Aggravamento della misura degli arresti domiciliari a seguito di evasione

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Aggravamento della misura degli arresti domiciliari a seguito di evasione: la Sesta Sezione penale, in tema di misure cautelari personali, ha affermato che la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove non ritenute di lieve entità, determina la revoca obbligatoria di tale misura ex art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., seguita dal ripristino della custodia in carcere, non dovendo il giudice previamente valutare l’idoneità degli arresti domiciliari con modalità elettroniche di controllo.

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Indice

1. I fatti

La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dall’imputato avverso la decisione del Tribunale del riesame di Milano che confermava l’ordinanza con la quale la Corte di appello aveva disposto l’aggravamento della misura degli arresti domiciliari, con il ripristino della custodia in carcere, a seguito dell’evasione di cui si era reso responsabile il ricorrente.
Questi, infatti, era stato sorpreso lungo la pubblica via, dopo essersi incontrato con un soggetto risultato detentore di stupefacente, dandosi alla fuga alla vista degli appartenenti alle forze dell’ordine che, solo dopo un breve inseguimento, riuscivano a fermarlo.
Il ricorso era affidato a quattro motivi, tra i quali: la mancanza di motivazione e violazione di legge in relazione all’aggravamento della misura disposto dalla Corte di appello, la quale aveva erroneamente ritenuto che al ricorrente fosse stato contestato il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ipotizzato solo a carico del soggetto con il quale il ricorrente aveva avuto un breve contatto; violazione dell’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., ritenendo che l’inosservanza della misura degli arresti domiciliari dovesse ritenersi di lieve entità e, quindi, inidonea a giustificare il ripristino della custodia in carcere; vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari, sottolineando come la violazione degli arresti domiciliari non era in alcun modo funzionale a reiterare il reato di maltrattamenti in famigli, in relazione al quale era in corso di esecuzione la misura cautelare; vizio di motivazione in merito alla ritenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari da eseguirsi mediante il controllo con mezzi elettronici, modalità in relazione alla quale l’ordinanza impugnata non ha fornito alcuna giustificazione per escluderne l’idoneità.
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2. Aggravamento della misura degli arresti domiciliari a seguito di evasione: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare i motivi di ricorso, afferma che questo sia manifestamente infondato.
Con riferimento al primo motivo, la Corte osserva come il Tribunale del riesame abbia correttamente dato atto che al ricorrente non sia contestato il reato di cui all’art. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ma solo quello di cui all’art. 385 cod. pen., ritenendo che ciò non infici la decisione di disporre l’aggravamento della misura cautelare.
L’ordinanza impugnata, invero, ha valorizzato un diverso aspetto e cioè che il ricorrente non solo violava la misura degli arresti domiciliari, ma veniva anche sorpreso nell’attendere un soggetto, con il quale si incontrava fugacemente, risultato dedito allo spaccio di stupefacenti, ritenendo tale circostanza ulteriormente dimostrativa dell’insensibilità del ricorrente al rispetto delle prescrizioni insite nella misura cautelare cui era sottoposto.
Per ciò che concerne, invece, l’esclusione della lievità del fatto, la Corte osserva che il Tribunale ha escluso che la violazione possa considerarsi lieve, sottolineando le circostanze complessivamente accertate e motivando espressamente sull’inattendibilità della tesi difensiva, secondo cui il ricorrente stava facendo ritorno a casa, dopo essersi recato all’incontro con gli assistenti sociali per il quale era stato debitamente autorizzato.
Parimenti infondati sono i restanti motivi: il ricorrente solleva vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, sottolineando come la violazione della misura degli arresti domiciliari non sarebbe funzionalmente collegabile alla reiterazione del reato di maltrattamenti in famiglia, in relazione al quale la cautela è stata disposta.
Ad avviso della Suprema Corte, l’aggravamento della misura non richiedeva affatto l’accertamento della finalizzazione della violazione alla reiterazione del reato, trovando applicazione il principio per cui “la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari determina, ex art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen., la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice, una volta accertata la trasgressione, sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari“.
Il suddetto principio, inoltre, comporta anche che il giudice non è tenuto a compiere la valutazione di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen., in merito alla possibilità che le esigenze cautelari siano garantite mediante il ricorso all’utilizzo di strumenti elettronici di controllo a distanza. La Corte sostiene che tale norma di portata generale debba “ritenersi derogata dalla previsione speciale dettata dall’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., relativa al caso di violazione degli arresti domiciliari, in base alla quale la custodia cautelare in carcere non deve essere disposta solo se la violazione riscontrata è di lieve entità“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione, si avvia alle conclusioni riprendendo un consolidato principio di diritto secondo il quale “la trasgressione delle prescrizioni imposte con gli arresti domiciliari legittima la sostituzione della misura in atto con quella della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell’art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., senza necessità di verifica della sussistenza delle ragioni di cautela di eccezionale rilevanza, salvo che vi sia la prova della lieve entità del fatto“.
Valorizzando tali principi, la Corte afferma conseguentemente il principio secondo cui “la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove non ritenute di lieve entità, determina, ex art. 276, comma 1-ter cod. proc. pen., la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, non dovendo il giudice preventivamente valutare l’idoneità degli arresti domiciliari con modalità elettroniche di controllo“.
La Corte ha, dunque, dichiarato inammissibile il ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Riccardo Polito

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