Indice
- Diritto alla vita
- Diritto al nome
- Diritto all’infantilità
- Diritto agli abbracci
- Diritto alla protezione
- Diritto alla difesa
- Diritto agli orizzonti
- Diritto al futuro
1. Diritto alla vita
I bambini sono innanzitutto il presente, sono la vita. L’art. 6 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (il cui acronimo inglese è CRC) recita: “Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto innato alla vita. Gli Stati parti si impegnano a garantire nella più ampia misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo”. Sopravvivenza e sviluppo non riguardano solo le condizioni fisiche, ma anche lo stadio dell’infanzia, ovvero il diritto all’infanzia, cioè la sopravvivenza e lo sviluppo in mezzo al mondo degli adulti fatto, troppo spesso, di conflittualità, violenza assistita, violenza psicologica e altro ancora. Sopravvivenza e sviluppo richiamano l’impegno sanitario e le cure che si profondono per i bambini nati pretermine per la cui tutela esiste la Carta dei diritti del bambino nato prematuro (approvata dal Senato della Repubblica il 21 dicembre 2010).
2. Diritto al nome
“Il fanciullo dovrà essere registrato immediatamente dopo la nascita ed a partire da essa avrà diritto ad un nome, ad acquisire una nazionalità e, nella misura del possibile, a conoscere i propri genitori ed essere da essi accudito” (art. 7 par. 1 CRC). La scelta del nome è importante per il legame con i genitori stessi e perché “nome omen”, “il nome è augurio, è un presagio” (importanza e significati sottolineati dall’onomastica, che è lo studio dei nomi propri di persona). I genitori devono fare anche attenzione nell’uso di nomignoli o diminutivi e nelle formule di affetto usate ad ogni piè sospinto (“amore, tesoro, principessa, fiorellino, a mamma, a papà…”) perché l’appiattimento emozionale e l’omologazione relazionale rischiano pure di suscitare anaffettività. Nell’art. 7 della Convenzione si legge la forma verbale al futuro “avrà” per sottolineare che il nome è quell’elemento identitario che accompagnerà il bambino lungo ogni suo cammino e che è alla base dei suoi diritti relazionali di cui all’art. 8 e ss. della Convenzione. Si pensi alla scelta significativa del nome per i neonati abbandonati e ritrovati.
3. Diritto all’infantilità
Il bambino, in quanto tale, ha diritto ad essere bambino e a quello che ne consegue, identità, personalità, unicità. È quanto si ricava dall’art. 1 della Convenzione: “Ai sensi della presente Convenzione s’intende per fanciullo ogni essere umano in età inferiore ai diciotto anni, a meno che secondo le leggi del suo Stato, sia divenuto prima maggiorenne”. I bambini hanno diritto al massimo rispetto per questa natura e non vanno considerati piccoli o grandi a piacimento degli adulti. I bambini sono un “dono” della vita e alla vita e non un “regalo” per il quale si aspetta il ricambio, per cui non li si deve caricare di aspettative, ansie o progetti altrui da realizzare. Bisogna tener presente il significato etimologico di infanzia, bambino, fanciullo, puerizia, tutte parole che fanno riferimento a colui che non sa ancora parlare, che balbetta, che è immaturo, che è generato, che ha bisogno di essere nutrito. È un soggetto che viene da qualcun altro e che ha bisogno dell’altro per imparare e crescere: l’inizio e la continuità della vita. Lo psicoterapeuta dell’età evolutiva nel Decalogo per proteggere i nostri bambini” (novembre 2018) ha scritto al n. 4: “Diritto alla fase-specificità, ovvero a muoversi in un mondo che sa che la minore età va rispettata e nutrita con cose che le sono adatte. Città coperte di cartelloni pubblicitari di impronta pornografica; schermi abitati da parolacce, aggressività e violenza; siti online frequentati dai minori per i quali tutto è accessibile e senza filtro; gioco d’azzardo a diffusione epidemico tra i minori. Sono tantissime le esperienze non fase-specifiche che i minori incontrano sulla loro strada ogni giorno e dalle quali nessuno li protegge o intorno alle quali nessuno fa educazione e prevenzione”. Anche le Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei (decreto ministeriale 22 novembre 2021, n. 334) hanno richiamato e ridefinito la centralità dei bambini: “L’infanzia è un periodo della vita con dignità propria, da vivere in modo rispettoso delle caratteristiche, delle opportunità, dei vincoli che connotano ciascuna fase dell’esistenza umana. Tale fase non è da intendersi in alcun modo, né concettualmente né operativamente, come preparatoria alle successive tappe. Ciascuna età va vissuta con compiutezza, distensione e rispetto per i tempi e le caratteristiche personali. Le accelerazioni, le anticipazioni, i “salti” non aiutano i bambini nel percorso di crescita individuale, ma li inducono a rincorrere mete fissate dagli adulti”.
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4. Diritto agli abbracci
“Riconosciuto che il fanciullo, per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della CRC). L’abbraccio è una delle migliori forme di affetto e di comunicazione interpersonale, anche perché destinato ad aprirsi e a lasciare andare l’altro verso la sua vita. L’abbraccio è simbolo anche di quell’assistenza morale che si deve ai figli (artt. 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.). Abbraccio che ha una polivalenza, anche terapeutica, dall’abbraccio contenitivo (o metodo holding), applicato con i bambini autistici o con altre gravi disabilità, alla “hug therapy”, terapia dell’abbraccio (basti ricordare la mancanza degli abbracci e di ogni forma di contatto che si è dovuta sopportare durante le restrizioni a causa della pandemia). Di questo devono tener conto i genitori altresì nell’educazione affettiva e sentimentale nell’abbracciarsi e nella coralità educativa con gli altri soggetti educativi facendo un unico abbraccio attorno al bambino, quella famiglia allargata e quella comunità di cui all’art. 5 della CRC. Di certo non devono e non possono mancare gli abbracci dei nonni. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (prima sezione, sentenza C-335/2017 del 31 maggio 2018), ha stabilito l’importanza che i nonni possano trascorrere del tempo con i nipoti, instaurando un rapporto fondamentale con loro sia nel presente sia in previsione futura. Allo stesso tempo, ha sanzionato l’Italia che, pur riconoscendo legislativamente questo diritto, non ha predisposto le congrue misure che fossero in grado di eseguirlo. La Corte Europea era stata già interpellata con ricorso, emettendo a sua volta una sentenza (sentenza del 20-01-2015), di portata epocale, che confermò il diritto dei nonni di frequentare la nipote e, allo stesso tempo, sanzionò l’Italia, che aveva impedito la concreta realizzazione di quel diritto. Le due sentenze hanno determinato la “rivincita” di quei nonni che, a causa di separazioni difficili, si sono visti negare un rapporto costante con i nipoti. I nonni sono risorse, sono depositari di ogni dimensione spaziale e temporale, per cui si potrebbero considerare paesaggio culturale ed emozionale e patrimonio storico e artistico (mutuando la terminologia dell’art. 9 comma 2 Costituzione). Tutelare la nonnità è anche tutelare la salute sociale. Infatti, una ricerca (pubblicata nel 2022 sul Journal of Gerontology) condotta sugli anziani inglesi che, durante la pandemia hanno smesso di occuparsi dei nipoti come invece facevano prima, ha evidenziato un peggioramento della loro qualità di vita e la comparsa di gravi sintomi depressivi in un terzo di loro.
Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “Osservando il comportamento di bambini e ragazzi allontanati da un giorno all’altro dal loro ambiente di vita, Winnicott [Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese che ha formulato la locuzione “madre sufficientemente buona”] individuò tre punti fondamentali che dovrebbero essere sempre garantiti a ogni bambino bisognoso di essere accolto, a qualunque titolo sia presente nella nostra comunità: 1) «ti accolgo…» (accettazione, contenimento, rispetto, ascolto); 2) «… provvedo ai tuoi bisogni fondamentali…» (cura, accudimento); 3) «… ti aiuto a camminare con le tue gambe» (promozione delle capacità e delle autonomie, integrazione nella comunità). Ciascuno di questi momenti è preparatorio all’altro e tutti sono interdipendenti, nel senso che, ad esempio, non si ha buona cura senza accoglimento e non si promuovono efficacemente le capacità di alcuno se non lo si accetta, accoglie e cura”.
5. Diritto alla protezione
Bisogna “assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, tenuto conto dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei tutori legali o di qualsiasi altra persona legalmente responsabile di esso” (art. 3 par. 2 CRC). Protezione e cure necessarie (quelle che servono) finalizzate al benessere di quel singolo bambino e soprattutto da parte dei suoi genitori e il legislatore internazionale ha usato l’aggettivo possessivo (riferito al benessere e ai genitori) per richiamare l’attenzione sui soggetti, il destinatario e i responsabili. Etimologicamente “protezione” richiama il futuro perché è letteralmente “coprire davanti” e, quindi, preservare, e si riferisce implicitamente al ruolo del padre che è colui che protegge. Friedrich Nietzsche diceva: “Chi non ha un padre dovrebbe procurarsene uno”. Il filosofo tedesco intendeva che i padri sono importanti per lo sviluppo dei bambini tanto quanto le madri. Infatti, sia l’amore sia il rifiuto da parte di entrambi i genitori possono influenzare profondamente l’equilibrio emotivo, l’autostima e la salute mentale dei loro figli. Sono diversi gli studi che hanno rivelato come l’assenza del padre causi problemi di adattamento nei bambini, così come l’insorgere di comportamenti distruttivi man mano che crescono. La sua presenza e il suo atteggiamento positivo hanno naturalmente l’effetto opposto: facilitano l’adattamento del bambino e promuovono un sano sviluppo psicologico. I ricercatori della Michigan State University (MSU) hanno condotto uno studio (sino al luglio 2016 su 730 famiglie e pubblicato su Infant and Child Development) che ha analizzato l’importanza dei padri nella vita dei figli rilevando come lo stato mentale del padre (stress, ansia, depressione o altri disturbi mentali) influenzi direttamente i figli. Etimologicamente “proteggere” è coprire con un tetto, quindi è progettare la vita ma senza fare progetti su quella vita: così dovrebbe essere la paternità e la genitorialità in generale. L’art. 19 par. 1 della CRC stabilisce che: “Gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre é sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore e dei tutori o di chiunque altro se ne prenda cura”.
6. Diritto alla difesa
L’art. 16 della CRC enuncia: “Nessun fanciullo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a lesioni illecite del suo onore e della sua reputazione. Ogni fanciullo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o atteggiamenti lesivi”. In quest’articolo, più di altri, è un continuo ripetere dell’aggettivo possessivo “suo” per delineare il “nucleo” (noce) dei diritti che caratterizzano la persona già in età infantile. Difendere è oltre e di più del proteggere perché indica il respingere, il tener lontano, è un moto, un prendere iniziative, uno sguardo attento, un atteggiamento proteso verso chi è difeso. In questo sguardo o atteggiamento bisogna includere anche il tenere lontane le patologie della cura – incuria (insufficienza delle cure fisiche e/o psichiche), discuria (cure distorte o inadeguate), ipercura (eccessiva attenzione nella somministrazione delle cure) –, perché in queste manca l’attenzione verso l’altro, si è riversi su se stessi.
7. Diritto agli orizzonti
L’orizzonte è etimologicamente il “circolo che delimita e, pertanto, nel suo cerchio più o meno spezzato suggerisce al senso dell’osservatore di esserne il centro, tracciandogli intorno un ambiente circolare, riecheggiando la sua centralità nella sua vita, il suo proprio punto di vista che si sposta e agisce nel mondo”. I genitori, perciò, devono occuparsi dell’educazione dello sguardo e allo sguardo, devono indicare la bellezza e la grandiosità della vita e le potenzialità del figlio, ma al tempo stesso i limiti, i confini, anche nel rapporto e nel rispetto degli altri. Devono dare orientamento puntando il dito verso l’oriente e gli altri punti cardinali: “impartire a quest’ultimo [il fanciullo], in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento ed i consigli necessari all’esercizio dei diritti che gli riconosce la presente Convenzione” (art. 5 CRC).
8. Diritto al futuro
Il bambino ha diritto al futuro, ad andare avanti, allo sviluppo che è il contrario di qualsiasi inviluppo in cui i genitori o altri adulti volessero bloccarlo o limitarlo (si pensi per esempio al cosiddetto nanismo psicosociale o ad altri disordini), come si legge nell’art. 27 della CRC: “Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita sufficiente atto a garantire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale. I genitori e le altre persone aventi cura del fanciullo hanno primariamente la responsabilità di assicurare, nei limiti delle loro possibilità e delle loro disponibilità finanziarie, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo”. “Il futuro dell’umanità e del nostro pianeta è nelle nostre mani. Si trova anche nelle mani delle nuove generazioni, che passeranno il testimone alle generazioni future. Abbiamo tracciato la strada verso lo sviluppo sostenibile; servirà ad assicurarci che il viaggio avrà successo e i suoi risultati saranno irreversibili” (n. 53 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile).
Alberto Pellai ha concluso il suo Decalogo pro bambini con l’enunciato n. 10: “Diritto a un futuro. Ovvero uno spazio di progetto in cui dare senso alla loro fatica di crescere, alla loro motivazione a impegnarsi, a studiare, a fare fatica. In questi ultimi anni, chi cresce si sente già da piccolo derubato del proprio futuro. E di tutti i diritti negati, forse questo è quello che fa più male a chi è nato e sta crescendo nel terzo millennio”.
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