La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sul ricorso di una madre contro l’affidamento condiviso dei due figli minori disposto dai giudici di secondo grado.
Gli Ermellini hanno concluso per il rigetto di tale ricorso, confermando sia la collocazione dei figli presso la madre che la disciplina delle frequentazioni con il padre. La decisione dei giudici di merito è stata ritenuta dalla Suprema Corte coerente e logica e, dunque, pienamente condivisibile.
Il legislatore privilegia la forma dell’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, al fine di garantire il suo diritto ad avere con essi un rapporto equilibrato e costante. L’affidamento esclusivo ad un solo genitore è possibile soltanto se risulti pregiudizievole per l’interesse preminente del figlio.
Secondo la Suprema Corte, la conflittualità esistente tra i due coniugi coinvolti nella vicenda non preclude il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso, che risulta il più idoneo a riequilibrare il rispettivo ruolo genitoriale nell’interesse della prole. Neppure il difficile rapporto del padre con i figli giustifica un regime di affido esclusivo, anche perché tale rapporto è stato addebitato, almeno in parte, al difetto di collaborazione tra i coniugi e alla scelta di non avvalersi del supporto dei servizi sociali. Non sono emersi, in definitiva, elementi contrari tali da giustificare una deroga alla regola della bigenitorialità.
I giudici di legittimità con la pronuncia del 3 dicembre 2012 n. 21591 confermano l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, secondo cui l’ostacolo a questa regola non può essere ravvisato nella qualità delle relazioni coniugali cui il figlio, per essere realmente tutelato e non travolto o, peggio, usato nel contrasto parentale, è e deve rimanere tendenzialmente estraneo.
Al di là degli attriti tra moglie e marito, l’applicazione dell’istituto dell’affido condiviso non è da escludere, poiché resta principale obbligo e preminente dovere di assunzione di responsabilità quella di provvedere in egual misura ai figli.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene che la contrarietà dell’affido condiviso all’interesse del minore deve essere interpretata restrittivamente (e ravvisata in una condotta del genitore gravemente pregiudizievole al figlio), in caso contrario la legge che privilegia tale forma di affido non avrebbe quasi mai applicazione.
La mera conflittualità tra coniugi, che spesso connota i procedimenti di separazione, non preclude il ricorso all’affidamento condiviso se si mantiene nei limiti di un tollerabile disagio per la prole. Esso assume connotati ostativi alla relativa applicazione qualora si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse.
L’istituto in questione è stato introdotto dalla Legge 8 febbraio 2006 n. 54 quale ordinario regime di affidamento della prole in caso di separazione e divorzio dei coniugi.
La novella legislativa si discosta dal criterio preferenziale dell’affidamento monogenitoriale e del carattere residuale dell’affidamento congiunto adottato dalla normativa previgente, ritenendo che affidare la prole ad un solo genitore rappresenta di per sé una compromissione del diritto del non affidatario, che vede limitato l’esercizio della sua potestà genitoriale.
Tale legge ha innovato l’art. 155 cod. civ. (nonchè aggiunto gli artt.155 bis a 155 sexies, disposizioni che trovano applicazione anche nei casi di nullità del matrimonio e nei procedimenti concernenti i figli di genitori non coniugati), che attualmente stabilisce il principio della bigenitorialità e che tende ad una maggiore responsabilizzazione dei genitori nell’elaborazione ed attuazione di un unico e concorde progetto educativo e formativo per i figli.
L’affidamento ad entrambi i genitori non comporta necessariamente che il minore non possa convivere con un solo genitore né una sorta di affidamento alternato, ma soltanto una piena e stabile compartecipazione di entrambi alla vita del figlio.
Per realizzare tale finalità, a norma dell’art. 155 comma 2 c.c., il giudice della separazione deve adottare i provvedimenti riguardanti la prole, attenendosi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore interesse alla salute ed una crescita serena ed equilibrata, in applicazione degli artt. 30 e 31 Cost.
L’interesse morale e materiale dei figli è il parametro fondamentale di riferimento: anche in situazioni di crisi e disgregazione della convivenza familiare, nessun pregiudizio deve subire il mantenimento, la cura, l’istruzione e l’educazione degli stessi.
Qualora l’affido condiviso non appaia conforme all’interesse del figlio, il giudice, con provvedimento motivato, può disporre che lo stesso venga affidato esclusivamente ad un coniuge, così come stabiliscono gli artt. 155, comma 2 e 155 bis c.c.. Tale forma di affidamento, in base a quest’ultima disposizione, può essere chiesta, in qualsiasi momento, da ciascuno dei genitori, ove l’affidamento all’altro coniuge contrasti con l’interesse del minore. Qualora la relativa domanda risulti infondata, la legge prevede la possibilità che il comportamento dell’istante venga valutato dal giudice per determinare i provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli.
Il legislatore, al comma 3 dell’art.155, stabilisce che la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e distingue tra le decisioni di maggiore interesse per i figli (istruzione, educazione e salute) che padre e madre devono assumere di comune accordo, in considerazione delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni (se l’accordo manca, la decisione è rimessa al giudice) e le decisioni di ordinaria amministrazione, rispetto alle quali il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
L’art. 155 comma 4 c.c. stabilisce che ognuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, tranne se le parti sottoscrivano liberamente un accordo. Se necessario, il giudice stabilisce la corresponsione di un assegno periodico per attuare il principio di proporzionalità, basandosi su elementi ben precisi:
a) le attuali esigenze del figlio;
b) il tenore di vita da questi goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
c) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
d) le risorse economiche di entrambi i genitori;
e) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Da ciò si ricava che l’affidamento condiviso non comporta la contribuzione diretta ai bisogni dei minori in modo automatico, ma in correlazione alle loro esigenze di vita e al contesto familiare e sociale di appartenenza (senza esclusione di quest’obbligo di assistenza materiale in caso di raggiungimento della maggiore età, qualora detto assegno si renda necessario).
Il compito che il giudice è chiamato a svolgere in tali contesti va a toccare dinamiche particolarmente sensibili come quelle familiari e realtà mai uguali a se stesse, che richiedono perciò attente valutazioni case by case.
L’affidamento dei figli è un tema sociale fortemente discusso, soprattutto negli ultimi anni a causa dell’elevato numero di separazioni e divorzi. L’intervento nel 2006 della Legge n. 54 ha sottolineato l’assoluta centralità degli interessi morali e materiali dei figli, chiedendo ai genitori di superare il conflitto di coppia, cooperando per il bene della prole, già segnata dal fallimento del progetto familiare. Può cessare una relazione coniugale, che resta pur sempre un evento doloroso, ma non cessano i doveri di educare e crescere i figli, veri destinatari della Legge sull’affidamento condiviso.
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