Accreditamento sanitario tra limiti di spesa, discrezionalità della P.A. e interessi degli operatori

Diana Vitale 30/12/21
Il piano di rientro dal deficit sanitario non può essere addotto quale fattore impeditivo di nuovi accreditamenti, in quanto esso – pur nel rispetto delle linee programmate di spesa – non preclude affatto ab origine ai nuovi enti accreditati di poter accedere alla successiva fase della contrattualizzazione. La P.A., fermi i tetti di spesa definiti per l’anno in corso o per la proroga dei tetti dell’anno precedente, ben può valutare di ridimensionare le prestazioni delle strutture già convenzionate per consentire l’accesso alle nuove già accreditate, come può considerare altre misure idonee ad evitare, di fatto, la chiusura del settore all’ingresso di nuovi operatori.

Il Consiglio di Stato, adito per la riforma della sentenza del Tar Molise, sez. I, n. 296/2020 si sofferma sul delicato tema della spesa sanitaria, in riferimento ai soggetti accreditati, quando in particolare sia operativo un piano di rientro dal deficit.

Indice:

  1. La normativa
  2. L’attività di programmazione
  3. La spesa
  4. Tutela dell’affidamento degli operatori privati

La normativa

La normativa di riferimento – D.Lgs. n. 30 dicembre 1992, n. 502 – dispone nel senso che:

– le “strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell’ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento” (art. 8-sexies, comma 1);

– le Regioni stabiliscono i “criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura” (art. 8-quinquies, comma 1, lett. d).

L’attività di programmazione

Secondo la Corte di Cassazione (sez. III, 6 luglio 2020, n. 13884) tanto la fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario, per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, quanto la determinazione dei preventivi annuali delle prestazioni, risulta essere rimessa ad un atto autoritativo e vincolante di programmazione regionale, e non già ad una fase concordata e convenzionale.

Tale attività di programmazione, tesa a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l’adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate (Cass. civ., sez. IIII, 31 ottobre 2019, n. 27997; Cons. Stato, A.P., 12 aprile 2012, n. 3).

In altri termini, l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, di talchè si è ritenuta giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget, e ciò in ragione della necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cass. civ., sez. III, 29 ottobre 2019, n. 27608; Cons. Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 566; Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2015, n. 1832).

Una conclusione, questa, che si è ritenuto essere confortata dalle stesse norme vigenti in materia (L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 8; D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 12, comma 3; D.Lgs. n. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 39), le quali hanno disposto che, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema sanitario non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema (Cass. civ., sez. 3, n. 27608 del 2019, cit.).

Quello, infatti, che viene in rilievo in tale ambito è un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, posto che deve bilanciare interessi diversi e per certi versi contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono secondo una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico.

Il tutto, però, sempre nella prospettiva che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non resti subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici, giacché, in definitiva, gli operatori privati restano liberi di valutare la convenienza a continuare ad operare in regime di accreditamento accettando le limitazioni imposte, oppure di collocarsi al di fuori del servizio sanitario nazionale e continuare ad operare privatamente (Corte Cost., 26 maggio 2005, n. 200).

Emerge dunque come la programmazione della spesa assegnata a ciascun operatore discenda non dalla qualità delle prestazioni e dalla loro funzionalità rispetto agli indirizzi di programmazione regionale (art. 8-quater d.lgs. n. 502/1992) bensì dalla maggiore propensione del singolo operatore ad operare extra budget, assumendosi il rischio della mancata remunerazione delle prestazioni in esubero rispetto alla programmazione.

La spesa

Un punto critico della materia, emerso dalla prassi operativa degli enti e delle strutture pubbliche e private coinvolte, è stato individuato nella fisiologica sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, rendendo quindi problematica una programmazione d’impresa in un sistema di tipo concorrenziale.

Si è rilevato, in proposito, che gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente, diminuite, ovviamente, della riduzione della spesa sanitaria effettuata dalle norme finanziarie dell’anno in corso (Cons. Stato, A.P., 2 maggio 2006, n. 8).

Si è avuto, altresì, modo di evidenziare, a tutela del legittimo affidamento degli operatori economici, che gli eventuali scostamenti delle determinazioni sopravvenute non possono assumere carattere rilevante, ove non si intenda deludere le legittime aspettative degli operatori privati (Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2018, n. 2551).

Tutela dell’affidamento degli operatori privati

La tutela delle legittime aspettative degli operatori privati, in coerenza con il fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici, riposa, in primo luogo, sulla valorizzazione dell’affidamento degli operatori economici sull’ultrattività dei tetti già fissati per l’anno precedente, salve le decurtazioni imposte dalle successive norme finanziarie.

La tutela di tale affidamento richiede, pertanto, che le decurtazioni imposte al tetto dell’anno precedente, ove retroattive, siano contenute, salvo congrua istruttoria e adeguata esplicitazione all’esito di una valutazione comparativa, nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio e nel corso dell’anno.

Più in generale, la fissazione di tetti retroagenti impone l’osservanza di un percorso istruttorio, ispirato al principio della partecipazione, che assicuri l’equilibrato contemperamento degli interessi in rilievo, nonché esige una motivazione tanto più approfondita quanto maggiore è il distacco dalla prevista percentuale di tagli.

Inoltre, la considerazione dell’interesse dell’operatore sanitario a non patire oltre misura la lesione della propria sfera economica anche con riguardo alle prestazioni già erogate fa sì che la latitudine della discrezionalità che compete alla regione in sede di programmazione conosca un ridimensionamento tanto maggiore quanto maggiore sia il ritardo nella fissazione dei tetti.

Occorre invero evitare che il taglio tardivamente effettuato possa ripercuotersi sulle prestazioni già erogate dalle strutture nella ragionevole aspettativa dell’ultrattività della disciplina fissata per l’anno precedente, con le decurtazioni imposte dalle norme finanziarie (v. Trib. Bari, sez. II, 5 marzo 2021, n. 944).

Nel contesto di tale, complesso, quadro di riferimento normativo e giurisprudenziale l’adito Collegio di Palazzo Spada, nella sentenza qui in esame, limita i poteri della P.A. a fronte di un piano di rientro dal deficit sanitario precisando come lo stesso non sia, ex sé, sufficiente a giustificare l’esclusione di nuove strutture dal regime della  contrattualizzazione conseguente all’accreditamento, dovendo la P.A., pur nel rispetto dei tetti di spesa, valutare l’opportunità di ridimensionare le prestazioni a favore dei soggetti già accreditati per consentire l’accesso al mercato di nuovi soggetti.

Sentenza collegata

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