1. Premessa
Sono ormai diverse settimane che si discute della proposta di regolarizzazione dei migranti irregolari presenti nel nostro Paese. Una proposta che nasce sulla spinta del mondo agricolo che ha necessità di braccia da impegnare nei lavori agricoli ma che riguarderebbe anche altre categorie quali colf e badanti.
La sola ipotesi di procedere con la regolarizzazione dei migranti ha scatenato numerose polemiche a livello politico e forti tensioni a livello di governo. Ecco perché sono circolate numerose bozze del decreto in discussione, tutte frutto di tentativi di mediazione all’interno della maggioranza di governo.
Fatta questa necessaria premessa, è il caso di soffermarsi sugli aspetti strettamente giuridici della c.d. sanatoria al fine di analizzare cosa realmente si stia attuando nel nostro sistema e cosa eventualmente comporterà questo intervento.
Va da sé che stiamo parlando di una situazione ancora in evoluzione ma, salvo colpi di scena dell’ultima ora, il quadro generale sembra abbastanza delineato.
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2. L’emergenza in atto
Il tema della regolarizzazione è ritornato di attualità, dopo anni di oblio, in questa fase di grave crisi sanitaria determinata appunto dal diffondersi nel nostro Paese del Covid-19. Improvvisamente politici e forze produttive si sono resi conto che senza i migranti impegnati nelle campagne per la raccolta dei prodotti della terra, l’agricoltura italiana rischia uno stop definitivo.
Al problema dei produttori, si è aggiunto il problema legato alla presenza di una emergenza sanitaria nel nostro Paese e, quindi, si sono sollevate da più parti voci che hanno sottolineato la necessità di garantire pieni diritti e tutela effettiva anche a chi per anni ha lavorato nell’ombra.
D’altra parte, come è stato sottolineato, il virus non fa distinzioni e colpisce indistintamente tutti. Avere pertanto lavoratori privi di tutela e di assistenza sanitaria (perché un migrante irregolare non ha un medico di riferimento e vive ai margini senza poter accedere all’assistenza sanitaria di questo Paese anche per il timore che il suo stato di clandestinità determina), significa aumentare il rischio di nuovi focolai nelle campagne italiane.
Purtroppo la questione della sicurezza sul posto di lavoro di queste migliaia di persone che da anni lavorano in agricoltura è stata sempre tralasciata e le politiche in questo senso sono state ampiamente deficitarie. Oggi, però, la paura di una nuova diffusione del Covid-19 genera il bisogno di apprestare delle tutele per l’intera comunità. Ecco allora che la regolarizzazione rappresenta sotto almeno due distinti punti di vista una necessità per lo Stato italiano e non certo un favore che viene fatto ai migranti. Da un lato, infatti, si tratta di un bisogno per il sistema produttivo italiano; dall’altro, è uno strumento fondamentale per garantire anche una maggiore tutela sanitaria a tutta la nostra comunità.
Quindi, sul punto occorre essere chiari, le ragioni che sorreggono la proposta di regolarizzare i migranti oggi presenti nel nostro Paese in modo irregolare, è una esigenza in primis del nostro Stato per garantire il funzionamento del sistema.
Come sottolineato, infatti, in un appello pubblico sottoscritto da associazioni, giuristi, economisti e virologi, i tempi del coronavirus rendono ancor più necessario e urgente l’intervento del Governo, perché adesso alle buone ragioni della sanatoria si aggiungono anche le esigenze di tutela della salute collettiva, compresa quella delle centinaia di migliaia di migranti privi del permesso di soggiorno, che non hanno accesso alla sanità pubblica.
3. La sanatoria: breve storia
In Italia le sanatorie si sono susseguite in modo costante per più di trent’anni. Tecnicamente si tratta di un procedimento che permette alle persone che rispettano determinati criteri di autodenunciare la loro posizione irregolare, chiedendo il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ancorando i requisiti soprattutto a rapporti di lavoro già in essere o di ricerca di lavoro o a sponsorizzazione di soggetti terzi.
Nel 1986 la legge Foschi fece emergere dall’irregolarità 116mila persone.
Solo quattro anni dopo la legge Martelli ne regolarizzò 215mila.
Nel 1995 la sanatoria del governo Dini riguardò 244mila stranieri, mentre tre anni più tardi la regolarizzazione della legge Turco-Napolitano coinvolse 217mila immigrati.
Nel 2002 con la legge Bossi-Fini la regolarizzazione riguardò ben 634mila persone.
Negli ultimi anni la situazione, già precaria, è poi precipitata.
Prima la crisi economica mondiale cominciata nel 2008, poi i conflitti in Nordafrica e Medio Oriente e i nuovi flussi migratori cominciati nel 2011 hanno reso ancora più complicato il quadro. I decreti flussi hanno permesso un numero sempre più limitato di ingressi e regolarizzazioni garantendo, ma solo fino al 2012, l’emersione solamente di alcune singole professioni come colf e badanti. Il diritto d’asilo, in uno scenario simile, ha rappresentato una delle poche possibilità per un accesso regolare, gravemente penalizzato però sia dalle restrizioni legislative nazionali – decreti Minniti e Salvini – sia dalle politiche europee e dalle drammatiche condizioni in cui avvengono i viaggi e gli spostamenti tra le frontiere.
4. Il diritto dei migranti: il quadro della situazione fino al 1998.
Il dibattito politico che si è sviluppato nelle ultime settimane, ci invita a riconsiderare l’intera evoluzione della normativa in materia di migranti per come si è sviluppata nel nostro Paese.
La materia dell’immigrazione era regolata dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica sicurezza (TULPS) del 1931 che, data l’ideologia prevalente dell’epoca della sua adozione, si occupava degli stranieri in maniera generica ed avendo come esclusiva finalità la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.
Una situazione che si protrae sino al 1998. Fino a questa data, infatti, il nostro Stato non è riuscito a predisporre seri strumenti di gestione dei flussi migratori. Salvo sporadici interventi legislativi disorganici, non abbiamo avuto prima del 1998 una effettiva e puntuale normazione della materia dell’ingresso di stranieri nel mondo del lavoro, di contrasto al fenomeno del c.d. “lavoro nero” e della lotta alla criminalità internazionale che gestiva i traffici di clandestini.
5. Il diritto dei migranti: a) la Legge Turco – Napolitano.
Nel 1998 viene introdotta nel nostro ordinamento la Legge c.d. Turco – Napolitano (Legge n. 40 del 1998) che viene presto inserita nel Testo Unico (Decreto Legislativo 25.07.1998 n. 286) unitamente al Regolamento di attuazione (D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394).
Il legislatore del 1998 muoveva dalla constatazione che l’immigrazione straniera costituiva ormai un fenomeno ordinario in Italia e che pertanto si rendeva necessaria una disciplina organica in grado di affrontare il fenomeno migratorio e di governarlo con strumenti ordinari e di lungo periodo.
La normativa si articolava (e si articola nonostante le numerosissime modifiche che ha subito) intorno a cinque temi:
1) modalità di ingresso e controlli alle frontiere;
2) disciplina dell’accesso al lavoro;
3) regolamentazione del lavoro autonomo e di quello stagionale;
4) norme penali e processuali finalizzate al contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina;
5) garanzie, in termini di diritti civili, sociali e latamente politici, per l’immigrato regolarmente soggiornante.
Con tale intervento normativo si intendeva distinguere nettamente l’immigrazione regolare per motivi di lavoro dall’immigrazione clandestina, favorendo decisamente la prima e contrastando in maniera forte la seconda. Per realizzare tali obiettivi si puntava sulla realizzazione di una politica di ingressi nel nostro Paese legali, limitati, programmati e regolati (i c.d. flussi), ma allo stesso tempo, si prevedevano misure di prevenzione e repressione della migrazione clandestina.
6. Il diritto dei migranti: b) la Legge Bossi – Fini.
Nel 2002, un nuovo legislatore rimodula gli strumenti legislativi finalizzati a regolare il fenomeno migratorio e a prevenire e reprimere l’immigrazione clandestina. Viene infatti introdotta la Legge 189/2002 (composta da 38 articoli) con la quale si attua una stretta degli ingressi nel nostro Paese e si collega la durata e la validità dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro.
Inoltre, con la nuova normativa, in estrema sintesi, la possibilità di nuovi ingressi regolari per lavoro, ancor più di quanto previsto nel 1998, viene lasciata alla piena discrezionalità del Governo, che può decidere di non disporre la programmazione annuale, di penalizzare gli stranieri provenienti da Paesi i cui governi non collaborano alla riammissione dei clandestini espulsi e, viceversa, “premiare” gli stranieri provenienti da Stati “collaborativi” e coi quali sono stati stipulati accordi bilaterali.
Ma il legislatore del 2002 interviene anche sulle misure penali ed amministrative nei confronti dello straniero irregolare presente sul territorio nazionale. Misure che vengono inasprite. Si prevede, ad esempio:
1) l’istituzione della espulsione dello straniero clandestino quale misura alternativa alla pena detentiva (entro il limite di due anni);
2) lo sveltimento del rilascio del nulla osta dell’autorità giudiziaria all’esecuzione dei provvedimenti amministrativi di espulsione;
3) il raddoppio del periodo massimo consentito (da 30 a 60 giorni complessivi) di trattenimento nei CTPA;
4) l’esecuzione immediata con accompagnamento alla frontiera di quasi tutti i provvedimenti amministrativi di espulsione senza un effettivo rispetto della riserva di giurisdizione e del diritto di difesa da parte dello straniero (elevazione a regola della esecuzione delle espulsioni con accompagnamento coattivo alla frontiera);
5) il raddoppio da 5 a 10 anni del periodo di divieto di rientro nel territorio nazionale dello straniero espulso;
6) l’inasprimento delle sanzioni per i reati di reingresso illegale degli stranieri espulsi e l’introduzione dell’obbligo di sottoporre gli stranieri a rilievi foto dattiloscopici.
Anche sul versante delle misure per l’integrazione si assiste ad un evidente indebolimento delle relative misure previste dalla precedente normativa.
7. Il diritto dei migranti: c) le sentenze n. 222 e 223 della Corte costituzionale e le Direttive europee.
La Corte costituzionale italiana, con due sentenze la 222 e la 223 del 2004, ha “ricordato” al legislatore che lo straniero gode della libertà personale e del diritto di difesa, quantomeno nel suo nucleo incomprimibile.
Per dare seguito a tali sentenze, con decreto legge n. 241/2004 (conv. in legge n. 271/2004) viene modificata la disciplina delle espulsioni degli stranieri irregolarmente soggiornanti in maniera da assicurare un maggiore godimento delle garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione anche per gli stranieri “accompagnati alla frontiera”. La competenza in materia di convalida dei periodi di trattenimento viene attribuita al Giudice di pace prevedendosi, contestualmente, misure per assicurare la massima celerità dei provvedimenti di convalida e di esecuzione delle espulsioni.
Si tratta dei primi interventi giurisprudenziali e, poi, legislativi, con i quali si tenta di rimodellare il sistema normativo in materia di immigrazione nel nostro Paese. Infatti, nel 2006, il nuovo Governo, apporta una serie consistente di modifiche alla normativa vigente per non incorrere nelle procedure di infrazione dell’Unione europea per il mancato recepimento di importantissime direttive comunitarie:
1) la Direttiva 2003/109/Ce relativa allo status dei cittadini dei paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (istitutiva del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo che sostituisce la vecchia carta di soggiorno) recepita con d.lgs. n. 3 del 2007;
2) la Direttiva 2003/86/Ce relativa al diritto al ricongiungimento familiare cui è stata data esecuzione con il d.lgs. n. 5 del 2007 (che modifica l’art. 29 del TUI e inserisce un nuovo articolo in materia di ricongiungimento familiare dei rifugiati).
8. Il diritto dei migranti: d) gli interventi del 2008.
Cambia lo scenario politico – sociale e anche la normativa in materia di immigrazione subisce modificazioni.
Con la Legge 125/2008, oltre ad aggravare le pene per favoreggiamento e sfruttamento della immigrazione clandestina, si prevede un nuovo tipo di reato compiuto da chi (salvo che il fatto non costituisca più grave reato) a titolo oneroso e al fine di trarne profitto, di alloggio ad uno straniero, privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia la disponibilità (ovvero lo cede anche a titolo di locazione).
Successivamente, con il D. Lgs. 159/2008 (“Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 recante attuazione della direttiva 2005/85/CE relativa alle norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) e con il D. Lgs. 60/2008 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, recante attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare), si assiste ad una ulteriore stretta da parte del Governo, fino ad arrivare con la Legge del 15 luglio 2009, n. 94 recante Disposizioni in materia di pubblica sicurezza alla previsione del “reato di clandestinità”.
9. Il diritto dei migranti: e) le misure recenti.
Negli anni scorsi, la normativa si è arricchita della Legge n. 46 del 2017, che ha previsto norme volte ad accelerare i procedimenti in materia di protezione internazionale e a contrastare l’immigrazione illegale.
In particolare sono state istituite 26 Corti specializzate in materia di immigrazione tramite ampliamento di competenze delle già esistenti Corti di appello; sono state previste procedure più snelle per il riconoscimento della protezione internazionale e dell’espulsione degli irregolari, basate in gran parte sui colloqui con le Commissioni Territoriali e l’innalzamento del periodo massimo di trattenimento dei migranti all’interno dei Centri preposti.
Da ultimo, poi, sono stati varati i cosiddetti Decreti Sicurezza con i quali sono state ulteriormente modificate le norme in materia di accoglienza in senso particolarmente restrittivo.
Prima dell’approvazione del Decreto “sicurezza e immigrazione”, per i richiedenti asilo in Italia c’era una “prima accoglienza” e una “seconda accoglienza”. La “seconda accoglienza”, era formata dalla rete territoriale dello SPRAR – con progetti di Enti locali che vi accedevano volontariamente e nei quali venivano coinvolti piccoli gruppi di migranti – e puntava principalmente all’integrazione della persona e si attivava una volta esaurita la prima fase di accoglienza nel caso in cui i richiedenti fossero privi di mezzi di sussistenza adeguati.
Il decreto del Governo Conte ha tolto ogni riferimento alla seconda accoglienza per i richiedenti asilo, che in questo modo hanno accesso solo alle misure “essenziali” fornite dalla prima accoglienza (Hotspot e CAS).
Ma non solo.
Anche in tema di permessi di soggiorno la nuova normativa è intervenuta in maniera decisa eliminando la possibilità di rilasciare i permessi di soggiorno ai cittadini stranieri che presentano “seri motivi di carattere umanitario”. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato infatti sostituito da cinque permessi di soggiorno che possiamo definire speciali per ipotesi ben determinate e ancora restrittive rispetto alla precedente disciplina.
10. Conclusioni.
La normativa che abbiamo richiamato brevemente, non è affatto estranea alla questione della “regolarizzazione” di cui tanto si parla in queste ultime settimane. Se vogliamo, la necessità di addivenire ad una “sanatoria” se da un lato è legata a ragioni strettamente economiche, dall’altro lato, si rende necessaria proprio per risolvere i problemi che gli interventi legislativi di questi ultimi anni non sono riusciti a risolvere.
Le leggi che dal 1998 in poi hanno creato il fulcro della normativa in materia di immigrazione, hanno in effetti acuito il problema della migrazione clandestina e non sono riuscite certo a creare un sistema efficiente ed efficace di regolamentazione del fenomeno migratorio.
Peraltro, fattori esterni decisivi, come la instabilità dei Paesi dell’Africa del Nord di questi anni, hanno reso ancor più pesante la questione e difficili i rimedi.
Di fronte a questa situazione che rischia di diventare esplosiva anche per la pandemia da ultimo affrontata dal nostro Paese, è evidente che si debba fare qualcosa. Ecco allora che la “regolarizzazione”, da più parti invocata (strada peraltro seguita già da altri Paesi europei) diventa una necessità e non un vezzo.
Per quanto è dato sapere delle bozze in circolazione e dalle indiscrezioni, purtroppo, l’intervento legislativo che si profila all’orizzonte, rischia di essere un pasticcio per il bisogno di accontentare le sensibilità opposte presenti all’interno della compagine governativa.
Si legge infatti nel testo di decreto in circolazione che il nuovo intervento legislativo sarebbe determinato dalla necessità di “sopperire alla carenza di lavoratori nei settori dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca e dell’acquacoltura, in conseguenza del rischio sanitario connesso alla diffusione del Covid 19”.
Un’impostazione che, seppur legittima, rischia di essere non risolutiva dei problemi reali legati al fenomeno migratorio. Oltretutto, se si richiama il rischio sanitario derivante dalla diffusione del Covid – 19, non ci si può fermare alla sola questione della mancanza di manodopera in agricoltura, nel settore della pesca o dell’allevamento. Se il problema è appunto quello di fronteggiare il pericolo derivante dalla pandemia in corso, allora si deve pensare ad un intervento di più ampio raggio che estenda la possibilità di accedere ai servizi sanitari e, più in generale, ad ogni forma di assistenza da parte dello Stato italiano a tutti i soggetti presenti sul nostro territorio. Invece, la regolarizzazione sembrerebbe riguardare esclusivamente i rapporti di lavoro in questi ambiti. E’ chiaro che così impostata la regolarizzazione rappresenta semplicemente una mano tesa verso i datori di lavoro e non certo un aiuto e un sostegno ai lavoratori migranti.
Si tratta di una logica legata al mercato del lavoro (alcuni hanno parlato di logica di sfruttamento) che cozza con i principi basilari di uno stato di diritto.
Ma non solo, si tratta di una logica che rischia di ingenerare grandi speculazioni e di alimentare il controllo del caporalato e della delinquenza organizzata già forte nelle campagne italiane. A quali traffici di esseri umani nelle campagne italiane dovremo assistere?
E’ chiaro allora che tale provvedimento suscita forti perplessità per come lo si sta pensando e per gli effettivi risultati che potrà ottenere. Ma, ancora una volta, la prudenza non è mai troppa e per un più approfondito giudizio non ci resta che attendere il testo definitivo del decreto.
Si ritiene però di poter suggerire un intervento che sia maggiormente rispettoso dei principi costituzionali ed in modo particolare dagli articoli 2 e 32 della Costituzione. Se, infatti, il presupposto del provvedimento di regolarizzazione che si vuole mettere in piedi è da rinvenire nella crisi epidemiologica da Covid-19, così come scritto nella stessa bozza di decreto che circola da alcuni giorni, dovrebbe essere naturale allora prevedere un intervento che vada a garantire il diritto alla salute per tutti e non solo per i pochi fortunati che riusciranno a dotarsi di un contratto di lavoro. Se così fosse, pur in presenza di una emergenza sanitaria acclarata, assisteremmo ad una evidente disparità di trattamento che garantirebbe il diritto alla salute solamente ad alcuni.
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