Ai sensi del comma 5 dell’art. 17 del d.lgs. 36/2023, di seguito “Codice”: […] l’organo competente a disporre l’aggiudicazione esamina la proposta [di aggiudicazione], e, se la ritiene legittima e conforme all’interesse pubblico, dopo aver verificato il possesso dei requisiti in capo all’offerente, dispone l’aggiudicazione che è immediatamente efficace”. Per approfondire, consigliamo il volume Le principali novità del Codice dei contratti pubblici -Guida rapida su cosa cambia negli appalti con il D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36
Indice
1. L’aggiudicazione condizionata tra vecchio e nuovo codice degli appalti
Come evidenziato nella Relazione illustrativa del nuovo Codice, “il comma 5 prevede la formulazione di una proposta di aggiudicazione alla stazione appaltante o ente concedente parte del soggetto preposto alla valutazione delle offerte, a favore del concorrente che ha presentato la migliore offerta non anomala. L’aggiudicazione viene disposta dall’organo competente della stazione appaltante o ente concedente dopo effettuato positivamente il controllo dei requisiti in capo all’aggiudicatario, successivamente al quale il contratto potrà essere stipulato o ne potrà essere iniziata l’esecuzione in via di urgenza”.
A differenza di quanto disciplinato nel “vecchio Codice” (v. art. 32 co. 7 del d.lgs. 50/2016) il co. 5 dell’art. 17 chiede espressamente che l’aggiudicazione di un appalto sia preceduta dalla puntuale verifica dei requisiti dichiarati in gara dall’aggiudicatario.
Nella vigenza del decreto legislativo n. 50/2016 era stato sottolineato, infatti, come la verifica dei requisiti rappresentasse una condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione già intervenuta, inidonea ad assumere un’autonoma valenza provvedimentale nonché incapace di incidere sulla validità del provvedimento (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 9 maggio 2023, n. 4642).
Tale ché, nelle more della verifica dei requisiti mediante interpello alle PPAA certificanti non era insolito l’inserimento, nell’atto amministrativo, di elementi accidentali, quale la condizione causale risolutiva nel caso di un eventuale accertamento negativo circa le dichiarazioni rese dall’aggiudicatario in sede di partecipazione.
Per esigenze di speditezza ed efficienza dell’azione amministrativa (oggi confluite nel c.d. principio di risultato di cui all’art. 1 del Codice) la Stazione appaltante, sovente, ricollegava la caducazione automatica degli effetti costitutivi del decreto di aggiudicazione all’evento futuro e incerto costituito dall’acquisizione dei certificati rilasciati da altre pubbliche amministrazioni attestanti l’assenza di uno o più requisiti di partecipazione.
La presenza di un elemento incidentale (la condizione) in aggiunta al contenuto necessario del provvedimento di aggiudicazione rispondeva, dunque, alla necessità di conciliare in maniera opportuna la tutela dell’interesse pubblico con il rispetto dell’interesse privato nonché di adeguare l’azione amministrativa alle esigenze concrete dei singoli casi.
Orbene, tenuto conto dei tempi di rilascio dei certificati, ben oltre il termine ordinario di 30 gg., dell’incompletezza degli esiti acquisibili tramite Avcpass (oggi FVOE), e degli effetti pregiudizievoli che il decorso del tempo produce anche ai destinatari dell’atto, la scelta discrezionale della Stazione appaltante di apporre, al decreto di aggiudicazione, una condizione c.d. causale risolutiva, trovava [e trova ancora] giustificazione e legittimità nel più generale principio di proporzionalità dell’azione amministrativa (cfr. Cons. Stato n. 5615/2015).
Nell’ambito del bilanciamento degli interessi antagonisti (quello pubblico e quello privato dell’aggiudicatario) nonché delle prerogative dei controinteressati, il “peso” della condizione causale veniva controbilanciato da esigenze di “economia” del procedimento amministrativo e di efficienza dell’azione volta all’approvvigionamento della commessa pubblica, senza peraltro mitigare le esigenze di tutela sostanziale e processuale del destinatario dell’atto nonché dei controinteressati.
Con riferimento al vecchio regime codicistico l’inserimento della condizione causale risolutiva produceva l’effetto di trasformare la condizione sospensiva legale prevista dal co. 7 art. 32 (“L’aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti”) in una condizione risolutiva convenzionale.
In altre parole, l’apposizione dell’elemento incidentale consentiva all’atto amministrativo di poter dispiegare immediatamente i propri effetti salva la successiva ed eventuale caducazione degli stessi al verificarsi di un accertamento negativo riguardo il possesso dei requisiti.
Nell’attuale formulazione del co. 5 dell’art. 17 del nuovo Codice, la verifica dei requisiti non sembrerebbe una condizione (legale) di efficacia dell’aggiudicazione, bensì un presupposto legale dell’atto.
La conclusione dell’endoprocedimento di verifica dei requisiti assurge a fatto giuridicamente rilevante, la cui esistenza costituisce requisito di legittimità – se non di esistenza – dell’atto amministrativo.
Se così fosse, è tendenzialmente da escludersi che il presupposto legale possa formare oggetto di condizione risolutiva: la risoluzione dell’efficacia presuppone, sul piano logico e cronologico, la presenza di un atto valido ed efficace (e tale non è un provvedimento adottato in assenza dei presupposti legali).
Nel tentativo di riproporre il meccanismo di “trasformazione” operato in via di prassi nella vigenza del co. 7 dell’art. 32 del vecchio Codice, si potrebbe pensare di sottoporre a condizione sospensiva proprio il presupposto legale, cioè la verifica dei requisiti dell’aggiudicatario.
Se è vero, come detto, che tale presupposto è l’antecedente logico del decreto di aggiudicazione, scindendone la dimensione temporale, si potrebbe immaginare un provvedimento immediatamente efficace in virtù della condizione sospensiva operante sul presupposto dell’intervenuto accertamento dei requisiti.
Esemplificando, si tratterebbe di un provvedimento di aggiudicazione immediatamente efficace in cui, nelle more della verifica dei requisiti, a subire l’effetto sospensivo è proprio il presupposto legale delle attività di accertamento delle dichiarazioni dell’aggiudicatario. Con la diretta conseguenza che, nel caso in cui non si verifichi la condizione/presupposto (l’amministrazione non concluda il procedimento di verifica) l’atto sarà perciò stesso invalido; viceversa, ove la conclusione del procedimento di verifica facesse emergere la carenza dei requisiti ciò comporterebbe l’inefficacia dell’aggiudicazione ma non anche l’invalidità del provvedimento.
Resta irrisolto il problema del rapporto tra il principio di tipicità ed elementi accidentali dell’atto amministrativo.
In base al principio di tipicità, gli elementi accidentali dell’atto non devono e non possono snaturane il contenuto tipico. Il testo normativo costituisce, almeno nei casi come quello in esame, un limite che appare insuperabile rispetto ad opzioni interpretative che trasbordano rispetto al campo semantico delimitato dalla disposizione.
Giova, quindi, domandarsi quale sia la struttura del provvedimento di aggiudicazione come tipizzata dal co. 5 dell’art. 17 del Codice e se, nonostante la tipizzazione normativa non possa ricorrersi ad altre soluzioni ermeneutiche, idonee a elidere il dogma dell’inammissibilità del provvedimento di aggiudicazione in assenza della conclusione del procedimento di verifica dei requisiti, come – di fatto – espresso in due recenti pareri di funzione consultiva dell’Autorità anticorruzione (il n. 57/2023 e il n. 57-bis/2023). Per approfondire, consigliamo il volume Le principali novità del Codice dei contratti pubblici -Guida rapida su cosa cambia negli appalti con il D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36
Nuovo codice dei contratti pubblici per operatori economici
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2. L’applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni
L’endoprocedimento finalizzato all’aggiudicazione si compone di una fase istruttoria, consistente nella valutazione di congruità e di corrispondenza all’interesse pubblico della proposta di aggiudicazione e di una fase decisoria che pare avere natura pluristrutturata, in quanto caratterizzata dal coinvolgimento degli Enti chiamati ad attestare la verità (o meno) delle dichiarazioni sostitutive rese dall’aggiudicatario, ai sensi del DPR 445/2000.
Sino alla conclusione del procedimento di verifica, il provvedimento di aggiudicazione, non ancora valido e efficace, è soltanto uno schema di atto, seppur completo nei suoi elementi essenziali e del suo contenuto tipico. Esso è però privo di un atto di assenso/nulla osta degli Enti certificatori, circa la corrispondenza a verità delle dichiarazioni sostitutive di certificazione rese dal concorrente in gara.
Questi ultimi non sono chiamati ad esprimere un assenso circa la meritevolezza o meno della proposta di aggiudicazione ovvero riguardo la legittimità della procedura di gara; al contrario è loro richiesto di esprimere un atto di assenso circa il possesso del singolo requisito, già oggetto di una espressa dichiarazione sostitutiva di certificazione resa dal concorrente.
È vero che, nella prassi, la Stazione appaltante richiede al singolo Ente certificatore l’emissione di un certificato – ergo – di una dichiarazione di scienza a comprova del requisito dichiarato; ma è altrettanto vero che, requisito per l’ammissione ad una procedura di gara è che il concorrente renda, nelle forme di cui al DPR 445/2000 e unitamente alla domanda di partecipazione, le dichiarazioni sostitutive circa l’assenza di cause di esclusione dalla procedura di affidamento, conformemente ai principi -oggi codificati nel Codice – di risultato, fiducia, e accesso al mercato.
I suddetti principi, chiamati ad informare l’intero procedimento ad evidenza pubblica, non possono abdicare nel momento in cui la Stazione appaltante è chiamata ad adottare proprio l’atto costitutivo e conclusivo del procedimento, non già in relazione ad una diversa valutazione dell’interesse pubblico cui l’azione è protesa ma in virtù, esclusivamente, dell’inerzia partecipativa del singolo Ente certificatore, che si protrae oltre il termine ordinario di 30 giorni.
Tale ché, alla luce di quanto si qui esposto, sarebbe più utile e conforme al principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, ripensare all’operatività dell’istituto del silenzio assenso tra PPAA di cui all’art. 17-bis della L. n. 241/1990, il quale opera proprio nell’ambito di procedimenti “caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata e, dunque, nei casi in cui l’atto da acquisire, al di là del nomen juris, abbia valenza co-decisoria” (CdS n. 8610/2023).
Nell’ambito dell’endoprocedimento di aggiudicazione la co-decisorietà è da intendersi non già con riferimento al contenuto tipico dell’atto e/o alla valutazioni di merito amministrativo, quanto invece alla formazione del presupposto legale di validità e di efficacia del provvedimento di aggiudicazione, il quale, in assenza delle dichiarazioni dell’ente certificatore a comprova dei singoli requisiti dichiarati, non potrebbe essere legalmente adottato.
Ai sensi dell’art. 17 bis Legge 241/90, l’istituto del silenzio assenso tra PPAA, ivi disciplinato, non opera: “nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi.”
Così non è nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica, stante quanto disposto dall’art. 73, lett. b della Direttiva UE 24/2014, secondo cui gli Stati membri assicurano che le amministrazioni aggiudicatrici abbiano la possibilità, almeno nelle seguenti circostanze e alle condizioni stabilite dal diritto nazionale applicabile, di risolvere un contratto pubblico durante il periodo di validità dello stesso, qualora: […] b) l’aggiudicatario si è trovato, al momento dell’aggiudicazione dell’appalto, in una delle situazioni di cui all’articolo 57, paragrafo 1, e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura d’appalto.
La disposizione prevede, quindi, la possibilità che un appalto sia aggiudicato nelle more della verifica puntuale dei requisiti, non riferendosi all’ipotesi – asincrona – della perdita di uno o più requisiti nel corso dell’esecuzione del contratto, bensì – espressamente – alla diversa situazione della carenza di uno o più requisiti sincronica rispetto al momento dell’adozione del provvedimento di aggiudicazione.
È lo stesso d.lgs. 36/2023 che all’art. 122 comma 1 lett. c), in armonia con la disposizione europea appena citata, a prevedere che le stazioni appaltanti possano risolvere il contratto “se l’aggiudicatario si è trovato, al momento dell’aggiudicazione dell’appalto, in una delle situazioni di cui all’articolo 94, comma 1, e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura di gara”.
Giova, quindi, chiedersi quale sia lo spazio operativo della norma che attribuisce alla SA la facoltà di risoluzione del contratto se, ai sensi dell’art. 17 co. 5 del Codice, il presupposto per l’aggiudicazione è che la SA abbia accertato l’assenza di cause di esclusione in capo all’operatore economico primo in graduatoria. In suddetta ipotesi, l’esercizio del potere privatistico di risoluzione contrattuale si tradurrebbe, de facto, nel riconoscimento dell’efficacia del contratto d’appalto: quest’ultimo, invero, non sarebbe idoneo a dispiegare effetti, soffrendo in via diretta dell’illegittimità del provvedimento [presupposto] di aggiudicazione [adottato in violazione del co. 5 dell’art. 17, in quanto non “anticipato” dalla verifica dei requisiti].
Tutt’al più, la PA, potrebbe adottare, in autotutela, un provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione (con effetti diretti e immediati sul contratto d’appalto) e procedere ad una nuova statuizione a favore del secondo classificato, ove siano stati puntualmente verificati i requisiti di partecipazione dichiarati da quest’ultimo.
Orbene, ammettendo l’operatività del silenzio assenso tra PPAA, è possibile ricostruire una nuova e diversa dimensione di senso alla facoltà di risoluzione di cui all’art. 122 co. 1 lett. c) del Codice.
La disposizione, infatti, non può presupporre l’ipotesi di un’attività provvedimentale non conforme ai canoni di legge, tanto più attribuendo alla S.A. autrice del provvedimento di aggiudicazione viziato da violazione di legge, la facoltà di risolvere il contratto d’appalto!
Ove, invece, si considerasse applicabile l’istituto del silenzio-assenso di cui all’art. 17-bis della L. 241/1990, il potere di risoluzione si inserirebbe nell’ambito di quelle ipotesi nelle quali la S.A. riceve, tardivamente, un riscontro negativo circa il possesso dei requisiti di partecipazione.
In tali circostanze, la risoluzione, rappresenta una “vera” facoltà per la PA: essa, avendo adottato un provvedimento valido ed efficace, anche alla luce del silenzio significativo maturato, è chiamata a considerare tutti gli interessi coinvolti, ivi comprese le ragioni di ordine pubblico connesse ai requisiti di stretta moralità, disponendo circa la continuazione del rapporto negoziale ovvero la caducazione degli effetti giuridici dello stesso.
Come già sostenuto in dottrina (cfr. Taddeucci S. La verifica dei requisiti e la questione del silenzio-assenso in Appalti e Contratti): “se fosse vero – come sostiene ANAC – che disporre l’aggiudicazione senza aver previamente verificato il possesso dei requisiti è fonte di responsabilità per la stazione appaltante, l’art. 122 comma 1 lett. C) prevedrebbe delle sanzioni a carico di quest’ultima. Invece, la suddetta norma non soltanto non contempla alcuna sanzione, ma neanche obbliga le stazioni appaltanti a risolvere il contratto: essa infatti dice che queste ultime “possono” risolvere, ma non che “debbono” procedere alla risoluzione”.
Concludendo, si ritiene che, alla luce dell’impianto assiologico e ontologico del nuovo Codice appalti, sia opportuno riflettere sulla necessità di affermare la piena operatività dell’istituto di cui all’art. 17-bis della L. n. 241/1990, nell’assunto che è il principio di proporzionalità a richiedere che l’Amministrazione Pubblica scelga, responsabilmente, il percorso – ove necessario coordinato con quello di altre Amministrazioni – teso a sacrificare, al minimo possibile, gli interessi dei destinatari dell’azione amministrativa.
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