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La madre separata che impedisce al coniuge di vedere il proprio figlio commette reato e può andare in carcere. Questo anche nel caso di presunti rapporti conflittuali tra il figlio e il padre. Lo ricorda la Corte di Cassazione con una recentissima sentenza che ha confermato la condanna di una madre a tre mesi di carcere e al risarcimento dei danni per aver ostacolato in più occasioni il diritto di visita del padre.
Vediamo allora cosa prevede la legge in materia di diritto di visita ai figli.
Il diritto alla visita deve essere sempre garantito?
Il diritto di visita di un genitore, madre o padre, al proprio figlio è garantito dalla legge (Legge 8 febbraio 2006, n. 54) e stabilito e regolato nella pratica dal giudice in sede di separazione.
Il diritto del genitore separato di avere contatti significativi con il proprio figlio, inoltre, è espressamente regolato dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’articolo stabilisce che “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” e che “non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto”, salvo i rari casi di misure “necessarie alla sicurezza nazionale” o alla “protezione della salute”.
Carcere per il genitore che ostacola le visite dell’ex partner
La recentissima sentenza n. 50072/2016 della Corte di Cassazione ha confermato che il genitore che impedisce all’ex partner di vedere il figlio va incontro a pene severe. Nel caso di specie, una donna colpevole di non aver permesso, in più di un’occasione, all’ex coniuge di vedere la figlia nei tempi stabiliti dal giudice è stata condannata a tre mesi di carcere.
La donna è stata infatti ritenuta responsabile del reato ex art. 388, 2° comma, del codice penale, ovvero di essersi sottratta all’esecuzione di un provvedimento del giudice riguardo l’affidamento dei minori.
I rapporti conflittuali con il minore non sono una giustificazione
Ma non solo: la Corte di Cassazione ha stabilito che la giustificazione della donna, che dichiara l’esistenza di contrasti e disagi tra la figlia e il padre e la sua nuova compagna, non può permetterle di negare all’ex coniuge il diritto di visita.
Il disagio della bambina, rilevato anche dall’assistente sociale, era stato infatti ricondotto dalla Corte d’Appello allo stesso “atteggiamento non collaborativo” della madre, che si era prima rifiutata di aderire al percorso di mediazione suggerito dal giudice e aveva poi fatto constatare lo stato di agitazione della figlia. Stato di agitazione che, appunto, era dovuto in massima parte alla decisione della madre di non collaborare con il padre.
Come funziona l’affidamento dei figli?
In Italia, a partire dalla riforma del 2006, in caso di separazione di una coppia i giudici sono tenuti a prediligere le forme di affidamento dei figli che prevedano un’attribuzione stabile a entrambi i genitori. Se non ci sono cause gravi che lo impediscano, dunque, l’esercizio della responsabilità genitoriale dovrebbe essere esercitata di comune accordo. Questo a riguardo del maggiore interesse del figlio e della sua serenità durante la crescita, che deve essere sempre tutelata con particolare attenzione.
Nella pratica, tuttavia, viene spesso adottato l’affidamento esclusivo a uno solo dei genitori, in genere la madre. Questa misura è realizzata per garantire al figlio, ancora, una maggiore serenità e un proseguimento meno traumatico della vita familiare. Ma una tale prassi, in molti casi, limita nei fatti il diritto alla vista dell’altro genitore –in genere il padre.
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