Amministratore di sostegno : un istituto rivoluzionario.

L’ istituto è stato introdotto dalla legge 9 gennaio 2004 n. 6 negli articoli 404 e seguenti del codice civile, per far fronte alle numerose esigenze pratiche di tutela di soggetti con un disagio psichico e/o fisico non tanto grave da doversi far ricorso ai tradizionali strumenti dell’inabilitazione ed interdizione. E’ nato quindi come strumento generale di tutela di soggetti bisognosi di cura ed assistenza, ma che non presentano deficienze psichiche tali da farli interdire o inabilitare. L’applicazione estesa che se ne è fatta nei primi 4 anni dall’entrata in vigore, fa capire che si tratta di un istituto di cui se ne avvertiva l’esigenza e che tuttavia, proprio per la sua potenziale applicazione onnicomprensiva, dà luogo a molti problemi pratici. Innanzitutto, ponendosi come strumento di tutela di soggetti capaci, si differenzia dai tradizionali istituti dell’inabilitazione ed interdizione, che sono rivolti solo a soggetti incapaci (benchè con una diversa graduazione dell’incapacità). Spirito della riforma è di considerare sempre più eccezionale l’incapacità assoluta e di limitare sempre più l’intervento dei tutori e curatori nella sfera della persona bisognosa di assistenza. Ciò risulta chiaramente per l’amministratore di sostegno dall’art. 409 c.c., ma emerge oggi anche per la tradizionale figura di incapace assoluto quale l’interdetto, il quale può addirittura, ex art. 427 c.1 c.c., essere autorizzato dal giudice (Tribunale) a compiere da solo taluni atti di ordinaria amministrazione.
Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno è un soggetto capace di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno (art. 409 c. 1 c.c.). La sua incapacità è frutto del decreto del Giudice Tutelare, al quale viene demandato così un grande compito, forse il più ampio che il legislatore italiano potesse concepire : stabilire chi è e quanto è incapace il beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Al Giudice Tutelare (GT) viene riconosciuto il potere di individuare il soggetto beneficiario, in quanto, ex art. 404, può, in presenza di una menomazione psichica o anche fisica di un soggetto che lo renda impossibilitato (anche parzialmente o temporaneamente) a provvedere ai propri interessi, proceder alla nomina dell’amministratore di sostegno. Ne deriva l’ampia sfera di applicazione dell’istituto: beneficiario dell’amministratore di sostegno può essere sia il ragazzo down che non comprende bene il valore del denaro sia il pensionato che a causa di problemi alle articolazioni non può andare a riscuotere la pensione.   
L’amministratore di sostegno può rappresentare o assistere il beneficiario, secondo quanto ha stabilito il giudice. Si è in presenza di un soggetto capace, nei limiti in cui il giudice dice che è incapace. Pertanto è il Giudice il vero punto di riferimento per stabilire lo statuto del beneficiario dell’amministratore di sostegno: cosa può fare da solo (tutto ciò che non è indicato nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno), cosa può fare assistito e cosa non può fare e in cui deve essere rappresentato. Siamo in presenza di un istituto duttile, nuovissimo e che solo i decreti dei Giudici Tutelari possono riempire di contenuto.
Il sistema è quindi il seguente:
          atti (sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione) non inclusi nel decreto del Giudice Tutelare di istituzione (o di integrazione e/o modificazione ex art. 407 c.4) dell’amministratore di sostegno : il beneficiario può compierli da solo, conservando per essi la piena capacità di agire ex art. 409 c.1;
          atti (sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione) inclusi nel decreto del GT e per i quali è prevista la rappresentanza dell’amministratore di sostegno, e per i quali solo l’amministratore di sostegno agirà in nome e per conto del beneficiario ex art. 405 co.5 n.3 c.c.;
          atti (sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione) inclusi nel decreto del GT e per i quali è prevista l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Si distingue fra:
          – atti di mera assistenza: sarà sufficiente la conoscenza dell’atto da compiersi e la mancata opposizione allo stesso da parte dell’amministratore di sostegno;
          – atti per i quali è necessaria l’effettivo consenso dell’amministratore di sostegno e quindi la sua partecipazione all’atto insieme al beneficiario.
Qualora si tratti di atti inclusi nel decreto del GT e per i quali è quindi richiesta l’assistenza o la rappresentanza dell’amministratore di sostegno, bisognerà vedere se rientrano in quelli indicati dagli artt. 374 e 375 c.c., al fine di chiedere l’autorizzazione sempre al GT ex art. 411 c.1.
Il PROBLEMA nasce, ovviamente, quando i giudici si esprimano nel decreto in maniera generica, limitandosi ad espressioni quali ad es. “non può alienare”. Si pone ad esempio il problema se il beneficiario dell’ amministratore di sostegno possa fare DONAZIONE, quando vi sia una disposizione così generica o anche quando niente sia detto nel decreto. Le norme da considerare, ai fini della soluzione del problema, sono gli artt. 411 e 774 c.c. Il 411 al quarto comma stabilisce che “ Il GT.. può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministratore di sostegno”. Ne deriva che, in virtù della normativa sulla donazione per tali soggetti (artt.776 e 777 c.c.), ed in virtù dell’ampio potere del GT di stabilire gli atti consentiti e vietati al beneficiario dell’ amministratore di sostegno, il Giudice può stabilire che il beneficiario dell’amministratore di sostegno possa donare o no, oppure possa farlo solo per determinati beni e/o a determinate condizioni. Il PROBLEMA nasce quando nulla è detto nel decreto. L’art. 774 stabilisce che “ non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni”. A prima vista, non godendo il beneficiario dell’amministratore di sostegno di una piena capacità di disposizione dei beni, essendo limitato in alcuni di essi, e guardando alla disciplina della donazione per gli incapaci (ammessa la donazione solo in specifiche e tassative ipotesi, come ad es. nel 774 c.1 seconda parte), si dovrebbe ritenere che il beneficiario dell’amministratore di sostegno non possa donare, se non esplicitamente abilitato a farlo. Trovandosi in ogni caso in una situazione di minorata capacità, al beneficiario dell’ amministratore di sostegno sarebbe preclusa la possibilità di fare donazioni ex art. 774 c.c., con la sola esclusione delle donazioni fatte nel suo contratto di matrimonio (art.166 c.c.). Questo anche perché il dettato dell’art. 774 non sembra possa legittimare un’interpretazione restrittiva della norma, come riferibile ai soli minori, interdetti ed inabilitati. Tale interpretazione, molto rigida è sostenuta da Jannuzzi-Lorefice in “Manuale della Volontaria Giurisdizione”, 2004, pg.322, e da E.Calò “Amministrazione di sostegno” pg.130 che estende l’incapacità del beneficiari anche alle liberalità indirette.
All’interno di questa tesi si distingue fra coloro che ritengono che per tutte le ipotesi il beneficiario dell’ amministratore di sostegno non possa donare (salvo autorizzazione per decreto del giudice) e coloro che ritengono che solo il beneficiario dell’ amministratore di sostegno che sia affetto da menomazione fisica possa donare.
Secondo un’altra tesi ( che può definirsi intermedia ), solo il beneficiario dell’amministratore di sostegno con rappresentanza concorrente potrebbe donare.
Secondo una 3^ tesi infine, (dottrina prevalente: Notariato 4/2006 pg.402; Avagliano in Notariato 4/2005 pg. 398; Bonilini; Campese; Delle Monache; Malavasi) il beneficiario dell’ amministratore di sostegno può donare, salvo che il giudice non lo vieti espressamente perché: 1. egli non è un’incapace legale, ma una persona capace in generale ed incapace per i soli atti che richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno ex art.409; 2. dal combinato disposto degli artt. 388, 779 (richiamati nei limiti della compatibilità dall’art. 411 co.1 e 2) e 411 co.3 si evince che sono valide le convenzioni -anche a titolo di liberalità- compiute dal beneficiario in favore dell’amministratore di sostegno legato a lui da rapporti di parentela entro il quarto grado o da rapporti di coniugio o di stabile convivenza, mentre sono invalide quelle compiute a favore di Amministratori di sostegno diversi da quelli indicati; 3. l’art. 411 (tassativo nei rinvii) sulle norme applicabili all’amministrazione di sostegno non fa rinvio all’art.774, che quindi non troverebbe applicazione. Tanto che l’art.774 quando ha voluto estendere la sua applicazione a soggetti con una scarsa limitazione della capacità di agire, quali il minore emancipato autorizzato all’esercizio dell’impresa commerciale, lo ha detto ex art. 774 c.2 . 4. Per l’amministratore di sostegno non c’è alcuna norma che vieti la donazione, anzi lo spirito della riforma è di consentire al beneficiario dell’ amministrazione di sostegno di compiere quanti più atti possibili da solo, anche perché la nuova figura si allontana di molto dalle tradizionali forme di protezione degli incapaci, includendovi non solo menomazioni psichiche ma anche fisiche che comportino un’impossibilità temporanea di provvedere ai propri interessi ex art. 404.     
Altra domanda da porsi è : se nel decreto del giudice è detto che il beneficiario dell’ amministratore di sostegno non può compiere atti di disposizione del proprio patrimonio ( oppure si dice “non può alienare” genericamente) lo stesso beneficiario può donare? Avagliano in Notariato 4/2005 pg. 398 sostiene di no perché il 774 in questo caso riprende vigore, in quanto il soggetto che non ha la piena capacità di disporre dei propri beni (ed in tal caso non ce l’ha avendolo detto il giudice), non può neanche donare. Si pone però il problema della compatibilità con il 409 c.1 c.c. che prevede una limitata incapacità di agire del beneficiario dell’amministratore di sostegno per gli atti specificamente determinati dal giudice. In realtà il giudice, in questo caso, pur genericamente, ha vietato ogni potere di disposizione, ed ancor di più quello di donazione da cui conseguono solo svantaggi economici per il disponente, risolvendosi in un depauperamento senza corrispettivo.
PROBLEMA connesso è: se il decreto ha vietato la donazione e più in generale la disposizione patrimoniale su determinati beni, è consentita la donazione di altri beni? Il problema è aperto, ma si ritiene, anche se in forma dubitativa ( si veda Notariato 4/2005 pg. 399) che sia possibile donare altri beni quando il giudice abbia inteso limitare l’alienazione solo di determinati cespiti e non di altri. D’altronde l’art. 409 segna un punto fermo nelle norme sull’amministratore di sostegno: il beneficiario conserva la capacità di agire per tutto quanto il giudice non imponga l’incapacità. Il 774 andrebbe quindi riletto, alla luce della legge n.6/2004, che ha sgretolato le forme di incapacità assoluta, al punto che anche l’interdetto oggi può essere autorizzato a compiere da solo taluni atti di ordinaria amministrazione ex art. 427.   
Per il TESTAMENTO, si ripropone lo stesso problema della donazione, in mancanza di espliciti divieti del GT nel decreto. Per la capacità di testare non vi è una norma generale analoga all’art. 774, ma vi è l’art. 591 c.c. che disciplina tassative ( così si ritiene prevalentemente) ipotesi di incapacità di testare, eccezioni alla generale libertà e capacità di testare. Fra queste ipotesi non vi è né il beneficiario dell’ amministratore di sostegno né l’inabilitato. Per il primo la dottrina quasi unanime ( si veda Notariato 4/2005 pg. 398) ritiene che possa fare testamento perché: 1. il beneficiario dell’ amministratore di sostegno conserva la capacità di agire per le fattispecie non indicate nel decreto; 2. l’art. 411 c.2 richiama espressamente l’applicabilità di norme sulle disposizioni testamentarie quali gli artt. 596 (in tema di incapacità del tutore e del protutore) e 599 c.c. (in tema di persone interposte); 3. l’art. 411 c.3  dispone espressamente la validità delle disposizioni testamentarie a favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado (cugino) del beneficiario o che sia coniuge o convivente dello stesso, sancendo l’invalidità di disposizioni testamentarie a favore di altri amministratori di sostegno; 4. l’art. 591 si ritiene tassativo nelle ipotesi di incapacità di testare, anche alla luce del più generale principio del favor testamenti.
Altro problema che in genere si pone in materia di incapaci, è quello se l’inabilitato possa fare testamento. La tesi quasi unanime risponde di sì (Avagliano in Notariato 4/2005 pg. 398; Gazzoni, Manuale dir.priv.2003, 490), ma le opinioni sono discordi riguardo alla modalità di fare testamento. Secondo una 1^ tesi (Maggiori/Sammartano in Vita Notarile anno XLIX- parte terza n. 2-3 Maggio/Dicembre 1997) sarebbe necessaria l’autorizzazione del Tribunale e la presenza del curatore, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione, ex art. 394 c.3 c.c..
Per la 2^tesi (prevalente: Triola”Il testamento”; Moretti “testamento e patti successori” a cura del Not.Iberati): il testamento è un atto personalissimo che non tollera l’intervento di terzi, quindi l’inabilitato lo compie da solo, senza alcuna autorizzazione né assistenza. Questo perché, innanzitutto la ratio e il presupposto dell’art. 394 sono di evitare nocumenti patrimoniali all’inabilitato. Ma se è testatore, avendo il testamento efficacia dopo la morte dell’incapace, nessun pregiudizio può verificarsi in vita nel suo patrimonio. Inoltre, non si comprende quali potrebbero essere i criteri nel concedere o negare l’autorizzazione, in quanto i criteri per l’autorizzazione nella volontaria giurisdizione sono: A. l’interesse del disponente (che vi sarebbe sempre dato che l’autore vuole disporre delle proprie sostanze per dopo la sua morte, e che non potrebbe venir negato ); B. la necessità o utilità evidente dell’atto da compiere (criterio che non può, come il primo, aver in alcun modo rilevanza nel caso in questione).   
 
Venendo ai rapporti dell’istituto dell’amministrazione di sostegno con il DIRITTO SOCIETARIO, è da premettere che la normativa sull’amministratore di sostegno ha trascurato ogni riferimento al diritto societario e dell’impresa in generale. Non sembra che le poche disposizioni dettate dal diritto delle società per i soggetti incapaci (quali gli artt. 2286, 2382, 2399, 2409 quinquies, 371 n.3, 371 c.2, 372 c.c.) possano essere automaticamente applicate al beneficiario dell’amministratore di sostegno, in quanto quest’ultimo è un soggetto capace. Nulla esclude che il GT possa estenderne l’applicazione anche al beneficiario, in virtù dell’art. 411 c.4 c.c.. Numerosi sono i problemi applicativi.
Primo PROBLEMA è : il beneficiario dell’amministratore di sostegno può, oltre che continuare, iniziare un’attività d’impresa commerciale (individuale o collettiva), nel silenzio del GT? Per una 1^tesi (Jannuzzi, cit., 333) no, perché l’inizio di una nuova attività è riservato solo al minore emancipato ex art. 397 c.c., con esclusione di ogni altra figura. Per una 2^ tesi (Avagliano in Notariato 4/2005 pg. 400) la risposta è positiva perché il beneficiario dell’amministratore di sostegno è un soggetto capace, cui non si applica la disciplina degli incapaci se non espressamente richiamata dal GT nel decreto.
Secondo PROBLEMA: chi autorizza il beneficiario dell’amministratore di sostegno a continuare l’impresa? La soluzione è legata al problema se il beneficiario dell’amministratore di sostegno sia persona capace di agire ed in che misura (U.Morello in Notariato 2004 pg.226 e 229 ritiene il beneficiario dell’ amministratore di sostegno un soggetto parzialmente incapace).
Secondo una 1^tesi, solo il GT, in quanto l’art. 411 ne prevede una competenza generale, addirittura per i provvedimenti di maggiore impatto sul patrimonio quali quelli dell’art. 375 (di tradizionale competenza del Tribunale);
Per una 2^tesi (Jannuzzi, cit., 331 e 333), il Tribunale ordinario su parere del GT, in quanto questa è la tipica autorizzazione per gli incapaci, come emerge dagli articoli 320 c.5 (per i minori sotto potestà), 371 c.2 (per minori sotto tutela e interdetti) e 397 c. 1 (per minori emancipati). Ciò sempre che la continuazione di impresa non risulti annoverata tra gli atti che il beneficiario può compiere da solo.
Secondo una 3^tesi infine, salvo espliciti divieti del GT, il beneficiario dell’amministratore di sostegno può iniziare o continuare l’impresa commerciale senza alcuna autorizzazione essendo un soggetto capace ex art.409 c.1 (Avagliano in Notariato 4/2005 pg. 400).
Terzo PROBLEMA: che succede all’attività sociale del beneficiario dell’amministratore di sostegno se il GT gli impedisca in maniera generica di compiere atti di straordinaria amministrazione? Avagliano in Notariato 4/2005 pg. 401 sostiene che bisogna valutare di caso in caso. Di certo questa limitazione preclude gli atti imprenditoriali di un certo rilievo, quali la creazione di una società in cui il beneficiario assuma la responsabilità illimitata oppure la creazione di un’impresa individuale. Si pone ancora di più il problema nel momento in cui il beneficiario dell’amministratore di sostegno sia già socio (magari anche amministratore) di società (sia di capitali che di persone) e debba compiere atti di gestione. Si ritiene, da parte di Avagliano, che occorra valutare, di volta in volta, quali siano gli atti di gestione che incidano sul patrimonio del beneficiario dell’amministratore di sostegno. Pertanto, se per l’acquisto da parte della società di francobolli o di materiale d’ufficio, così come per attività straordinarie della società ma insuscettibili di disagi per la persona del socio-beneficiario (es. modifica dell’indirizzo della società da un numero civico ad uno contiguo), non vi sarebbero problemi, nel senso della possibilità del beneficiario dell’amministratore di sostegno di compierli da solo, viceversa altre decisioni potrebbero influire sul patrimonio del socio, alterandolo (aumento di capitale, trasformazione regressiva) e quindi essere vietate allo stesso in presenza del divieto giudiziale a compiere atti di straordinaria amministrazione. Avagliano ripropone, come schema generale distintivo nelle società di capitali, la distinzione fra assemblea ordinaria, in cui sarebbero affrontati solo argomenti di ordinaria amministrazione, ed assemblea straordinaria, che si occuperebbe di straordinaria amministrazione. In realtà, lo stesso autore riconosce che non è possibile in tema di società distinguere tra atti di straordinaria ed ordinaria amministrazione in base alle categorie civilistiche, e quindi il criterio sembra da rifiutare. Migliore, anche se più vago, il criterio dell’incidenza della delibera nella sfera degli interessi del socio, nel suo patrimonio (seguito anche da Auciello, Incapaci e impresa, 2003, 143 a proposito del diritto di voto dell’incapace nell’assemblea di società di capitali). In realtà, seguendo tale criterio, una delibera di aumento oneroso di capitale potrebbe essere votata dal beneficiario dell’amministratore di sostegno da solo, ma nel momento in cui lo stesso volesse sottoscrivere e conferire l’aumento a lui spettante in esecuzione della delibera, impiegando capitali o beni, dovrebbe essere autorizzato (probabilmente dal GT in virtù della sua generale competenza in tema di amministrazione di sostegno), in quanto atto dispositivo.
Per quanto concerne quindi un decreto del GT di nomina dell’amministratore di sostegno che preveda genericamente “il divieto di compiere atti di straordinaria amministrazione” (rimettendoli quindi alla rappresentanza o assistenza dell’amministratore di sostegno) si ripropongono le 3 tesi sul voto in assemblea di società di capitali riportate in Auciello, Incapaci e impresa, cit., 141 ss.). Secondo una 1^ tesi, si distingue fra assemblea straordinaria (necessaria l’autorizzazione perché si tratterebbe di atto di straordinaria amministrazione) ed ordinaria (non necessaria l’autorizzazione).   Per una 2^tesi, non sarebbe necessaria alcuna ulteriore autorizzazione, bastando quella originaria per entrare in società. Basterebbe quindi, la regolare assistenza o rappresentanza dell’amministratore di sostegno in assemblea. La 3^tesi distingue invece fra delibere che incidono sugli interessi del socio (bisognose di autorizzazione e di assistenza) e quelle che incidono solo sull’interesse della società (che potrebbero essere compiute anche dal solo beneficiario). Si ripropone, in tema di società, così come anche per tutti gli altri casi dubbi, il problema se il beneficiario dell’amministratore di sostegno sia un soggetto capace, ed in che misura, restando la dottrina tradizionale (nei pochi casi in cui si è occupata dei problemi applicativi dell’istituto) ancorata ai classici temi dell’incapacità, anche per risolvere le questioni più spinose riguardo ad un soggetto (l’amministratore di sostegno) che ha rivoluzionato il mondo degli incapaci.
 
Altro PROBLEMA ancora è: quali sono i limiti che incontra il GT nell’emanare il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno? Tendenzialmente pochi e difficilmente individuabili, alla luce della riforma che gli attribuisce il potere di delineare lo statuto del beneficiario dell’amministratore di sostegno, addirittura richiamando norme di altri incapaci ex art. 411 c.4, e non solo, potendo oggi, ex art. 427 c.1, modellare anche la condizione in concreto del singolo interdetto o inabilitato. Ad es. si ritiene (M.Moretti in Notariato 4/2005 pg.425) che l’incidenza dell’interdizione sulla comunione legale dei beni ex art. 183-193 possa essere estesa anche all’amministrazione di sostegno, con la conseguenza che potrebbe tanto essere prevista la possibilità di chiedere la separazione giudiziale dei beni quanto l’esclusione dall’amministrazione della comunione. Si ritengono invece inapplicabili, anche da parte del GT, l’art.692 c.c. sulla sostituzione fedecommissaria ed il divieto di riconoscere il figlio naturale e di contrarre matrimonio.
 
RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO NATURALE e MATRIMONIO. Si ritiene prevalentemente che il beneficiario dell’amministratore di sostegno sia capace di compiere questi atti personalissimi, sempre sul presupposto che questo beneficiario sia un soggetto capace ed inserito nella vita di relazione, anche se solo in riferimento agli atti della vita quotidiana (cfr. art. 409 c.2 c.c.). Addirittura alcuni autori (M.Moretti in Notariato 4/2005 pg.426) ritengono che questi atti non possano essere vietati neppure dal decreto del GT, in quanto 1. si trattano di situazioni esistenziali, che possono essere compromesse solo da una totale incapacità; 2. in tali ipotesi di divieto non sarebbe più sostenibile l’affermazione della capacità del beneficiario dell’amministratore di sostegno ed il discrimen fra amministrazione di sostegno ed interdizione. Se infatti la persona da assistere è così incapace di comprendere e vivere gli aspetti personali dell’esistenza al punto di non potersi sposare né riconoscere propri figli, andrà pronunciata la più grave misura dell’interdizione. In quest’ottica sono da segnalare Trib.Milano 11.11.2004 (Notariato 2/05, 123), secondo cui l’istituto dell’amministrazione di sostegno non può essere applicato in caso di assoluta incapacità di intendere e volere, dal momento che le norme che disciplinano tale istituto presuppongono una capacità residuale del soggetto cui devono essere applicate. E Trib.Modena 15.11.2004 (Notariato 1/05, 8), secondo cui il principio ispiratore della legge sull’amministratore di sostegno è di limitare il meno possibile la capacità d’agire, come disposto dall’art. 405. L’interdizione diventa così strumento residuale di protezione.
Riguardo alla SOSTITUZIONE FEDECOMMISSARIA, è certo che non si applica la disciplina dell’art. 692 c.c. automaticamente. Il dubbio è se il GT possa estenderne l’applicazione, ex art. 411 c.4, al beneficiario dell’amministratore di sostegno. Si ritiene prevalentemente (Malavasi in Notariato 2004 p.331) che il GT non possa estendere tale norma al beneficiario dell’amministratore di sostegno, in quanto norma eccezionale prevista espressamente solo per l’interdetto. La tesi avversa si basa invece, sull’applicazione dell’ art. 411 c. 4 c.c. che prevede il “potere di estensione” del GT. 
ACCETTAZIONE DELL’EREDITA’. Altro problema è se il beneficiario dell’amministratore di sostegno debba accettare o meno con il beneficio d’inventario. Di certo, l’accettazione dovrà essere autorizzata dal GT ex art. 374 c.3 richiamato nella sua applicazione dall’art. 411 c.1. Dubbi sull’applicazione degli artt. 471 e 472 (sulla necessità di accettazione beneficiata da parte di tutti gli incapaci) derivano dalla prevalente considerazione, confermata anche dal legislatore (art. 409 c.1), che il beneficiario dell’amministratore di sostegno è un soggetto capace di agire, per il quale quindi la normativa sugli incapaci si può estendere solo laddove richiamata dalla legge ( ex art. 411 c. 1 e 2, in quanto compatibile) o dal giudice ex art. 411 c.4 (“il giudice può disporre…che determinati effetti… si estendano..”). Certo, in assenza di disposizioni del giudice tutelare sul punto e prudentemente, in quanto non vi è giurisprudenza e gli autori sono dubbiosi anche nel sostenere la tesi negativa, è consigliabile sostenere la necessità (o almeno l’opportunità) dell’accettazione beneficiata, basandosi sulla ratio di tutela dei soggetti con capacità limitata che emerge dagli artt. 471 e 472 c.c.
Cosa accade invece per gli ATTI CON CAUSA SIMILE A QUELLI PER CUI E’ PREVISTA L’INCAPACITA’ DI AGIRE? Es. Il GT prevede la rappresentanza dell’amministratore di sostegno per il compimento della vendita e della permuta da parte del beneficiario, ma non anche della transazione. Applicando l’art. 409 c.1 (“conserva la capacità di agire”), si deve ritenere che sia possibile per il beneficiario concludere da solo la transazione. Forti dubbi esprime per questa soluzione la dottrina tradizionale (Jannuzzi, cit., 330), in quanto si avrebbe l’anomalia che atti meno gravi per il patrimonio del beneficiario dovrebbero essere compiuti dall’amministratore di sostegno, mentre atti più gravi potrebbero essere compiuti dal solo beneficiario. Ma, sebbene tale soluzione susciti comprensibili perplessità, è da ritenere che la portata della nuova normativa, ed in particolare dell’art. 409 c.c., abbia rivoluzionato completamente il modo di intendere l’incapacità, con effetti che solo in futuro saranno colti appieno.
TRANSAZIONE. Anche qui, qualora il GT non l’abbia vietata e qualora il beneficiario dell’amministratore di sostegno abbia la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite ex art. 1966, si deve ritenere (alla luce di quanto detto) possibile compierla senza assistenza o rappresentanza. 
Altro problema è: che cosa succede in caso di CONFLITTO D’INTERESSI fra beneficiario e amministratore di sostegno? Le possibili soluzioni del conflitto sono state fornite da ben 4 tesi diverse (“opportuni provvedimenti” ex art. 410 c.2). Per una 1^tesi (prevalente Jannuzzi, cit., 329), si nomina un curatore speciale, in analogia con altre ipotesi di conflitto fra incapaci e rappresentante legale. Ad avviso di una 2^tesi il giudice potrebbe indirizzare le scelte dell’amministratore di sostegno, di fatto predeterminandole, così da evitare la ricorrenza del conflitto. La critica che si fa a questa tesi è che il giudice può solo autorizzare l’atto, non predeterminarlo. Secondo una 3^ tesi, non si può nominare un curatore speciale perché il legislatore non lo prevede, ma occorrerebbe sostituire l’amministratore di sostegno nominandone un altro. La 4^tesi ritiene che si possa nominare un PRO-amministratore di sostegno, già in sede di nomina dell’amministratore di sostegno, per evitare successive dispendiose attività giurisdizionali. Il giudice potrebbe nominarlo ex art. 411 c.4 estendendo l’applicazione della disciplina del protutore ex art.360 (così A.Bulgarelli, Notariato 1/2006 pg.30). Nomina del co-amministratore l’ha fatta Trib. Modena 24.10.2005, a tempo indeterminato.
Riguardo alla SCELTA DELL’amministratore di sostegno, il beneficiario dello stesso, in previsione della propria eventuale futura incapacità, può designare lui stesso l’amministratore di sostegno (mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata ex art. 408 c.1 c.c.), ed il GT potrà discostarsi da tale scelta solo per gravi motivi. Si può anche designare per testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata ex art. 408 c.1, l’amministratore di sostegno del figlio. Si ritiene che si possa fare anche una designazione in negativo (es. non voglio avere come amministratore di sostegno mio fratello) per il richiamo dell’art.411 all’art. 350 n.2 c.c..
Il GT è in generale il Giudice del beneficiario dell’amministratore di sostegno, autorizza l’amministratore di sostegno per tutti gli atti, salvo l’art. 747 cpc (alienazione di beni ereditari) in cui, conformemente all’opinione prevalente, si ritiene che se il GT abbia disposto la limitazione di capacità per questa tipologia di atti, l’autorizzazione vada richiesta al Tribunale del luogo di apertura della successione, almeno fin quando i beni siano ereditari. 
                                            
A tal proposito, vale la pena accennare, brevemente, al PROBLEMA assai dibattuto dell’autorizzazione ex artt. 320 c.c. e 747 c.p.c.. E cioè al problema se, per l’alienazione di beni ereditari dei minori sotto potestà, occorra l’autorizzazione del Giudice Tutelare ex art. 320 c.c. o del Tribunale del luogo di apertura della successione ex art. 747 c.p.c..
Sul punto, la giurisprudenza è attestata oramai, dalle SU Cass. 18.3.1981 n. 1593 in poi, sulla tesi dell’autorizzazione del Tribunale delle Successioni ex art. 747 cpc fin quando i beni da alienare siano ereditari (come lo sono quando ad es. è ancora in corso la procedura di accettazione e liquidazione con il beneficio d’inventario). Dopo di che, persa tale “qualità ereditaria”, possono essere alienati con la sola autorizzazione ex art. 320 c.c. (Giudice Tutelare). Questo perché : 1. Il Tribunale ex art. 747 sarebbe più idoneo a valutare e tutelare anche gli altri interessi coinvolti nella vicenda ereditaria (es. creditori, legatari) oltre quello proprio del minore sotto potestà, il cui interesse verrebbe invece valutato in via esclusiva dal GT; 2. per non creare disparità ingiustificate tra i minori sotto tutela e quelli sotto potestà, con diverse autorizzazioni per la medesima fattispecie. L’opinione minoritaria contraria, che richiede sempre e solo l’autorizzazione del GT ex art. 320 c.c., si basa invece: 1. sulla posteriorità dell’art. 320 c.c. rispetto all’art. 747 c.p.c., che sarebbe stato abrogato dal primo in virtù del principio della successione delle leggi nel tempo ex art. 15 preleggi. 2. Sulla specialità del 320 rispetto al 747, che prevederebbe un’eccezione voluta dal legislatore al 747. 3. Sull’espressa previsione nel 320 dell’alienazione di beni pervenuti al figlio anche a causa di morte.
Altra opinione infine, che però non trova alcun appiglio normativo, richiede una doppia autorizzazione per alienare beni ereditari: GT ex art. 320 c.c. e Tribunale ex art. 747 c.p.c.. In ogni caso si tratta di questione ormai non più attuale dopo la pronuncia sopra menzionata delle SU CASS..
 
Dott. Antonio Piccolo 22/1/2008

Piccolo Antonio

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