Per aperture lucifere che si trovano all’interno di un edificio condominiale è ipotizzabile, in favore di chi ne beneficia, la possibilità di acquisto della relativa servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.
riferimenti normativi: artt. 901 c.c.; 904 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass., sez. II, Sentenza n. 14442 del 22/06/2006
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Indice
1. La vicenda
Una condomina si rivolgeva al Tribunale chiedendo il ripristino di un’apertura con inferriata presente nel vano cucina del proprio appartamento e diretta verso la scala di accesso alla proprietà di un altro condomino. Nel corso del procedimento emergeva che l’apertura oggetto di lite risaliva “quanto meno al 1926” (quando le due porzioni immobiliari appartenevano ad un unico proprietario). Lo stesso convenuto aveva affermato che dopo aver acquistato l’immobile aveva installato un pesante vetro smerigliato, fisso, che occludeva fino a due terzi di altezza l’apertura. In tempi più recenti, però, il convenuto faceva sostituire detto vetro con altro, di identiche caratteristiche, ma a tutta altezza, per evitare le pesanti immissioni di polvere causate dai lavori di ristrutturazione. Il Tribunale respingeva la domanda dell’attrice. La Corte di Appello ribaltava la decisione del Tribunale. I giudici di secondo grado dichiaravano acquisito per usucapione il diritto di mantenere l’apertura esistente tra l’immobile di proprietà della condomina appellante e il vano scala di proprietà esclusiva dell’altro condomino e condannava quest’ultimo alla rimozione dell’opera posta a interruzione della stessa. Il soccombente ricorreva in cassazione rilevando, tra l’altro, che la sentenza di appello non aveva precisato se fosse stata usucapita una “luce” o alternativamente una “veduta”. Inoltre contestava l’avvenuta costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, risalendo la separazione dell’iniziale unica proprietà al 1926 e non sussistendo all’epoca il “diritto all’apertura”.
2. La questione
Alle luci aperte tra un vano e l’altro del condominio è applicabile la disciplina prevista dagli artt. 900-904 c.c.?
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3. La soluzione
La Cassazione ha confermato la decisione di secondo grado, ricordando come in relazione alle aperture lucifere che si trovano all’interno di un edificio condominiale sia ipotizzabile, in favore di chi ne beneficia, la possibilità di acquisto della relativa servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia. Secondo i giudici supremi è condivisibile la conclusione della Corte che, in base alle compiute valutazioni di merito e sulla scorta delle risultanze istruttorie e della espletata CTU, ha riscontrato gli estremi oggettivi e soggettivi di una vera e propria servitù prediale, resa apparente dall’opera destinata al permanente esercizio della stessa. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
4. Le riflessioni conclusive
L’apertura di finestre o la trasformazione di luci in vedute su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c., considerato che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono utilmente fruibili a tale scopo dai condomini stessi, cui spetta la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere, appunto, aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in materia di luci e vedute, a tutela dei proprietari degli immobili di proprietà esclusiva. In proposito, l’indagine del giudice di merito deve essere indirizzata a verificare esclusivamente se l’uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato art. 1102 c.c., e, quindi, se non ne sia stata alterata la destinazione e sia stato consentito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo i loro diritti: una volta accertato che l’uso del bene comune sia risultato conforme a tali parametri deve, perciò, escludersi che si sia potuta configurare un’innovazione vietata (Cass. civ., sez. II, 09/06/2010, n. 13874). La giurisprudenza ha anche affermato che le aperture lucifere che si trovano all’interno di un edificio condominiale o comunque all’interno di un complesso immobiliare integrante una proprietà condominiale, a differenza di quelle che si aprono su un fondo aperto altrui ed alle quali fa riferimento l’art. 900 c.c., sono sottratte alla disciplina disposta da tali norme e in ordine ad esse, è ipotizzabile, in favore di chi ne beneficia, la possibilità di acquisto della relativa servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, e così la tutela possessoria dello stato di fatto su cui si basa l’eventuale esistenza della servitù medesima (Cass. civ., Sez. II, 14/05/1990, n. 4117; Trib. Bari, Sez. I, 28/11/2005). Tale principio vale, ad esempio, in relazione ad una porta a vetri collocata tra una chiostrina di proprietà esclusiva ed una scala di proprietà condominiale che da quella riceva luce. E’ stata affermata l’esistenza, per effetto del possesso “ad usucapionem”, della servitù gravante sul terrazzino del sovrastante vano (ubicato nell’edificio condominiale), nel quale si apriva fuoriuscendo con un “torrino” verticale – una condotta che, partendo da un foro praticato nel solaio del sottostante terraneo, svolgeva la funzione, oltre che di “lucernario”, di “sfiatatoio” a favore di quest’ultimo (Cass. civ., sez. II, 22/06/2006, n. 14442).
La sentenza in commento ha chiarito che il principio sopra espresso è operante anche per un’apertura con inferriata presente in un locale dell’unità immobiliare di un singolo condomino e diretta verso la scala di accesso alla proprietà di un altro condomino
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Massimo Serra (a cura di) | Maggioli Editore 2020
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