Accordo su riforma Regolamento Dublino: normativa UE immigrazione

L’Unione europea, coinvolta in prima linea nella gestione dei flussi migratori, offre delle soluzioni emergenziali e solo apparentemente securitarie, che in realtà non sembrano trovare la propria giustificazione nel disegno europeo originario, improntato «sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani»[1].
I recenti naufragi sulle coste di Cutro, in Calabria, e nel mare greco sono solo alcuni degli ultimi episodi di una vera e propria catastrofe umanitaria. Purtuttavia, l’ennesima tragedia consumatasi nel Mediterraneo non sembra aver dato la spinta necessaria per una revisione profonda delle politiche migratorie europee. In questo senso, infatti, sembra procede il recente accordo raggiunto dal Consiglio europeo in tema di immigrazione e asilo, che andrebbe a modificare e a superare, una volta approvato dal Parlamento europeo, il Regolamento di Dublino
.

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Indice

1. Le principali norme europee in tema di immigrazione


Prima di analizzare l’accordo del Consiglio europeo, si procederà all’analisi delle norme più importanti che regolano la gestione del fenomeno migratorio all’interno dell’Unione europea.
Il diritto d’asilo e l’immigrazione vengono regolamentati all’interno di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia che, in virtù dell’art. 3 del Trattato sull’Unione europea[2], viene ulteriormente specificato dall’art. 67 all’art. 89 del titolo V del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea[3]. In questa serie di materie si interviene applicando direttamente la legge sovranazionale, e non la legge del singolo Stato. Da ciò sembrerebbe, almeno apparentemente, che un maggiore margine di intervento delle istituzioni europee si accompagni a una maggiore attenzione rivolta alle esigenze dei migranti: tuttavia, non è sempre così.
La base giuridica della politica d’immigrazione dell’Unione europea è fondata sugli articoli 79[4] e 80[5] del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
L’art. 79 fa riferimento a «una politica comune sull’immigrazione per assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi, la prevenzione e il contrasto dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani»[6]. L’art. 80 TFUE, invece, enuncia esplicitamente i principi di solidarietà ed equa ripartizione alla base delle politiche dell’Unione in ambito migratorio[7].
Il concetto di solidarietà che si dovrebbe seguire ex art. 80 TFUE, sebbene di difficile interpretazione, è quello di coinvolgimento e responsabilità attiva dei singoli Stati dell’Unione Europea[8]. Il più grande ostacolo al raggiungimento di questa unità d’intenti sta nella presenza di un «pluralismo normativo»[9], con ciò intendendo la mancanza di una competenza unicamente europea – e quindi comune – in tema di immigrazione, ambito in cui la discrezionalità decisionale dei singoli Stati è molto spesso dettata da ragioni di opportunità politica.
Ma l’art. 80 TFUE si fonda anche sull’equa distribuzione dei migranti nel territorio europeo[10]. È innegabile che solidarietà ed equa distribuzione siano due obiettivi tra loro inevitabilmente connessi, così come è innegabile che alcuni Paesi dell’Unione Europea – e il riferimento è al cosiddetto “Gruppo di Visegrad”, cioè Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – si siano dimostrati particolarmente riottosi all’accoglienza degli immigrati[11].
Il Trattato di Schengen, uno degli accordi più importanti dell’Unione Europea, che ha come obiettivo primario l’eliminazione dei controlli alle frontiere interne ai singoli Stati dell’Unione, nonché la conseguente introduzione della libertà di circolazione nei Paesi firmatari, in altri Paesi non firmatari e in alcuni Paesi terzi.
L’applicazione della normativa prevista nel Trattato, che già all’epoca della sua stipulazione trovò non poche obiezioni, è entrata a tutti gli effetti nell’acquis dell’Unione, e ha anzi ricevuto un nuovo impulso dal “codice frontiere Schengen”[12], con cui si è ribadito il divieto di controlli sia alle frontiere interne sia a 20 km di distanza dalle stesse, tranne nel caso di minaccia grave per l’ordine pubblico. Con il suddetto regolamento è stata disciplinata anche la materia relativa alle frontiere esterne: i Paesi membri hanno l’obbligo di individuare determinati punti di transito attraverso i quali è possibile oltrepassare le frontiere ed entrare nel territorio UE, con relativo controllo e sorveglianza su coloro che effettivamente giungono in territorio europeo. Tuttavia, l’accordo di Schengen non ha tenuto conto del fenomeno della cosiddetta migrazione interna, cioè la migrazione che avviene negli Stati membri dell’Unione Europea da parte di soggetti provenienti da Paesi terzi per richiedere asilo.
Per gestire i flussi migratori e al contempo per tutelare pienamente i diritti dei migranti, l’Unione ha costituito l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, meglio conosciuta come Frontex[13], che presenta però elementi di forte criticità.
La missione principale di Frontex sarebbe prestare un aiuto ai Paesi dell’Unione Europea per quel che concerne la gestione delle frontiere esterne, armonizzando i vari tipi di controllo e agevolando la collaborazione tra le autorità di frontiera dei singoli Stati membri. In realtà, organizzazioni non governative e associazioni a tutela dei diritti umani hanno spesso denunciato respingimenti illegittimi ad opera di Frontex. Emerge che l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera ha pertanto leso uno dei cardini del diritto europeo e del diritto internazionale, vale a dire il principio di non respingimento, invocato dalla Convenzione di Ginevra del 1951e dal Protocollo del 1967 relativo allo status di rifugiato. Il principio di non respingimento vieta l’espulsione o il respingimento del rifugiato e richiedente asilo verso Paesi «in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche»[14].


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2. Il recente accordo sulla riforma del Regolamento di Dublino


Si arriva, ora, all’analisi di quella che è forse la norma più importante, nonché più controversa, nella gestione dei flussi migratori nel territorio dell’Unione: il Regolamento di Dublino[15], il quale è, come evidenziato dal presente contributo, oggetto di revisione da parte del Consiglio europeo[16]. La legge vigente è il regolamento UE n. 604/2013 (c.d. Regolamento Dublino III), il quale mostra chiaramente gli aspetti controversi delle strategie adottate dall’Unione in tema di immigrazione. Il regolamento definisce i criteri di determinazione dello Stato membro competente nell’analisi della domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino di paese terzo o da soggetto apolide. Sarà quindi competente lo Stato membro dove può meglio realizzarsi il ricongiungimento familiare del richiedente; ovvero lo Stato membro che ha rilasciato al richiedente un titolo di soggiorno o un visto di ingresso in corso di validità; o, infine, lo Stato membro la cui frontiera è stata varcata illegalmente dal richiedente (anche conosciuto come “criterio del primo ingresso illegale”).
Bisogna ricordare, però, che ancora oggi manca una politica di asilo comune, e quindi i soggetti possono presentare richiesta di protezione internazionale non nel Paese in cui vorrebbero effettivamente vivere, ma solo nello Stato in cui arrivano (quindi, tenendo conto della loro posizione nel Mediterraneo, a essere maggiormente coinvolte sono Italia, Spagna e Malta).
Numerosi sono stati i tentativi di riforma del Regolamento Dublino III, rimasti, tuttavia, lettera morta[17]. Ciò almeno fino al recente accordo raggiunto dal Consiglio europeo, sebbene, a detta di molti, l’ossatura del Regolamento di Dublino non muterebbe in modo sostanziale, in quanto le riforme proposte sembrerebbero poco coraggiose e tutte a svantaggio dei migranti.
Pur dovendo attendere che il testo di legge definitivo venga approvato dal Parlamento europeo, secondo quanto riportato è stata proposta una redistribuzione volontaria dei richiedenti asilo tra gli Stati membri, che però può anche essere sostituita da un contributo finanziario. Nessuno sarà obbligato a ricollocare migrati sul suo territorio, pertanto, anche se si è definito un target europeo di almeno 30 mila ricollocamenti all’anno e di 600 milioni di contributi finanziari diretti.
Interessante è la logica della “condizionalità” alla base del meccanismo del ricollocamento dei migranti: i Paesi membri dell’UE possono, infatti, rifiutarsi di offrire solidarietà a quei Pesi il cui sistema d’asilo abbia limiti strutturali di portata tale da compromettere l’attuazione delle regole europee sull’attribuzione della responsabilità. Da ciò deriva che a essere posti sotto stress saranno i Paesi di primo ingresso, i quali non dovranno soltanto prendere in carico i migranti che arrivano nel loro territorio, ma, alla luce del recente tentativo di riforma, anche i richiedenti asilo che si sono spostati verso un altro Paese UE fino a due anni dal primo ingresso (e non più fino a 12 mesi, come è disciplinato attualmente).
Altro aspetto fortemente controverso dell’accordo riguarda l’obbligo di ricorso alle “procedure d’asilo di frontiera”: esse consistono nell’obbligo di considerare i richiedenti asilo di una nazionalità con tasso di riconoscimento della protezione internazionale inferiore al 20% – e quest’obbligo si estende anche ai minori e ai richiedenti asilo vulnerabili – come non ancora ammessi nel territorio Ue, trattenendoli nei luoghi di frontiera, molto spesso in condizioni disumane e degradanti.
Inoltre, i richiedenti asilo assoggettati a tale procedura di frontiera che vedono rigettata la propria domanda devono essere rimpatriati direttamente dalla frontiera, senza autorizzazione a fare ingresso nel territorio dell’Unione. Poiché la procedura d’asilo di frontiera può durare fino a 12 settimane, estendibili fino a 16, e poiché gli Stati membri dispongono di ulteriori 12 settimane per portare a termine la suddetta procedura, il migrante può essere trattenuto in condizioni simili a una detenzione de facto alla frontiera fino a sette mesi.
I costi materiali della nuova solidarietà europea saranno pagati dai singoli Stati membri; tuttavia, appare chiaro che a dover sopportare le conseguenze tragiche dell’approccio utilitaristico e miope dell’Unione europea in merito alla questioni migratorie sono proprio migranti e richiedenti asilo.

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Novità di questa edizione è la trattazione delle procedure anagrafiche riguardo sia ai cittadini europei e ai loro familiari che ai cittadini di paesi terzi.

  1. [1]

    Come recita testualmente l’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE): «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini»

  2. [2]

    L’art. 3 del TUE afferma: « L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.
    L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.
    Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri.
    Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo»

  3. [3]

    Il Titolo V del TFUE disciplina lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

  4. [4]

    « 1. L’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani.
    2.   Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure nei seguenti settori:
    a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare;
    b) definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri;
    c) immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l’allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare;
    d) lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori.
    3. L’Unione può concludere con i paesi terzi accordi ai fini della riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l’ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri.
    4. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure volte a incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.
    5. Il presente articolo non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo»

  5. [5]

    «Le politiche dell’Unione di cui al presente capo e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio»

  6. [6]

    Art. 79 TFUE, comma 1

  7. [7]

    Art. 80 TFUE.

  8. [8]

    Cfr. D. Congedi, La solidarietà nell’ordinamento dell’Unione in tema di immigrazione e asilo, in “Ius In Itinere”, 11 agosto 2021

  9. [9]

    Termine usato in A. Facchi, I diritti nell’Europa multiculturale. Pluralismo normativo e immigrazione, Laterza, Roma-Bari, 2001

  10. [10]

    Cfr. ancora una volta l’art. 80 TFUE.

  11. [11]

    In merito, v. J. Vargovčíková, Le Groupe de Visegrad, 20 ans après, Politique étrangère, Vol. 77, No. 1, 2012, pp. 147-159; R. Markowski, Populism and Nationalism in CEE: Two of a Perfect Pair?, In A. Martinelli (ed.), “When populism meets nationalism”, Ispi, 2019

  12. [12]

    È il nome con cui comunemente viene identificato il Regolamento (UE) n. 2016/399

  13. [13]

    L’agenzia è stata istituita con il Regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, del 14 settembre 2016, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea che modifica il regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, e abroga il regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio e la decisione 2005/267/CE del Consiglio europeo.

  14. [14]

    Principio ripreso dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, il quale afferma che «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche»

  15. [15]

    Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, ora non più in vigore

  16. [16]

    Si tratta della “Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione dell’asilo e della migrazione e che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio e la proposta di regolamento (UE) XXX/XXX [Fondo Asilo e migrazione]” e della “Proposta modificata di regolamento del Parlamento e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE”

  17. [17]

    Come evidenziato in S. De Stefani, Cosa resta di Dublino. Il Nuovo Patto Europeo su migrazione e asilo, in “Altalex.com”, 26/03/2021

Linda Brancaleone

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