I fatti oggetto del giudizio
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’impugnata sentenza n. 13 del 2017, ha affrontato la questione del regime applicabile alle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico avanzate prima del 2006 e, in particolare, se anche ad esse sia applicabile la norma generale sulla decadenza delle misure dì salvaguardia che, consentendo l’anticipata applicazione del vincolo culturale e paesaggistico, anche se non ancora approvato, comportano il divieto di apportare modificazioni al territorio oggetto della proposta, in difetto di autorizzazione delle autorità competenti.
Il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 (art. 11), ha infatti introdotto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 141, comma 3, d. Igs. 22 gennaio 2004, n. 42 (nel testo poi modificato e trasferito nel comma 5, ad opera del d. Igs. 26 marzo 2008, n. 63, art. 2, comma 1, lett. m), una disposizione che ha previsto, in caso di mancata adozione del provvedimento finale di approvazione del vincolo, la decadenza delle misure di salvaguardia di cui all’art. 146, comma 1, connesse alla proposta di vincolo, nel caso di superamento del termine di 180 giorni desumibile dal combinato disposto degli artt. 139, commi 1 e 5, e 140, comma 1 (sostituiti dal d. Igs. n. 157 del 2006, artt. 9 e 10), a decorrere dalla pubblicazione della proposta.
Avverso la predetta sentenza, veniva proposto ricorso per cassazione ex art. 111, co. 8, Cost., che dava origine alla pronuncia in commento.
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Le sentenze del Consiglio di Stato possono essere impugnate per Cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione
Le sentenze del Consiglio di Stato, come noto, possono essere impugnate per Cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione, ovvero nei casi di eccesso di potere giurisdizionale, invasione di altra giurisdizione, difetto assoluto di giurisdizione, rifiuto di giurisdizione.
In particolare, nel caso di specie la società ricorrente prospettava la violazione, da parte del Consiglio di Stato, dei limiti esterni della giurisdizione sfociando nella sfera riservata al potere legislativo, sostenendo che l’Adunanza Plenaria avesse “spinto la propria attività esegetica sino al punto di creare un novum jus, cioè una disposizione nuova di diritto transitorio, avendo indicato una decorrenza della entrata in vigore della norma diversa e successiva rispetto a quella prevista dalla legge come interpretata”.
La società ricorrente imputa all’Adunanza Plenaria lo sconfinamento nelle attribuzioni riservate al legislatore e, quindi, superamento dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, per avere esercitato una potestas iudicandi non riconosciutale dall’ordinamento, con l’effetto di avere deliberatamente creato ex novo una norma transitoria con efficacia erga omnes, disapplicando il principio di diritto pure astrattamente enunciato in senso ad essa favorevole.
La sentenza in commento
Alle Sezioni Unite è richiesto di verificare l’effettiva esistenza della suddetta potestas in capo all’Adunanza Plenaria, quale passaggio obbligato per adempiere al loro ruolo di giudice della giurisdizione, mediante verifica della fondatezza della denuncia di eccesso di potere giurisdizionale.
E tuttavia, a questa richiesta non viene data risposta, essendo il ricorso inammissibile, in quanto diretto contro una sentenza che, essendo priva di carattere decisorio, non è immediatamente ricorribile per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione.
La sentenza impugnata, come risulta chiaramente anche dal dispositivo è stata emessa a norma dell’art. 99, comma 4, c.p.a., che riconosce all’Adunanza Plenaria la scelta tra la definizione integrale o parziale della controversia e, come nella specie, la sola enunciazione di un principio di diritto, con rimessione per il resto alla sezione «alla quale spetterà il compito di contestualizzare il principio espresso in relazione alle peculiarità del caso sottoposto al suo giudizio» (in tal senso Cons. di Stato, ad. pl., n. 2 del 2018).
Secondo l’Adunanza Plenaria n. 2 del 2018 «l’enunciazione da parte dell’Adunanza plenaria di un principio di diritto nell’esercizio della propria funzione nomofilattica non integra l’applicazione alla vicenda per cui è causa della regula iuris enunciata e non assume quindi i connotati tipicamente decisori che caratterizzano le decisioni idonee a far stato fra le parti con l’autorità della cosa giudicata con gli effetti di cui all’articolo 2909 cod. dv. e di cui all’articolo 395, n. 5), c.p.c. Il vincolo del giudicato può pertanto formarsi unicamente sui capi delle sentenze dell’Adunanza plenaria che definiscono – sia pure parzialmente – una controversia, mentre tale vincolo non può dirsi sussistente a fronte della sola enunciazione di princìpi di diritto la quale richiede – al contrario – un’ulteriore attività di con testualizzazione in relazione alle peculiarità della vicenda di causa che non può non essere demandata alla Sezione remittente».
Pertanto, la sentenza in commento ricollega l’inammissibilità del ricorso in Cassazione ai sensi dell’art.111 co 8 della Costituzione all’inidoneità della sentenza al giudicato.
La questione di diritto risolta dall’Adunanza Plenaria sentenza n. 13 del 2017
La questione sottoposta alle Sezioni Unite trae origine dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.13 del 2017, che ha affrontato la questione del regime applicabile alle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico avanzate prima del 2006, dunque della permanenza dei vincoli paesaggistici apposti prima dell’entrata in vigore del Codice dei beni culturali come modificato nel 2006 e nel 2008.
Le citate modifiche alla versione originaria del Codice dei beni culturali disponevano l’inserimento di un termine di 180 giorni, decorrente dalla pubblicazione della proposta di vincolo, per l’adozione del provvedimento ministeriale di dichiarazione di notevole interesse pubblico, a pena di perdita di efficacia dell’effetto inibitorio derivante dalla proposta medesima.
Era sorto, tuttavia, un contrasto in giurisprudenza circa la conservazione dell’efficacia limitativa delle proposte di vincolo anteriori all’entrata in vigore del Codice.
Secondo la tesi prevalente (cd. tesi della continuità), le proposte di vincolo avanzate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004 conservavano efficacia, ancorché i relativi procedimenti non si fossero conclusi nel termine legale, in linea di continuità con la tradizionale interpretazione secondo la quale la tutela paesaggistica si esplicava fin dal momento in cui la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico era pubblicata nell’albo del Comune interessato e perdurava sine die, non essendo previsto un termine di efficacia della misura ovvero di consumazione del potere vincolistico, sicché l’adozione del provvedimento finale poteva intervenire anche a notevole distanza di tempo, senza che venisse meno l’effetto preliminare del vincolo.
La tesi contraria (cd. tesi della discontinuità), seppur minoritaria, era stata parimenti sostenuta da altra giurisprudenza, che aveva predicato la decadenza del vincolo preliminare allo spirare del tempo fissato in mancanza dell’adozione del decreto ministeriale contenente la dichiarazione.
Con la citata sentenza, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato interveniva a dirimere il contrasto, enunciando il principio di diritto secondo cui va considerata operante – anche per le proposte anteriori – la decadenza degli effetti preclusivi in assenza di decreto nel termine di 180 giorni.
L’Adunanza Plenaria ha aderito, pertanto, al secondo indirizzo, andando a prevedere che: «Il combinato disposto dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1, e dell’art. 139, comma 5, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo – come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 – cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni».
E pertanto, poiché la decadenza dell’effetto preliminare del vincolo non è immediata ma opera una volta decorso il termine (risultante dal combinato disposto degli artt. 139, commi 1 e 5, e 140, comma 1, del Codice) di 180 giorni dalla pubblicazione della proposta, l’effetto sarebbe che «per le proposte anteriori al Codice, il vincolo sarebbe decaduto decorsi 180 giorni dall’entrata in vigore – ad opera del d. Igs. 63/2008 – dell’attuale testo dell’art. 141, comma 5, che tale decadenza commina, ovvero, ancor prima, per effetto del d. Igs. 157/2006, che l’ha introdotta».
E qui si innesta l’ulteriore principio enunciato dall’Adunanza Plenaria secondo cui alle proposte di vincolo anteriori al Codice, che sarebbero ormai decadute quanto all’effetto impositivo delle misure di salvaguardia, «il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 decorre dalla pubblicazione della presente sentenza».
A questa conclusione l’Adunanza Plenaria è pervenuta, dopo avere affermato di poter «modulare la portata temporale delle proprie pronunce, in particolare limitandone gli effetti al futuro, al verificarsi delle seguenti condizioni:
a) un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare;
b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata;
c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socioeconomiche».
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