Sulla scorta di tale disciplina, al fine di essere riconosciuti quali erogatori del Servizio Sanitario Nazionale sono necessari tre passaggi, logicamente e proceduralmente separati tra loro ma consequenziali, orientati al perseguimento di obiettivi diversi, tutti facenti capo alla Regione.
Gli accordi e i contratti di fornitura
Il perno dell’attuale disegno normativo è costituito da un accordo (o contratto), inteso quale elemento terminale di un complesso procedimento tecnico-giuridico, che fa da intermediario nel rapporto tra domanda e offerta di prestazioni sanitarie.
L’articolo 8-quinquies del d.lgs. 502/92 s.m.i. disciplina, appunto, la fase finale del percorso denominato delle “tre A” (autorizzazione-accreditamento-accordo), in forza del quale, la Regione e le AUSL, anche attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi, definiscono accordi[1] con le strutture pubbliche ed equiparate, comprese le aziende ospedaliero-universitarie, e stipulano contratti[2] con quelle private e con i professionisti accreditati, anche mediante intese con le loro organizzazioni rappresentative a livello regionale.
Il succitato articolo, in particolare, prevede che le Regioni debbano definire l’ambito di applicazione degli accordi contrattuali e individuare i soggetti interessati, tenendo conto di specifici aspetti:
- a) individuazione delle responsabilità riservate alla Regione e di quelle attribuite alle USL nella definizione degli accordi contrattuali e nella verifica del loro rispetto;
- b) indirizzi per la formulazione dei programmi di attività delle strutture interessate, con l’indicazione delle funzioni e delle attività da potenziare e da depotenziare, secondo le linee della programmazione regionale e nel rispetto delle priorità indicate dal Piano sanitario nazionale;
- c) determinazione del piano delle attività relative alle alte specialità e alla rete dei servizi di emergenza;
- d) criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura.
La medesima norma[3], quanto al contenuto degli accordi e dei contratti, dispone che la Regione, una volta fissati i tetti di spesa e i volumi di attività per singola specialità, indichi, mediante un provvedimento amministrativo, gli obiettivi della Salute da perseguire e le tipologie delle prestazioni sanitarie da erogare.
Il sistema di programmazione sanitaria, dunque, è incentrato su un modello bifasico, che si articola in una fase autoritativa regionale a cui segue un momento di negoziazione su base territoriale. La Regione definisce, unilateralmente, il tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario per singola istituzione (o per gruppi di istituzioni) e i preventivi annuali delle prestazioni; inoltre, vincola la successiva contrattazione dei piani, determinandone modalità e indirizzi, in quanto fissa le direttive da seguire nella successiva negoziazione, in sede di determinazione consensuale delle quantità e tipologie di prestazioni erogabili dal singolo operatore[4].
Dal quadro normativo, insomma, emerge che la Regione è titolare di un potere autoritativo, che influenza e condiziona anche la fase negoziale. Infatti, nessuna norma di legge impone all’Amministrazione di negoziare il contenuto dell’accordo con le strutture interessate, essendole per contro demandato il potere di fissare unilateralmente, nel rispetto del tetto annuo di spesa, le tariffe per le singole prestazioni[5].
In buona sostanza, la Regione – attraverso un percorso di regolamentazione – provvede alla definizione del proprio ambito applicativo e alla specificazione dei soggetti interessati.
Il rapporto, che viene a instaurarsi tra l’Amministrazione sanitaria e gli erogatori delle prestazioni, delinea il regime economico che caratterizza il sistema sanitario. Esso persegue i propri obiettivi istituzionali attraverso una tipica e consolidata metodologia contrattuale, che trova nel contratto di compravendita delle prestazioni sanitarie il suo riferimento normativo.
Infine, il secondo comma dell’articolo 8-quinquies prevede che l’accreditamento venga sospeso in caso di mancata sottoscrizione degli accordi, a prescindere dall’imputabilità del mancato accordo all’una o all’altra parte.
La ratio della succitata disposizione normativa, di certo, è ravvisabile nel fatto che l’accreditamento si fonda su base saldamente negoziale. Di conseguenza, l’acquisto delle prestazioni sanitarie da parte dell’Amministrazione presuppone la stipulazione dell’accordo contrattuale, sicché la struttura sanitaria, pubblica o privata, che vuole operare nell’ambito del SSN ha l’onere, non solo di conseguire l’accreditamento, ma anche di stipulare l’accordo contrattuale.
Sulla natura giuridica degli accordi e dei contratti di fornitura
Gli accordi e i contratti di fornitura sono atti giuridici di natura consensuale che consentono rispettivamente alle strutture pubbliche e a quelle private di erogare prestazioni sanitarie in nome e per conto del SSN.
Giova premettere che, gli accordi – caratterizzati dalla mancata previsione di un corrispettivo – stabiliscono le modalità e i criteri, anche qualitativi, di erogazione delle prestazioni e dei servizi che la Regione e/o le Aziende sanitarie concordano con le strutture pubbliche ed equiparate. I contratti, invece, convengono le modalità, i criteri, le tipologie e i volumi delle prestazioni che le Aziende (o le Regioni) acquistano dalle strutture private o dai professionisti accreditati. In quanto tale, il contratto ha natura sinallagmatica e prevede l’individuazione di un corrispettivo determinato sulla scorta dei limiti di spesa stabiliti in sede regionale.
L’articolo 8-quinquies, a una lettura poco attenta, sembra parificare accordi e contratti, ma, come noto, il diritto amministrativo distingue nettamente i due istituti giuridici. I contratti (rectius gli accordi) tra le pubbliche amministrazioni e i privati sono disciplinati dall’articolo 11[6] della Legge 7 agosto 1990, n. 241, mentre gli accordi tra pubbliche amministrazioni sono disciplinati dall’articolo 15[7] della succitata legge. Gli accordi procedimentali ex art. 11 sanciscono l’incontro della volontà della PA – cui è affidata la cura dell’interesse pubblico generale – con la volontà della parte privata, portatrice degli interessi particolari incisi dall’esercizio del potere pubblico. Gli accordi organizzativi di cui all’art. 15, invece, realizzano, attraverso la collaborazione di più amministrazioni pubbliche, il perseguimento di un fine unitario.
Orbene, agli accordi procedimentali di cui all’articolo 11 sono applicabili quasi tutti i principi inerenti la disciplina delle obbligazioni[8]. Tuttavia, essi si differenziano dai contratti di diritto comune – anzitutto – per l’inerenza al contenuto discrezionale del provvedimento finale, ovvero sostitutivo. Dovrà, pertanto, verificarsi la titolarità in capo all’Amministrazione di discrezionalità amministrativa circa l’oggetto specifico dell’accordo, vale a dire il potere di determinare in più modi l’assetto degli interessi in gioco nella prospettiva del miglior perseguimento dell’interesse pubblico[9].
Quanto agli accordi pubblici ex art. 15, invece, i principi civilistici applicabili sono solo quelli inerenti la sottoscrizione dell’accordo (artt. 1175, 1337, 1362 cod. civ.) e il suo contenuto (artt. 1353 s.s. cod. civ.).
Invero, ciò che differenzia sostanzialmente gli accordi de quibus è la disciplina concernente la cessazione degli effetti.
Difatti, per quanto riguarda la cessazione degli effetti del contratto, l’articolo 11, al comma 4, della Legge 241/90, dispone che “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato”.
L’articolo 15, la cui disciplina è compiuta tramite una serie di rinvii all’articolo 11, invece, nulla prevede in ordine alla cessazione degli effetti dell’accordo.
A tal proposito, giova rammentare che un primo orientamento interpretativo, ha ritenuto che il mancato rinvio alla disciplina degli accordi procedimentali, comportasse che gli accordi tra le amministrazioni non potessero essere sciolti.
Altro orientamento, consolidato e condivisibile, ritiene che la possibilità di interrompere gli effetti del contratto non sia esclusa, ma – più logicamente – non sia soggetta alla specifica disciplina di cui all’articolo 11.
Difatti, posto il principio pubblicistico dell’inesauribilità del potere amministrativo, il rinvio alla disciplina degli accordi procedimentali si rivela del tutto inutile, sia in ordine al recesso motivato da ragioni pubbliche sia in ordine alla parte di
disposizioni inerente l’obbligo di indennizzo. Nel primo caso, il recesso è connaturato ai poteri amministrativi e, dunque, non ha senso ribadirlo; nel secondo caso, invece, il riconoscimento dell’indennizzo trova la sua ragion d’essere solo se parte dell’accordo sia un privato[10].
Sulla scorta del predetto orientamento, è plausibile affermare che, anche in caso di accordi stipulati tra amministrazioni pubbliche, è possibile lo scioglimento anticipato dei medesimi in ossequio al principio della inesauribilità del potere amministrativo.
Tuttavia, l’istituto applicabile allo scioglimento del rapporto non può ritenersi essere né il recesso civilistico di cui all’art. 1373 cod. civ., né quello procedimentale ex art. 11, comma 4, della Legge 241/90.
A tal proposito, autorevole dottrina[11], ha avuto modo di precisare che il recesso dagli accordi procedimentali costituisce una facoltà pubblicistica e, pertanto, deve essere distinto dall’omonimo istituto di diritto privato. Tale affermazione, in primo luogo, è desumibile dal fatto che esso sia legittimamente utilizzabile solo nel caso di situazioni sopravvenute di tutela dell’interesse pubblico, mentre, in materia civilistica, il recesso costituisce una libera pattuizione delle parti. In secondo luogo, la possibilità di corrispondere un indennizzo – a fronte del recesso dell’amministrazione – è legislativamente prevista, configurando un’ipotesi di danno da atto illecito tipico dell’agire autoritario delle amministrazioni pubbliche.
D’altra parte, quanto al più volte citato comma 4 dell’articolo 11, non può sottacersi che la ratio ispiratrice della norma è volta alla tutela del contraente privato in quanto parte debole del rapporto consensuale, sicché il potere di recesso è limitato sia dal punto di vista dei presupposti (la sopravvenienza di interessi pubblici) sia dal punto di vista delle conseguenze (la previsione di un indennizzo).
In caso di accordi pubblici, invece, non solo non vi è un contraente debole bisognoso di tutela, ma si fronteggiano amministrazioni, le quali, tutte, perseguono l’interesse pubblico e possono esercitare poteri autoritativi.
In conclusione, deve ritenersi che la cessazione degli effetti degli accordi pubblici possa aversi con la revoca o l’annullamento d’ ufficio, con la conseguenza che i presupposti saranno quelli propri, rispettivamente, degli articoli 21 quinquies[12] e 21-nonies[13] della Legge 241/90 e che, pertanto, il recesso da un contratto volto alla erogazione di prestazioni sanitarie stipulato con un’amministrazione pubblica, potrà aversi a fronte di sopravvenuti motivi di interesse pubblico e/o di una nuova ponderazione comparativa degli interessi, senza che sia previsto legislativamente un indennizzo[14].
[1] Gli accordi stabiliscono le modalità e i criteri – anche qualitativi – di erogazione delle prestazioni e dei servizi che la Regione e/o le Aziende sanitarie concordano con le strutture pubbliche ed equiparate. Sono caratterizzati per la mancata previsione di un corrispettivo.
[2] I contratti, invece, convengono le modalità, i criteri, le tipologie e i volumi delle prestazioni che le Aziende (o le Regioni) acquistano dalle strutture private o dai professionisti accreditati. In quanto tale, il contratto ha natura sinallagmatica e prevede l’individuazione di un corrispettivo determinato sulla scorta dei limiti di spesa stabiliti in sede regionale.
[3] Revisionata dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” in Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 – Suppl. Ordinario n. 196.
[4] Consiglio di Stato, Ad. Pl., sent. 12 aprile 2012, n. 4.
[5] TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 24 gennaio 2013, n. 72, in Foro Amm. TAR 2013, I, 289.
[6] Il quale al comma 1 dispone che: “[…] l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”.
[7] Il quale al comma 1 dispone che “le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”.
[8] In merito alle obbligazioni derivanti dagli accordi procedimentali ex art. 11 L. 241/90 si rinvia a RENNA M., Il regime delle obbligazioni nascenti dall’accordo amministrativo, 1/2010, pp. 27-84.
[9] T.A.R. Perugia, (Umbria), sez. I, 5 maggio 2014, n. 238, in Foro Amministrativo (Il) 2014, 5, 1564 (s.m).
[10] Vedi Corte dei Conti, sez. Puglia, 21 marzo 2003, n. 244 secondo cui, quanto agli accordi pubblici, delle due interpretazioni astrattamente possibili, del recesso non consentito e del recesso consentito anche a prescindere dalla sopravvenienza di motivi di pubblico interesse, e senza che residui alcun obbligo di indennizzo, appare senz’altro più plausibile la seconda, sia per l’inesauribilità del potere amministrativo, sia in quanto, vertendosi in materia di accordi fra enti pubblici, non assumono rilievo gli interessi privati che, a norma dell’articolo 11, comma 4, L. 241/90, per quanto recessivi, devono essere indennizzati per il sacrificio sopportato.
[11] GIACCHETTI S., Partecipazione e tutela cautelare, in Consiglio di Stato, 1990, II, pp. 1316 ss.
[12] Il provvedimento di revoca di cui all’art. 21-quinquies, comma 1, può essere adottato: per sopravvenuti motivi di interesse pubblico; nel caso di mutamento della situazione di fatto; mediante nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
[13] L’annullamento d’ufficio di cui all’articolo 21-nonies, comma 1, può essere adottato: per ragioni di interesse pubblico; tenendo indenni gli interessi dei soggetti coinvolti; entro un termine ragionevole.
[14] DE ANGELIS P., L’affidamento dei servizi sanitari e socio-sanitari: tra esigenze specifiche e vincoli normativi, Bononia University Press, 2013, pp. 119 ss.
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