Aiuti di Stato: nella cultura

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Concentrare l’attenzione sul tema degli aiuti di Stato alle imprese culturali impegnate, a vario titolo, nella collaborazione alla parte pubblica per i compiti di valorizzazione, consente di agevolare ad esse l’espletamento dei compiti di utilità sociale per fini di solidarietà, espressamente attribuiti dal legislatore alle imprese culturali ai sensi dell’art.111, 4° comma del Codice dei Beni Culturali. Per affrontare il non semplice argomento, premettiamo che faremo spesso riferimento al prezioso lavoro di Carlo Eugenio Baldi che di recente ha acceso i riflettori sul tema degli aiuti di Stato alla cultura. Occorre preliminarmente fare una breve e sintetica (e si spera chiara) digressione sui temi del public procurement unionale, per come recepito nell’ordinamento italiano con il Codice dei Contratti Pubblici.

A – eurostat, il d.gs 228/11 e il tentativo di collocazione off-shelf degli investimenti in infrastrutture

Se un’infrastruttura, (parzialmente) finanziata con aiuti di Stato, non è gestita dal proprietario, ma da un operatore terzo in concessione, si deve garantire che l’operatore paghi un prezzo di mercato e che l’operatore sia stato scelto con procedura di selezione concorrenziale, trasparente, non discriminatoria e incondizionata. Oggi, tutte le procedure consentite dalle direttive sugli appalti pubblici(i) in linea di principio sono sufficienti per escludere la presenza di aiuti di Stato (nel passato si chiedevano «procedure aperte» e «procedure ristrette»).

Gli Stati membri sono liberi di ricorrere a procedure come «dialogo competitivo» e «procedura competitiva con negoziato» (utilizzato per progetti infrastrutturali complessi). Ove, invece, la procedura negoziata senza previa pubblicazione» dovesse registrare la presentazione di una sola offerta in quel caso sarebbe un aiuto di Stato. L’ESA (European System of Account) 2010 ii, il MGDD (Manual on Government Deficit and Debt) del 2010 iii e, soprattutto, le successive Linee Guida Eurostat EPEC del 2016 (EPEC, EUROSTAT, EIB “A guide to statistical treatment of PPPs”, september 2016(iv) hanno disciplinato gli aiuti finanziari pubblici concessi a privati affidatari di concessioni (sotto forma di Public Private Partnership o project finance(v), ai fini del raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario dell’investimento per la realizzazione e/o gestione di infrastrutture, opere e servizi pubblici. Il fine era quello di individuare gli aiuti di Stato che possono gravare sull’indebitamento pubblico (on-shelfvi) dei singoli Stati a causa dei stringenti vincoli di bilancio del Fiscal Compact(vii).

Tali previsioni sono state in parte riportate nell’art.180 comma 6 del Codice dei Contratti Pubblici ove si prevede che ai fini del raggiungimento del predetto equilibrio, in sede di gara le amministrazioni aggiudicatrici possono stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico viii o in un diritto di godimento, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera da affidare in concessione. L’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari (ix).

Le succitate Linee Guida Eurostat EPEC del 2016 hanno però esteso l’accezione di aiuti di Stato sui P.P.P. mettendo in analogia il contributo pubblico sotto forma di fondi perduti(x), incentivazioni fiscali (anche locali)(xi), rimborsi e/o riduzioni degli oneri sociali(xii), tariffe agevolate(xiii), prestiti agevolati concessi da enti pubblici (xiv), conferimenti agevolati di capitale (equity) da parte statale(xv) ai finanziamenti, alle garanzie, agli equity (partecipazioni pubbliche al capitale) concessi a tassi e condizioni di mercato ai detti privati gestori da istituti (banche) di proprietà o controllo pubblico(xvi). Ancora le dette Linee Guida hanno previsto che anche la previsione di un minimo di domanda pubblica fatta al privato concessionario per la disponibilità degli immobili concessi fa scattare di default la collocazione onshelf. Altra automatica collocazione sull’indebitamento pubblico è la previsione di profitti pubblici sopra la soglia del 50% o dicaps sul guadagno privato(xvii) o ancora di utili pubblici tratti dalla manutenzione delle opere, etc. Tali aiuti, con le dette cessioni di immobili o diritti di godimento o con ogni “ulteriore meccanismo di finanziamento”, concorrono al raggiungimento della detta soglia limite del 49% fissata dal legislatore per evitare(xviii) la collocazione degli stessi aiuti on-shelf(xix.) E’ stata, ovvero, con dette estensioni, ribaltata la vecchia concezione secondo la quale il P.P.P. affidato ad privato concessionario non gravava, ove non oggetto di finanziamenti a fondo perduto, sull’indebitamento pubblico oggetto dei stringenti vincoli di bilancio del Fiscal Compact(xx). Molti si chiedono di quale legittimazione giuridica abbia goduto Eurostat per decidere della sorte delle concessioni erogate a privati in Europa(xxi). La Corte di Giustizia Europea (order of the Court Of First Instance del 5 settembre 2006), in un azione proposta dal Governo Regionale di Madrid e Mindra contro una lettera di Eurostat, aveva, infatti, dichiarato inammissibile l’azione poiché la lettera di Eurostat sarebbe stata “non vincolante(xxii)”. Di fatto, l’art. 126 del Trattato sul Funzionamento Unione Europea non prevede poteri effettivi del detto ufficio, salvo quelli consultivi verso la Commissione(xxiii). Il Reg.549/2013 al punto 20.286, in una nelle fittissime 727 pagine che ne costituiscono l’allegato A, da, però, legittimazione ad Eurostat a “valutare l’inserimento dei contratti di PPP on-shelf o off-shelf”: in altri termini a valutare se detti contratti concessori gravino o meno sull’indebitamento pubblico(xxiv). Nel 2011 il legislatore, con il D.Lgs 228/11, aveva inteso, però, aggirare le regole Eurostat e porre gli investimenti off-shelf a mezzo dell’utilizzo massiccio del PPP e del project finance(xxv). L’art. 5 del decreto delegato citato pone quale condicio sine qua non di finanziabilità il rispetto di obblighi di valutazione e di selezione di progetti dotati di studi di fattibilità, piani economico finanziari, analisi del rischio (sopra una certa soglia) e l’utilizzo di indicatori economico-finanziari tipici degli strumenti di affidamento e contrattuali di cui al project finance, alle concessioni ed al PPP: a rigore di legge, dunque, progetti affidati e realizzati a mezzo di contratti di appalto sarebbero non finanziabili. La previsione Eurostat Epec del 2016 di fatto ha, però, comportato l’inapplicabilità dei PPP al settore culturale causa la tipologia di “opere fredde”(xxvi), ovvero di scarsa o nulla redditività, tipiche di grande parte degli investimenti nel settore culturale. Esse richiedono, infatti, contributi, o aiuti latu sensu pubblici, superiori al 49%, facendo scattare la collocazione automatica on-shelf sopraccitata.

B- l’inquadramento delle infrastrutture culturali in ppp come aiuti di stato (reg.651/2014)

Secondo l’art.107, n. 3, punto (d) del TFUE (Trattato Funzionamento Unione Europea) gli aiuti possono considerarsi compatibili con il mercato comune nel caso che sino mirati a “promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio sempreché questi aiuti non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse” xxvii. Con sentenza sul caso Leipzig-Halle del dicembre 2012, la Corte di Giustizia UE stabilì che i gestori di infrastrutture in PPP (partenariato pubblico privato) svolgono in linea di principio un’attività economica e che, pertanto, nel momento in cui ricevono fondi pubblici per costruire una nuova infrastruttura o ampliare infrastrutture esistenti, sono beneficiari di aiuti di Stato xxviii.

La Commissione Europea con documento Ares (2012)834142 – 01/08/2012, poco dopo, segnalò la “possibile presenza di aiuti di Stato nei progetti infrastrutturali in PPP”…per musei e monumenti storici piu grandi che godono di fama internazionale … ove non e possibile escludere un effetto sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati Membri.

La valutazione dipende dall’effettiva/potenziale capacita di attrarre visitatori stranieri”. Per principio generale, si escludono gli aiuti di Stato, come detto in premessa, se è stata effettuata una gara d’appalto ovvero una procedura di selezione concorrenziale per la scelta dell’operatore privato in PPPxxix. Il legislatore europeo, a quel punto, ha disciplinato il finanziamento pubblico delle infrastrutture e delle attività culturali nell’ambito del Regolamento UE n. 651/2014 relativo ad alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato.

Seppure il regolamento autorizza la copertura della mancanza di copertura finanziaria (cosiddetto funding gap), con il finanziamento integrale delle infrastrutture e delle attività culturali, dall’altro, ha stabilito per la prima volta l’applicabilità delle regole degli aiuti di Stato e della concorrenza al settore culturale, applicazione prima ristretta al “settore dell’industria creativa” come quella degli audiovisivi, per esempio. Nel caso non si possa escludere l’aiuto, per i criteri sopra indicati, l’art.53 del Regolamento UE 651/2014, ha previsto la non necessità delle notifica per alcuni investimenti, definiti “in regime di esenzione”.

L’articolo ha previsto un elenco di situazioni il cui finanziamento può costituire aiuto di Stato tale da comprendere qualsiasi attività in campo culturale (musei, siti archeologici, monumenti, archivi, biblioteche, teatri, sale da concerti, spazi culturali e artistici, il patrimonio immateriale, compresi i costumi e l’artigianato del folclore tradizionale, attività di educazione culturale e artistica, programmi educativi e di sensibilizzazione del pubblico). L’articolo riguarda gli aiuti agli investimenti, compresi gli aiuti per la creazione o l’ammodernamento delle infrastrutture culturali, ed al funzionamento. La soglia di notifica prevista è per investimenti per la cultura e la conservazione del patrimonio € 100 milioni per progetto; per il funzionamento la soglia è di € 50 milioni, per impresa per anno. Costi ammissibili sono gli aiuti agli investimenti, costruzione, ammodernamento, acquisizione, conservazione o miglioramento di infrastrutture annualmente utilizzate a fini culturali per almeno 80% di tempo o capacità. Il calcolo dei costi ammissibili è così effettuato: per gli aiuti agli investimenti, calcolando la differenza tra costi ammissibili e il risultato operativo (cosidetto “funding gap” di cui parleremo ancora) con calcolo ex ante, o clausola di un meccanismo di recupero (“claw-back”), mentre il gestore può mantenere un “utile ragionevole”.

Osserva Baldi “l’art. 53 prende in considerazione anche infrastrutture ed attività (come gli archivi, l’educazione culturale e artistica, il folclore tradizionale) che solo un approccio “integralista” può considerare economiche xxx”. Per contro, il 72° considerando del medesimo regolamento ha, tuttavia, ammesso che il finanziamento in campo culturale può “non comportare aiuti di Stato qualora non riguardi un’attività economica o quando non incida sugli scambi intracomunitari”. In questo caso gli Stati Membri possono, se ritengono, invocare un SIEG, ovvero l’applicazione della normativa in materia di Servizi di Interesse Economico Generale. In tal caso si applicherebbero i principi della comunicazione SIEG xxxi, tratti dalla sentenza Altmark xxxii, de minimis xxxiii, Decisione 21/2012xxxiv).

In caso di notifica, la Commissione farà la valutazione della compatibilità con il mercato interno sulla base della Comunicazione SIEG e del summezionato Articolo 107(3)(d) del TFUE. Ovvero, se da una parte il regolamento all’articolo 53 fa diventare aiuti di Stato, in pratica, tutte le attività culturali, il considerando 72 restringe il campo di applicazione dello stesso alle sole attività economiche e a quelle distorsive degli scambi tra Stati. Osserviamo, e ci ritorneremo, che oltre l’aggravamento degli equilibri di bilancio pubblico causa aiuti di Stato nel settore della cultura secondo le regole Eurostat (EPEC, EUROSTAT, EIB “A guide to statistical treatment of PPPs”, september 2016, cui si rinvia), la circostanza sarà certamente causa di un inopportuno forte rallentamento burocratico causato dall’incertezza dovuta alla mancanza di parametri certi per la qualificazione di un intervento pubblico considerabile per la sua “economicita” o per la “sua incidenza su scambi intracomunitari” quale aiuto di Stato o meno. Lo Stato italiano, però, ha previsto adempimenti di segnalazione degli stessi aiuti. Tali obblighi, soprattutto per le piccole amministrazioni, costituiscono un onere tutt’altro che irrilevante, “del tutto ingiustificato” dice il Baldi xxxv, a causa dell’istituzione, ai sensi dell’art. 14 della legge 115/2015, che modifica l’art. 52 della legge 234/2012, del Registro Nazionale Aiuti (RNA), entrato in funzione dal 12 agosto 2017. L’istituzione del Registro rappresenta uno degli impegni che l’Italia ha volontariamente assunto nei confronti della Commissione europea nell’accordo sottoscritto il 3 giugno 2016 dal sottosegretario Gozi e dalla Commissaria alla Concorrenza Vestager (Common understanding on strengthening the Institutional setup for State aid control in Italy). Orbene, l’adempimento degli obblighi di interrogazione del Registro costituisce “condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni ed erogazioni degli aiuti”. L’errore commesso dal funzionario, responsabile del procedimento, nella individuazione degli aiuti “ad attività economiche o attività incidenti sugli scambi intracomunitari” o il difetto di compilazione costituisce presupposto di responsabilità disciplinare dello stesso funzionario, oltre che, causa l’annullamento degli atti connessi, anche causa di eventuale rivalsa risarcitoria da parte dei privati eventualmente danneggiati dalla mancata erogazione degli incentivi annullati.

1. Le attivita’ culturali “incidenti sugli scambi tra stati membri”

Con la Comunicazione 262/16 xxxvi la Commissione Europea ha voluto declinare ed interpretare, poi, le specifiche delle previsioni del Regolamento UE 651/2014. Al punto 197 par. b) della Comunicazione 262/2016, la Commissione interpreta l’ultima parte del succennato Considerando 72. Ne facciamo un breve cenno senza sprecarvi ulteriore tempo causa i motivi di seguito enunciati. Riteniamo, infatti, che tale previsione sia controproducente per il sistema della cultura Italiana.

La Comunicazione 262/2016, sviluppando il suaccennato Considerando 72, al punto 197 scrive: “la Commissione ritiene che solo il finanziamento concesso a istituzioni ed eventi culturali di grande portata e rinomati che si svolgono in uno Stato membro e che sono ampiamente promossi al di fuori della regione d’origine rischia di incidere sugli scambi tra gli Stati membri”. Ancora al punto 195 continua: “l’incidenza sugli scambi…non può…essere semplicemente ipotizzata o presunta, ma devono essere accertate, in base agli effetti prevedibili, le ragioni per cui la misura…e idonea a incidere sugli scambi tra Stati membri”xxxvii. Tale proposizione fa emergere perplessità. Come distinguere “in base agli effetti prevedibili” la distorsione degli scambi causata da “istituzioni ed eventi culturali di grande portata e rinomati”? Quale è il limite minimo o massimo della “grande portata”o “rinomanza”? E con “ampiamente promossi al di fuori della regione d’origine”, cosa intende la Commissione? “Ampiamente” quantoxxxviii?

Quale “promozione”? La promozione via internet come deve essere intesa, “fuori dalla regione d’origine”xxxix, atteso che ormai grande parte della comunicazione e pubblicità di mercato e istituzionale passa via internet? Come si può non considerare eventi culturali di grande portata quelli fatti ai Fori Imperiali di Roma o una stagione della Scala di Milano?

Considerata la rilevanza dell’immenso patrimonio culturale italiano difficilmente un evento, anche non promosso adeguatamente, non attirerebbe masse di turisti ed utenti culturali. La promozione via internet o la notizia data da operatori culturali privati terzi (vi sono innumerevoli siti internet che promuovono notizie su eventi solo a scopo informativo) degli eventi deve essere intesa come fatta al di fuori della Regione Lazio, nel caso dei Fori Imperiali, o della Regione Lombardia, nel caso della Scala? E se l’evento fosse fatto in esecuzione di un progetto di cooperazione interregionale tra Sicilia e Malta, con poca o scarsa promozione, come dovrà essere inteso? Le macro regioni europee di cui al Regolamento UE 1299/2013, laddove organizzino attività culturali comuni, lo faranno di default come aiuti di Stato ancorché relative ad attività non economiche? La congiunzione “e” porterebbe a stretto rigore interpretativo a ritenere che la condizione di aiuti di Stato scatti sia nel caso di attività economica che nel caso di attività distorsiva degli scambi. Ed ancora, cosa si deve intendere per “scambi”: costituiscono “scambi” i visitatori di un’area archeologica o gli spettatori di eventi musicali? Come possono incidere tali flussi di visitatori xl o di spettatori sugli scambi tra Stati xli?

Chiudiamo qui le osservazioni. Riteniamo che sarebbe il caso di rafforzare, finalmente, i presidi tecnici e politici di partecipazione, controllo e vigilanza rispetto alle decisioni della Commissione. Premesso che le Comunicazioni della Commissione sono variamente classificate come informative, decisorie ed interpretative e che, in premessa della stessa Comunicazione, la Commissione precisa che la finalità è interpretativa della nozione di aiuto di Stato, riteniamo, però, che tale previsione, comunque non vincolante, dovrebbe essere, all’interno delle politiche europee, emendata da parte dello Stato Italiano causa manifesta irragionevolezza e mancanza di proporzionalità xlii, liberando i responsabili di procedimento dagli obblighi di registrazione sul Registro Nazionale Aiuti. Qualunque scelta in un senso o nell’altro comporterebbe, comunque, conseguenze: se il responsabile degli incentivi ritenesse, ovvero, che l’attività culturale non sia distorsiva del mercato e, dunque, non procedesse alla compilazione del registro, determinerebbe un rischio di annullamento dell’atto di concessione delle agevolazioni e di default una sua responsabilità verso i privati danneggiati causa la mancata erogazione dell’aiuto.

E’ vero che, come osserva un autorevole studioso, la giurisprudenza della Corte recepita dal regolamento di procedura, nei casi di aiuto “illegale” (concesso, cioè, senza che si siano seguite le procedure previste) stabilisce che l’Esecutivo europeo è comunque tenuto alla verifica di compatibilità, il cui esito favorevole escluderebbe ogni conseguenza. E, nel caso della cultura, difficilmente un aiuto potrebbe risultare non compatibile, essendo consentita la copertura dell’intero deficit di finanziamento (oltre ad un “utile ragionevole”). Osserviamo, per contro, che la compilazione del RNA a mezzo della registrazione dell’incentivo, oltre a rallentare le procedure causa le dette confusioni ed incertezze, facendo classificare (indebitamente nel settore della cultura) l’incentivo come aiuto di Stato, fa gravare tale aiuto sul complesso dell’indebitamento pubblico di cui ai vincoli di bilancio che lo Stato italiano si è imposto aderendo al Fiscal Compact, approvato con trattato internazionale il 2 marzo 2012, prima e poi con la legge costituzionale n.1/2012.

2. Le attivita’ culturali “economiche” e non

Affrontiamo il tema, vexata quaestio, sulla “economicità” o meno delle attività culturali. Circa il documento Ares (2012)834142 – 01/08/2012 e l’articolo 53 del Regolamento UE 651/2014 anticipiamo che la previsione di aiuti di Stato alla cultura in quanto attività economica, anche se esenti da notifica, sono una contraddizione in termini per due principali ordini di motivi: – il campo culturale è quasi sempre contraddistinto, per come indirettamente ammette la stessa Commissione, dal funding gap ovvero dalla usuale incapacità di coprire i costi per la produzione del servizio con le entrate; – se il servizio di offerta culturale fosse veramente un’attività economica gli operatori del settore dovrebbero agire in concorrenza fra loro. Il punto è che la concorrenza si ha fra beni fungibili, mentre le opere d’arte o un evento culturale sono un unicum. Dire che vi possa essere concorrenza tra una mostra di Bernini ed una di Pollock è cosa errata poiché chi va alle mostre cerca quell’autore e solo quell’autore e non potrebbe essere disposto a scambiare Bernini con Pollock. Non stiamo parlando, insomma, di saponette fungibili tra di loro al supermercato.

Le norme sulla concorrenza non si applicano alle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale xliii, ai sensi dell’art.106 TFUE (Trattato Funzionamento Unione Europea), “nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata” Il

Considerando 40 e l’art. 4 comma 8 della direttiva Bolkestein 2006/123/CE, prevedono che “la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico” e “gli obiettivi di politica culturale” rientrano nella nozione di «motivi imperativi di interesse generale. Ai sensi dell’articolo 12 della direttiva “gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni (…) sulla salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”. Tanto può comportare anche una eccezionale deroga al principio di evidenza pubblica (si veda nello stesso senso la recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 03/09/2018 n° 5157xliv). La Commissione al punto 34 della Comunicazione 262/2016, sviluppando il tema di cui al 72° Considerando, scrive che “talune attività concernenti la cultura, o la conservazione del patrimonio e della natura possono essere organizzate in modo non commerciale e, quindi, possono non presentare un carattere economico. Pertanto e possibile che il finanziamento pubblico di tali attività non costituisca aiuto di Stato”.

Ed ancora “La Commissione ritiene che il finanziamento pubblico di attività legate alla cultura e alla conservazione del patrimonio xlv accessibili al pubblico gratuitamente risponda a un obiettivo esclusivamente sociale e culturale che non riveste carattere economico xlvi. Nella stessa ottica, il fatto che i visitatori di un’istituzione culturale o i partecipanti a un’attività culturale o di conservazione del patrimonio (compresa la conservazione della natura), accessibile al pubblico siano tenuti a versare un contributo in denaro che copra solo una frazione del costo effettivo non modifica il carattere non economico di tale attività, in quanto tale contributo non può essere considerato un’autentica remunerazione del servizio prestato”. Dunque “talune” attività culturali non sono economiche ed eventuali contributi pubblici non possono costituire aiuti di Stato xlvii. L’attività di gestione di un museo, di un sito archeologico o di un monumento non ha quasi mai risultati positivi.

E’ oggettivamente impossibile, infatti, alzare il prezzo del biglietto ad un livello che consenta tale pareggio, soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo della Unione Europea ove la scarsa disponibilità di reddito individuale consente consumi culturali molto limitati. Secondo autorevole dottrina, si potrebbe escludere il carattere economico se il contributo richiesto all’utente non superasse il 50% dei costi xlviii, quantificando in quella percentuale, il concetto di “frazione” utilizzato nella Comunicazione. La percentuale è quasi la stessa prevista per i PPP a norma dell’art.180 comma 6 del Codice Contratti Pubblici. Nella quantificazione delle entrate, nel caso delle infrastrutture, rilevano le sponsorizzazioni, le locazioni per eventi privati, i diritti televisivi, le donazioni, etc.: da tali fattori si
determina il carattere economico o meno della gestione. Dunque, le superiori osservazioni, qualunque attività culturale che dovesse avere contributi pubblici superiori al 49% sarebbe “non economica”. Per contro, ove si riuscissero a fare sbigliettamenti e/o sponsorizzazioni per il 50% del costo qualunque attività sarebbe ipsto facto “economica “ e, dunque, ogni aiuto pubblico sarebbe aiuto di Stato.

Tale interpretazione richiederebbe ulteriori riflessioni. Se la comunicazione afferma che tali attività “dovrebbero” essere di carattere economico quando “prevalentemente finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali” xlix, è vero anche che il contributo richiesto ai visitatori o agli utenti l, proprio perché non è quasi mai o mai, tout court, tale da coprire il funding gap, “non può essere considerato un’autentica remunerazione del servizio prestato”. La Comunicazione ovvero da una parte prevede la economicità dovuta alle entrate mentre dall’altra ammette l’esistenza del funding gap. Lo ribadiamo, la difficoltà di copertura dei costi è tipica delle regioni depresse ove la disponibilità di reddito è inferiore alla media europea impedendo di fare gioco sulla leva dell’aumento del costo del biglietto. Il funding gap dovrebbe essere, dunque, la regola nelle regioni in ritardo di sviluppo, ma questo la normativa unionale non lo prevede. Finiamo l’esame del punto approfondendo l’esame delle attività definite “economiche” tout court. Il punto 35 della Comunicazione 262/2016 afferma: “Dovrebbero invece essere considerate attività di carattere economico le attivita culturali o di conservazione del patrimonio (compresa la conservazione della natura) (…) prevalentemente finanziate dai contributi dei visitatori o degli utenti o attraverso altri mezzi commerciali (ad esempio, cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale (…)”li.

Il termine “attivita culturali” è significativo poiché comprende alcune delle attività di servizio al pubblico di cui all’art.117,lii comma 2 punto g) del D.Lgs 42/04 e smi, la cui gestione è effettuata con le attività di valorizzazione regolate dall’art.112 e 115 del D.Lgs 42/04liii. Sono tali tutti gli eventi artistici e musicali, teatro, danza, musica, etc.. In che senso, dunque, il “cinema, gli spettacoli musicali e i festival a carattere commerciale” sarebbero “mezzi commerciali di finanziamento” delle “attivita culturali o di conservazione del patrimonio” che il punto della Comunicazione asserisce essere aiuti di Stato? Cosa si intende con “cinema, spettacoli musicali e festival a carattere commerciale”? Chi decide del carattere “commerciale” di quel certo film o di un certo concerto di musica sinfonica o di un festival? Se il termine “commerciale” fa riferimento agli incassi costituenti “un’autentica remunerazione del servizio prestato” come può saperlo a priori il responsabile procedimento in fase di programmazione amministrativa e di iscrizione dell’evento sul Registro Nazionale Aiuti? Atteso che non è dato conoscere a priori la capacità commerciale ovvero di auto-remunerazione delle rappresentazioni cinematografiche e degli spettacoli musicali, organizzare un’attività di valorizzazione come un festival o un evento musicale o cinematografico farebbe diventare ipso facto l’attività come aiuto di Stato.

Causa detta impossibilità di discernimento a priori della commercialità dell’evento non si rischia di impedire ogni attività di valorizzazione fatta con il supporto dei privati, ad esempio con sponsorizzazioni, piuttosto che incentivarla? Il rischio di avere nuovi aiuti di Stato gravanti sui delicatissimi equilibri di bilancio Italiani, causa l’ingente indebitamento pubblico, non farebbe premio sulle ragioni dell’efficienza ed efficacia gestionale? Per contro, il libero acquisto di biglietti per “x” numero di utenti da parte di un ente pubblico, classificato “domanda pubblica” a termini delle succitate Linee Guida 2016 Eurostat-Epec, successivamente alla registrazione, non rischierebbe di fare decadere il carattere economico dell’attività, registrata come tale sul RNA, anche laddove non sia stato formalmente previamente chiesto alcun contributo da parte dell’impresa culturale?

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C – conclusioni

E’ a nostro avviso fondamentale collocare i servizi delle imprese culturali concessionarie per attività di valorizzazione e fruizione fuori dal perimetro della normativa sugli aiuti di Stato. Oltre alle considerazioni sopra fatte, aggiungiamo che, comunque, un aiuto di Stato compatibile può essere erogato solo a condizione che il beneficiario non sia “in difficoltà” a norma del Considerando 14 del Reg.651/14. Orbene, se si considera come dice il Baldi che “Nella gestione di un museo o nella realizzazione di un’iniziativa culturale, ben poche attività del settore potrebbero beneficiare del finanziamento pubblico, assolutamente indispensabile per la loro sopravvivenza liv”, si ha chiara la dimensione del problema.

Come già detto prima a proposito delle attività economiche e degli aiuti distorsivi degli scambi intracomunitari, la posizione del dirigente responsabile di procedimento della registrazione dell’aiuto sul RNA è quanto mai scomoda per le possibili conseguenze e difficilmente linee guida di soft-lawlv potrebbero contribuire a dare soluzione ai problemi su esposti. Si dovrebbe, pertanto, ribadire per le vie politiche, così come per le vie tecniche, in sede europea quanto segue: – le funzioni costituzionali di tutela, valorizzazione e fruizione sono livelli essenziali della prestazioni garantite dalla Costituzione Italiana lvi e servizi d’interesse economico generale ai sensi dell’art.106 TFUE: le ultime due funzioni sono, nelle forme di legge, realizzate anche dalle imprese culturali laddove affidatarie di servizi pubblici o coinvolte a titolo sussidiario nelle stesse funzioni, a norma dell’art.118 della Costituzione, per l’espletamento dei compiti di utilità sociale e i fini di solidarietà previsti dall’art.111, 4° comma, del Codice lvii; – le declinazioni di attività delle funzioni di valorizzazione e fruizione delle imprese culturali non sono mai attività economiche e, pertanto, non dovrebbero essere mai sottoposte alla normativa sugli aiuti di Stato; – il “Sistema culturale Italia”, per sua peculiare natura di testimonianza culturale di livello mondiale, non può essere sottoposto alle previsioni del punto considerando 72 del Reg. 651/14 e del punto 197 par. b) della Comunicazione 262/2016 circa l’incidenza sugli scambi intracomunitari. Causa i cambiamenti normativi intervenuti in Italia, in particolare, con l’art.01 del D.L. 146/15 che ha posto le funzioni di tutela, valorizzazione e fruizione quali livelli essenziali delle prestazioni lviii, le modifiche settoriali apportate dal nuovo Codice Contratti (D.Lgs 50/16 e smi) e dal DM 154/17 (regolamento per gli appalti pubblici di lavori nel settore culturale) nonchè le previsioni di attività culturali previste nel Codice del Terzo Settore (D.Lgs 117/17), urge ricollocare le funzioni pubbliche di tutela, valorizzazione e fruizione culturale tra i servizi sociali di interesse generale ovvero tra i servizi che rispondono alle esigenze dei cittadini, si basano sui principi di solidarietà e accesso paritario, a prescindere dalla natura economica o non economica degli stessi (un esempio, ne sono i sistemi previdenziali).

Oggi l’Allegato 4 della Direttiva 2014/23/UE (recepita nell’attuale Codice dei Contratti Pubblici) fa una lista di servizi che possono essere procacciati dalle pubbliche autorità sul mercato (outsourced) tra essi sono: i “Servizi amministrativi, sociali, in materia di istruzione, assistenza sanitaria e cultura” lix. L’art.19 della stessa Direttiva, poi, prevede che “Le concessioni per i servizi sociali e altri servizi specifici elencati nell’allegato IV che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva sono soggette esclusivamente agli obblighi previsti dall’articolo 31, paragrafo 3, e dagli articoli 32, 46 e 47”. Pertanto, la citata direttiva 23 nel settore delle concessioni a privati per servizi nel settore sociale e nel settore culturale si applica solo in parte e, segnatamente, con riferimento alla pubblicità.

I due settori stanno, dunque, insieme rispetto ad un regime di deroga della normativa unionale sulle concessioni. Analogamente, in questa sede si ci chiede se non sia il caso, pertanto, che lo Stato Italiano, in virtù del succitato nuovo impianto ordinamentale del settore, svolga le dovute azioni in sede politica quanto tecnica affinchè le funzioni di tutela, valorizzazione e fruizione, quali livelli essenziali della prestazioni garantite dalla Costituzione Italiana, siano opportunamente riclassificate dal’Unione Europea nelle NOA (nozioni di aiuto di Stato). Si tratterebbe, ovvero. di omologare la normativa sugli aiuti di Stato a quella sopraccitata sulle concessioni, modificando la classificazione del regime di aiuti di Stato per i servizi culturali, oggi inquadrabili (in via eccezionale e su richiesta circostanziata da parte dello Stato) al massimo come servizi generali di interesse economico (SIEG), per inquadrarli, invece, come servizi sociali di interesse generale. Abbiamo ragione di credere che verrà subito meno lo stato di confusione qui descritto circa attività economica o non economica o circa incidenza negli scambi tra Stati. L’inquadramento come servizi sociali di interesse generale farà chiarezza per i RUP responsabili della registrazione sul RNA come anche per i privati. Asseverato che, grazie ai dati della Corte dei Conti nazionalelx, in Italia non si è mai realizzato un solo project finance, con buona pace dei teorici della “redditività delle attività culturali”, è venuto il momento di fare accettare in Europa la scelta già fatta in Italia sulla imputazione a servizio sociale della tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale. Si tratta, in fin dei conti, della mission pubblica dello Stato Italiano, delle Regioni e di tutti gli altri enti territoriali: investire in cultura dovrebbe dunque essere, se non la prima, una delle prime missioni pubbliche della Repubblica e, considerati i privati, della stessa Nazione. Se si vuole che in concreto la cultura diventi diritto sociale individuale e costituzionalmente protetto, occorre, però, che anche in sede Europea se ne prenda atto.

Note

i Direttiva 2014/23/UE, Direttiva 2014/24/UE e Direttiva 2014/25/UE ii EFSI – EIB “Frequently asked questions on Public-Private Partnerships (PPPs) and their statistical treatment in national accounts (ESA2010)”, paragrafi da 20.276 a 20.290, pagine 453-456. La procedura di disavanzo eccessivo” (EDP Excessive Deficit Procedure), definita dal Trattato di Maastricht (articolo 104), è entrata in vigore nell’UE dal 1994. La Commissione europea (attraverso Eurostat) cerca di garantire la corretta applicazione del sistema europeo di conti (ESA European System of Accounts), al fine di raccogliere statistiche affidabili e comparabili sulla situazione del debito e del disavanzo degli Stati membri. A partire dal settembre 2014, ESA 2010 è il quadro di riferimento per questi dati. Il suo uso è ora giuridicamente vincolante per tutti i paesi dell’UE. L’ESA 2010 si prefigge di produrre statistiche economiche e cerca di registrare la sostanza economica delle transazioni (anziché la loro forma giuridica). ESA 2010 contiene le regole per il trattamento statistico dei PPP che riflette, tra l’altro, il lavoro di EUROSTAT sul tema dal 2004. L’ESA 2010 è stato approvato dal Parlamento e dal Consiglio Europeo con il Reg.549/2013

iii sul tema si rimanda alla “Decisione Eurostat sul deficit e sul debito” dell’11.02.2004 e ü al “Manual on Government Deficit and Debt” (MGDD), relativo all’ESA 2010,implementation of ESA 2010 di Eurostat, paragrafo VI.4 sopraccitato

iv In modo approfondito si veda A.BRUNO “PPP, “Public private partnership ed indicazioni soft-law di Eurostat – profili di illogicità e di possibile danno”, su www.diritto.it del 10 ottobre 2017 ISSN 1127-8579 v When do liabilities from public-private partnership and concession contracts become the part of the general government debt?” Institute of Public Finance – Newsletter – A.BAJO – D.JURICIC, 2015/101 vi Per classificare l’operazione off-balance (off-shelf) bisogna fare la valutazione con tre categorie di rischio (costruzione, disponibilità e domanda). Tali categorie oggi sono state riprese dalla Direttiva 23 e (non interessa questa trattazione se non marginalmente), dall’articolo 3, comma 1, punti zz), aaa), bbb) ccc), del Codice, rispettivamente relativi al rischio operativo, al rischio di costruzione, di disponibilità e di domanda, e dall’art. 180, 3° comma del Codice. Trattasi di capire, caso per caso, se si ci trova davanti a “government asset” o ad “partner’s asset”. L’allocazione dei rischi del progetto è decisiva: se il partner privato sopporta la maggior parte dei rischi relativi ad una operazione di partenariato, allora il progetto può essere considerata come “non-government asset” (L.PRADO URENA “European Conference on Quality in Official Statistics (Q2016) Madrid, 31 May-3 June 2016 – Public investment: recording in EDP statistics and treatment under the SGP”, pag.7), e, dunque, fuori bilancio (off-balance o off-shelf), cfr. MGDD – ESA 95 (2004), Long Term Contracts between government Units and non-government partners (PublicPrivate Partnership), Part VI

vii I Governi oggi sono interessati alle classificazioni Eurostat poiché utilizzano strumenti di PPP per contabilizzare gli investimenti off-balance, ovvero per non consolidarli nello stato patrimoniale al fine di evitare un aumento del proprio indebitamento. Eurostat, in proposito, lamenta che questa attitudine sta producendo vere e proprie distorsioni comportando modifiche snaturanti progetti che sarebbero, invece, per loro essenza da collocare sui bilanci pubblici, cfr. A.BRUNO, ibidem, pag.10

viii Cessioni di beni (mobili o immobili) o servizi statali a titolo gratuito e/o a prezzo ridotto vedi sentt. 11 luglio 1996, in C-39/94, 120 aprile 2003, in T-366/00, decisione della Commissione 96/631/CE del 17 luglio 1996, e decisione della Commissione 92/465/CEE del 14 aprile 1992. ix L’applicazione dei principi Eurostat fa riferimento a quei contratti che hanno ad oggetto un investimento o ristrutturazione di un assett/opera pubblica. Nel caso della ristrutturazione, l’investimento privato deve essere pari o superiore al 50% del valore finale dell’opera ristrutturata. Diversamente per interventi non di ristrutturazione/rifunzionalizzazione l’asset dovrà rimanere iscritto nei conti public (on-balance), vedi A.BRUNO, ibidem, pag.11. Ed ancora sul tema: L.PRADO URENA ibidem a pag. 8, in un passaggio che riportiamo: “The main features to be examined in order to assess the treatment of a PPP contract are the following: whether it really qualifies as a PPP, the sector classification of the private partner, the provision of government financing or guarantees, the termination clauses, the analysis of risks (construction and availability/demand) and rewards, the allocation of the assets at the end of the contract, the force majeure events and special circumstances, which entity benefits from the rewards in case of debt refinancing”. Estensivamente sul tema dei rischi e delle posizioni Eurostat si veda V.VECCHI – V.LEONE “Partnership pubblico privato”, Bocconi , 2016 x CORTE GIUSTIZIA EUROPEA sent. 17 settembre 1980, in C-730/79

xi sentt. CGUE 15 marzo 1994, in C-387/92, 26 settembre 1996, in C-241/94, 19 maggio 1999, in C-6/97, 15 dicembre 2005 in C- 66/02

xii sent. CGUE 7 marzo 2002, in C-310/99, 13 giugno 2006 in C- 173/03

xiii sent. CGUE 25 febbraio 1988, in cause riunite C – 67, 68, 70/1985

xiv dec. della Commissione 89/348/CEE del 23 novembre 1988, sentt. CGUE 24 ottobre 1996, in C-62/95 e 63/95, 5 ottobre 2000, in C-288/96 xv Sentt. CGUE 21 marzo 1991, in C-303/88 e in C-305/89

xvi Più in dettaglio si veda A.BRUNO, ibidem, da pag.23 fino a 61 xvii A.BRUNO, ibidem, pag.39

xviii L.MARTINIELLO “La contabilizzazione on-off-balance delle opere pubbliche realizzate in concessione”, pag. 49 in Azienda Pubblica 1-2011 e L.MARTINIELLO, Le regole di contabilizzazione delle operazioni di concessione e di partenariato pubblico privato, in Finanza di Progetto e PPP: temi europei, istituti nazionali e operatività a cura di G. F. Cartei e M. Ricchi, Editoriale Scientifica, 2015, pp. 441 – 460. Si veda sul tema BENITO, F.BASTIDA e M.D.GUILLAMON, ‘Public-Private Partnerships in the Context of the European System of Accounts (ESA95)’ (2012) 1 Open J of Accounting 9, che qui citiamo: “the risks should be allocated to the party that is the ‘least cost avoider’, that is, the party in the best position to control or bear the risks, and not just to the private party in order to improve public accounts in the short term at the expense of the global profitability of the project”.

xix “(…) In national accounts, the assets involved in a public-private partnership can be considered as nongovernment assets only if there is strong evidence that the partner is bearing most of the risk attached to the specific partnership.” (Eurostat decision on treatment of PPP’s, 11 February 2004)

xx Cfr., C.CAVALLARI “Manuale di diritto dell’Unione Europea”, 2016, pag. 281 xxi sulla legittimazione legale di Eurostat esiste un documento EUROSTAT “Compact guides Legal framework for European statistics” 2010 edition The Statistical Law. Il problema è che il documento è del 2010 e tratta del Regulation (EC) No 223/2009 on European statistics. Non si occupa, dunque, di PPP né della legittimazione Eurostat ad intervenire nei contratti in PPP.

xxii A.BRUNO ibidem pag.46. Caso T-148/05 Comunidad de Madrid and Mintra v Commission [2005] OJ C143/41 e poco dopo Caso T-177/06 Ayuntamiento de Madrid and Madrid Calle 30 v Commission [2006] OJ C212/33. Sempre sul tema si veda il Caso T 403/06 Belgium v Commission) ([2007] OJ C42/36).

xxiii “Eurostat, Soft Law and the Measurement of Public Debt: The Case of Public-Private Partnerships di A.VEGA – European Journal of Legal Studies, Volume 6, Issue 2 (Autumn/Winter 2013/14), pag.117, “In any case, in order to increase legal certainty it would be advisable to make clear the type of legal act which is being used and whether it has a legislative, a delegated or an implementing character. This is important because, as it could be observed with respect to PPPs, the activity of Eurostat is not merely interpretative and in practice it has been filling the gaps of the accounting norms, favouring criteria which are not devoid of debate”.

xxiv A.BRUNO ibidem pag. 45/61

xxv Attesa l’assenza di studi sul tema del D.Lgs 228/11 ci si consenta citare tre saggi di cui siamo stati recentemente autori: A.BRUNO “Confutazioni e soluzioni per l’applicazione del D.lgs 228/11 al settore dei beni culturali”, pubblicato il 27 giugno 2018 su “www.diritto.it”, ISSN 1127-8579; A.BRUNO “PPP e beni culturali : ragioni di un cambio di rotta legislativo e conseguenze sull’impianto ordinamentale”, pubblicato su “ildirittoamministrativo.it il 07 dicembre 2017; A.BRUNO “Profili applicativi del D.LGS 228/11 e obblighi di conservazione/tutela nel settore culturale su www.diritto.it del 21 agosto 2017 ISSN 1127-8579 e su “www.dirittoamministrativo.it”, ottobre 2017 xxvi CONSIGLIO DI STATO,“Parere sullo schema di linee guida recanti “Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato” Adunanza della Commissione speciale del 22 febbraio 2017, pag.18 e ANAC Documento di consultazione Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico-privato, 2016

xxvii Con decisione del 15 dicembre 2012, aiuto n. N 606/2009, Olanda, la Commissione ha autorizzato circa 400 milioni di euro di aiuti olandesi destinati al restauro e alla conservazione dei monumenti storici: il regime escludeva che i fondi pubblici potessero essere destinati a favore delle attività commerciali eventualmente svolte in questi edifici, essendo limitati esclusivamente alla conservazione degli immobili. La Commissione ha stabilito che, in questo tipo di sussidi, è probabile che non sia soddisfatta la condizione dell’incidenza sul commercio interno, tuttavia la Commissione ha precisato che in ogni caso tali aiuti rientrano nella deroga di cui all’art. 107, 3, d, essendo destinati alla protezione del patrimonio culturale nazionale senza alterare le condizioni degli scambi e della concorrenza nel mercato interno in contrasto con gli interessi comuni

xxviii R.VUILLERMOZ Attuazione della normativa europea sugli aiuti di Stato – La sentenza Leipzig-Halle sugli aiuti alle infrastrutture aeroportuali Venezia11 ottobre 2013

xxix A.AMELOTTI Commissione europea DG Concorrenza Roma, 3 aprile 2017 “Aiuti di Stato ed infrastrutture”, pag. 47, aggiunge tra i criteri per l’esclusione della normativa sugli aiuti di Stato anche: “Pari passu del pubblico con investitore/operatore privato; studi che indicano i valori di mercato (benchmark) o altre metodologie di valutazione generalmente accettate (TRI) e “accessibilità” alle infrastrutture, ovvero tutti devono avere accesso non discriminatorio alle medesime condizioni

xxx Cfr., “Finanziamento della cultura e regole di concorrenza” C.E.BALDI in AEDON 2018, 3, pag. 2

xxxi Comunicazione del 20 novembre 2007 sui servizi di interesse economico generale [COM(2007)725]

xxxii La Commissione nella recente Comunicazione del 20 novembre 2007 sui servizi di interesse economico generale ha sviluppato le indicazioni elaborate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare la fondamentale sentenza Altmark del 2003) e da una serie di altri documenti della Commissione. Per criteri Altmark s’intendono le condizioni indicate dalla sentenza della Corte di giustizia in base alle quali la compensazione per un servizio d’interesse economico generale non dovrebbe essere considerata aiuto di Stato. In breve: i) l’attività deve essere un servizio d’interesse economico generale e i suoi compiti ed obblighi chiaramente definiti; ii) i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione dei costi del servizio pubblico devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente; iii) la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire i costi del servizio nonché un margine di utile ragionevole per l’adempimento di tali obblighi (ossia nessuna sovracompensazione); e iv) la compensazione è determinata in base a una procedura di appalto pubblico oppure, se tale procedura non ha luogo, la compensazione dell’impresa incaricata dell’esecuzione degli obblighi di servizio pubblico deve essere terminata sulla base di un’analisi dei costi di un’impresa media gestita in modo efficiente.

xxxiii Regolamento UE 1407/2013 xxxiv 2012/21/UE: Decisione della Commissione, del 20 dicembre 2011 , riguardante l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 106, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale [notificata con il numero C(2011) 9380]

xxxv Sul tema si vedano gli scritti di Baldi, autore che meritoriamente ha acceso la luce sul tema degli aiuti di Stato alla cultura: “Disciplina comunitaria degli aiuti di stato e politica culturale europea. Le incoerenza di un sistema fortemente burocratizzato” di C.E.BALDI in AEDON 2014, 3, “L’intervento pubblico in campo culturale. Il faticoso iter di linee guida condivise” di C.E.BALDI in AEDON 2018, 2, e il sopraccitato “Finanziamento della cultura e regole di concorrenza” C.E.BALDI in AEDON 2018, 3. La citazione è presa dall’ultimo saggio a pagina 3.

xxxvi Nel linguaggio europeo la comunicazione 262/16 è definita NOA (nozione di aiuto di Stato)

xxxvii “Nell’analisi della Commissione è da notare che non appaiono dubbi circa la potenziale incidenza sul commercio intracomunitario di aiuti ai musei per grandi eventi che sono capaci di attrarre un pubblico internazionale”, cfr, la nota 71 del testo Unioncamere Veneto Eurosportello Veneto “Manuale sugli aiuti di stato per le camere di commercio venete ed enti controllati”, di BELLATI, CEVESE, SANTORO, LA BARBERA, 2014

xxxviii In ordine alla relatività delle posizioni della Commissione si segnala la decisione 20 dicembre 2006 su aiuto n. N 497/06. La Commissione ha dichiarato che la misura notificata non costituiva aiuto rilevante in quanto non era soddisfatta la condizione dell’incidenza sul commercio intracomunitario. Si trattava di un aiuto di poco superiore ai 200.000 euro, a favore di un’impresa attiva in vari settori, dalla produzione di ceramiche alla ristorazione, la quale aveva vinto l’appalto per la gestione del teatro comunale, con l’obbligo di organizzare una serie di attività culturali. Al contempo la beneficiaria avrebbe potuto sfruttare gli spazi comunali anche per svolgere attività commerciali, come balli e vendite. La Commissione ha ritenuto che l’aiuto non avesse incidenza, in quanto il teatro non poteva svolgere programmi fuori dalla città, non vi era domanda dall’estero per quanto i confini più vicini fossero a non più di 60 km, l’importanza degli eventi culturali era solo locale, le rappresentazioni teatrali erano solo in lingua ceca, come centro culturale non aveva nessuna caratteristica tale da renderlo un unicum. La Commissione ha peraltro sottolineato l’importanza che la beneficiaria tenesse conti separati rispetto alle altre attività di natura commerciale, che non dovevano beneficiare degli aiuti in questione.

xxxix Un funzionario della Commissione Europea in una sua presentazione scrive: “Conferma della prassi decisionale della Commissione che i piccoli servizi locali che non incidono sugli scambi tra Stati membri, se: ₋poco probabile che attirino clienti da altri Stati membri e ₋non è prevedibile che abbiano un’incidenza più che marginale su decisioni di investimenti o di stabilimenti transfrontalieri”, A.AMELOTTI Commissione europea DG Concorrenza Roma, 3 aprile 2017 Aiuti di Stato ed infrastrutture xl Il BALDI ibidem in AEDON N. 2, 2018 osserva: “Si potrebbe affermare che la stessa rappresentazione dell’Aida all’Arena di Verona, che certamente si rivolge ad un’utenza che travalica i confini nazionali, non sia alternativa ad una rappresentazione di un’opera di Wagner al festival di Bayreuth; cosi come il Maggio fiorentino non sia in concorrenza con il Festival di Salisburgo. La tipologia di fruitori tende ad escludere la concorrenza fra i diversi eventi”. xli A.AMELOTTI, ibidem, pag. 44 scrive “attività culturali che non rischiano di sottrarre utenti o visitatori a offerte analoghe” (SIC!). Come si può concepire una qualunque attività culturale in Italia che non sottragga utenti o visitatori a offerte analoghe??

xlii A proposito della proporzionalità la Commissione ha negato la deroga ad alcune imprese Italiane sulla base di tale principio. Nella decisione 25 novembre 1999, (GUCE L 150 del 23.6.00, punti 81,82 e 96), aiuti alle imprese di Venezia e Chioggia, la Commissione ha osservato che “quanto alla conservazione del patrimonio, il governo italiano e il comitato hanno indicato, nell’elenco dei sovraccosti che graverebbero sulle imprese veneziane, i costi aggiuntivi derivanti dal rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici. Tali costi non sono tuttavia sopportati da tutte le imprese. Ne consegue che mentre lo sgravio è accordato a tutte le imprese, soltanto alcune di esse sostengono costi connessi alla salvaguardia del patrimonio. La Commissione osserva inoltre che anche limitando la deroga alle imprese titolari di un edificio soggetto a vincoli architettonici e quindi effettivamente esposte a questi costi addizionali, non vi è proporzionalità tra il vantaggio derivante dall’aiuto ed i costi sostenuti. Infatti, l’aiuto potrebbe essere insufficiente per conseguire la finalità della salvaguardia del patrimonio se le persone occupate sono poco numerose rispetto al patrimonio artistico da preservare oppure eccessivo qualora fosse destinato ad un’impresa con numerosi dipendenti, ma con costi limitati connessi alla conservazione del patrimonio. Pertanto la deroga non può essere accordata trattandosi di un aiuto le cui modalità di applicazione non consentono di garantire che sia proporzionale alla finalità della deroga invocata.

xliii Servizi di interesse economico generale, sono servizi di base forniti dietro pagamento, come i servizi postali, sono soggetti alle norme in materia di concorrenza e mercato interno europeo. Tuttavia, sono possibili deroghe a tali norme qualora sia necessario per garantire l’accesso dei cittadini ai servizi di base, sito intenet commissione europea / categorie

xliv Ancora prima la VI sezione del CONSIGLIO DI STATO la quale, con la sentenza n. 1514/2007 ha affermato che, in
relazione allo specifico settore dei beni culturali, “l’affidamento diretto non può concernere che il servizio relativo alla valorizzazione, non anche, in difetto di specifiche e inequivocabili norme derogatrici, le attività di progettazione, conservazione e manutenzione dei beni culturali medesimi” xlv Con decisione su aiuto n. NN 43/2007 del 30 aprile 2008, la Commissione ha dichiarato compatibile col trattato un aiuto concesso dalla Repubblica Ceca ai musei pubblici che organizzano importanti mostre. Trattavasi di un fondo di garanzia creato dal Ministero della Cultura al fine di pagare eventuali danni agli oggetti di maggior valore esposti nelle mostre (a partire da circa 4.000 euro). Posto che, a detta dell’autorità ceca, i costi di assicurazione rappresentavano oltre il 50% del totale dei costi di organizzazione delle mostre, il fondo pubblico consentiva un notevole risparmio ai musei che organizzano eventi di grande rilievo. Secondo la Commissione la misura esaminata consentiva di preservare il patrimonio culturale nazionale senza alterare le condizioni degli scambi e della concorrenza in misura contraria all’interesse comune. Inoltre la Commissione ha sottolineato positivamente che la garanzia riguardava solo oggetti di valore superiore a 4000 euro circa, per cui l’aiuto era mantenuto al livello minimo necessario.

xlvi Nella sopraccitata decisione 20 dicembre 2006 su aiuto n. N 497/06, la Commissione ha precisato che l’aiuto in questione sarebbe stato compatibile, in quanto la beneficiaria avrebbe svolto nella sede teatrale prevalentemente attività culturale, come concerti e rappresentazioni teatrali. Ai sensi dell’art. 151(4) [ora 167 (4) TFUE] la Comunità deve tener conto degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norma di altre disposizioni del trattato. Gli aiuti in esame non parevano condizionare gli scambi in misura contraria al comune interesse. L’incidenza sugli scambi non poteva che essere minima, l’importo si avvicinava alla nuova soglia de minimis, e l’aiuto spalmato sul numero di eventi avrebbe comportato una sovvenzione media di circa 5.000 euro, quindi non molto alta.

xlvii Nella summenzionata decisione 25 novembre 1999, (GUCE L 150 del 23.6.00, punti 81,82 e 96), aiuti alle imprese di Venezia e Chioggia, la Commissione ha ritenuto che […] tale nozione non possa essere interpretata in senso lato. L’argomento addotto dal comitato, secondo cui la promozione delle attività economiche che costituiscono la rete vitale di Venezia contribuisce alla salvaguardia della città, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, resta troppo generico e vago rispetto alle finalità culturali contemplate dalla deroga in esame. […] Infine, quanto al Consorzio Venezia Nuova che si occupa del servizio di salvaguardia di Venezia e della laguna, la Commissione osserva che questa società è stata espressamente costituita per la salvaguardia del patrimonio storico, artistico e archeologico della città di Venezia: la sua finalità statutaria è la realizzazione, in regime di concessione, degli interventi promossi dallo Stato in questo settore. La Commissione ritiene che gli aiuti concessi al Consorzio debbano essere considerati compatibili con il mercato comune in virtù della deroga di cui all’art. 87 (107 TFUE), par. 3, lettera d), del trattato. Infatti, nel caso di specie, il ruolo istituzionale del Consorzio è la salvaguardia e la conservazione del patrimonio di Venezia e gli aiuti accordati sotto forma di sgravi nella laguna hanno pertanto una finalità culturale.” xlviii Nella decisione su aiuto N 340/07 del 18 luglio 2007, aiuti a piccole o medie persone giuridiche private e pubbliche, per attività relative al ballo, alla musica, al teatro e per attività audiovisive nei Paesi Baschi, la Commissione ha autorizzato gli aiuti segnatamente in quanto i beneficiari erano selezionati in modo trasparente tramite bandi aperti a soggetti anche di altri Stati membri, la durata della misura era di pochi mesi, l’ammontare globale dell’aiuto era molto contenuto (€ 1.1 mil), l’ammontare dei singoli aiuti era molto basso con un’intensità massima del 50%, l’uso della lingua basca limitava la concorrenza con settori culturali di altri Stati membri. xlix A riprova della confusione in ordine al concetto di economicità citiamo la decisione su aiuto n. N 540/2008 dell’8 aprile 2009. Con essa la Commissione ha autorizzato un regime di aiuti a talune imprese ungheresi, grazie a fondi norvegesi (!!), concessi nel quadro di accordi di cooperazione a livello SEE, segnatamente a favore di beni artistici e storici facenti parte del patrimonio UNESCO. In primo luogo la Commissione ha ricordato che possono benissimo svolgere attività d’impresa anche società non-profit, inclusi i musei pubblici con entrata gratuita, i quali si trovino in edifici storici che devono essere restaurati. La Commissione ha sottolineato che il concetto di attività economica è “funzionale”, per cui anche un soggetto (come lo Stato) che normalmente non svolge attività d’impresa, talvolta può svolgere delle funzioni economiche. Quindi, se un ente pubblico riceve sovvenzioni per un museo o un centro culturale che gestisce direttamente, tali sovvenzioni possono avere natura di aiuto. Se per una certa attività di offerta di beni o servizi esiste un mercato, allora l’attività in questione è economica. Ad esempio non vi è attività d’impresa se i fondi pubblici sono usati per restaurare un edificio storico, qualora l’edificio sia occupato da una pubblica amministrazione (nel regime notificato, se l’edificio storico veniva affittato ad un’impresa questo non avrebbe beneficiato della misura in questione – inoltre i fondi pubblici non potevano essere usati per l’acquisto delle attrezzature dei bar/ristoranti creati nei musei e nei centri culturali). Se però lo stesso edificio viene usato per visite guidate, mostre o film, si configura attivita economica, posto che vi e concorrenza potenziale con altri teatri privati o cinema. l Anche certi musei molto importanti sono in concorrenza con gallerie private o altri servizi alternativi di intrattenimento (viceversa certi musei non svolgono attività d’impresa, ad esempio quelli dedicati alla storia locale che si trovano in località minori). Può rivestire natura economica anche la raccolta e la sistematizzazione di canzoni popolari, la relativa digitalizzazione, la messa a disposizione delle stesse in librerie e su Internet. Se non si è in presenza di attività economiche, non si configura nemmeno la presenza di aiuti di Stato: in questi casi il finanziamento pubblico consiste in movimento di fondi entro gli organi dello Stato oppure a favore di soggetti che non svolgono attività d’impresa. In ordine al trasferimento di risorse pubbliche, secondo la Commissione il finanziamento norvegese passava attraverso lo Stato ungherese, e quindi si tramutava in finanziamento pubblico ungherese. In ordine all’incidenza sul commercio intracomunitario, la Commissione ha osservato che l’aumento e il miglioramento dell’offerta culturale poteva attrarre turisti di altri Stati e poteva ostacolare investimenti da parte di imprese straniere per simili servizi in Ungheria. li A.AMELOTTI, ibidem, pag. 43: “Attività finanziate prevalentemente (>50%) dai contributi dei visitatori/utenti o attraverso altri mezzi commerciali (quali ad es. cinema, esposizioni ed eventi musicali commerciali) – Attività che favoriscono esclusivamente alcune imprese e non il pubblico in generale (ad es. il restauro di un edificio storico utilizzato da un’impresa privata)”. L’ultimo caso relativo ad infrastrutture private per fini privati non interessa questo saggio relativo alle sole attività pubbliche di tutela, valorizzazione e fruizione. lii A margine notiamo che per una parte dei servizi aggiuntivi di cui all’art.117 (ristoranti, negozi, parcheggi) in caso di uso misto (economico / non economico), ai sensi della Comunicazione 262 (Nota piè pagina (n.50) NOA) il finanziamento pubblico non rientra tra le norme in materia di aiuti di Stato per infrastrutture usate quasi esclusivamente per attività non economiche. La Commissione ritiene che non ha effetto sugli scambi il finanziamento pubblico concesso per servizi comunemente aggiuntivi a infrastrutture utilizzate per attività non economiche. Nello specifico – non ha incidenza alcuna sugli scambi il finanziamento pubblico concesso ai servizi forniti nell’ambito di attività culturali e di conservazione del patrimonio (per esempio – negozi, bar, guardaroba di un museo). Tanto a condizione che l’uso economico rimanga puramente accessorio, che l’attività sia direttamente connessa all’utilizzo dell’infrastruttura o necessaria o intrinsecamente legata al suo uso principale (non economico). Condizione soddisfatta se le attività economiche necessitano degli stessi fattori produttivi delle attività principali (non economiche), cfr, A.AMELOTTI, ibidem, pag. 46

liii G.SCIULLO “I percorsi della valorizzazione Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali” in Aedon n. 2, 2009 liv BALDI, ibidem, in AEDON 3 2018, nota 7 lv Circa il soft-law di EUROSTAT si veda “Eurostat, Soft Law and the Measurement of Public Debt: The Case of PublicPrivate Partnerships di A.VEGA – European Journal of Legal Studies, Volume 6, Issue 2 (Autumn/Winter 2013/14), pag. 96 e O.STEFAN, ‘European Union Soft Law: New Developments Concerning the Divide between Legally Binding Force and Legal Effects’ (2012) 75 Modern L Rev 879, pag.885-888 lvi A conferma della tesi qui sostenuta con la sentenze n. 255 e n. 307 del 2004 e n. 285 del 2005 la CORTE COSTITUZIONALE stabili che “lo sviluppo della cultura è finalità di interesse generale perseguibile da ogni articolazione della Repubblica” e “le disposizioni che prevedono il sostegno finanziario ad opere … che presentino particolari qualità culturali ed artistiche si connotano … nell’ottica della tutela dell’interesse, costituzionalmente rilevante, della promozione e dello sviluppo della cultura (art. 9 Cost.)” lvii Sul tema si veda il documento della COMMISSIONE EUROPEA Staff Working Document 3rd Biennal Report on
Social Services of General Interest che accompagna la Comunicazione Towards Social Investment for Growth and Cohesion – including implementing the European Social Fund 2014-2020 (Brussels, 20.2.2013 SWD(2013) 40 final, pag. 24

lviii A.BRUNO “Confutazioni e soluzioni per l’applicazione del D.lgs 228/11 al settore dei beni culturali” su diritto.it, ISSN 1127-8579, 2018 pag.34 . CARPENTIERI in “Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura 13° rapporto annuale Federculture, Gangemi 2017 e S.CAVALIERE “i livelli essenziali delle prestazioni e i nuovi “diritti culturali” in Rivista AIC Associazione Italiana Costituzionalisti n.3/2017, pag. 6

lix Il Codice dei Contratti Pubblici riporta l’Allegato 4 nell’Allegato IX e specifica che trattasi dei Servizi di cui agli articoli 140, 143 (appalti riservati in particolare). Sono i servizi amministrativi, sociali, in materia di istruzione, assistenza sanitaria e cultura distinti per CODICE CPV 85321000-5 e 85322000-2, 75000000-6 [Servizi di pubblica amministrazione e difesa e servizi di previdenza sociale], 75121000-0, 75122000-7, 75124000-1; da 79995000-5 a 79995200-7; da 80000000-4 [Servizi di istruzione e formazione] a 80660000-8; da 92000000-1 a 92700000-8 79950000-8 [Servizi di organizzazione di mostre, fiere e congressi], 79951000-5 [Servizi di organizzazione di seminari], 79952000-2 [Servizi di organizzazione di eventi], 79952100-3 [Servizi di organizzazione di eventi culturali], 79953000-9 [Servizi di organizzazione di festival], 79954000-6 [Servizi di organizzazione di feste], 79955000-3 [Servizi di organizzazione di sfilate di moda], 79956000-0 [Servizi di organizzazione di fiere ed esposizioni]

lx L’indagine ha evidenziato, inoltre, come non vi sia stata alcuna esperienza applicativa di finanza di progetto (project financing), rilevando che l’insuccesso di tale modello di partenariato pubblico-privato nel campo della valorizzazione del patrimonio storico- artistico è ascrivibile, in massima parte, ad incertezze sul piano della regolamentazione”, in Deliberazione n. 8/2016/G CORTE DEI CONTI Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato Adunanza dei collegi I e II e del collegio per il controllo sulle entrate del 20 giugno 2016 e Camera di consiglio del 19 luglio 2016, pag. 14

Prof. Avv. Bruno Aurelio

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