Affidamento ed iscrizione della sentenza di condanna sul certificato penale a richiesta di parte

Redazione 07/08/02
di Carlo Stefanelli
***
1) Cenni introduttivi.

A titolo di premessa si chiarisce che la locuzione “effetti penali” è riprodotta in diverse parti sia del codice di rito che nel codice penale sostanziale (art. 2 comma 2 c.p., “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali”; art. 47 L. 354/75 (affidamento) “L’esito positivo della prova estingue la pena e ogni altro effetto penale”; art. 12 comma 1, n° 1 c.p. “Per stabilire la recidiva o altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l’abitualità”… ; art. 20 c.p. “Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa”; art. 77, comma 1 c.p. “Per determinare le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, si ha riguardo ai singoli reati”…; art. 106 comma 2 c.p. “Tale disposizione non si applica quando la causa estingue anche gli effetti penali”; art. 174 c.p. “L’indulto o la grazia (…) non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto non disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna”; art. 178 c.p. (riabilitazione) “La riabilitazione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti”; art. 183 comma 3 c.p. “Quando intervengono in tempi diversi più cause di estinzione del reato o della pena, la causa antecedente estingue il reato o la pena, e quelle successive fanno cessare gli effetti che non siano ancora estinti in conseguenza della causa precedente”; art. 556 comma 3 c.p. “Se il matrimonio, contratto precedentemente dal bigamo è dichiarato nullo (…) se vi è stata condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”; art. 445 c.p.p. (effetti del c.d. patteggiamento) “Il reato è estinto se nel termine di cinque anni (…) in questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria”…).

Tuttavia nonostante l’ordinamento faccia più volte ricorso alla locuzione in esame non si preoccupa di esplicitarne il contenuto. Detta omissione genera il paradosso che nel nostro ordinamento giuridico penale, ispirato al principio di legalità (tra cui nulla poena sine lege) è prevista la comminazione di pene occulte o comunque codificate alla rinfusa, che certamente non giovano né al fine criminalpedagogico della pena né a quello rieducativo della stessa.
Gli effetti penali della condanna, costituendo una sofferenza o comunque una limitazione rispetto alla persona o alla sua sfera di godimento dei diritti devono essere considerati come una pena ulteriore. Infatti l’art. 20 c.p. recita che “Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa”. Quindi è chiaro che considerando le pene accessorie come effetti penali si intende attribuire a questi la natura sanzionatoria propria delle pene. Non sfuggirà all’attento interprete che l’articolo in esame equipara gli effetti penali alle pene. È il legislatore a decidere se le conseguenze punitive di una condanna, in presenza di una causa estintiva del reato o della pena, devono perpetrare i propri effetti sanzionatori. Sicché in alcune parti dell’ordinamento è prevista la sola estinzione della pena e non l’estinzione degli effetti penali (es. art. 174 c.p. che riferisce: “L’indulto o la grazia (…) non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto non disponga diversamente, e neppure gli altri effetti penali della condanna”). In altre parti dell’ordinamento è prevista l’estinzione parziale come nel caso di cui all’art. 178 c.p. (riabilitazione) ove si legge che “La riabilitazione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti”.

La stessa Corte di Cassazione, intervenuta sul tema, stima che l’effetto penale abbia le seguenti connotazioni: a) derivazione diretta da una sentenza irrevocabile di condanna e non pure da altri provvedimenti discrezionali della p.a.. ancorché aventi come necessario presupposto oggettivo la pronunzia suddetta. Invero, l’art. 20 c.p., elevando a criterio di distinzione tra pene principali ed accessorie il fatto che queste ultime discendono di diritto dalla condanna come effetti penali, consente di ritenere che il legislatore abbia caratterizzato tali effetti “in base alla loro peculiarità di essere conseguenza automatiche, ope legis, della sentenza di condanna: b) natura sanzionatoria. Il profilo integra la sostanza tipizzante dell’effetto penale, con riferimento allo scopo intrinseco della norma “che, prevedendo una determinata conseguenza in senso lato pregiudizievole, può essere stata posta con finalità di punizione oppure per la tutela di specifici interessi pubblici nei vari settori dell’ordinamento” (Sez. Un., 20 aprile 1994, Volpe; Sez. I, 5 ottobre 1992, Berti).

La Suprema Corte, dunque, si preoccupa di fornire i criteri per definire ed invidiare le conseguenze sanzionatorie della sentenza di condanna nella consapevolezza che le stesse sono sapientemente annidate nelle pieghe dell’ordinamento.
Si tratta di pene occulte delle quali il reo prenderà coscienza solo in un secondo momento, magari proprio quando, abbandonato ogni intento criminoso, decide di condurre una vita nel rispetto delle regole civili.

2) L’iscrizione della sentenza di condanna nel certificato a richiesta di parte è un effetto penale?

Il casellario penale nasce come anagrafe dei precedenti penali intorno alla seconda metà dell’Ottocento. Con tale denominazione si intende far riferimento sia ad un servizio sia ad un’entità localizzata (Piero Mocali, Digesto delle discipline penalistiche, Casellario giudiziale, pag. 103, Utet, 1988).

Il casellario è dunque un luogo ove vengono conservate le sentenze di condanna (ed altro) che riguarda il vissuto giudiziale delle persone.
Il certificato penale invece è la riproduzione e pubblicazione di quanto iscritto nei registri del casellario.
L’esigenza di disciplinare il rilascio del certificato penale a richiesta di parte emerse negli anni in cui il nuovo verbo “rieducare” il condannato (e conseguente funzione rieducativa della pena) fu fatto proprio dall’emergente diritto penale. Fu chiaro a tutti che la pubblicità delle sentenze di condanna creavano di fatto un insormontabile ostacolo per il condannato ad inserirsi nella società, giacché i suoi trascorsi pregiudicavano la stima e credibilità sociale. Sicché Lucchini con legge 30.1.1902, n. 1902 cercò di porre rimedio alla situazione, introducendo la disciplina della non menzione nel certificato penale della sentenza di condanna rispetto ai delinquenti primari. Successivamente la materia della non menzione fu assorbita dal codice di procedura penale del 1913 anche se ivi la disciplina fu oggetto di maggiori restrizioni (S. Larizza, Digesto delle discipline penalistiche, Non menzione della condanna nel certificato penale, pag. 239, Utet, 1994).

Il dibattito circa la natura di effetto penale (cioè conseguenza pregiudizievole a carico del condannato) della iscrizione della sentenza di condanna nel casellario e della relativa menzione nel certificato di parte proseguì anche dopo l’entrata in vigore del codice penale del 1930, oggi in vigore.
Arturo Rocco ritiene l’iscrizione della condanna nel casellario penale come un effetto penale, anche se inevitabile giacché è l’unico sistema che consente di controllare il vissuto giudiziario del soggetto per le conseguenze prefigurate dalla legge (A. Rocco, Grazia sovrana e menzione della condanna nei certificati del casellario giudiziale richiesti dai privati, in Ann. Dir. Proc. pen., 1939, p. 845 s.). In tal senso anche la dottrina considera appunto l’iscrizione nel casellario come “il primo effetto penale della sentenza di condanna, che rende possibile la produzione di tutti gli altri sia in ambito penale che extrapenale” (S. Larizza, Pene accessorie, Cedam, 1986, p. 179-180).

Resta solo da stabilire se la menzione delle sentenze nel certificato a richiesta di parte rientri tra gli effetti penali della condanna. Inoltre se si tratta di effetti penali inevitabili, come nel caso della iscrizione nel casellario, ovvero evitabili.
La menzione della sentenza di condanna nel certificato a richiesta di parte rientra nel genus degli effetti penali della sentenza di condanna, poiché la menzione di questa nel certificato richiesto dal privato presenta le stesse caratteristiche (derivazione diretta ed immediata da una sentenza di condanna e natura sanzionatoria) della iscrizione della sentenza di condanna nel casellario. Nel caso della iscrizione nel casellario l’effetto penale (cioè la stessa iscrizione) è inevitabile attese le esigenze di conoscere il vissuto giudiziale delle persone in quanto altri effetti della condanna possono essere riesumati alla bisogna. Nel caso invece della menzione della condanna sul certificato a richiesta di parte non sussiste nessuna esigenza di ordine amministrativo, quindi si versa in una ipotesi pura di effetto penale (deminutio della reputazione sociale), che andrebbe eliminata ogni qualvolta il sistema giuridico ordina l’espunzione di ogni altro effetto penale.

A dimostrazione di quanto sostenuto basti considerare che l’art. 175 c.p. prevede la non menzione nel certificato a richiesta di parte. Allo stesso modo l’art. 689 c.p.p. tra le conseguenze positive che afferiscono all’applicazione della pena su richiesta di parte (art. 444 c.p.p.) esclude la menzione della sentenza nel certificato a richiesta di parte. Se detta menzione non fosse una conseguenza negativa, cioè afflitiva, ma solo una vicenda di natura amministrativa, che non tange la sfera degli interessi della persona, il legislatore non avrebbe previsto la non menzione come beneficio nel caso dell’art. 175 c.p. ovvero come incentivo premiale nel caso del “patteggiamento”.

3) Buon esito dell’affidamento ex 47 L. 354/75 ed estinzione della pena e di ogni altro effetto penale.

L’obiettivo della non menzione, come si più volte detto, è anche quello di evitare la compromissione del reinserimento del condannato nella vita sociale e nel lavoro. Si ribadisce che proprio al fine di evitare che i pregiudizi a cui si è testé fatto riferimento, possano incidere negativamente sulla vita sociale del reo, l’art. 175 c.p., soddisfatte le condizioni ivi stabilite, prevede la possibilità di applicare il beneficio della non menzione sul certificato penale a richiesta di parte. Allo stesso modo e per gli stessi fini la non menzione sul certificato è prevista allorquando viene concessa la riabilitazione.

L’ordinamento giuridico differenzia i casi di estinzione del reato sic et simpliciter dai casi di estinzione dello stesso ovvero della pena a cui associa anche l’estinzione di tutti gli effetti penali (art. 106 c.p.). Per essere più precisi solo nel caso di estinzione di ogni altro effetto penale della condanna l’ordinamento prevede opportunamente l’eliminazione di tutti gli effetti sanzionatori e tra questi la non menzione della condanna nel certificato a richiesta di parte. Solo e soltanto nel caso in cui l’ordinamento prevede espressamente la persistenza di alcuni effetti penali questi vengono caducati solo parzialmente e nel limite stabilito dall’ordinamento. Sia consentito l’esempio, già riportato, dell’istituto giuridico della riabilitazione. Ebbene in questo caso il legislatore prevede che alcuni effetti penali permangano. Tra questi si ricorda brevemente l’impossibilità ad ottenere la sospensione condizionale della pena, evitare la recidiva ed altri effetti ancora. Il legislatore quindi per evitare la menzione della condanna nel certificato (che costituisce un effetto penale) a seguito dell’intervenuta riabilitazione ha dovuto a fortiori prevedere espressamente la non menzione.

Nel caso dell’istituto giuridico dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 L. 354/75 ma anche nel caso del cosiddetto affidamento terapeutico ex art. 94 T.U. 309/90 e nel caso della sospensione della pena ex art. 90 T.U. 309/90 il dettato normativo è chiaro: “L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale”. L’ordinamento non fa salvo nessun effetto penale.

Sicché è indiscutibile che nel caso di specie la condanna estinta a seguito di affidamento non debba essere menzionata sul certificato a richiesta di parte. Tuttavia al riguardo l’art. 689 c.p.p., che presiede alla disciplina della non menzione, nulla dice. È stato quindi ipotizzato che non sia possibile non menzionare la condanna nel certificato a richiesta di parte. Si sostiene anche che le ipotesi di non menzione siano tassative al pari di quelle di cancellazione dal casellario.

Alle suddette critiche si può facilmente controbattere con le seguenti argomentazioni. a) L’iscrizione nel casellario giudiziale pur essendo un effetto penale rientra tra quelli inevitabili in quanto risponde ad esigenze amministrative. b) La menzione della condanna nel certificato penale a richiesta di parte è un effetto penale evitabile che deve essere eliminato insieme ad ogni altro effetto penale. c) Non risponde a logica giuridica prevedere espressamente la non menzione poiché se questa è un effetto penale rientra ipso iure nelle conseguenze negative che devono essere eliminate dalla sfera dei diritti della persona che ha riportato condanna penale. d) Non si possono porre sullo piano giuridico situazioni quali quella della iscrizione nel casellario giudiziale e quella della non menzione che sono ontologicamente differenti e rispondono anche ad esigenze differenti.

Qualsiasi argomentazione contraria sfocerebbe in una questione di legittimità costituzionale. Il fumus di illegittimità troverebbe fondamento nella disparità di trattamento che l’art. 689 c.p.p. riserva a tutte le ipotesi di estinzione del reato e degli effetti penali. Sicché mentre il codice (sostanziale e di rito) in tutti i casi di estinzione del reato e degli effetti penali prevede expressis verbis la non menzione della condanna sul certificato a richiesta di parte, l’art. 689 c.p.p. omette di statuire la non menzione nel certificato a richiesta di parte anche per l’ipotesi di estinzione del reato e di ogni altro effetto penale così come prevista dall’art. 47 L. 354/75.

È indiscutibile, tra l’altro, che l’estinzione del reato ex art. 47 L. 354/75 in combinato con l’art. 106 c.p. ha effetti estintivi di più ampia portata rispetto a quelli della riabilitazione. Il tutto è comprensibile alla luce delle diverse epoche storiche in cui essi sono stati introdotti nell’ordinamento giuridico. Di conseguenza, attesa l’ampia portata estintiva dell’istituto di cui all’art. 47 L. 354/75, non è giuridicamente ragionevole escludere rispetto all’estinzione della pena e di ogni altro effetto penale a seguito del buon esito dell’affidamento (art. 47 L. 354/75) la non menzione nel certificato a richiesta di parte.
Ad onor del vero sussiste anche il contrasto con il principio della rieducazione ex art. 27, co. 3 Cost. laddove la rieducazione, da intendersi come risocializzazione, soffrirebbe del pregiudizio arrecato dalla menzione sul certificato a richiesta di parte delle condanne estinte a seguito del buon esito dell’affidamento.

Carlo Stefanelli
Specialista in diritto e proc. penale

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento