Accordi ex art. 11 l. 241/1990 e strumenti di tutela giurisdizionale configurabili in capo al privato direttamente interessato ed ai terzi.

Ronconi Sara 06/12/07
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Il formale riconoscimento operato con la l. 241 del 1990 dell’interesse partecipativo inaugurante un modello concordato di gestione dell’interesse pubblico, ha inteso realizzare una serie di funzioni: da un lato, l’interloquio del cittadino con la P.A. ha portato ad un arricchimento dell’attività istruttoria degli interessi privatistici suscettivi di controbilanciare il perseguimento, primario e fondamentale, dell’interesse pubblico, dall’altro, l’intervento attivo ed orientativo dell’attività della P.A. del privato ha altresì permesso una deflazione del contenzioso rispetto alle ipotesi tradizionali di attività provvedimentale autoritativa ed unilaterale.
Acquisire, infatti, previamente un consenso del privato, in particolare in materia di accordi ex art. 11 l. 241/’90, all’adozione del provvedimento, giova nell’ottica di riduzione del contenzioso successivo.
In particolare, un possibile esito dell’attività amministrativa perseguente il primario ed indefettibile interesse pubblico, può essere, appunto ed in forza della partecipazione privatistica, uno degli accordi previsti dall’art. 11 che oltre a valorizzare l’interesse privatistico realizza altresì esigenze di semplificazione del procedimento amministrativo e, quindi, di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa (artt. 97 Cost. e l. 241/’90).
Gli accordi contemplati dall’art. 11 possono avere carattere procedimentale o sostitutivo del provvedimento finale. Nei primi il contenuto concordato vincola il quomodo del provvedimento finale con rilevante sgravio degli adempimenti della istruttoria i cui elementi, siano essi acquisiti unilateralmente dalla P.A. sia mediante l’apporto collaborativo del privato, confluiscono nel contenuto dell’accordo. La seconda tipologia di accordi sostituisce, invece, il provvedimento finale non inserendosi nella fase istruttoria bensì decisoria del procedimento addivenendo, appunto, ad una sostituzione e non già ad un mero recepimento dell’accordo, del provvedimento finale anche da un punto di vista formale. In quest’ultimo caso si assiste, quindi, fermo restando il primario interesse pubblico perseguito dalla P.A. alla stregua della norma attributiva del potere prodromico a tale soddisfacimento, ad un modulo di esercizio dell’azione amministrativa, appunto, consensuale, ove la partecipazione del privato può raggiungere la sua massima espressione.
La previsione dell’art. 11 arricchisce, dunque, di contenuto tutte le norme attributive di poteri amministrativi per il perseguimento degli scopi previsti in quanto, accanto al modello provvedimentale tradizionale sfociante in un provvedimento unilaterale ed autoritativo, prevede un diverso quomodo di esercizio della pubblica funzione appunto convenzionale. Tale previsione è stata generalizzata dalla l. 15 del 2005 in riforma dell’art. 11 rispetto al previgente principio di tipicità che ne consentiva la conclusione nelle varie e specifiche ipotesi normative di settore, rispetto alla già originaria generalità degli accordi procedimentali. L’attuale generalizzazione della possibilità di addivenire ad un accordo sostitutivo ex l. 15 è esclusa espressamente per le specifiche ed eccezionali ipotesi di cui all’art. 11 concernenti casi ove è prevalente l’interesse pubblico e conseguentemente inadeguato il ricorso a strumenti consensualistici.
Si può, però, rilevare che tale discrimine rispetto al tradizionale modulo provvedimentale ne inficia la possibilità di una completa equiparazione. Le eccezioni, cioè, previste per il modello consensuale di esercizio dell’azione pubblica suggerirebbero una forma di non superato scetticismo rispetto all’adeguatezza del modulo consensuale di perseguire e soddisfare l’interesse pubblico primario.
Inoltre, la procedimentalizzazione degli accordi ex art. 11 prevede che l’accordo venga preceduto da una determinazione a contrarre, attraverso la quale la P.A. esterni le ragioni a fondamento della decisione di contrarre (efficienza, efficacia, semplificazione). Quindi la scelta di addivenire all’accorso deve essere giustificata come giustificata deve essere l’eccezione rispetto alla regola.
Rispetto, poi, alla già vigente normativa di settore che delineava la tipicità ed eccezionalità di tali accordi (cessione volontaria di aree nel procedimento espropriativo; convenzioni di lottizzazione), si deve ritenere, in linea con la dottrina, che rimangono assorbite dalla previsione del riformato art. 11. Tuttavia la giurisprudenza al riguardo non è univoca, ritenendosi assorbita dalla previsione generale dell’art. 11 la normativa sulla cessione volontaria delle aree rispetto alle convenzioni di lottizzazione che continuerebbero a trovare la loro disciplina nella normativa ad hoc. Ma in realtà è un falso problema. La riforma dell’art. 11 operata con la l. 15/’05 ha in verità generalizzato le ipotesi speciali mantenendo coerenti ed inalterati i tratti essenziali.
La dottrina amministrativistica ha, inoltre, elaborato la categoria dei c.d. contratti ad oggetto pubblico da tenere distinti rispetto agli accordi sostitutivi ex art. 11.
L’ipotesi così definita è, per esempio, quella della concessione contratto consistente in un provvedimento amministrativo concessorio che produce l’effetto traslativo o costitutivo in favore del privato al quale accede un accordo consensuale che disciplina la gestione del rapporto concessorio.
Il contratto è così ad oggetto pubblico in quanto disciplina lo svolgimento ed il modo di essere di un rapporto pubblico di concessione che trova la sua fonte in un provvedimento autoritativo unilaterale. La concessione ordinaria consiste, invece, in un provvedimento unilaterale che dispone l’effetto traslativo o costitutivo in favore del privato disciplinando altresì lo svolgimento del rapporto concessorio e stabilendo diritti ed obblighi a carico del concessionario.
Dalla diversità rispetto alle ipotesi dei contratti ad oggetto pubblico si rilevano le peculiarità degli accordi sostitutivi. In questi, infatti, il rapporto non trae la sua origine da un provvedimento amministrativo bensì, ed interamente, dall’accordo che appunto prende il luogo del provvedimento.
Inoltre, e questo vale anche per gli accordi procedimentali, gli accordi ex art. 11 si inseriscono nella fase genetica del procedimento, rispettivamente istruttoria per gli accordi procedimentali e decisoria per quelli sostitutivi.
I contratti ad oggetto pubblico diversamente possono anche seguire l’adozione del provvedimento amministrativo, fonte del rapporto pubblico concessorio, limitandosi a disciplinare l’attuazione, quindi convivendo e presupponendo un provvedimento ma non inserendosi nella medesima fase procedimentale di adozione.
Gli accordi ex art. 11, inoltre, secondo la formulazione letterale della norma, dipenderebbero dall’iniziativa del privato, quale apice dell’estrinsecazione del suo potere partecipativo determinando l’epilogo del procedimento amministrativo secondo la modalità dal medesimo determinata. E’ però da ritenere che, se la ratio originaria della riforma del 2005 era quella di equiparare, tendenzialmente, lo strumento consensuale a quello autoritativo, la medesima iniziativa spetti alla P.A. per una migliore soddisfazione dell’interesse pubblico. Il riferimento,pertanto, testuale sarebbe, dunque, suggerito dalla maggior determinazione accordata alla partecipazione del privato rispetto alla quale l’accordo sarebbe uno dei possibili ed auspicabili esiti, altresì in un’ottica semplificatrice del procedimento.
L’accordo, dunque, comporrebbe, bilanciandoli, l’assetto degli interessi pubblici e privati, rispetto ad una ponderazione unilateralmente ed autoritativamente posta, quindi sostituendo o definendo vincolativamente la scelta discrezionale della P.A.. Ed è, infatti, questa l’ipotesi tipica di applicazione degli accordi ex art. 11 analogamente alle ipotesi di discrezionalità tecnica ed, in una certa misura, alle ipotesi di discrezionalità interamente vincolata.
Bisogna, però, con riferimento a queste ultime, superare la prima obiezione sollevabile, cioè che la predeterminazione legale dei presupposti di fatto al ricorrere dei quali bisogna adottare un certo provvedimento con un dato contenuto, non lascerebbe spazio all’accordo tra P.A. e privato.
Innanzitutto, è da rilevare come, a parte l’esiguo numero di atti interamente vincolati, residuino sempre margini di discrezionalità entro i quali un accordo è quindi concepibile. Inoltre, anche in tali ipotesi può esservi interesse alla conclusione dell’accordo, che va ricondotto alla finalità di deflazione del contenzioso, a cui pure l’istituto dell’accordo risponde.
A sostegno della equiparazione tra modulo consensuale e autoritativo della funzione pubblica, secondo la ratio della riforma del 2005, è da rilevare che il ricorso all’accordo stipulato in forma scritta e soggetto ai medesimi controlli ai quali sarebbe soggetto il corrispondente provvedimento finale, non costituisce una forma di elusione della disciplina dei controlli amministrativi.
A norma dell’art. 11 gli accordi sono stipulati con salvezza dei diritti dei terzi che sembra richiamare l’art. 1372 c.c. ovvero il principio di relatività degli effetti del contratto alle sole parti contraenti con esclusione di coloro che ne sono rimasti estranei, salvi gli effetti favorevoli ampliativi della sfera giuridica sempre riferibili ai terzi fino al loro rifiuto.
In ciò si ravvisa una rilevante differenza rispetto ai provvedimenti che in quanto autoritativamente posti producono i loro effetti anche indiretti o riflessi nei confronti di soggetti diversi dal destinatario diretto del provvedimento rendendoli legittimati all’impugnazione in caso di lesione.
In caso di accordo il destinatario diretto, se uno e solo, è lo stipulante nei confronti del quale, oltre che della P.A., si produrranno gli effetti del contratto. La previsione “con salvezza dei diritti dei terzi” esclude che l’accordo possa avere efficacia nei confronti di soggetti diversi dagli stipulanti, i quali possono essere, in primis, i destinatari in via diretta o riflessa degli effetti del provvedimento amministrativo ed, in secundis, rimanendo nel campo consensuale, gli altri destinatari, pur diretti del provvedimento, che non addivengono all’accordo.
La previsione normativa, quindi, sancisce il limite di efficacia dell’accordo sostitutivo rispetto al provvedimento sostituito, ridimensionandolo rispetto a questo, appunto, attraverso la salvezza dei diritti di coloro che rispetto all’accordo siano terzi ed affermandone la diversa natura giuridica, appunto privatistica, ma non libera bensì con vincolo di scopo.
Gli accordi ex art. 11 rispetto agli accordi di diritto privato sono sempre accordi che, o destinati ad essere recepiti contenutisticamente in un provvedimento finale o con efficacia sostitutiva a questo, rimangono sempre uno strumento alternativo al modello provvedimentale e come questo funzionale al perseguimento, pur contemperato con l’interesse privato, dell’interesse pubblico tutelato dalla norma attributiva di potere.
Una volta concluso l’accordo, essendo vincolante giuridicamente per le parti stipulanti, si pone l’ulteriore questione dei rimedi di tutela delle situazioni giuridiche del privato e della P.A. in caso di inadempimento.
Le ricostruzioni sono diverse a seconda della tesi relativa alla natura giuridica dell’accordo alla quale si acceda.
Il necessario vincolo di scopo per il soddisfacimento dell’interesse pubblico che permea sia la fase genetica che attuativa, ha fatto propendere parte della dottrina per la natura pubblicistica dell’accordo rispetto alla tesi privatistica che lo equipara ai contratti di diritto privato.
La forte vincolatività del contratto allo scopo pubblicistico al quale è funzionale limita sia la fase formativa, non essendo i contraenti assolutamente liberi nel determinare il contenuto, sia la fase attuativa dovendo il contratto, pur ab origine conforme all’interesse pubblico, esser rimosso attraverso l’istituto del recesso se si rivela ex post inadeguato.
A sostegno ancora della tesi pubblicistica, la dottrina che la sostiene richiama il medesimo dato letterale che suffraga la teoria privatistica, ovvero il richiamo non già a tutte le norme in materia contrattuale del c.c. che sarebbe idoneo ex se ad equiparare l’accordo ex art. 11 ai contratti di diritto privato, bensì ai soli principi sottesi alla disciplina contrattuale del c.c..
Gli inadempimenti ipotizzabili e i relativi strumenti di tutela sono il campo nel quale le diverse ricostruzioni e inquadramenti dogmatici sulla natura giuridica dell’accordo ex art. 11 mostrano la loro dimensione eminentemente pratica. In caso di inosservanza da parte della P.A. stipulante di conformare il contenuto del provvedimento finale all’accordo procedimentale convenuto, il privato contraente potrebbe, alla stregua della tesi pubblicistica, impugnare, appunto, il provvedimento amministrativo finale per eccesso di potere.
Eccede la P.A. nell’esercizio del potere perché lo esercita ex facto disfunzionalmente rispetto a quella ponderazione bilaterale degli interessi in gioco ritenuta adeguata al soddisfacimento dell’interesse istituzionale che è stata convenuta. Ovvero ricorrere al procedimento sul silenzio a fronte del comportamento inerte della P.A. che se reiterato ulteriormente, potrebbe acquisire la significanza di rifiuto di provvedere ovvero di adempiere all’obbligo assunto contrattualmente.
Correlativamente i rimedi concepibili accedendo alla tesi privatistica, sono nel caso di difformità del provvedimento finale con il contenuto convenuto nell’accordo, quelli della risoluzione per inadempimento del contratto con effetto caducatorio anche del provvedimento ovvero dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c. in caso di inerzia o azione di esatto adempimento in caso di difformità parziale.
Il privato può però a seguito dell’inadempimento della P.A. aver subito un danno. Accedendo alla tesi privatistica e considerando diritto soggettivo la posizione vantata e lesa del privato contraente, il rimedio risarcitorio è quello ordinario rispetto alla lesione, secondo la tesi pubblicistica, di una situazione, invece, di interesse legittimo, ugualmente risarcibile ma a diverse condizioni e presupposti (prove, valutazione dell’elemento soggettivo, etc.).
Con riferimento all’accordo sostitutivo l’inadempimento della P.A. può manifestarsi attraverso l’adozione di un provvedimento successivo difforme rispetto all’accordo ovvero attraverso la mancata attuazione degli obblighi assunti. In particolare, la P.A. deve sempre perseguire il fine pubblico e sempre in vista del migliore soddisfacimento del quale alla stregua dei criteri di efficienza, efficacia, semplificazione e funzionalità dell’azione amministrativa, preferire estrinsecandone le ragioni nella c.d. determinazione a contrarre, la via contrattuale.
Tutto questo ex ante. Ex post può, però, l’accordo rivelarsi inadeguato a soddisfare quell’interesse pubblico sia per fatti originari ma non ponderati sia per fatti sopravvenuti. In quest’ultima ipotesi il rimedio è previsto ex lege potendo la P.A. recedere dal contratto.
Lo strumento previsto dall’art. 11 mutua la terminologia privatistica tipica dei contratti e corrisponde sul piano del diritto amministrativo alla tradizionale figura di autotutela della revoca per fatti sopravvenuti. Nell’ipotesi in cui, invece, la P.A. si limita a rivalutare ex post diversamente la situazione di fatto e di interessi esistente al momento della stipula ravvisando una inadeguatezza nel soddisfare l’interesse pubblico non rilevata, bisogna distinguere. Accedendo alla tesi privatistica il contratto non tollera lo ius poenitendi potendo le parti addivenire allo scioglimento consensualmente (per mutus consensus). Questo è naturalmente pacifico, però, la P.A. deve perseguire l’interesse pubblico e poter recedere da contratti stipulati che ad una rivalutazione ex post della medesima situazione di fatto e di interessi non siano conformi alle finalità pubblicistiche. A tale stregua è stato prospettato un particolare rimedio secondo il quale, stante l’intangibilità dell’accordo di diritto privato, si ravvisa in capo alla P.A. un potere di autotutela che si concretizzerebbe nell’annullamento della determinazione a contrarre che in quanto atto presupposto comporterebbe la caducazione in via indiretta del contratto presupponente. Accedendo alla tesi pubblicistica, essendo permanentemente rilevante e preminente l’interesse pubblico ex art. 97 Cost., si deve, invece, ritenere sempre possibile una sorta di diritto di recesso o comunque un potere di caducazione ex nunc del contratto per iniziativa unilaterale della P.A.. Tale rimedio va, però, distinto dal recesso ex art. 11 per fatti sopravvenuti, in quanto non ha diritto all’indennizzo il privato contraente che ha fatto affidamento sulla validità ed efficacia del contratto poi sciolto unilateralmente per una diversa valutazione dell’interesse pubblico originario, potendosi al più ipotizzare il rimedio risarcitorio per responsabilità precontrattuale limitato al c.d. interesse negativo (spese sostenute e chances perdute).
Tali e tanti giri di parole per poi addivenire alla medesima soluzione, concordando però, nella necessità che una ve ne sia in ossequio al principio di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost..
 
 
d.ssa Sara Ronconi

Ronconi Sara

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