Ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità rileva, in senso negativo, la perpetrazione di un terzo illecito, oltre quelli già definitivamente giudicati, anche se oggetto del processo in cui è stata posta la questione dell’art. 131 bis c.p.

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. pen. art. 131-bis)

Il fatto

La Corte d’Appello di Firenze confermava la pronunzia di condanna in primo grado nei confronti dell’imputato per il delitto di tentato furto in appartamento.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento aveva proposto ricorso il difensore che col primo motivo lamentava la violazione dell’art 131 bis c.p. poiché la Corte non aveva dato risposta alla sua richiesta formulata in udienza mentre con il secondo motivo veniva dedotta la violazione della norma incriminante di cui all’art. 624 bis c.p. in quanto la sentenza non avrebbe dato dimostrazione della sottrazione di alcun bene da parte del giudicabile.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si evidenziava a tal riguardo come il primo motivo circa la mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. fosse manifestamente infondato in quanto all’imputato era stata contestata ed applicata la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale e, quindi, il comportamento in esame era ostativo all’applicazione della causa di non punibilità essendo di carattere abituale posto che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’ambito applicativo della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. è definito non solo dalla gravità del reato, riflessa nella quantificazione del massimo edittale di pena, stabilito in cinque anni, ma anche dal profilo di natura soggettiva, consistente nella non abitualità del comportamento dell’imputato.

Oltre a ciò, si rilevava come entrambi i criteri siano da considerare ai fini dell’applicabilità dell’istituto nel senso che, oltre i limiti in essi disegnati e previsti, è preclusa al Giudice ogni valutazione sulle modalità della condotta e sulla tenuità del danno al fine di escludere la punibilità del fatto.

In particolare quanto alla nozione di abitualità del comportamento, si faceva presente come le Sezioni Unite avessero fatto riferimento ad un concetto di serialità nelle condotte delittuose – emergente dallo studio dei lavori preparatori – osservando che il comportamento può ritenersi abituale quando il soggetto, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno due illeciti della stessa indole, oltre quello preso in esame mentre, sotto un diverso profilo, era stato chiarito che la pluralità dei reati può essere ravvisata, non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del Giudice che è in grado di valutarne l’esistenza (Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016, omissis, Rv. 266591).

Da quanto sin qui esposto se ne ricavava il principio che, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, rileva, in senso negativo, la perpetrazione di un terzo illecito, oltre quelli già definitivamente giudicati, anche se oggetto del processo in cui è stata posta la questione dell’art. 131 bis c.p., posto che in tal caso la consumazione di un nuovo reato può essere giudicata espressione del comportamento abitualmente delittuoso e precludere l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità.

Posto ciò, si osservava come risultasse nel caso di specie che l’imputato era già gravato da una pluralità di precedenti condanne, delle quali perlomeno una per un reato della stessa indole rispetto a quello per cui è ricorso e, dunque, si era venuta a integrare la condizione di pluralità di delitti – nel senso innanzi chiarito – che la norma de quo prevede per poter escludere la non punibilità del fatto per particolare tenuità.

Infine, per quanto attiene il secondo motivo, gli ermellini evidenziavano coma la doglianza ivi espressa non avesse relazione col testo del provvedimento impugnato nel quale si dava atto che l’imputato, entrato nell’abitazione, aveva aperto il cassetto di un mobile della zona notte ove – era stato plausibilmente osservato – di regola si tenevano denari e/o oggetti di valore.

Per le ragioni sin qui esposte, il Supremo Consesso, come visto prima, dichiarava inammissibile il ricorso proposto.

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Conclusioni

La sentenza in commento è condivisibile nella parte in cui afferma che, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, rileva, in senso negativo, la perpetrazione di un terzo illecito, oltre quelli già definitivamente giudicati, anche se oggetto del processo in cui è stata posta la questione dell’art. 131 bis c.p., posto che in tal caso la consumazione di un nuovo reato può essere giudicata espressione del comportamento abitualmente delittuoso e precludere l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità.

Difatti, il terzo comma dell’art. 131 bis c.p., nel definire in cosa consiste il comportamento abituale, non richiede che i reati, attraverso i quali possa risultare questo comportamento, debbano risultare tutti da una sentenza passata in giudicato e, dunque, il tenore testuale di questo precetto normativo non impedisce la considerazione di un illecito penale a questo fine anche se oggetto del processo in cui si deve valutare la sussistenza o meno della particolare tenuità del fatto.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, dunque, si ripete, non può che essere positivo.

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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