Distinzione tra amministrazione ordinaria e straordinaria
Veniamo alla questione centrale della norma, ossia la distinzione operata dal legislatore tra atti di amministrazione ordinaria ed atti di amministrazione straordinaria.
La categoria degli atti di amministrazione straordinaria ha una notevole importanza imponendo il sistema dell’amministrazione congiuntiva, che permette “al coniuge più debole, generalmente la donna, la possibilità di una effettiva partecipazione alle maggiori decisioni gestionali” (Schlesinger – 20).
Questo è particolarmente rilevabile nel principio di inderogabilità mediante convenzione delle regole amministrative dei beni comuni (art. 210, 3° comma), resta la difficoltà di una chiara distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
Criteri di distinzione
I criteri adoperati sono dei più vari e vanno dal parametro del valore economico dell’atto in rapporto alla situazione economica della famiglia (Frazzini), “alle norme proprie della comunione ordinaria, pur se con gli adattamenti e le deroghe, espressamente previste dal legislatore della riforma” (21) (Finocchiaro), ai principi valevoli per l’amministrazione del patrimonio dei minori (Cian e Villani).
Addirittura vi è chi, come Schlesinger, non si pronuncia con precisione, limitandosi a propendere nel dubbio “per l’amministrazione congiuntiva, come quella che maggiormente tutela il diritto di partecipazione” (22) dei coniugi.
Tuttavia, considerata l’importanza dell’argomento, occorre un criterio distintivo al fine di orientarsi e senz’altro uno dei più chiari e coerenti è quello proposto da Busnelli e ripreso da Bessone, Alpa, D’Angelo, Ferrando e Ricca.
Partendo dal fatto che nelle società la distinzione fra atti di straordinaria e ordinaria amministrazione si realizza “in rapporto alla ‘normalità’ degli eventi che costituiscono l’oggetto della società volta a volta considerata” (Busnelli) (23), l’Autore perviene a riferire l’ordinarietà o la straordinarietà dell’atto di amministrazione “alla situazione familiare nel suo complesso” (24) e non al singolo bene.
Lo stesso dicasi di Corsi per il quale la valutazione “non può essere compiuta in rapporto ai singoli beni, ma in rapporto al complesso” (25), confermando quindi, sebbene credendo indirettamente l’Autore di corrispondere alla piuttosto vaga tesi di Schlesinger, la bontà della tesi da ultimo esposta.
Per quanto riguarda la donazione di un bene della comunione, non vi è dubbio che questa costituisce atto di straordinaria amministrazione se realizzata a favore di terzi.
Poiché i diritti di obbligazione esulano dai beni che possono essere oggetto di comunione tra i coniugi, deve escludersi che appartengano al novero degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione i contratti bancari. Se essi possono essere stipulati ed amministrati disgiuntamente da ciascun coniuge, non può negarsi all’altro coniuge il diritto alla informazione sulla situazione patrimoniale del partner, sebbene i Finocchiaro abbiano un’opinione del tutto contraria.
Del tutto irrilevante, poi, per i terzi (l’istituto di credito) se le somme impiegate nelle operazioni bancarie siano effettivamente personali o piuttosto distorte dalla comunione, infatti, essendo questi beni mobili non registrati, in base al disposto degli artt. 180, 1153, 1147 C.C. l’istituto risponderà solo se sia provata la sua colpa grave, fatto che sembra piuttosto difficile anzi impossibile, rimanendo quindi gravato del generico obbligo risarcitorio il solo coniuge.
IL 2°comma dell’art. 180 contiene, tra l’altro, un riferimento alla “stipula di contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento”.
Lo strano inciso deriva dall’allargamento ad opera della Commissione Giustizia del Senato del precedente principio che stabilisce il necessario comune accordo nella scelta della residenza familiare, infatti la Commissione non chiarisce il perché di una tale disposizione, ma si può pensare alla “ volontà legislativa di dare massima ampiezza alla partecipazione dei coniugi alla gestione dei beni comuni e ad ogni decisione che li riguarda” (Schlesinger – 26).
Non può ritenersi che la norma in questione abbia privato il singolo coniuge della capacità di stipulare autonomi contratti di locazione, anche con riguardo a “beni di uso strettamente personale” (art. 179. Lett. c) o a “beni che servono all’esercizio della sua professione” (art. 179, lett. d). Deve quindi intendersi la disposizione con riferimento esclusivo “ai contratti con i quali si acquistano diritti di godimento per la comunione” (Schlesinger – 27), contro i Finocchiaro che fanno riferimento ai beni utilizzati per l’acquisto del diritto.
Rapporti patrimoniali tra coniugi di nazionalità differenti
L’analisi dell’art. 180 non può dirsi completa se non si considera quali regole amministrative debbano applicarsi ai rapporti patrimoniali tra coniugi di nazionalità diversa.
Norma fondamentale in materia è l’art. 19 delle disposizioni preliminari al Codice Civile nel quale si determina che “i rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale del marito al tempo della celebrazione del matrimonio” (comma 1°).
E’ stato sollevato il problema se in realtà non sia l’art. 22 disp. prel. C.C., riguardanti le leggi regolatrici del possesso, della proprietà e degli altri diritti sulle cose a disciplinare l’amministrazione dei beni oggetto di comunione tra coniugi.
Sull’argomento si è pronunciato il Tribunale di Roma con sentenza del 24 marzo 1980. Il quesito è risolto dal Tribunale mediante un parallelo con l’art. 18 disp. prel. C.C., come questi “a carattere di specialità rispetto all’art. 22 disp. prel. C.C.” riguardo ai rapporti personali tra i coniugi, così l’art. 19 disp. prel. C.C. acquista carattere di specialità per quanto concerne i rapporti patrimoniali.
Avendo le leggi speciali prevalenza sulle leggi generali ne consegue che la norma applicabile nei rapporti patrimoniali tra coniugi sarà l’art. 19 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Tuttavia, prosegue la motivazione della sentenza, se il marito è straniero avrà l’onere non solo di invocare ma anche di dimostrare con ogni mezzo idoneo il contenuto della legge stessa, non essendo obbligo del giudice, né tanto meno del coniuge, conoscere le disposizioni degli ordinamenti stranieri.
Quanto contenuto nel 1° comma dell’art. 19 disp. prel. C.C. non è altro che la conferma di quanto in precedenza disposto dal 1° comma dell’art. 2 della Convenzione de L’Aia, 17 luglio 1905.
Queste disposizioni sono giustificate dalla necessità di assicurare unicità alla disciplina da applicarsi ai rapporti patrimoniali tra coniugi, quale garanzia atta ad evitare circostanze di disaccordo in un settore tanto delicato già di per sé focolaio di contrasti.
Anzi il comma 2° dell’art. 19 disp. prel. C.C., con l’espressione “salve le convenzioni tra i coniugi in base alla nuova legge nazionale comune”, prevede la necessità di una esplicita e concorde manifestazione di volontà dei coniugi, da esprimersi mediante un’apposita convenzione, per la modifica del regime patrimoniale.
La Corte di Cassazione è intervenuta sull’argomento con una propria pronuncia in data 8 gennaio 1981, n. 131.
Questa, considerando quanto innanzi esposto ed il contenuto del 2° comma dell’art. 19 disp. pre. C.C., dichiara che il cambiamento di cittadinanza non è sufficiente per il mutamento del regime patrimoniale, non potendosi quest’ultimo realizzare mediante una manifestazione di volontà implicita, come si può anche dedurre, oltre che dalla legge italiana, dall’art. 9 della predetta Convenzione de L’Aia.
Rifiuto del consenso
L’art. 181 prevede la possibilità che uno dei coniugi rifiuti il consenso per la stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione o per altri atti in cui è richiesto il suo consenso, concedendo all’altro coniuge di rivolgersi al giudice per ottenere l’autorizzazione, nel caso in cui la stipulazione dell’atto è necessaria alla famiglia o all’azienda facente parte della comunione.
“La norma rappresenta una significativa innovazione rispetto a quelle generali in tema di comunicazione” (Bessone, Alpa, D’Angelo, Ferrando) (28), in conformità con le altre disposizioni che prevedono l’intervento del giudice nel contrasto tra coniugi.
Sia Schlesinger che Cian e Villani sottolineano l’importanza del termine “necessario”, usato nella norma, al fine di delimitare l’intervento del giudice nell’ambito familiare quale sostituto del coniuge.
La stretta interpretazione del termine in questione fa sì che non lo si debba confondere con la semplice “utilità” dell’atto, come osservato dagli stessi Autori, anche se su una tale distinzione hanno sollevato dubbi i Finocchiaro, ma la loro posizione non appare accettabile se si tiene presente quanto detto da Schlesinger: “l’art. 181 non costituisce lo strumento per assicurare la migliore amministrazione della comunione, che spetta ai coniugi e non al giudice, bensì rappresenta soltanto il mezzo per rendere innocua una eventuale opposizione capricciosa o immotivata contro una scelta ‘necessaria’ per l’interesse della famiglia” (29).
Si può aggiungere che il giudice deve intervenire per evitare i guai che deriverebbero dal rifiuto del consenso da parte del coniuge, il suo intervento non deve essere fonte di litigiosità tra coniugi, permettendo loro un ricorso continuo per motivi non rilevanti.
Il rifiuto illegittimo di un coniuge a dare il proprio consenso ad un atto necessario nell’interesse della famiglia costituisce un’ipotesi di cattiva amministrazione della comunione, prevista dalla legge quale causa di separazione dei beni (art. 193), comunque è da escludersi qualsiasi risarcimento del danno .
Secondo Schlesinger “al giudice non sono affidati poteri arbitrali di fronte a contrastanti valutazioni degli sposi, […] Qualora […] ritenga pregiudizievole il mancato accordo dei coniugi, ma risulti che entrambe le soluzioni proposte risolvono, sia pure in modo diverso, il problema, il giudice non può operare una scelta discrezionale tra le contrastanti proposte affacciate dagli interessati, né può nominare un amministratore giudiziario con il compito di compiere quella scelta” (30).
Impossibilità del consenso per lontananza o altro impedimento
Altro caso in cui vi è l’intervento del giudice è quello del successivo art. 182 che prevede l’ipotesi della richiesta da parte del coniuge, in mancanza di procura risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, dell’autorizzazione, a seguito della lontananza o altro impedimento di uno dei coniugi, a compiere atti di amministrazione straordinaria per i quali è necessario il consenso di entrambi i coniugi.
Il vero problema della norma in esame è l’ammissibilità e l’estensione dell’eventuale procura distinguendo tra procure rilasciate a terzi e procure rilasciate al coniuge.
Prendiamo in esame il primo caso e notiamo immediatamente il possibile confronto con l’art. 183, ultimo comma, in forza del quale il coniuge non può essere sostituito dal tutore nell’amministrazione della comunione.
Schlesinger si pone la domanda se la norma qui richiamata non riguardi esclusivamente la rappresentanza legale essendo, invece, pienamente consentita la rappresentanza volontaria.
La risposta alla domanda, è nella ratio dell’art. 183 che l’Autore individua in due possibili soluzioni: la prima è data dall’inammissibile imposizione al coniuge di una continua cogestione con un estraneo, che è poi il tutore; la seconda nel “carattere strettamente personale dell’amministrazione della comunione, in quanto gestione che obbedisce anche a valutazioni dell’interesse familiare nelle quali un terzo non può sostituirsi al coniuge” (Schlesinger – 31).
Nel primo caso si dovrebbe concludere per il legittimo conferimento di procedure speciali a terzi, mentre nel secondo caso vi dovrebbe essere il divieto di una qualsiasi procura a terzi, ma giustamente osserva Schlesinger che un divieto assoluto di conferimento di procure a terzi è eccessivo, anche tenendo presente le esigenze pratiche di tutti i giorni, oltretutto le due ratio non sembrano doversi escludere tassativamente a vicenda ma possono benissimo integrarsi essendo due facce di una stessa esigenza di tutela del nucleo familiare.
Da quanto detto può dedursi l’ammissibilità di procure speciali a terzi, limitate a determinati atti o tipi di atti, e contemporaneamente l’inammissibilità delle procure generali conferite dal coniuge a terzi per l’amministrazione della comunione.
Oltre a Schlesinger concordano pienamente per una tale soluzione Busnelli, De Paola e Macrì (32), questo non toglie che alcuni Autori, facendo forza sugli eventuali intralci alla libera circolazione dei beni che comporterebbe la negazione della possibilità di conferimenti di procure generali a terzi, abbiano ammesso tale possibilità, in tal senso sia Marsano che Corsi (32).
Procura al coniuge
Dobbiamo ora considerare l’ipotesi del conferimento di procura al coniuge. La dottrina è concorde nell’ammettere la possibilità di conferimenti di procura speciale a favore di un coniuge, viceversa le opinioni sono le più discordanti su una eventuale procura generale.
Decisamente contrari al conferimento di una procura generale sono Schlesinger e Busnelli, sebbene con diverse motivazioni. Il primo trae conclusioni decisive dal confronto tra i due commi dell’art. 182 e dall’esame dell’art. 210, comma 3°; il secondo trae spunto dalle osservazioni sulla amministrazione in tema di società di persone.
Considerando il secondo comma dell’art. 182 come una ampia eccezione a favore dell’azienda, Schlesinger considera dimostrato il carattere di eccezionalità che devono avere le altre procure a favore del coniuge, essendo una tale “previsione inutile se fossero ammissibili procure generali” (Schlesinger – 34); per il terzo comma dell’art. 210 osserva l’Autore che il carattere di inderogabilità delle norme sull’amministrazione dei beni della comunione che se ne ricava, “potrebbe essere facilmente eluso se ciascuno dei coniugi potesse conferire liberamente all’altro un potere generale di rappresentarlo nell’amministrazione della comunione” (Schlesinger – 35).
Dubbi crea, al contrario, la dimostrazione del Busnelli, il quale applica al regime della comunione legale i principi ricavati dall’amministrazione della società di persone.
Il principio che qui si applica è quello secondo cui l’amministratore non può unilateralmente sostituire altri a sé, dal che consegue che l’Autore considera il conferimento della procura un atto di carattere eccezionale e limitato al “caso di lontananza o di altro impedimento di uno dei coniugi” (art. 182, comma 1°) (36).
Ma il riferirsi in forma così rigida alle società di persone traendone conclusioni che di peso vengono applicate alla comunione legale, senza tenere nel dovuto conto le sue esigenze particolari e i principi che la regolano è un’operazione non accettabile per le difficoltà che determina.
Favorevole ad una procura generale in favore del coniuge è Atlante che provvede a smontare le argomentazioni contrarie di Schlesinger, tuttavia questi tentativi non paiono convincenti.
La prima osservazione secondo cui l’art. 210 vieta convenzioni in deroga alle regole amministrative ma non la semplice procura che non ha carattere permanente, essendo del tutto temporanea e revocabile la limitazione della capacità amministrativa del coniuge, è facilmente obiettabile con le stesse parole di Schlesinger:
“l’obiezione, formalmente esatta, trascurerebbe la preoccupazione sostanziale del legislatore di favorire in concreto la partecipazione di entrambi i coniugi alla gestione della comunione (37) (38), permettendo l’aggiramento della normativa a danno del coniuge economicamente più debole.
Per quanto riguarda il secondo motivo addotto da Schlesinger a sostegno della propria tesi, Atlante non appare in grado di fornire una soddisfacente controprova, girando piuttosto attorno all’argomento e mostrando chiaramente i limiti del proprio tentativo.
Venendo alle prove fornite dall’Autore, il fatto che il mandante possa controllare il mandatario e che la procura generale “non comporta certo dismissione del potere di amministrare” Atlante (39) non fa venir meno l’esigenza di una effettiva amministrazione da parte dei due coniugi, a meno che forza maggiore non venga loro a impedirlo.
Sulla seconda motivazione, consistente nella possibilità di applicare le sanzioni previste dall’art. 184 ai casi di violazione da parte del coniuge della regola di congiuntiva amministrazione, deve riconoscersi che effettivamente può trarsi dalla norma i principi inderogabili “del diritto di controllo da parte di ciascun coniuge sugli atti di amministrazione e del divieto di escludere un coniuge dall’amministrazione” (Atlante – 40), ma proprio il potere di conferire una procura illimitata e in qualsiasi caso viene in contrasto con i principi evidenziati dallo stesso Autore.
Più corretta è la critica avanzata da Corsi sull’utilizzo dell’art. 210 comma 3°, a sostegno della tesi sull’inammissibilità di una procura generale a favore del coniuge.
L’Autore effettua una serie di osservazioni: in prima è che la tutela del coniuge economicamente più debole non deve spingersi fino all’eccesso di considerarlo debole di volontà, di intelligenza o di cultura; la seconda è che l’art. 182 “ammette” la possibilità del rilascio di procure.
E queste ultime costituiscono certamente un minus rispetto all’attribuzione in via esclusiva all’altro coniuge del potere di amministrare, al cui divieto evidentemente tende il ricordato art. 210 (Corsi – 41).
Infine, la terza ed ultima osservazione, nota che “l’art. 210 rinvia alla normativa sull’amministrazione e pertanto sembra difficile che possa essere preso a base per l’interpretazione di quest’ultima” (Corsi – 42).
Anche quest’autore non risolve comunque il problema di una adeguata risposta alla prova fornita da Schlesinger con la messa a confronto del 1° e 2° comma dell’art. 182.
Tenendo presente la riconosciuta necessità di una certa tutela del coniuge economicamente più debole, Corsi, pur ammettendo la possibilità di procure generali da un coniuge all’altro, esclude da queste quelle irrevocabili nelle quali si potrebbe ravvisare il tentativo di aggirare il divieto di cui all’art. 210.
Rimangono, nonostante tutto, le osservazioni avanzate precedentemente nei riguardi di Atlante, non essendo sufficiente la limitazione introdotta da Corsi alla categoria delle procure generali.
Supererebbe tutte queste difficoltà l’ammissione di una procura generale limitata ai casi di “lontananza o impedimento”, considerando che “non sempre ‘infatti’ saranno a priori conoscibili gli elementi necessari per il rilascio di procure speciali destinate ad operare durante la lontananza o l’impedimento” (Cian e Villani – 43).
Questo giustificherebbe fra l’altro la particolare forma della procura che prevede l’art. 182, comma 1°, rispetto al diritto comune le cui regole sarebbero applicabili ai normali casi di procura speciale.
Né si possono accettare le osservazioni di Schlesinger al riguardo per il quale il riferimento a questi due casi ha un valore puramente di esempio e, oltretutto, vi sarebbe la difficoltà del loro accertamento, in quanto l’Autore li riferisce esclusivamente alle procure speciali non ammettendo quelle generali.
Lo stesso vale per Corsi che, oltre alla già riferita difficoltà di accertamento, sostiene non avere la norma “per oggetto la disciplina del rilascio di procure tra coniugi, ma piuttosto la disciplina di quelle situazioni in cui uno dei coniugi sia lontano o impedito e manchi una procura da lui rilasciata all’altro” (45), ma sono proprio questi motivi che giustificheranno il rilascio di una procura generale, con tutte le garanzie indicate dal giudice, in palese eccezione ai principi amministrativi della comunione legale.
Anche questa norma, come per il precedente art. 181, condizione per l’autorizzazione giudiziale è la “necessità” dell’atto e non la sua semplice utilità.
La competenza funzionale per l’autorizzazione spetta al Tribunale in Camera di consiglio, e questo non solo per l’art. 182 ma anche per il precedente art. 181 ed il successivo art. 183; mentre per quanto riguarda il territorio i Finocchiaro ritengono applicabile, alle ipotesi di cui agli artt. 181 e 182, l’art. 23 c.p.c., che trova applicazione ogni volta ci si trovi innanzi ad una comunione, diversamente dall’art. 183 in cui la competenza territoriale è del Tribunale del luogo di residenza ella famiglia o, se questa manchi, del luogo ove è la residenza dell’altro coniuge (45).
Diversamente Attardi, per cui non dovrebbe esservi alcuna distinzione tra gli artt. 181-182 e l’art. 183, in quanto territorialmente la competenza spetta comunque al Tribunale ove ha luogo la residenza della famiglia (46).
Un’ultima considerazione sulle “cautele” che la norma in questione permette al giudice di stabilire.
Quale tipo di cautele possano essere non è ben chiaro, considerando che l’atto viene compiuto in nome della comunione e, perciò, gli eventuali utili o frutti che siano cadranno immediatamente in comunione, ma ad ogni modo Schlesinger ritiene poter essere l’accantonamento di somme di denaro o un vincolo per il loro reimpiego (47).
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Note
20 ) Schlesinger, citato, pag. 411, Vol. I
21) A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato, pag. 527, Vol. III
22) Schlesinger, citato, pag. 412, Vol. I
23) Busnelli, citato, pag. 48
24) Busnelli, citato, pag. 48
25) Corsi, citato, pag. 124
26) Schlesinger, citato, pag. 414, Vol. I
27) Schlesinger, citato, pag. 415, Vol. I
28) Bessone – Alpa – D’Angeli – Ferrando, citato, pag. 100
29) Schlesinger, citato, pag. 417, Vol. I
30) Schlesinger, citato, pag. 416, Vol. I
31) Schlesinger, citato, pag. 418, Vol. I
32) Busnelli, citato, pag. 51; De Paola e Macrì, citato, pag. 182
33) Marsani, Il mandato nel regime patrimoniale della famiglia ( Il nuovo Dir. di Fam. Milano 1975), pag. 183-184; Corsi, citato, pag. 128
34) Schlesinger, citato, pag. 418, Vol.I
35) Schlesinger, citato, pag. 418, Vol. I
36) Busnelli, citato, pag. 50- 51
37) Schlesinger, citato, pag. 418 – 419, Vol. I
38) – 39) Atlante, citato, pag. 11-13
40) Atlante, citato, pag. 13
41) Corsi, citato, pag. 127
42) Corsi, citato, pag. 127, nota 26
43) Cian e Villani, citato, pag. 170
44) Corsi, citato, pag. 127
45) A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato, pag. 546, Vol. III
46) Attardi, Aspetti processuali del nuovo diritto di famiglia, (Com. alla Rif. Del Nuovo Dir. di Fam. 1977) , pag. 948
47) Schlesinger, citato, pag. 420, Vol. I
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