La sentenza, aderendo all’orientamento giurisprudenziale prevalente, ritiene che l’affidamento in house di servizi è illegittimo nel caso in cui non ci sia convenienza economica rispetto alla esternalizzazione dello stesso.
Si legga:”Affidamento “in house” di pubblici servizi”
I presupposti dell’in house providing
La disciplina dell’affidamento in house occupa un ruolo centrale sia nella normativa sugli appalti che nella materia delle partecipazioni pubbliche.
Occorre, pertanto, individuare i criteri che consentono alle amministrazioni pubbliche di poter legittimamente far ricorso all’affidamento in house.
La sentenza della Corte di Giustizia che ha definito inizialmente la materia è la c.d. sentenza Teckal (C-107/98), la quale fu la prima a definire i caratteri fondamentali della fattispecie comunitaria, enucleati in:
- Controllo analogo ai propri servizi interni che la P.A. aggiudicatrice deve esercitare sull’aggiudicatario in house;
- Attività prevalente che l’aggiudicatario deve svolgere a favore dell’ente locale aggiudicante.
Il primo requisito Teckal è il controllo analogo.
Questo risulta integrato anche in ragione della partecipazione pubblica totalitaria al capitale sociale dell’ente.
Tuttavia, la giurisprudenza in seguito ha chiarito come una eventuale partecipazione dei privati al capitale della società aggiudicataria non è condizione sufficiente ad escludere la configurabilità del controllo analogo.
La Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare, inoltre, che il requisito del controllo analogo può essere integrato qualora risulti che il socio pubblico esercita una influenza determinante sul soggetto in house, tanto sugli obiettivi strategici quanto sulle decisioni importanti.
Il secondo requisito Teckal è rappresentato dalla circostanza che il soggetto in house svolga la propria attività prevalentemente in favore delle amministrazioni aggiudicatrici.
I presupposti, dapprima cristallizzati nella sentenza Teckal, trovano disciplina normativa all’art. 12 della direttiva 2014/24/UE, la quale, ai fini della legittimità dell’affidamento diretto, prevede: la totale partecipazione pubblica del capitale della società incaricata della gestione del servizio; la realizzazione della parte preponderante della attività della società con gli enti controllanti; il controllo analogo sulla società partecipata da parte degli enti.
L’articolo 5 del Codice dei contratti (D.lgs.50/2016) ha recepito i requisiti Teckal come indicati nelle direttive appalti del 2014, prevedendo che “una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
- oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi;
- nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
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Il contenzioso su appalti e contratti pubbliciIl testo intende fornire un quadro completo di tutti i rimedi, giurisdizionali e non, alle controversie nascenti in materia di appalti pubblici, sia nel corso di svolgimento della procedura di gara e fino all’aggiudicazione, sia nella successiva fase di esecuzione del contratto di appalto. In primis, dopo un excursus sull’evoluzione degli ultimi anni, utile a comprenderne pienamente la ratio, viene affrontato approfonditamente il rito processuale speciale, disciplinato dal Libro IV, Titolo V del Codice del processo amministrativo, con particolare attenzione alla fase cautelare. Vi è poi un focus sul rito “super accelerato”, da ultimo dichiarato conforme alle direttive europee da una pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 14 febbraio 2019.Alle controversie sorte in fase di esecuzione dei contratti di appalto è dedicato uno specifico capitolo, che rassegna le principali pronunce del Giudice Ordinario con riferimento alle patologie più frequenti (ritardi nell’esecuzione, varianti, riserve).Infine, quanto alla tutela stragiudiziale, il testo tratta i rimedi previsti dal Codice dei Contratti Pubblici, quali l’accordo bonario, la transazione e l’arbitrato e infine approfondisce il ruolo dell’ANAC, declinato attraverso i pareri di precontenzioso, i poteri di impugnazione diretta, e l’attività di vigilanza.Più schematicamente, i principali argomenti affrontati sono:• il rito speciale dinanzi a TAR e Consiglio di Stato, delineato dagli artt. 119 e 120 del Codice del processo amministrativo;• il processo cautelare;• il rito super accelerato ex art. 120 comma 2 bis;• il contenzioso nascente dalla fase di esecuzione del contratto di appalto;• i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie: accordo bonario, transazione, arbitrato;• poteri e strumenti di risoluzione stragiudiziale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.Elio Guarnaccia, Avvocato amministrativista del Foro di Catania, Cassazionista. Si occupa tra l’altro di consulenza, contenzioso e procedure arbitrali nel settore degli appalti e dei contratti pubblici. È commissario di gara nelle procedure di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in qualità di esperto giuridico selezionato da UREGA Sicilia e dall’ANAC.È autore di numerosi saggi e articoli nei campi del diritto amministrativo e del diritto dell’informatica, nonché di diverse monografie in materia di appalti pubblici, processo amministrativo, amministrazione digitale. Nelle materie di propria competenza ha sviluppato un’intensa attività didattica e di formazione per pubbliche amministrazioni e imprese. In ambito universitario, ha all’attivo vari incarichi di docenza nella specifica materia degli appalti pubblici. Elio Guarnaccia | 2019 Maggioli Editore 22.00 € 17.60 € |
L’obbligo di motivazione rafforzata
Il comma 2 dell’articolo 192 D.lgs. n.50/2016 ha introdotto un obbligo di motivazione rafforzata, in quanto prevede che la P.A. sia tenuta a fornire motivazione sia per quanto riguarda la sussistenza dei requisiti dell’in house che la convenienza economica del ricorso a tale figura piuttosto che al mercato. Pertanto, tale obbligo impone che la scelta di non ricorrere ad una gara pubblica, nonostante venga rimessa ad una valutazione pienamente discrezionale, deve essere adeguatamente motivata sia per quanto attiene alla sussistenza dei requisiti Teckal, alla luce dell’evoluzione interpretativa giurisprudenziale, che sotto il profilo delle ragioni che giustificano la convenienza economica di tale modello gestionale.
In particolare, la scelta che è tenuta a compiere l’amministrazione deve avere riguardo a obiettivi di efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Nel momento in cui l’amministrazione proceda attraverso una gestione in house del servizio, è tenuta a fornire motivazione circa la scelta di non ricorrere al mercato. Peraltro, come sottolineato dal Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 3554 del 18/07/2017, in ragione della natura tecnico-discrezionale della scelta dell’amministrazione sussiste il limite nell’ordinario sindacato di legittimità svolto dal giudice amministrativo. Se tale motivazione non è affetta da manifesta illogicità o travisamento dei fatti, non è sindacabile in sede giurisdizionale, pena l’illegittimo ingerimento del giudice nell’attività discrezionale amministrativa.
La pronuncia del Consiglio di Stato conferma l’eccezionalità dell’in house providing
Il Consiglio di Stato con sentenza della V sezione, n. 681 del 27 gennaio 2020 afferma che l’in house providing riveste carattere eccezionale rispetto all’ordinaria modalità di scelta del contraente sul mercato ed è possibile solo se sussiste una reale convenienza per l’amministrazione. Qualora, invece, le condizioni economiche offerte dal mercato siano più convenienti allora l’in house providing non è esperibile (cfr. Cons. Stato, III, 17 dicembre 2015, n. 5732).
Peraltro, qualora l’esternalizzazione del servizio sia più conveniente, l’affidamento in house è illegittimo.
Aggiunge, inoltre, che la natura di società in house a totale partecipazione della stazione appaltante non può limitare le scelte. Occorre, pertanto, anche in questo caso, compiere una valutazione di convenienza. Qualora l’esternalizzazione del servizio sia più conveniente, questa è la via da percorrere.
In tale senso anche l’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 dispone che «ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto ed al valore della prestazione, dando atto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche».
In conclusione la sentenza, aderendo all’orientamento giurisprudenziale prevalente, ritiene che l’affidamento in house di servizi è illegittimo nel caso in cui non ci sia convenienza economica rispetto alla esternalizzazione dello stesso.
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