Leggi anche la seconda parte dell’analisi: Un nuovo “intelletto pubblico”.
Se nel pensiero pre-kantiano si parte dall’oggetto per sviluppare l’analisi sui singoli modi, è da Kant che gli atti intenzionali assumono la precedenza sull’oggetto percepito nel pensiero e di cui il pensiero ne è protagonista, tuttavia la relazione fra soggetto e oggetto sconta quella che Ferraris definisce come una confusione tra ontologia, l’oggetto in sé,e l’epistemologia, quello che sappiamo sull’oggetto, conducendo ad un relativismo assoluto, talvolta irreali sta.
Nella ricerca di una radice comune tra metafisica scientifica, liberale o descrittiva ed eliminati vista, riduzionista, pluralista o convenzionalista, si hanno sostanzialmente il contrapporsi tra due concezioni metafisiche una assoluta e l’altra relativa, le quali si pongono alla base di un atteggiamento prescrittivo-correttivo o più semplicemente descrittivo, nella prima ipotesi si è alla ricerca della vera essenza delle cose superando le apparenze, nella seconda emerge la componente normativa in cui si evidenziano i principi fondanti che organizzano la realtà (Andina, Borghini).
Dennet individua la cognizione quale principio fondante della vita a cui affiancare la nozione di intenzionalità secondo una gerarchia del conoscere la quale distingue tra creature darwiniane, pavloviane, popperiane e gregoriane, l’essere umano non solo è in grado di progettare ma possiede la preminenza nell’informazione e quindi nella possibilità di dare vita a mosse accorte (Gregory), una intenzionalità riferita alla coscienza che manifesta nel tempo il significato dell’agire (Kauffman), dove gli atti liberamente voluti sono manifestazione della coscienza del bene e del male, nella distinzione kantiana tra atto e azione dove l’atto è il contenuto materiale della volontà dell’azione.
Le cose stesse possono esserci ma non esistere, non rientrare nel dominio del proprio discorso (Kant), in un’apparente contraddizione, come osservato da Quine, in quella che sembrerebbe nel discorso di Meinong un non senso (ci sono però non esistono), ma la cosa deve anche esistere nel tempo in una identità diacronica (Aristotele), sorge tuttavia il dubbio se il perdurare dell’individuo quale essere biologico, a differenza di un semplice oggetto, sia lo stesso o non si tratti piuttosto di un mutare nel quale la successione è semplicemente il frutto di una somiglianza e di un rapporto causale (endurantisti e perdurantisti), non si può tuttavia negare che l’evolvere dell’essere è tessuto dalle proprietà che questo possiede, sono queste che collegano le varie fasi temporali.
Occorre tuttavia distinguere all’interno delle proprietà, catalogando quelle accidentali da quelle essenziali, quelle semplici, si o no, da quelle graduali dette determinabili, quelle strutturali dalle atomiche, quelle intrinseche da quelle estrinseche derivanti dal contesto in cui si agisce e alle quali legare il problema dei rapporti relazionali, ma le proprietà forse più rilevanti derivano dal modo nel quale concettualizziamo le strutture mondane, ossia le modalità aletiche del possibile e del necessario poste al limite tra la cosa in sé e la coscienza che le ricomprende.
Se consideriamo come necessario quello che deve esservi perché un ente esista o agisca in un determinato modo, più problematica è la definizione della possibilità in cui si va dallo scetticismo all’espressivismo, per cui la possibilità non è un concetto ma un sentimento, tuttavia la possibilità può essere anche formalizzata in un linguaggio non naturale, matematico o simbolico (reali modali, funzionalisti).
Partendo da questi presupposti può dirsi che due sono gli elementi che devono esistere ontologicamente nell’ente, la dimensione storica affinché il soggetto riconosca l’ente e la sua presenza nel giudizio del soggetto, non sempre l’ente è riconosciuto in quanto privo della prospettiva storica che permette di comprenderlo (Heidegger), devo conoscerlo per poterne parlare, come vi è d’altronde la necessità di avere coscienza e conoscenza della struttura modale del mondo, questo comporta che quello che è in un dato momento può assumere significati diversi in un successivo spazio-tempo, è la storia che modifica l’immagine e il relativo valore dell’ente, in una distinzione tra la sua materialità e il significato che a lui attribuiamo.
Passando dai presupposti metafisici all’ontologia sociale, Gilbert parla di un “noi” che diventa “soggetto plurale”, non semplice somma di più individualità bensì nuovo soggetto, il vincolo non deriva da una semplice promessa ma dal rispetto delle condizioni necessarie al raggiungimento di obiettivi comuni a cui tutti si impegnano, trattasi di un vincolo di carattere etico, indipendente da qualsiasi sistema giuridico, che può svuotarsi nella semplice inerzia dell’azione, un patto che si estende al di là dei vincoli giuridici istituzionali, la stessa decrescita demografica nel leggerla economicamente come costi la si può riassumere come rottura di un patto sociale originario.
In questo Ferraris sottolinea l’importanza del ruolo della registrazione tanto materiale che psichica nel determinare l’oggetto sociale, vi è nella specie umana per Searle una capacità di pensarsi al plurale circostanza che non elimina la necessità di un consenso a cui deve esservi il corrispondere delle azioni, pena la rottura del patto, nell’istituzionalizzazione vi è dunque una scissione tra i desideri individuali e la ragione dell’azione (Searle), questo tuttavia non può eliminare l’esperienza di una “lacuna casuale” nel succedersi delle azioni che si estende dal privato al pubblico, un non compiere l’azione consequenziale.
Vi è pertanto un processo intrinsecamente strutturato sulle attese che si riflette nella concezione linguistica di Habermas, la violazione di tali attese è vissuto quindi quale spregio (Honneth), una fondamentale ingiustizia che spezza la condivisione di una sfera di vita comune democratica (Nussbaum), preparando la “disobbedienza civile” attraverso la fuga in una sfera pubblica non statale, una Repubblica del tutto privata, le strutture pubbliche statali e sovrastatali vengono intese quali elementi oppressivi, espressioni di leggi e procedure incomprensibili, manifestazioni di arbitri, avviene quello che è stato definito come Esodo, sottrazione intraprendente, rivolta a seguito della rottura del patto originario, in quanto, come osserva Viano, : “Nulla è meno passivo di una fuga. L’exit modifica le condizioni entro cui la contesa ha luogo, anziché presupporle come un orizzonte inamovibile, cambia il contesto in cui è insorto un problema, invece di affrontare quest’ultimo scegliendo l’una o l’altra delle alternative previste. In breve, l’exit consiste in una invenzione spregiudicata, che altera le regole del gioco e fa impazzire la bussola dell’avversario” (134, P. Virno, L’idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita, Ed. Quodlibet, 2015).
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