazioni della soddisfazione degli utenti stessi mediante gli strumenti di cui al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, nonché le modalità di monitoraggio dei procedimenti attivati ai sensi del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198>>[14].
Logico corollario di quanto fin qui riferito è che, la misurazione del grado di raggiungimento di un obiettivo di valore pubblico, non può prescindere dal coinvolgimento degli utenti/destinatari delle specifiche azioni e delle specifiche attività individuate per la realizzazione dello stesso. In difetto, tale misurazione si rileverebbe autoreferenziale con il risultato di ridurre l’intero PIAO esattamente a quello che non avrebbe dovuto essere: un piano dei piani.
Con il PIAO – per concludere sul punto – non si dovrebbe più assistere ad una programmazione (e alle collegate attività di monitoraggio e di valutazione) autoreferenziale, funzionale cioè alle sole esigenze della pubblica amministrazione, ma ad una programmazione (e alle collegate attività di monitoraggio e di valutazione) orientata verso obiettivi di valore pubblico definiti in relazione alle esigenze degli utenti[15].

3. Connessioni tra PIAO e gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo.

Sulla base di quanto riferito nei paragrafi precedenti, alcune affinità, tra la disciplina e le finalità del PIAO, da una parte, e la disciplina e le finalità degli accordi ex articolo 11 della legge n. 241 del 1990, dall’altra, parrebbero evidenti.
Infatti, se il PIAO ha la funzione di stimolare (rectius obbligare) la pubblica amministrazione a migliorare la propria capacità amministrativa per generare valore pubblico, e se gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo costituisco un importante strumento di partecipazione dei privati all’esercizio dei poteri autoritativi della pubblica amministrazione, allora, detti accordi si candidano a pieno titolo (quantomeno in potenza) a essere una delle modalità operative attraverso le quali, ogni pubblica amministrazione, può pensare di progettare l’attuazione in concreto dei propri obiettivi di valore pubblico.
I vantaggi sarebbero notevoli per entrambe le parti: per i cittadini/stakeholders, perché si inaugurerebbe una nuova stagione di “dialogo” con la pubblica amministrazione nella quale (finalmente) troverebbe spazio un istituto (gli accordi) la cui applicazione non è stata così particolarmente intensa negli oltre trent’anni trascorsi dall’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990; per le pubbliche amministrazioni soggette alla disciplina del PIAO, non solo perché avrebbero a propria disposizione un modus procedendi già positivizzato dal legislatore (senza quindi bisogno di crearne uno nuovo), ma, allo stesso tempo, costituirebbe un utile momento per la misurazione “puntuale” del grado di soddisfazione del cittadino rispetto all’attività della pubblica amministrazione concretamente posta in essere nei suoi confronti.
A rischio di apparire in contraddizione con quanto appena sostenuto, l’impiego degli accordi ex articolo 11, della legge n. 241 del 1990, anche laddove massimizzato, non potrebbe mai garantire sic et simpliciter valore pubblico. Ciò non per problemi o per limiti intrinseci allo strumento ma, per l’ovvia considerazione che detti accordi, come sopra rimarcato (tesi pubblicistica), rappresentano solo un modello operativo della pubblica amministrazione. Per generare valore pubblico, ogni amministrazione, deve previamente individuare, sulla base delle peculiarità del contesto (interno ed esterno) in cui opera, obiettivi capaci di generare valore pubblico. È solo nella successiva fase di messa a terra degli stessi che, gli accordi de quibus, possono intervenire fornendo il proprio contributo.

Se si condividono le riflessioni fin qui svolte non si può che rispondere positivamente all’interrogativo dal quale siamo partiti. L’istituto degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo possiede infatti tutte le caratteristiche genetiche per concorrere alla messa a terra degli obiettivi di valore pubblico che le amministrazioni devono individuare con i propri PIAO. Più correttamente, in base alla disciplina degli accordi, tale concorso potrà manifestarsi in relazione a quegli obiettivi di valore pubblico la cui realizzazione implichi l’attivazione di procedimenti amministrativi caratterizzati dalla presenza di margini di discrezionalità, tecnica o amministrativa. Laddove, invece, l’azione amministrativa richiesta fosse classificabile come attività vincolata, il ricorso a tali accordi dovrà escludersi. Ciò non significa, tuttavia, che non vi possano essere altri istituti o strumenti ugualmente in grado di fornire un valido contributo alla realizzazione anche di questi obiettivi. La cassetta degli attrezzi a disposizione della pubblica amministrazione è decisamente ricca da questo punto di vista.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alle potenzialità rappresentate dall’impiego di sistemi e gestionali, in tutto o in parte automatizzati, costruiti su logiche algoritmiche. Questi consentirebbero la gestione e l’espletamento (in forma massiva ed estremamente veloce) delle fasi istruttorie e di predisposizione dei provvedimenti finali, di tutti quei procedimenti amministrativi rispetto ai quali l’ordinamento giuridico richiede – in capo alla pubblica amministrazione procedente – solo lo svolgimento di un’attività accertativa in ordine al possesso dei requisiti predeterminati dalla legge[16] per accedere ad una determinata prestazione pubblica[17]. Il tema dell’automatizzazione dei processi e delle attività amministrative non deve considerarsi estraneo alla logica del PIAO, ma all’opposto, perfettamente coerente con l’idea di miglioramento della pubblica amministrazione sottesa al nuovo strumento di programmazione. Lo conferma l’esplicito richiamo, contenuto al comma primo, dell’articolo 6, del decreto legge n. 80 del 2021, alla necessità di procedere alla “reingegnerizzazione dei processi” in un’ottica di miglioramento e semplificazione dei servizi resi ai cittadini. Si tratta di un obiettivo altamente sfidante per tutte le pubbliche amministrazioni dal quale dipenderà, in misura non trascurabile, il successo (o l’insuccesso) della logica di miglioramento del PIAO.
Poiché, in generale, ogni miglioramento richiede un tributo in termini di cambiamento rispetto alla propria zona di comfort, il PIAO, che si prefigge di realizzare una vera e propria rivoluzione copernicana, richiede, e richiederà, a tutti i soggetti che rientrano nel relativo ambito di applicazione un alto tributo in termini di cambiamento. A questi soggetti non resterà che adoperarsi in tal senso perché <<follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi>>[18].

>>>Per approfondire<<<

L’opera illustra tutte le innovazioni intervenute nel periodo gennaio 2022 – settembre 2022 che concernono gli aspetti essenziali dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione locale e delle attività e servizi che essa esercita per il Paese.

  1. [1]

    Con tale espressione si intendono cumulativamente tutte quelle previsioni, strumenti e istituti, della legge n. 241 del 1990, finalizzati a rendere partecipato l’esercizio dei poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione. In tal senso si possono ricordare: l’introduzione della figura del responsabile del procedimento (finalizzata a dare un “volto” all’amministrazione procedente); la previsione della comunicazione di avvio del procedimento (finalizzata all’instaurazione di un vero e proprio “dialogo costruttivo” tra l’amministrazione procedente e il destinatario della stessa, in forza del quale, a quest’ultimo viene riconosciuto il diritto di prendere visione degli atti che lo riguardano nonché quello di produrre memorie e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove pertinenti con l’oggetto del procedimento); la previsione della comunicazione preventiva dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (finalizzata, anche in questo caso, a instaurare un momento di dialogo tra le parti nei casi in cui l’amministrazione, nei procedimenti amministrativi ad istanza di parte, tenuto conto delle proprie risultanze istruttorie, ravvisi elementi ostativi all’accoglimento delle istanze presentate). La portata applicativa degli istituti di partecipazione previsti dalla legge 241/1990 è estremamente amplia. È determinabile per difetto non trovando gli stessi applicazione solo nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano ferme, anche in questo caso, le particolari norme che li regolano.

  2. [2]

    La norma fa espressamente uso del termine “accordo” anziché del più tecnico “contratto” che è una forma qualificata di accordo. Secondo l’orientamento pressoché dominante (tesi pubblicistica) ciò troverebbe giustificazione nel fatto che in questo modo il legislatore nazionale ha voluto – anche lessicalmente – rimarcare che, quantunque operi attraverso paradigmi e modelli ispirati al diritto comune, la Pubblica amministrazione, essendo portatrice di interessi pubblici che non si esauriscono con singoli atti gestori, conserverà sempre una posizione di  superiorità nei confronti del cittadino con il quale conclude un accordo ex articolo 11 della legge n. 241 del 1990. A sostegno di tale ricostruzione si può ricordare il contenuto del comma 4, del citato articolo 11, in forza del quale <<Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.>>.

  3. [3]

    Nella sua formulazione originaria, il comma 1, dell’articolo 11, della legge n. 241 del 1990, prevedeva <<In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo.>>

  4. [4]

    Per un quadro delle stesse si rinvia al Capitolo 9 (della Parte III) di FRANCESCO CARINGELLA, MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO – Parte Generale e Parte Speciale – Edizione XIII – 2020 – DIKE Giuridica Editrice, S.r.l. Roma.

  5. [5]

    Ex multis: Cass. Sez. Un., n. 584/2014; Consiglio di Stato n. 2258/2017.

  6. [6]

    All’affermazione della teoria pubblicistica ai danni di quella privatistica – secondo la quale, invece, gli accordi previsti dall’articolo 11, della legge sul procedimento amministrativo, dovrebbero essere considerati come contratti di diritto comune – hanno poi contribuito ulteriori considerazioni, oltre a quelle poc’anzi esposte, che si riportano sinteticamente: la sottoposizione degli accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo agli stessi controlli previsti per questi ultimi (comma 3, dell’articolo 11, della legge n. 241 del 1990); il riconoscimento, in capo alla pubblica amministrazione che accede a tali accordi, del potere di “recedere” dall’accordo “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse” (fattispecie questa che ricalca fedelmente – eccetto che per la denominazione del potere “recesso” in luogo di “revoca” – il disposto dell’articolo 21- quinquies della legge n. 214 del 1990, che ammette la revoca, tra l’altro, proprio “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse”); il riconoscimento di una competenza giurisdizionale esclusiva in capo al giudice amministrativo (in base all’articolo 133, comma 1, lettera a), numero 2, del d.lgs. n. 104 del 2010, sono devolute alla competenza esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di <<formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni;>>).

  7. [7]

    Il cui comma primo testualmente recita <<Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche.>>.

  8. [8]

    Il generico riferimento alla discrezionalità, induce a ritenere che lo stesso valga tanto per la discrezionalità tecnica quanto per quella amministrativa.

  9. [9]

    Anteriormente al processo di conversione in legge, l’articolo 6, del DL n. 80 del 2021, prevedeva che – fermo restando la durata triennale e l’aggiornamento annuale – l’adozione del primo PIAO dovesse avvenire entro il 31 dicembre del 2021 (comma 1) e che i successivi aggiornamenti dovessero essere pubblicati entro il 31 dicembre di ogni anno (comma 4). In sede di conversione tali previsioni temporali sono state notevolmente modificate, infatti: per il primo PIAO, quello relativo al 2022, è stato previsto il termine del 30 giugno del 2022; quanto all’aggiornamento annuale, il relativo termine è stato invece fissato al 31 gennaio di ogni anno. Per l’aggiornamento 2023 del PIAO, è stata eccezionalmente accordata una proroga fino al 31 marzo 2023.

  10. [10]

    Vale la pena osservare che, di entrambi, il legislatore non ha fornito alcuna definizione nell’ambito della disciplina del PIAO.

  11. [11]

    Se per aumentare la capacità amministrativa di una pubblica amministrazione fosse sufficiente incrementare il numero dei procedimenti amministrativi portati a termine in un dato periodo, in luogo del PIAO, il legislatore ben avrebbe potuto imporre, in modo lineare, una banale riduzione dei termini dei procedimenti, senza necessità di imporre un nuovo strumento di programmazione. La riduzione dei termini di conclusione di un procedimento può rappresentare un effetto (e non la causa) del miglioramento della capacità amministrativa e, in questo senso, tutt’al più un indicatore di tale miglioramento.

  12. [12]

    Troppo spesso in passato i progetti di miglioramento dell’azione pubblica amministrazione si sono concentrati unicamente sulla componente “quantitativa” dell’attività amministrativa trascurando del tutto quella “qualitativa”.

  13. [13]

    Il valore pubblico, a ben vedere, può essere immaginato coma una funzione della capacità amministrativa.

  14. [14]

    All’interno del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, numerose sono le previsioni che pongono l’accento sull’importanza di misurare e valutare il grado di soddisfazione dei destinatari/utenti dei vari servizi e delle varie attività svolte dalla pubblica amministrazione, il tutto in una chiara ottica di valutazione delle performance individuali (in primis dei dirigenti) e di gruppo (settori/apparati amministrativi). Particolarmente significative appaiono, in questo senso, le previsioni contenute all’articolo 19 del citato decreto legislativo, nel quale il legislatore disciplina proprio il tema della partecipazione dei cittadini – anche in forma associata – al processo di misurazione delle performance organizzative prevedendo, a carico delle pubbliche amministrazioni, l’obbligo di adottare sistemi di rilevazione del grado di soddisfazione degli utenti e dei cittadini in relazione alle attività e ai servizi erogati, favorendo ogni più ampia forma di partecipazione e collaborazione dei destinatari dei servizi.

  15. [15]

    All’ampiezza e all’elasticità del concetto di valore pubblico dovrebbe corrispondere altrettanta ampiezza ed elasticità del concetto di “utenti”. Infatti, la loro individuazione puntuale dipende dalla natura e dai contenuti degli obiettivi di valore pubblico fissati in concreto nel PIAO. Vi possono quindi rientrare non solo i cittadini/stakeholders, ma anche, gli stessi dipendenti della pubblica amministrazione.

  16. [16]

    Secondo il paradigma fissato dall’articolo 12 delle legge n. 241 del 1990.

  17. [17]

    Si pensi al vasto ambito delle provvidenze pubbliche nel quale, quasi sempre, il rilascio delle stesse è fondato sul possesso di requisiti di tipo on/off – che non richiedono particolari margini di apprezzamento in capo all’amministrazione concedente – oggetto di puntuali dichiarazioni sostitutive ex articoli 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 2000.

  18. [18]

    La citazione viene spesso attribuita ad Albert Einstein (1879-1955) (per una diversa attribuzione si veda https://it.wikiquote.org/wiki/Citazioni_errate). Al netto dell’esatta paternità (o maternità), il messaggio che tale citazione veicola è estremamente chiaro e non necessita dell’interpretazione di nessuno.

Dott. Franco Scaramella

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