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La disciplina dell’istituto.
L’Amministrazione di sostegno è stata introdotta con la l. 9 gennaio 2004, n.6, e si propone di tutelare con la minore limitazione possibile della capacità d’agire (1), la persona priva in tutto od in parte di autonomia, mediante un’intervento di sostegno temporaneo o permanente che non rientri nelle ipotesi disciplinate dall’interdizione od inabilitazione (2).
L’intera disciplina dell’istituto è contenuta nel codice civile, libro primo, titolo dodicesimo, intitolato delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia, capo primo, dell’amministrazione di sostegno, composto dagli artt. 404-413 c.c.
L’AdS va quindi ad aggiungersi agli istituti classici di tutela della persona: l’interdizione ed inabilitazione dai quali differisce quanto ai presupposti applicativi (3) ed agli effetti della misura di protezione (4).
Infatti, in base all’art. 414 c.c., l’interdizione è prevista nei casi di abituale infermità di mente (5) che renda il soggetto interessato incapace di provvedere ai propri interessi, ed ha come conseguenza la limitazione totale della capacità del medesimo soggetto destinatario della misura, mentre ai sensi dell’art. 415 c.c., l’inabilitazione è ammessa quando lo stato mentale del medesimo non è talmente grave da far luogo all’interdizione, ovvero quando trattasi di sordomuto e cieco dalla nascita o dalla prima infanzia se privo di un’educazione sufficiente salvo l’applicazione dell’interdizione ove sia del tutto incapace di provvedere ai propri interessi, ed infine quando trattasi di casi di prodigalità od abuso abituale di alcolici o sostanze stupefacenti in cui vi sia l’esposizione personale o familiare del soggetto interessato a gravi pregiudizi economici.
2. I presupposti per l’ingresso dell’AdS.
In ordine ai presupposti occorrenti per l’applicazione dell’AdS, l’art. 404 c.c. si riferisce alla persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio (6), al quale spetterà compiere ogni opportuna valutazione (7).
I presupposti indicati dall’art. 404 c.c. per dar luogo all’AdS sono quindi due: infermità o menomazione fisica o psichica ed impossibilità, anche parziale o temporanea, del beneficiando di provvedere ai propri interessi (8).
Il testo della norma è tanto chiaro quanto vago, perché non precisa né l’entità o grado della infermità o menomazione fisica o psichica (9), né in che cosa dovrebbe consistere l’impossibilità anche parziale o temporanea del soggetto interessato dalla misura di provvedere ai propri interessi (10).
In breve, così come è oggi configurato l’art. 404 c.c., chiunque abbia una qualunque menomazione fisica o psichica o si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistito da un amministratore di sostegno (11).
Conseguentemente, se da un lato appare evidente come l’AdS non sia del tutto ablativa della capacità del beneficiando, dall’altro, è incontrovertibile come l‘assenza nella norma innanzi richiamata di precisi e circoscritti criteri valutativi riguardanti la tipologia od il grado della menomazione fisica o psichica, compiutamente definiti – che pure necessariamente dovrebbero entrare in gioco nel prendere la decisione se dare luogo o meno ingresso alla misura anzidetta – vale a configurarla come una vera e propria forma generalizzata di “misura di protezione attivabile ex lege” dotata di efficacia erga omnes la cui potenziale platea di destinatari, aprioristicamente non conosce alcuna limitazione (12).
3. La discrezionalità nella scelta se intervenire o meno con l’AdS.
La procedura di AdS ha inizio con la presentazione del ricorso (13) dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato come previsto dall’art. 406 c.c., ovvero, da uno dei soggetti indicati nell’art. 417 c.c., costituiti dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore, dal genitore ovvero dal pubblico ministero al giudice tutelare del luogo in cui il medesimo destinatario della misura ha la residenza od il domicilio (14).
A ciò aggiungasi che in base all’art. 406 c.c., sono ugualmente legittimati anche i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso per la nomina di AdS od a fornirne comunque notizia al pubblico ministero (15).
L’elenco dei soggetti abilitati a promuovere l’istanza di AdS è quindi piuttosto ampio, così come altrettanto estesa è la discrezionalità riguardante la valutazione concreta sia della scelta dei candidati a ricoprire il ruolo di AdS (16), sia dei presupposti indicati nell’art. 404 c.c. per l’ingresso della misura di protezione in esame.
Pertanto sembra evidente come già la scelta se avviare o meno una procedura di AdS sia affidata ad una nutrita schiera di soggetti espressamente indicati nelle citate disposizioni normative, tutti potenzialmente interessati a vario titolo a tutelare legalmente il soggetto indicato come prossimo beneficiando della misura.
A ciò aggiungasi che nell’amministrazione di sostegno, come risulta dall’art. 405 c.c., nella formulazione introdotta dalla l. n. 6/2004, art. 3, è il giudice tutelare che, con il decreto di nomina dell’amministratore, il cui incarico ha una durata generalmente, anche se non necessariamente, determinata, indicata nello stesso decreto ai sensi dell’art. 405 c.c., quinto comma, n. 2, individua, in relazione alla specificità della situazione e delle esigenze del soggetto amministrato, gli atti che l’amministratore medesimo ha il potere di compiere in nome e per conto di quest’ultimo, il soggetto beneficiario, come significativamente viene definito dalla stessa disposizione normativa ex art. 405 c.c., quinto comma, n. 3, e quelli che costui può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore sempre in base all’art. 405 c.c., quinto comma, n. 4.
Al riguardo, va opportunamente evidenziato come una parte della giurisprudenza di merito ritiene che l’amministrazione di sostegno è una misura ordinaria da adottare a tutela dei soggetti con una mera e non grave debolezza psichica o con menomazioni fisiche o psichiche tali da impedire loro un’ottimale cura dei propri interessi (17), come nel caso di una persona impossibilitata ad espletare le funzioni della vita quotidiana a causa di un indebolimento delle facoltà intellettive, in particolare della memoria, dovuto all’età molto avanzata (18).
Ed è qui che possono sorgere i primi rilevanti problemi applicativi: davvero la persona indicata come il beneficiando dell’AdS la merita per il sol fatto che sia stato presentato il ricorso? In assenza di validi e circoscritti criteri di valutazione dei presupposti enunciati dall’art. 404 c.c., considerato il grado di approssimazione ricavabile da quest’ultima norma, chi e come può stabilirlo correttamente, e con il massimo grado di attendibilità possibile, tenuto conto che qui entrano in gioco i diritti personalissimi della persona, trattandosi di incidere significativamente sulla sua stessa capacità d’agire, magari anche contro la sua stessa volontà? (19)
4. Il “peso” della c.t.u. nella valutazione del giudice tutelare se accogliere o rigettare il ricorso.
L’art. 404 c.c. al primo comma così dispone: la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.
L’uso del verbo <<può>> significa che il ricorso all’AdS per la ratio legis costituisce null’altro se non una mera opportunità e non già un obbligo per l’amministrando ad avvalersene.
Ciò a maggior ragione nelle fattispecie in cui la infermità o menomazione dell’amministrando sia esclusivamente fisica, e dagli accertamenti medico-legali svolti sulla sua persona non emerga chiaramente l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.
Quid juris allora nell’ipotesi in cui il c.t.u. nominato dal giudice tutelare concluda affermando che alla luce dell’accertamento espletato e della documentazione presa in visione è possibile affermare che l’amministrando è affetto da una grave menomazione fisica, ma non sembra emergere invece alcuna menomazione psichica di rilievo medico-legale, e pur senza affermare l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, ciò nondimeno, di fatto, sostituendosi al giudice tutelare nella relativa valutazione, ritenga comunque opportuno ricorrere all’AdS quale forma di protezione della persona occasionata da una non meglio specificata e quindi generica presunta difficoltà fisica, magari anche contingente ? (20)
Come dovrà agire il giudice tutelare in siffatta eventualità, ed in presenza della ferma opposizione dell’amministrando ritenuto dal medesimo c.t.u. psichicamente integro? (21)
La prassi giudiziaria tutt’ora riscontrabile nei tribunali, dimostra che anche in tale ultima ipotesi, e nonostante il parere contrario espresso dall’amministrando, quest’ultimo debba comunque “subire” la nomina dell’AdS formalmente decretata dal giudice tutelare ma sostanzialmente decisa dal c.t.u. quando si tratta di “mettere sotto protezione” l’amministrando (22).
Quanto sopra, si è prospettato per il semplice fatto che sebbene ai sensi dell’art. 407 c.c. il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento di AdS si riferisce (23) recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della medesima persona, dei bisogni e delle richieste di questa, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti di cui all’art. 406 c.c., tale incombente solitamente non è reputato di per sé sufficiente sul piano valutativo, se è la stessa norma a prevedere che il giudice dispone altresì, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione sull’AdS.
In considerazione di quanto sinora esposto, e rispondendo al quesito posto nel precedente paragrafo, non sembra allora potersi dubitare come in tale procedura, la c.t.u. disposta dal giudice tutelare sulla persona del beneficiando – eventualmente anche contro il parere di quest’ultimo, come affermato dalla giurisprudenza sino ad oggi formatasi sull’argomento – al fine di valutarne le effettive capacità dal punto di vista fisico o psichico gioca un ruolo fondamentale, in grado di marginalizzare od escludere ogni ulteriore accertamento od elemento ricavabile dall’esterno.
Aggiungasi che il compito assegnato al consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice tutelare è tanto ampio quanto improntato ad una sorprendente discrezionalità nella conduzione degli esami diagnostici e nella somministrazione dei c.d. reattivi mentali.
Infatti, con riferimento alla persona del beneficiando il c.t.u. dovrà appurare come meglio crede l’esistenza dei presupposti indicati nell’art. 404 c.c.: una qualunque menomazione fisica o psichica o l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.
E’ quindi evidente come benché nell’ambito del processo civile la c.t.u. non sia un mezzo di prova, nell’AdS che pure rientra nei procedimenti di volontaria giurisdizione, si verifica quella che di fatto, può considerarsi come una sorta di eccezione se non di vera e propria anomalia, assolvendo la c.t.u. disposta dal giudice tutelare proprio ad una funzione probatoria.
Chi se non il consulente nominato dal giudice tutelare potrà rilevare la presenza od assenza di una qualsivoglia menomazione fisica o psichica in grado di procurare nel beneficiando dell’AdS l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi?
Ciò lo si desume del resto dagli stessi quesiti che il giudice tutelare è solito porre al consulente nominato da lui medesimo: dica il c.t.u. quali siano le patologie o menomazioni fisiche e psichiche da cui risulti affetto il beneficiario, se esse incidano e in che misura, sulla sua capacità di intendere e di volere comunque di coscientemente badare a se stesso; in caso affermativo dica il c.t.u. se vi sia esigenza di misure di protezione indicando il perimetro dei compiti da attribuire all’A.d.S. o al tutore, specificando se i poteri sia preferibile si compendino in affiancamento o in una sostituzione in atti giuridici e quali sano i margini di capacità residua.
La risposta che il c.t.u. dovrà dare al termine degli accertamenti compiuti sulla persona dell’amministrando – volente o nolente – sarà quindi del seguente tenore: alla luce dell’accertamento espletato e della documentazione presa in visione è possibile affermare che il beneficiando è/non è affetto da una menomazione fisica. Sembra /non sembra emergere alcuna menomazione psichica di rilievo medico-legale. Si ritiene che non sia/sia opportuno il ricorso all’amministrazione di sostegno.
Conseguentemente, a seconda delle conclusioni in un senso o nell’altro rassegnate nella relazione depositata in atti della procedura al giudice tutelare non resterà che prenderne atto, accogliendo o rigettando il ricorso per la nomina di AdS.
E’ quindi evidente come di fatto, in tale procedura, il ruolo del c.t.u. finisce assai spesso per sovrapporsi a quello assunto dal giudice tutelare, non soltanto condizionandone la decisione finale laddove trattasi di accogliere o meno il ricorso per la nomina dell’A.d.S., ma addirittura, sempre in linea di mero fatto, prendendola egli stesso in sua vece, ed in tal modo, costringendo il medesimo giudicante ad uniformarsi alle conclusioni già rassegnate nella relazione peritale versata nel procedimento.
La casistica giurisprudenziale, dimostra infatti come sia assai raro il verificarsi delle ipotesi in cui il giudice tutelare si discosti dalle conclusioni rassegnate nella c.t.u., dovendo comunque motivarne specificamente le ragioni, ovvero, ordini la sua rinnovazione, magari dopo aver preliminarmente chiamato il c.t.u. da lui stesso nominato a rendere gli opportuni chiarimenti nel contraddittorio con i consulenti di parte.
Ciò in quanto, sebbene il giudice tutelare sia comunemente definito come il “perito dei periti”, l’ampia casistica giudiziaria dimostra che per una ragione o per l’altra, in linea di mero fatto, ben difficilmente egli potrà contraddire l’operato del consulente da lui stesso nominato, assumendosi la responsabilità di decidere in senso contrario rispetto alle conclusioni rassegnate nell’elaborato peritale depositato in atti, salvo, come si è anticipato, il riscontro di improbabili errori oggettivamente desumibili dalla metodologia e connessi protocolli operativi seguiti dal professionista, che tuttavia, potrebbero giustificare soltanto la convocazione del medesimo consulente a rendere i dovuti chiarimenti ovvero il rinnovo della stessa c.t.u.
5. Le possibili strumentalizzazioni della procedura di AdS.
L’AdS è una misura che sulla carta si prefigge di perseguire esclusivamente la cura e gli interessi della persona del beneficiario come recita testualmente il primo comma dell’art.408 c.c. dedicato alla scelta dell’amministratore di sostegno.
Si è però anche detto che l’art. 404 c.c. legittima una sua lettura “estensiva” sia con riferimento alla sussistenza e valutazione dei presupposti occorrenti per l’ingresso dell’AdS sia, conseguentemente, dei suoi potenziali destinatari (24).
Al riguardo, si pensi alle ipotesi più disparate e magari idonee a configurare nella vita quotidiana quelli che dal punto di vista squisitamente teorico potrebbero definirsi come altrettanti “casi di scuola” (25) e che invece, complice il grado di approssimazione insito nella citata norma di riferimento, potrebbero prendere forma concreta riguardando, almeno potenzialmente, ciascuno di noi.
In ordine a tale questione, si è già precisato come il punto di partenza per l’attivazione della procedura per la nomina dell’AdS sia costituito da una qualunque menomazione fisica o psichica o l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (26).
Si è anche detto come la norma non esige a priori un “riscontro” sanitario documentale, limitandosi ad enunciare genericamente una qualunque menomazione fisica o psichica o l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (27).
Sarà dunque compito del c.t.u. accertare anche l’attualità dei suddetti presupposti occorrenti per la nomina dell’AdS, visto che tale elemento potrebbe soltanto ritenersi sottinteso nell’art. 404 c.c., e, che conseguentemente, nulla vieta ad uno dei soggetti indicati nell’art. 407 c.c. di proporre ugualmente il ricorso anche in assenza di una preventiva valutazione medico-legale del soggetto, e della pertinente documentazione a corredo, volta a comprovare non soltanto l’esistenza dei presupposti enunciati dall’art. 404 c.c. ma anche la loro ricorrente attualità.
Bene, così stando le cose, l’art. 404 c.c. così come è stato scritto dal legislatore, non esclude a priori – a mero titolo d’esempio, ma l’elenco dei casi concretamente possibili è praticamente infinito – che l’AdS possa riguardare anche chi si allontani da casa magari per effettuare all’insaputa di tutti un viaggio all’estero, od analogamente, rimanga da solo chiuso nella propria abitazione per un considerevole periodo di tempo, magari per una banale influenza o malessere od un infortunio domestico (si pensi alla impossibilità parziale o totale di recarsi personalmente in ufficio od a fare la spesa a causa della frattura rimediata ad un dito del piede), od ancora per essersi preso gioco dei propri familiari a cui abbia confidato per scherzo di volerli diseredare devolvendo ogni avere alla Chiesa od a qualche associazione benefica (28), o magari sia stato colto nel commettere anche irrazionalmente determinati atti, in sé perfettamente leciti ma decisamente fuori luogo od inconsueti per la persona interessata che li compie, ovvero laddove si manifesti l’intento di intraprendere un nuovo quanto inusuale stile di vita (29), perché ad esempio, stimolati da nuove scelte esistenziali (30) od improvvisamente colti da una crisi mistica.
E’ evidente come ciascuno dei suddetti casi potrebbe risultare non soltanto “in astratto”, perfettamente idoneo a consentire – almeno (ma non solo) potenzialmente stando al dato testuale dell’art. 404 c.c. – l’ingresso dell’AdS poichè a parere di chi presenta il ricorso potrebbe ugualmente ravvisarsi l’esistenza dei presupposti genericamente indicati nell’art. 404 c.c. (31).
Non è infatti troppo difficile pensare che nella ormai sempre più complessa realtà quotidiana della società civile, si assiste con sempre maggior frequenza, all’emergere di tutta una serie di rapporti e relazioni interpersonali connotate da delicate situazioni personali e familiari, in cui l’intreccio degli interessi, quasi sempre di natura economica, così come delle stesse relazioni affettive che entrano in gioco, può spingere chiunque ad agire ben oltre il limite della normalità, in tal modo andando a colpire legalmente tutti quei soggetti che di fatto, possono apparire come più sprovveduti od ingenui (32).
Prendiamo – sempre a titolo d’esempio – il caso di un genitore ultranovantenne che pur essendo ancora lucido mentalmente, complice la non più giovane età, decida di mettere ordine nella sistemazione dei propri beni prima che sia troppo tardi per farlo, magari in tal modo prevenendo possibili liti future tra i figli sulla divisione delle proprietà. Uno dei figli, accortosi delle intenzioni del proprio anziano genitore, e falsamente temendo il compimento futuro di chissà quale atto dissennato da parte del medesimo, chiede che il giudice tutelare nomini immediatamente un amministratore di sostegno, bloccando sul nascere ogni tentativo di divisione dell’eredità (33).
Successivamente, ma è soltanto una delle tante ipotesi possibili, il figlio che aveva promosso la procedura di AdS con l’aiuto del soggetto nominato (in genere quando trattasi di un estraneo è quasi sempre un avvocato), in qualche modo riesce a convincere il genitore a fare testamento a proprio favore – la capacità di disporre in tal senso permane in capo al destinatario dell’AdS – in tal modo sottraendo ai fratelli la quota disponibile.
Il lodevole fine apparente del figlio che agisce ex art. 404 c.c. è di tutelare l’anziano genitore – pur sapendolo perfettamente savio e capace – destinatario della misura dal compimento futuro di possibili atti depauperativi del di lui patrimonio, ma in realtà, così agendo, nella più nobile delle ipotesi, egli tende unicamente a tutelare egoisticamente la propria aspettativa sull’eredità futura, impedendo al genitore vivente di decidere (e disporre) serenamente dei propri averi come meglio crede.
Come ho detto innanzi, a causa dell’ampia e generica formulazione dell’art. 404 c.c., gli esempi in cui potrebbe trovare ingresso l’AdS sono praticamente infiniti, ed in molti di loro, non sempre il vero fine che l’istante intende perseguire con l’attivazione della procedura in esame coincide con quello dichiarato od appare dagli atti della stessa (34).
In buona sostanza, l’AdS così come è attualmente configurata, può prestarsi facilmente a realizzare una inaccettabile compressione della capacità d’agire del soggetto classificato debole (35), da un lato, proteggendolo – magari da sé stesso più che dai possibili pericoli provenienti dal mondo esterno – ma dall’altro, inevitabilmente frustandone i più intimi desideri e la stessa volontà interiore con l’effetto ulteriore di ridurne internamente l’autostima ed esternamente il grado di autorevolezza e considerazione precedentemente goduto nelle relazioni personali di tutti i giorni, dentro e fuori l’ambiente familiare o lavorativo (36).
Basterebbe pensare, sempre a mero titolo d’esempio, all’ulteriore ipotesi in cui per delle imperscrutabili motivazioni legate a complesse questioni ereditarie o personali, il figlio potrebbe essere tentato a chiedere la nomina di un’AdS nei confronti del proprio genitore (o viceversa) per il raggiungimento di inconfessabili finalità diverse da quelle apparentemente dichiarate nel ricorso introduttivo, che non solo non sono quelle previste dalla legge istitutiva dell’AdS ma che addirittura, ove effettivamente conosciute, si porrebbero in aperto contrasto con quest’ultime!
Cosa potrebbe fare il figlio nominato AdS del proprio genitore quando trattasi di gestire il patrimonio di quest’ultimo che in precedenza non riusciva a fare per il rifiuto del diretto interessato?
E’ vero che esiste pur sempre il controllo del giudice tutelare – quale organo monocratico, che accentra in sé anche i poteri che al di fuori dell’AdS sarebbero invece riservati al collegio (37) – ma quid juris sull’effettivo operato di quest’ultimo?
Chi controlla il controllore (38)?
Impugnare un decreto del giudice tutelare, anche di nomina dell’AdS è certamente possibile sia pure entro certi limiti (39), ma occorre ugualmente pensare alle probabili conseguenze che potrebbero verificarsi medio tempore – considerati i tempi attuali della giustizia ordinaria civile – dall’immediata esecutività dello stesso atto impugnato.
Ciò ovviamente, non senza considerare le crescenti difficoltà ed i notevoli costi per il beneficiando che si troverebbe nella non certamente invidiabile condizione di dover reagire, difendendosi legalmente dalle conseguenze che potrebbero derivare a suo danno da una misura di protezione attivata da un suo stesso consanguineo con l’apparente intento di protezione, dietro al quale, si cela invece l’effettivo scopo di gestirne direttamente (40) od indirettamente (41) il patrimonio, sotto il controllo del giudice tutelare, che specie nei tribunali di grandi dimensioni assume una valenza poco più che formale, in tal modo, di fatto, escludendone gli altri coeredi.
A ben vedere, questa è soltanto una delle possibili ragioni che potrebbero consentire la deviazione dell’attuale procedura di AdS dalle finalità di protezione del soggetto in difficoltà previste nella legge istitutiva, piegandola ad interessi di parte.
Non a caso, va opportunamente ribadito che l’AdS pur rientrando nel novero degli atti di volontaria giurisdizione, di fatto, ormai sempre più spesso finisce per assumere una veste marcatamente contenziosa, con il coinvolgimento di interi nuclei familiari i cui membri, complice la recrudescenza di contrasti interni vecchi od il sopravvenire di altri, solitamente si fanno assistere dai rispettivi avvocati, intraprendendo le idonee azioni a tutela dei contrapposti interessi (impugnazioni, reclami avverso la nomina dell’AdS, querele ed esposti all’autorità Giudiziaria, denunce successive nei confronti dell’Amministratore di Sostegno nominato per tutta una serie di atti che magari non si condividono nei modi e nei contenuti, del Giudice tutelare per le decisioni prese ritenute illegittime, laddove non lesive degli stessi effettivi interessi del beneficiando, ed a volte, degli stessi avvocati o consulenti d’ufficio per tutta una serie di svariate ipotesi, non ultima quella originata dalla non condivisione del contenuto dei rispettivi scritti difensivi, ritenuti offensivi od in altra maniera lesivi dei diritti della persona, anche se non sempre corroborate da una visione oggettiva dei fatti), con evidenti ripercussioni sulla proliferazione del contenzioso (non soltanto civile) e quindi, della efficiente tenuta dello stesso sistema giudiziario.
6. L’AdS così com’è davvero tutela la persona che si ritiene essere in uno stato di apparente difficoltà?
Arrivati a questo punto, dovendo chiudere la pur breve disamina che precede, sovviene quasi come un’obbligo porsi la seguente domanda: la procedura di AdS così com’è può sempre considerarsi un’utile strumento per conseguire l’efficace tutela della persona che affetta da una infermità o menomazione fisica o psichica, potrebbe trovarsi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi?
Rispondere con un sì od un no al suddetto quesito, prescindendo totalmente ed a priori dalla valutazione delle peculiarità che il singolo caso concreto possa presentare di volta in volta, sembra un’impresa assai ardua se non impossibile, anche alla luce di quanto innanzi esposto con riferimento alle possibili conseguenze negative ed agli effetti distorsivi che potrebbero derivarne dalla struttura troppo “aperta” della normativa sulla procedura di AdS disegnata dal legislatore, che attualmente consente una eccessiva e forse ingiustificata discrezionalità valutativa in ordine ai presupposti indicati nell’art. 404 c.c., sia a chi intende avvalersene sia a chi in un modo o nell’altro è chiamato a valutare e decidere se darvi o meno ingresso (42).
Non va infatti sottaciuto come il criterio distintivo tra l’amministrazione di sostegno e gli altri istituti a tutela dell’incapace si presta ad assumere una matrice squisitamente qualitativa e non quantitativa e deve, quindi, essere individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi da parte del soggetto carente di autonomia, ma, piuttosto, alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto stesso, tenuto conto della sua complessiva condizione psico-fisica e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie.
Conseguentemente, premesso che la nostra Carta Costituzionale stabilisce all’art. 13, primo e secondo comma, l’inviolabilità della libertà personale, non essendo ammessa forma alcuna di detenzione, ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti dalla legge, e che l’art. 32, cost., secondo comma, enuncia che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, dal combinato disposto delle predette norme si evince che le fattispecie legislativamente previste, laddove stabiliscono la possibilità di disporre limitazioni della libertà personale o trattamenti sanitari obbligatori sono di stretta interpretazione e non possono essere estesi ad libitum dall’autorità giudiziaria.
Nel caso dell’AdS, il pericolo derivante dal suddetto “discrimen” qualitativo si coglie a piene mani laddove con tale procedura si tenda di fatto, in contrasto con i voleri e le scelte espressi dal beneficiario, a privare lo stesso di due diversi diritti fondamentali: il diritto alla libertà personale e quello alla salute, violando lo spirito della legge istitutiva dell’AdS, ravvisabile unicamente nell’effettivo perseguimento del cd. best interest del soggetto considerato “debole” ed in quanto tale, meritevole di protezione (43).
Riassumendo brevemente i termini della questione, davvero può allora ritenersi credibile che ai sensi dell’art. 404 c.c. una qualsiasi menomazione fisica o psichica, sia sempre idonea a generare in un soggetto l’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi?
Se così fosse, dovremmo allora concludere sulla scorta di quanto sinora affermato nella citata disposizione normativa, che circa sessanta milioni di italiani per un motivo o per l’altro, astrattamente idoneo ad assumere una qualche rilevanza sul versante della salute fisica o psichica, potrebbero diventare non soltanto potenzialmente ma concretamente destinatari della procedura di AdS.
A tal riguardo, risulta fin troppo facile osservare come negli anni a venire, l’approdo ad una simile conclusione, per quanto esagerata, debba considerarsi tutt’altro che improbabile considerando il chiaro tenore letterale espresso nell’art. 404 c.c.
Infatti se da un lato l’AdS si presenta come una valida risposta dell’ordinamento giuridico italiano al fine di risolvere in chiave moderna, tutta una serie di delicate e complesse problematiche che in passato erano affidate esclusivamente alle tradizionali procedure d’interdizione e/o inabilitazione, ed a cui può effettivamente andare incontro ciascuno di noi al verificarsi di determinate situazioni, dall’altro, appare indubitabile come il legislatore debba intervenire quanto prima apportando all’anzidetta normativa le necessarie correzioni ed integrazioni – chiarendo quantomeno le condizioni e l’entità e grado minimo delle menomazioni fisiche o psichiche in presenza delle quali può ricorrersi all’AdS (44) – in modo da far sì che attraverso le stesse possano evitarsi a priori le possibili spiacevoli conseguenze derivanti da un’uso improprio o distorto dell’AdS (45), impedendo sul nascere a chiunque di avvalersene per secondi fini, strumentali o comunque diversi da quelli previsti dalla stessa legge istitutiva, in tal modo, scongiurando il pericolo del suo ritorcersi contro il medesimo soggetto abbisognevole di protezione (46).
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Tuttavia, al riguardo, la giurisprudenza di merito – cfr. Trib. Verona, 22 aprile 2010, in Giur. merito, 2010, 2977, s.m., con nota di Nardelli, L’amministrazione di sostegno, la perdita della capacità processuale e l’interruzione del processo – ha precisato che la nomina di un amministratore di sostegno all’opponente, con conferimento allo stesso del potere di rappresentanza dell’assistito nel compimento di tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, comporta per la parte la perdita il libero esercizio dei diritti necessario per la sussistenza della capacità di stare in giudizio ai sensi dell’art. 75 c.p.c. con la conseguente applicabilità dell’art. 300 c.p.c.
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Sull’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno che va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado d’infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto,competendo al giudice di merito una valutazione complessiva della condizione del beneficiario della misura prescelta, la quale si orienta prevalentemente alla ricerca della soluzione più adeguata per la tutela e per il sostegno della persona cfr. Trib. Roma, 5 luglio 2011, in http://dejure.giuffre.it.
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Infatti in Trib. Bari, 5 settembre 2008 in http://dejure.giuffre.it, si osserva come il criterio da adottare al fine di stabilire di volta in volta quale sia, in particolare tra l’amministrazione di sostegno e l’interdizione, la misura più idonea alla protezione del soggetto debole non potrebbe essere individuato con riguardo ad un elemento meramente quantitativo, e, cioè, tenendo conto del quantum dell’incapacità dalla quale il soggetto da proteggere è affetto, come confermato anche dalla formulazione dell’art. 404 c.c. in quanto, il discrimen consisterebbe piuttosto nell’idoneità dell’uno o dell’altro istituto ad assicurare la protezione più adeguata del soggetto a cui esso va applicato.
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Come ricorda Cass., 12 giugno 2006, n.13584, in Dir. famiglia, 2006, 4, 1671, il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale: ciò induce a non escludere che, in linea generale, in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possano determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura.
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Nelle ipotesi di presenza di infermità mentali abituali che rendano il soggetto sostanzialmente incapace di provvedere in tutto ai propri interessi ricorrendo le quali, non può trovare applicazione l’istituto dell’amministrazione di sostegno, cfr. Trib. Torino, 19 gennaio 2009, in Giur. merito, 2009, 2466.
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Su tale questione, si rinvia a Trib. Arezzo, 7 febbraio 2011, in http://dejure.giuffre.it, che muovendo dalla considerazione espressa nell’art. 343, secondo comma, c.c., benché dettata in tema di tutela e pacificamente non applicabile all’amministrazione di sostegno, afferma la possibilità che il fascicolo relativo ad un soggetto incapace possa essere trasferito ad un giudice territorialmente diverso da quello che ha accertato l’incapacità ed ha adottato la misura di protezione. La differenza rispetto alla procedura di AdS si evince nella circostanza che mentre nel caso della tutela, la trasmissione al giudice diverso avviene avendo riguardo al domicilio del tutore in relazione all’art. 45 c.c. che individua il domicilio dell’interdetto in quello stesso del tutore, nel caso dell’amministrazione di sostegno, nella quale non è prevista – in linea di principio – una sostituzione integrale del beneficiario da parte dell’amministratore, non può applicarsi il suddetto criterio di collegamento, persistendo l’esigenza di agevolare il rapporto fra il beneficiario dell’amministrazione e l’Ufficio del giudice tutelare. A tal fine, non può quindi non assumere decisiva rilevanza il luogo di domicilio o residenza del beneficiario, privilegiando l’esigenza di garantire all’incapace una facilitazione nell’accesso al giudice tutelare. In tal senso cfr. anche Cass., 16 novembre 2007, n. 23743, in http://dejure.giuffre.it, da cui si ricava ulteriormente il principio che è dunque il riferimento alla residenza od al domicilio attuale dell’amministrato che individua il giudice tutelare competente a gestire l’amministrazione, e ciò a prescindere dalla circostanza che l’amministrazione sia stata aperta da altro ufficio del giudice tutelare (in relazione alla residenza od al domicilio diverso che il beneficiario aveva all’epoca dell’apertura della procedura di AdS), non sussistendo alcun ostacolo al trasferimento, da uno ad altro Ufficio del giudice tutelare del fascicolo relativo alla gestione di persone incapaci.
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Cfr. Cass., 22 aprile 2009, n..9628, in http://dejure.giuffre.it, secondo cui appartiene all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità dell’AdS rispetto alle esigenze di protezione dell’amministrando, tenuto conto della complessiva condizione psico-fisica del medesimo soggetto da assistere e di tutte le circostanze caratterizzanti la singola fattispecie.
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Cfr. App. Catania, 1° luglio 2008, in Giur. etnea, 2008, 6, 17, secondo cui l’istituto dell’amministratore di sostegno è applicabile anche a chi sia affetto da infermità o menomazione totalmente incapacitante o abituale, come a chi soffre di una infermità transitoria o lieve.
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Sull’attualità del requisito rappresentato dall’impossibilità del beneficiario di provvedere ai propri interessi cfr. Trib. Pistoia, 8 giugno 2009, in Giur. merito, 2010, 103, s.m., con nota di Masoni, Amministrazione di sostegno e direttive anticipate di trattamento medico-sanitario:contrasti, nessi e relazioni, e più diffusamente, Trib. Firenze, 8 aprile 2009, in http://dejure.giuffre.it.
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In tale ottica, sulla scorta del rilievo il legislatore ha individuato l’attualità dello stato di incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti dello strumento protettivo, ma non anche come requisito per la sua istituzione, una parte della giurisprudenza ritiene ammissibile la nomina di AdS anche nell’ipotesi di persona attualmente capace e non affetta da alcuna patologia nota, su designazione di quest’ultima, allo scopo di sostituirla, qualora intervenga in futuro uno stato di incapacità. In argomento da ultimo cfr. Trib. Firenze, 22 dicembre 2010, in Foro it., 2011, 2, I, 608. Cfr. anche Trib. Modena, 23 dicembre 2008, in Dir. famiglia, 2009, 2, 699, in cui si è statuito che la nomina di un a.d.s. è legittima anche quando la persona richiedente la nomina non sia ancora in uno stato patologico o di difficoltà che ne determini l’inabilità totale o parziale ai sensi e per gli effetti della l. 9 gennaio 2004 n. 6.
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Come dimostra ad esempio il caso deciso da Trib. Prato, 4 dicembre 2010, in Foro it., 2011, I, 2167, in cui la procedura di amministratore di sostegno è stata utilizzata anche in presenza di mere limitazioni fisiche, perché ritenute idonee ad incidere sulla possibilità dell’amministrando di provvedere alla cura dei propri interessi (nella specie, perdita della capacità di vedere da vicino).
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Come si evince da Trib. Varese, 18 giugno 2010, in Dir. famiglia, 2011, 3, 1254, in cui si è ritenuto che il destinatario delle misure di protezione, ex l. 9 gennaio 2004 n. 6, dell’adulto in difficoltà non è necessariamente solo il soggetto infermo per effetto di una, più o meno grave, patologia fisica o psichica, ma anche il soggetto semplicemente vulnerabile o debole, atteso che i compiti dell’a.d.s. non riguardano solo gli interessi sanitari o patrimoniali del beneficiario, ma possono attenere anche al libero esercizio delle sue facoltà e dei suoi non illeciti comportamenti ed abitudini, per cui il concetto di persona priva di autonomia nell’espletamento degli atti e delle funzioni di vita quotidiana non va inteso solo in senso fisico-statico, ma anche in senso giuridico-dinamico, e versa, quindi, in stato di bisogno e di assistenza, ai sensi e per gli effetti di cui alla l. n. 6 del 2004, non solo il soggetto più o meno fisicamente impedito, o, più o meno, psichicamente disturbato, ma ogni soggetto che, per una ragione non necessariamente patologica, non è nella condizione di assumere ed attuare liberamente le proprie opzioni e scelte di carattere domestico ed esistenziali.
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Sulla possibilità per il giudice tutelare di decidere sul ricorso presentato ex art. 404 c.c., anche ultra petita, in dottrina cfr. Fasan, L’amministrazione di sostegno, Incontro di studio organizzato dal C.S.M. formazione decentrata del distretto di Trieste, 16 aprile 2004, in http://www.minoriefamiglia.it: <<Ci si potrebbe chiedere se nell’individuazione degli atti riservati all’A.S. o da compiere con la sua assistenza il G.T. sia vincolato alle richieste contenute nel ricorso o possa anche discostarsene e decidere eventualmente ultra petitum. In senso favorevole a questa seconda soluzione depone il fatto che l’art. 407 c.c. tra i requisiti essenziali del ricorso indica le ragioni per cui si chiede la nomina dell’A.S. ma non, quindi, la puntuale indicazione degli atti che si richiede siano compiuti dall’amministratore stesso; inoltre l’art. 407, ult, comma, c.c. prevede che il G.T. può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’A.S. Se dunque è riconosciuto al giudice il potere di modificare ed integrare anche d’ufficio il contenuto del proprio decreto, pare logico ritenere che anche nell’adozione del provvedimento di nomina egli non sia vincolato dalla domanda, ma debba decidere tenendo conto dei bisogni e delle richieste della persona, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della stessa (art. 407, comma 2, c.c.) e sempre con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario (art. 408 c.c.)>>.
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Che nel corso della procedura può anche variare, con il conseguente spostamento della competenza territoriale dell’ufficio del giudice tutelare. Cfr. Trib. Arezzo, 7 febbraio 2011, in http://dejure.giuffre.it.
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In dottrina, sull’argomento, cfr. Panzè, L’amministrazione di sostegno, par.3.2, I soggetti legittimati a proporre ricorso, in http://www.minoriefamiglia.
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Come rilevato da Cass., 26 settembre 2011, n.19596, in http://dejure.giuffre.it, l’elenco delle persone indicate dall’art. 408 c.c. come quelle sulle quali dovrebbe, ove possibile, ricadere la scelta del giudice, non contiene alcun criterio preferenziale in ordine di elencazione perchè ciò contrasterebbe con l’ampio margine di discrezionalità nella scelta riconosciuta dalla legge al giudice di merito finalizzata esclusivamente agli interessi del beneficiario.
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Cfr. Trib. Messina, 14 settembre 2004, in Dir. famiglia, 2005, 129.
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Cfr. Trib. Modena, 24 febbraio 2005, in Giur. it., 2005, 1626, con nota di Ciocia, Amministrazione di sostegno: un supporto per gli anziani.
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Cfr. Cass., 1° marzo 2010, n.4866, in http://dejure.giuffre.it, secondo cui, non costituisce condizione necessaria per l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno la circostanza che il beneficiario abbia chiesto, o quanto meno accettato, il sostegno ed abbia indicato la persona da nominare.
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Le conclusioni cui si allude nel testo sono quelle testuali riportate in un’elaborato peritale riguardante una procedura per la nomina dell’AdS.
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Il quesito sottoposto all’attenzione del lettore trae origine da una fattispecie realmente verificatasi in occasione di una procedura per la nomina di AdS.
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Al riguardo, così interpretando la ratio legis sottostante all’istituto di protezione di cui si discorre, appare evidente come in realtà, c.t.u. e giudici tutelari finiscano per attribuire un carattere assolutamente preponderante all’esigenza di assicurare una sorta di tutela preventiva del patrimonio della persona rispetto alla cura della medesima, di fatto, stravolgendo il significato della norma racchiusa nell’art. 404 c.c., conferendole un’interpretazione “estensiva”.
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Tuttavia, come precisato da Trib. Teramo, 3 febbraio 2010, in http://dejure.giuffre.it, nell’amministrazione di sostegno è previsto come obbligatorio un ascolto diretto dell’interessato da parte del giudice tutelare, finalizzato essenzialmente alla verifica delle richieste e dei bisogni del medesimo interessato, ma solo qualora ciò sia possibile in concreto.
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Ad esempio, in Trib. Modena, 23 dicembre 2008, in Dir. famiglia, 2009, 2, 699, è stata ritenuta legittima la nomina di un a.d.s. anche quando la persona richiedente la nomina non sia ancora in uno stato patologico o di difficoltà che ne determini l’inabilità totale o parziale ai sensi e per gli effetti della l. 9 gennaio 2004 n. 6.
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Cfr. Trib. Modena, 5 novembre 2008, in http://dejure.giuffre.it, che sulla scorta della disposizione di cui al secondo comma dell’art.408, c.c., novellato dalla l. n. 6/2004 ha ritenuto ammissibile la designazione dell’amministratore di sostegno dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. Nello stesso senso, cfr. Trib. Firenze (decr. giud.tutelare), 22 dicembre 2010, inedita.
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In Trib. Bologna, 31 gennaio 2008, in Guida al dir., 2008, 23, 100 (s.m.), si precisa che al fine di valutare se sia da applicare la misura di protezione costituita dall’interdizione o, piuttosto, quella della amministrazione di sostegno non occorre avere riguardo alla gravità o alla natura della infermità psichica del soggetto tutelando. L’art. 404 c.c., infatti, prevede la nomina dell’amministratore di sostegno a favore di persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, il che significa che l’impossibilità di provvedere ai propri interessi può essere anche totale e definitiva. L’interdizione, invece, può essere applicata solo se necessaria ad assicurare un’adeguata protezione della persona. Il giudizio di adeguatezza implica pertanto una relazione tra misura di protezione e interessi da tutelare, quest’ultimi intesi come bisogni da soddisfare.
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In dottrina – Ciocia, Amministrazione di sostegno: un supporto per gli anziani, in Giur. it., 2005, 1629 – si è osservato come un soggetto anziano – ancorchè senescente, quando non addirittura malato, ma né interdetto, né inabilitato – deve sempre essere considerato sotto il profilo del godimento dei suoi diritti civili, come un soggetto pienamente capace di esserne titolare e disporne. Conseguentemente, l’età avanzata non può essere in sé e per sé considerata presupposto necessario per emettere un provvedimento di amministrazione di sostegno, ma lo diventa nel momento in cui conduce il soggetto ad una limitazione apprezzabile delle funzioni della vita quotidiana. Ed è proprio qui il problema sollevato nel testo: chi e come deve occuparsi di “misurare” tale limitazione apprezzabile delle funzioni della vita quotidiana al fine di stabilire se un determinato soggetto sia o meno in grado di amministrarsi da sé nonostante o meglio, a prescindere dall’età?
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Sull’argomento, esiste un caso realmente accaduto, purtroppo finito in tragedia, come racconta Cendon, Amministrazione di sostegno e responsabilità per suicidio: una strana denuncia, in Resp. civ. e prev., 2011, 2368 e ss.
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Emblematico il caso affrontato da Trib. Varese, 16 aprile 2010, in http://www.amministratoridisostegno.com, in cui si è proceduto alla nomina dell’AdS su istanza del servizio sociale nei confronti di un soggetto ritenuto incapace di adattarsi alla nuova situazione di ristrettezza e precarietà economica, atteso che quest’ultimo aveva sempre vissuto in situazione di estremo benessere. In buona sostanza, il motivo che nella fattispecie considerata ha indotto il servizio sociale a presentare ricorso per la nomina dell’AdS insta nella incapacità del beneficiario di adattarsi alla nuova situazione di ristrettezza e precarietà economica. Il tracollo finanziario ha determinato un mutamento radicale dello stile di vita non seguito da un adattamento del beneficiario il quale antepone spese non prioritarie a quelle essenziali come il riscaldamento. Il disagio denunciato dal Servizio involge quindi lo stato di stasi in cui versa il beneficiario che, in ragione dell’attuale situazione peggiorativa è incapace di volgere uno sguardo ad una nuova prospettiva di vita, ad un nuovo programma di ricostruzione del sé. Il beneficiario si trova solo, senza famiglia; nullatenente, senza denaro; sfiduciato, senza attuali prospettive di benessere. Il giudice tutelare ha quindi ritenuto che l’amministratore di sostegno può costituire un valido referente per le scelte esistenziali del beneficiario, vuoi nella ricerca di un nuovo inserimento lavorativo, vuoi nel recupero delle relazioni familiari sospese, così potendosi gradualmente riespandere la dignità del soggetto debole.
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Cfr. App. Milano, 9 agosto 2005, in http://www.ricercagiuridica.com.
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Come rileva Trib. Roma, 5 luglio 2011, in http://dejure.giuffre.it, al giudice di merito compete una valutazione complessiva della condizione del beneficiario della misura prescelta, la quale si orienta prevalentemente alla ricerca della soluzione più adeguata per la tutela e per il sostegno della persona.
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In dottrina – cfr. Chiarloni, Prime riflessioni su alcuni aspetti della disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, in Giur. it., 2004, 2434 – si è opportunamente evidenziato come procedimenti nati con la finalità di proteggere le persone possono rovesciarsi nel loro contrario, diventando strumento nelle mani di parenti senza scrupoli, per i motivi più diversi ma specialmente per ottenere risultati analoghi a quelli che sarebbero ottenuti dal mostro giuridico di una sorta di sequestro conservativo delle aspettative di eredità.
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Cfr. Chiarloni, op.cit, 2434.
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Ad esempio, Trib. Modena, 6 agosto 2009, in http://dejure.giuffre.it, ha rilevato come l’AdS non deve essere strumentalizzata dai servizi sociali e/o di salute mentale che, in difetto dei relativi presupposti, volessero in tal modo ottenere l’esonero dalle attività di assistenza cui sono istituzionalmente deputati.
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Su tale questione e la correlata necessità dell’assistenza tecnica del difensore a tutela integrale dell’amministrando nel corso del relativo procedimento cfr. Trib. Biella, 17 luglio 2007, in Dir. famiglia, 2008, 1, 251.
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In dottrina – cfr. Chiarloni, op.cit., 2433 – si è giustamente evidenziato come analizzando la disciplina del nuovo istituto apprestato dalla l. n.6/2004 ci convinceremmo subito che essa attribuisce al giudice tutelare (e ad egli soltanto, accentrando la disciplina del nuovo istituto di protezione in capo al medesimo i poteri che in precedenza erano riservati alla competenza del collegio, anche laddove trattasi di prendere decisioni importanti ai sensi degli artt. 374 e 375 c.c.) una somma così ampia di poteri da consentirgli di raggiungere risultati non dissimili da quelli che si ottengono con una sentenza di interdizione.
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L’art. 411, primo comma, c.c. stabilisce che i provvedimenti di cui agli artt. 375 e 376 c.c. nell’AdS sono emessi dal giudice tutelare, e quindi, l’autorizzazione alla vendita od al compimento di altro atto di straordinaria amministrazione, deve quindi essere richiesta al giudice tutelare e non al Collegio.
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Sul punto, meriterebbero maggior considerazione le motivazioni poste a base della questione di legittimità costituzionale dichiarata manifestamente infondata da Corte cost., 19 gennaio 2007, n.4, in Giust. civ., 2007, I, 13, sollevata dal Giudice tutelare del Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, in riferimento agli artt. 2 e 3 cost., perché sebbene a parere del giudice veneziano gli artt. 407 e 410 c.c., violerebbero la dignità della persona e la relativa sfera di libertà giuridica, trasformando il nuovo strumento di protezione dei soggetti in difficoltà in una sorta di interdizione camuffata, nella quale la volontà della persona viene annullata senza una ragionevole giustificazione e senza le relative garanzie e cautele, la Consulta ha invece ritenuto che contrariamente all’assunto del rimettente, il dato normativo ricavabile dall’art. 407 c.c., non esclude, ma anzi chiaramente attribuisce al giudice, anche il potere di non procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno in presenza del dissenso dell’interessato, ove l’autorità giudiziaria, nell’ambito della discrezionalità riconosciutale dalla norma censurata, ritenga detto dissenso – nel contesto della fattispecie sottoposta al suo giudizio – giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione, senza che la sottoposizione del rilievo del dissenso alla condizione della sua compatibilità con gli interessi e con le esigenze di protezione della persona integri violazione dei parametri costituzionali denunciati, i quali, invece, sono in questo modo realizzati.
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Ad esempio, sulla non ricorribilità per Cassazione del decreto emesso dalla Corte d’Appello sul reclamo proposto avverso la designazione o nomina di un amministratore di sostegno, trattandosi di un provvedimento, distinto logicamente e tecnicamente da quello che dispone l’amministrazione cfr. Cass., 23 giugno 2011, n.13747, in http://dejure.giuffre.it. Con riferimento ai provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di rimozione e sostituzione di un amministratore di sostegno cfr. Cass., 10 maggio 2011, n.10187, in Il civilista, 2011, 9, 9, secondo cui è vero che nei procedimenti in materia di amministratore di sostegno l’art. 720 bis c.c., u.c. introdotto dalla l. n. 6 del 2004, espressamente contempla il ricorso per cassazione contro il decreto emesso dalla corte d’appello sul reclamo avverso i provvedimenti del giudice tutelare, ma ragioni di ordine sistematico sembrano suggerire che tale norma sia riferibile soltanto ai decreti, quali quelli che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia d’interdizione ed inabilitazione a norma delle disposizioni dei precedenti art. 712, e segg., espressamente richiamati dal primo comma del citato art. 720 bis, e non anche ad un provvedimento tipicamente gestorio quale è quello che dispone la rimozione e sostituzione dell’amministratore di sostegno.
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Facendosi nominare egli stesso AdS.
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Con la complicità del terzo nominato AdS.
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Illuminante quanto enunciato al riguardo da Trib. Trani, sez.dist. Ruvo di Puglia, 17 maggio 2011, in www.giurisprudenzabarese.it, laddove disquisendo in merito all’applicazione dell’art. 371 c.c. nel caso dell’amministrazione di sostegno, opportunamente rilevava come occorre evidenziare che l’art. 411 c.c., nel richiamare le disposizioni relative alla tutela, omette il richiamo all’art. 371 c.c., il quale, tra l’altro, affida al giudice il potere di decidere sulla residenza del minore, precisando che detta omissione non costituisce un vuoto normativo, ma una consapevole scelta volta a limitare i poteri dell’autorità giudicante nell’ambito di un procedimento – quello dell’amministrazione di sostegno – di fatto privo di tutte le garanzie invece previste per il giudizio di interdizione, prima tra tutti la circostanza che detta misura possa essere disposta solo nel caso di totale incapacità di intendere e di volere del beneficiario.
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Sull’argomento concernente la ricerca del best interest dell’amministrando, coerentemente con la ratio legis dell’AdS, cfr. Trib. Varese, 6 ottobre 2009, in Giur. merito, 2010, 1004.
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Considerato che la problematica è già stata posta sul tappeto da alcuni passaggi riscontrabili in Trib. Palmi, 5 marzo 2007, in Giur. merito, 2007, 2636, laddove si è rilevato che la crescente applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, unitamente alla scarsa puntualizzazione in sede legislativa dei rapporti tra tale nuovo istituto e i sistemi incapacitanti classici come interdizione ed inabilitazione comportano una necessaria operazione di perimetrazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, non esplicitamente compiuta dal legislatore nel testo che ha introdotto detto istituto nell’ordinamento.
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In tal modo debordando dall’esigenza emergente anche dall’esame dei lavori preparatori della legge istitutiva dell’AdS diretta alla massima salvaguardia possibile dell’autodeterminazione del soggetto in difficoltà, favorendone l’effettiva protezione della sua persona, prestando la massima attenzione alla sua sfera volitiva ed esigenze, in conformità al principio costituzionale del rispetto dei diritti inviolabili della persona. Sul punto si v. Cass., 12 giugno 2006, n.13584, in Giust. civ., 2006, I, 2722.
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A tal fine, tenendo presente che nella società umana e nello Stato di diritto, ogni persona adulta porta da sola la responsabilità della sua vita.
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