Al coniuge sopravvissuto non sempre spetta il risarcimento del danno

La perdita del coniuge solitamente costituisce una enorme strazio morale. E solitamente porta con se anche un notevole danno patrimoniale. Ma, appunto, non sempre. Si presume che moglie e marito abbiano tra di loro quel legame affettivo che se rotto comporta un danno. Ma appunto si tratta di una presunzione che può essere superata dal fatto che i coniugi sono legalmente separati.

In tal caso, il coniuge superstite dovrà dimostrare in altra maniera di avere subito un patimento. E se non ci fosse la separazione ma il coniuge sopravvissuto avesse una relazione extra coniugale? E se da questo rapporto, “fuori dal matrimonio”, fosse già nato un figlio prima dell’evento funesto? Costui/e può ancora reclamare una danno risarcibile?

La recente sentenza n. 31950/2018

E’ questo il “tema” affrontato dalla Suprema Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 31950/2018. Con pronuncia della corte d’appello di x, in parziale riforma della sentenza di primo grado, decidendo in ordine ad un sinistro stradale tra l’autovettura condotta da tizia, deceduta in seguito al sinistro, ed il mezzo agricolo non assicurato condotto da caio, quel giudice ha ritenuto sussistente un concorso di colpa in pari misura tra i due conducenti e, per l’effetto, ha condannato l’impresa designata per il fondo di garanzia per le vittime della strada, al risarcimento del danno subito dal padre, dai figli e dai fratelli della vittima.

Ha, invece, rigettato l’appello proposto da Tizio, marito della vittima, confermando quindi la statuizione del tribunale di respingimento della sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “iure proprio” subito in conseguenza del decesso del coniuge. In particolare il Giudice dell’Appello ha evidenziato, in ordine alla pari responsabilità dei due conducenti, che il caio, che era alla guida del veicolo agricolo, ebbe a circolare su strada pubblica, in condizioni di scarsa visibilità, con rimorchio non munito di dispositivi di illuminazione, mentre tizia ebbe a percorrere, pur se a velocità inferiore a quella massima consentita, la strada rettilinea, senza prestare adeguata attenzione alla presenza di un ostacolo ancora visibile per le sue significative dimensioni e nell’occorso senza indossare le cinture di sicurezza.

Risarcimento del danno del coniuge: come si ottiene?

La Corte, inoltre, in ordine al rigetto della domanda risarcitoria del coniuge, ha evidenziato che la presunzione di sussistenza (tra coniugi non separati) di un progetto di vita in comune e di un vincolo affettivo era stata, nella specie, superata da elementi di segno contrario, atteso che il tizio aveva avuto una relazione extraconiugale, dalla quale era nato un figlio tre mesi prima della morte di tizia.

L’attore, quindi, su cui incombeva la relativa prova, non aveva dimostrato, in presenza di una circostanza che – secondo comune esperienza – costituisce sintomo del deterioramento e della cessazione di un rapporto coniugale, la perdurante sussistenza tra i coniugi (benché non legalmente separati) di un vincolo affettivo. Avverso detta sentenza tizio proponeva ricorso per cassazione, sulla base di un motivo. Lamenta che la corte d’appello, sulla sola base di una relazione extraconiugale e della conseguente nascita di un figlio naturale, abbia ritenuto insussistente il legame affettivo tra i coniugi al momento dell’incidente, ed abbia quindi rigettato, per mancanza di prova, la richiesta di risarcimento per il subito pregiudizio morale da perdita del rapporto parentale.

Le altri parti processuali “danneggiate” hanno pure proposto successivo ricorso incidentale, per vedere affermata la piena responsabilità di caio. Costoro si dolgono 1) che la corte territoriale abbia omesso di considerare il fatto decisivo costituito dall’ora del tramonto del sole alla data del x (ore x, come accertato dal ctu); fatto decisivo in quanto l’incidente, avvenuto intorno alle x, si sarebbe verificato in assenza di qualsiasi residua visibilità, e quindi in condizioni tali da rendere impossibile a tizia la percezione del rimorchio che la precedeva, privo dei dispositivi di illuminazione; 2) che la corte, con un inammissibile ragionamento presuntivo, abbia accertato il mancato uso delle cinture di sicurezza da parte di tizia ed abbia ritenuto che siffatto mancato uso abbia contribuito al verificarsi dell’evento morte; da fatti noti, pacifici e non contestati dalle parti (lesioni al torace riportate da tizia e danni alla parte bassa dello sterzo dell’autovettura da quest’ultima condotta) la corte era arrivata al fatto ignoto (mancato uso della cintura di sicurezza) ed aveva poi ritenuto, con una errata correlazione in senso induttivo tra due presunzioni semplici, che detto mancato uso della cintura avesse contribuito al verificarsi dell’evento morte (altro fatto ignoto). Partendo dall’esame del ricorso incidentale, la suprema corte decide per l’inammissibile di entrambi i motivi di gravame.

Questo afferma sul primo “contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, il detto fatto (e cioè l’orario del tramonto del sole e la condizione di visibilità) è stato espressamente preso in considerazione dalla corte territoriale, che, nel corretto esercizio del suo potere di valutazione delle prove, ha considerato che nel capoluogo di regione in data x il sole tramonta alle ore x (con altri 20-25 minuti prima del buio totale) ed ha ritenuto maggiormente attendibile l’indicazione di orario e la percezione delle condizioni di visibilità riferite dai testi x, i quali, sopraggiunti subito dopo l’incidente, ebbero a riferire che erano le x e che vi era ancora visibilità”. Quanto alle cinture, questo si legge nella sentenza: ”come ripetutamente affermato da questa s.c. spetta, infatti, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità. Né può ritenersi che la corte territoriale sia incorsa nel divieto di doppia presunzione (correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice), essendosi invece solo limitata a far discendere dai due su menzionati fatti noti (lesioni al torace e danni alla parte bassa dello sterzo) il fatto ignoto del mancato uso delle cinture, valutando poi conseguenzialmente tale mancato uso delle cinture in nesso causale con l’evento morte”.

Passando al gravame del marito della vittima, questo veniva respinto per infondatezza del motivo con queste motivazioni: “correttamente la corte territoriale ha rilevato che, in termini generali, il fatto illecito costituito dalla uccisione di uno stretto congiunto appartenente al ristretto nucleo familiare (genitore, coniuge, fratello) dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte dì una persona cara e nella perdita del rapporto, parentale e conseguente lesione del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare. Si tratta, pertanto, di un danno presunto, dovendosi ordinariamente ritenere sussistente tra detti stretti congiunti un intenso vincolo affettivo ed un progetto di vita in comune; nella normalità dei casi, pertanto, in virtù di detta presunzione, il soggetto danneggiato non ha l’onere di provare di avere effettivamente subito il dedotto danno non patrimoniale.

L’onere probatorio quando è assolto

Siffatta presunzione semplice può tuttavia, come tale, essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l’esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge (relazione extraconiugale che costituisce evidente inadempimento all’obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all’art. 143 cc). Detti elementi non comportano, di per sé, l’insussistenza del danno non patrimoniale in capo al coniuge superstite, ma impongono a quest’ultimo, in base agli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cc (essendo stata, come detto, superata la presunzione), di provare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale. Nella specie la corte territoriale, con valutazione in fatto (come tale non sindacabile in sede di legittimità), ha ritenuto che il tizio non avesse fornito detta prova e, correttamente, ha rigettato la domanda risarcìtoria”.

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