Ammissibilità della messa alla prova per gli enti alla luce delle recenti pronunce

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Sommario:

  • Il Tribunale di Milano: la sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica agli enti chiamati a rispondere di illeciti dipendenti da reato
  • Il Tribunale di Modena con la pronuncia del 19 ottobre 2020 dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova per l’ente imputato ex D.Lgs 231/2001
  • Una nuova Ordinanza del Tribunale di Bologna arresta l’ammissibilità degli enti alla cd. probation
  • Il Tribunale di Modena torna nuovamente sull’ammissibilità della persona giuridica al rito della sospensione del processo con messa alla prova: una conferma o una rivisitazione?
  • Il Tribunale di Spoleto torna sul tema con una netta chiusura sull’ammissibilità degli enti all’istituto della sospensione con messa alla prova

 

A vent’anni dalla sua introduzione, il D.Lgs. 231/2001 ha rivoluzionato il sistema della responsabilità amministrativa dell’ente dipendente da reato: se i limiti di alcuni istituti sono stati chiari fin da subito, altri hanno riscosso particolare successo tra gli operatori del diritto, in particolare gli adempimenti riparatori, risarcitori e riorganizzativi, offerti al soggetto giuridico per incentivare una collaborazione.

Uno temi più dibattuti in dottrina ed in giurisprudenza negli ultimi anni, anche a seguito della positiva accoglienza che le occasioni di recupero della societas hanno riscontrato, è stato proprio l’istituto della c.d. messa alla prova, disciplinato agli art. 168 bis ss. c.p. e agli art. 464 bis ss. c.p.p., mutuato dalla giurisdizione minorile ed introdotto nella giurisdizione penale per effetto della L. 28 aprile 2014, n. 67.

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La responsabilità amministrativa degli enti

Il modello di organizzazione e gestione (o “modello ex D.Lgs. n. 231/2001”) adottato da persona giuridica, società od associazione privi di personalità giuridica, è volto a prevenire la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.Le imprese, gli enti e tutti i soggetti interessati possono tutelarsi, in via preventiva e strutturata, rispetto a tali responsabilità ed alle conseguenti pesanti sanzioni, non potendo essere ritenuti responsabili qualora, prima della commissione di un reato da parte di un soggetto ad essi funzionalmente collegato, abbiano adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione e gestione idonei ad evitarlo.Questo volume offre, attraverso appositi strumenti operativi, una panoramica completa ed un profilo dettagliato con casi pratici, aggiornato con la più recente giurisprudenza. La necessità di implementare un Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, per gli effetti positivi che discendono dalla sua concreta adozione, potrebbe trasformarsi in una reale opportunità per costruire un efficace sistema di corporate governance, improntato alla cultura della legalità.Damiano Marinelli, avvocato cassazionista, arbitro e docente universitario. È Presidente dell’Associazione Legali Italiani (www.associazionelegaliitaliani.it) e consigliere nazionale dell’Unione Nazionale Consumatori. Specializzato in diritto civile e commerciale, è autore di numerose pubblicazioni, nonché relatore in convegni e seminari.Piercarlo Felice, laurea in giurisprudenza. Iscritto all’albo degli avvocati, consulente specializzato in Compliance Antiriciclaggio, D.Lgs. n. 231/2001, Trasparenza e Privacy, svolge attività di relatore e docente in convegni, seminari e corsi dedicati ai professionisti ed al sistema bancario, finanziario ed assicurativo, oltre ad aver svolto docenze per la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (Scuola di Formazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) sul tema “Antiusura ed Antiriciclaggio”. Presta tutela ed assistenza legale connessa a violazioni della normativa Antiriciclaggio e normativa ex D.Lgs. n. 231/2001. È tra i Fondatori, nonché Consigliere, dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (AIRA). Collabora con l’Università di Pisa come docente per il master post laurea in “Auditing e Controllo Interno”. Ha ricoperto l’incarico di Presidente dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001 presso la Banca dei Due Mari di Calabria Credito Cooperativo in A.S.Vincenzo Apa, laureato in economia e commercio e, successivamente, in economia aziendale nel 2012. Commercialista e Revisore Contabile, dal 1998 ha intrapreso il lavoro in banca, occupandosi prevalentemente di finanziamenti speciali alle imprese, di pianificazione e controllo di gestione, di organizzazione e, nel 2014/2015, ha svolto l’incarico di Membro dell’Organismo di Vigilanza 231 presso la BCC dei Due Mari. È attualmente dipendente presso la BCC Mediocrati. Ha svolto diversi incarichi di docenza in corsi di formazione sull’autoimprenditorialità, relatore di seminari e workshop rivolti al mondo delle imprese.Giovanni Caruso, iscritto presso l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cosenza e nel registro dei tirocinanti dei Revisori Legali dei Conti. Laureato in Scienze dell’Amministrazione, in possesso di un Master in Diritto del Lavoro e Sindacale e diverse attestazioni in ambito Fiscale e Tributario, Privacy e Sicurezza sul Lavoro. Svolge l’attività di consulente aziendale in materia di Organizzazione, Gestione e Controllo, Sicurezza sui luoghi di lavoro, Finanza Aziendale e Privacy. Ha svolto incarichi di relatore in seminari e workshop rivolti a Professionisti ed Imprese.

Damiano Marinelli, Vincenzo Apa, Giovanni Caruso, Piercarlo Felice | 2019 Maggioli Editore

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Tribunale di Milano: la sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica agli enti chiamati a rispondere di illeciti dipendenti da reato

Il primo contributo sulla questione è quello del Tribunale di Milano, con l’Ordinanza del 27 marzo 2017: a seguito della richiesta del difensore di una S.r.l., chiamata a rispondere di un illecito amministrativo dipendente da reato ex D.Lgs 231/2001, il Tribunale si pronunciava sulla possibilità di sospendere il procedimento per un periodo di tempo corrispondente allo svolgimento di un programma di trattamento che prevedeva, in capo all’ente, l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità.

Il Tribunale si sofferma sulla natura della messa alla prova, e dunque sulla possibile interpretazione analogica, ovvero sull’estensione dell’istituto in malam partem, in applicazione del principio della riserva di legge ex art. 25 Cost.

Alla luce della pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite[1], il Tribunale riconosce all’istituto della messa alla prova natura ibrida, in particolare la natura processuale ‹‹si colloca tra i procedimenti speciali alternativi al giudizio››[2], mentre la natura sostanziale è ravvisabile negli scopi special-preventivi che la stessa persegue, in una fase anticipata del giudizio.

Ciò posto il Tribunale richiama i corollari del principio di legalità in materia penale[3], ex art. 25 Cost. comma 2 ed il principio della riserva di legge che ha carattere assoluto quanto all’individuazione della sanzione applicabile[4]: pertanto in assenza, de jure condito, di una precisa normativa di raccordo degli art 168 bis c.p. ss. al D.Lgs 231/2001, per il Tribunale di Milano ‹‹l’istituto in esame non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti, e quindi alle società imputate ai sensi del D.Lgs 231/2001››[5].

Il Tribunale di Modena con la pronuncia del 19 ottobre 2020 dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova per l’ente imputato ex D.Lgs 231/2001

La seconda pronuncia sul tema arriva nel 2020, anno nel quale la giurisprudenza di merito da avvio ad una querelle ancora oggi in essere: il G.I.P. del Tribunale di Modena, con la pronuncia del 19 ottobre, in piena controtendenza rispetto alla pronuncia del Tribunale di Milano, dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova di una società indagata per l’ipotesi di reato ex art. 25 bis del D.Lgs 231/2001, in forza del reato presupposto previsto dall’art. 515 c.p.

L’autorità giudiziaria ha acconsentito alla richiesta di esecuzione di un programma di trattamento dal quale emergeva la volontà dell’ente di provvedere tempestivamente all’eliminazione degli effetti negativi dell’illecito, al risarcimento dei danneggiati, all’aggiornamento del modello di organizzazione e gestione, al potenziamento delle attività di controllo, nonché allo svolgimento di attività di volontariato; a seguito della verifica del corretto svolgimento di tali adempimenti, il Gip ha successivamente dichiarato l’estinzione del reato.

Il Tribunale modenese sottolinea infatti che il D.Lgs 231/2001 è costellato di situazioni che, al pari della probation, comportano una momentanea paralisi del rito per perfezionare condotte di resipiscenza. Tali strumenti risultano accomunati dalla medesima logica rieducativa: le previsioni introdotte dalla L. n. 67/2014 si applicheranno anche all’ente dotato di compliance programs ritenuti inidonei, ma alla stregua del dettato codicistico, il giudizio speciale sarebbe esperibile solo per illeciti dotati di scarso disvalore, salvo interventi del legislatore, anche se l’assetto del D.Lgs. 231/2001 non impone alcun limite basato sul titolo di reato.

Una nuova Ordinanza del Tribunale di Bologna arresta l’ammissibilità degli enti alla cd. probation

Il Tribunale di Bologna, con l’Ordinanza del 10 dicembre 2020, segna un nuovo arresto sulla questione della probation per gli enti: con tale pronuncia lo stesso, nonostante il parere favorevole del pubblico ministero, segna un netto renviroment, ripercorrendo la strada del Giudice milanese e dichiarando inammissibile l’applicazione dell’istituto della messa alla prova ad una persona giuridica, accusata di illeciti amministrativi dipendenti da reato.

Il G.I.P. emiliano, pur sostenendo che i lavori di pubblica utilità connessi al programma di trattamento non abbiano natura sanzionatoria e che pertanto sarebbe possibile un’applicazione analogica della probation all’ente, ribadisce che il ‹‹mancato coordinamento della legge n. 67 del 2014 con il testo della 231 del 2001 non è frutto di una mera dimenticanza del legislatore, ma è da considerare voluto, in ossequio al principio ubi lex dixit voluit, noluit tacuit. La disciplina della sospensione del processo con messa alla prova non è applicabile alle persone giuridiche chiamate a rispondere ai sensi della 231/2001 in quanto non compatibile nei suoi aspetti sostanziali, posto che non ne condividono la eadem ratio››[6].

Per il giudice bolognese, l’art. 168 bis c.p. si modella sulla figura dell’imputato persona fisica, in ottica special-preventiva, riparativa, conciliativa e rieducativa, pertanto nell’ambito del programma di trattamento per l’ente, lo stesso verrebbe snaturato, fino ad assumere i soli connotati di costo per la persona giuridica, risolvendosi sostanzialmente in un risarcimento verso la collettività.

In conclusione il Tribunale di Bologna ritiene che l’estensione dell’istituto della messa alla prova agli enti, rischierebbe di introdurre in via giurisprudenziale un nuovo istituto, i cui presupposti sostanziali e processuali sarebbero declinati dal giudice stesso.

Il Tribunale di Modena torna nuovamente sull’ammissibilità della persona giuridica al rito della sospensione del processo con messa alla prova: una conferma o una rivisitazione?

Nello stesso mese, il Tribunale di Modena con l’Ordinanza del 15 dicembre 2020, torna sull’ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova, per le persone giuridiche, con una pronuncia che in parte conferma quanto sostenuto dal G.I.P. bolognese, pur non convalidandone tutti i tratti essenziali: nel caso di specie infatti, i giudici modenesi rigettano l’istanza, poiché, l’adozione di un modello di gestione e organizzazione in capo alla persona giuridica, prima della commissione dell’illecito, rappresenta per gli stessi, ‹‹imprescindibile pre-requisito››[7] per accedere al cd. probation.

La motivazione del Tribunale modenese dunque, si pone sulla scia delle pronunce più favorevoli, lasciando intendere che, ove l’ente sia provvisto di un compliance program al momento del verificarsi dell’illecito dipendente da reato, il giudice avrebbe accolto l’istanza di applicazione della misura della messa alla prova all’ente, prevedendo un programma di trattamento volto non soltanto allo svolgimento di un’attività socialmente rilevante, ma altresì con la finalità di rimodulare l’assetto organizzativo dello stesso, attraverso l’implementazione ovvero la correzione del modello già adottato.

Tale pronuncia è stata accolta con grande favore da una parte della dottrina, la quale ritiene che solo l’adozione ex ante di un modello, coopera alla limitazione della commissione di reati, a cui fa riferimento l’art. 464 quater comma 3 c.p.p.; in tal senso dunque il giudice sarebbe chiamato ad ‹‹adeguare un istituto ritagliato sulla persona fisica alle peculiarità di un soggetto metaindividuale››[8].

Tale soluzione avrebbe non soltanto il pregio di evitare eventuali sovrapposizioni con gli altri meccanismi premiali, già previsti per l’ente, applicabili anche in assenza di compliance programs adottati antecedentemente alla commissione dell’illecito dipendente da reato, ma sarebbe altresì un importante incentivo all’adozione del modello da parte delle persone giuridiche, indipendentemente dalla verificazione dell’illecito, ferma restando la necessità di un intervento legislativo che renda efficace il sistema di prevenzione di cui al D.Lgs. 231/2001.[9]

Il Tribunale di Spoleto torna sul tema con una netta chiusura sull’ammissibilità degli enti all’istituto della sospensione con messa alla prova

Sul tema è arrivata una recentissima ordinanza del 21 aprile 2021 del Tribunale di Spoleto, il quale aderisce graniticamente all’orientamento contrario all’ammissibilità della cd. messa alla prova nei confronti delle persone giuridiche imputate per illeciti amministrativi dipendenti da reato.

Questi ultimi infatti, pur ritenendo condivisibile il ragionamento seguito dai giudici di legittimità, reputano non percorribile il ricorso all’analogia, poichè il carattere sostanziale delle norme da cui si vorrebbe desumere l’applicabilità della cd. probation a carico degli enti ‹‹precluderebbe il ricorso all’analogia in virtù del principio di tassatività e legalità […] l’analogia produrrebbe effetti in bonam partem – e dunque, non sarebbe vietata – attribuendo ulteriori chances difensive all’ente imputato››, ma il ricorso all’analogia ‹‹risulta comunque inibito dal fatto che il percorso esegetico astrattamente concepito lascerebbe, in concreto, ampi margini di incertezze operative; in particolare, rimarrebbe imprecisato l’ambito di applicazione della messa alla prova per gli enti, non essendone chiari i requisiti di ammissibilità››[10].

Per i giudici spoletini, l’accesso al rito premiale della messa alla prova dovrebbe essere inibito per gli enti anche per un’altra ragione: il programma di messa alla prova, dovendo essere riadattato all’imputato persona giuridica, assumerebbe di fatto un contenuto sostanzialmente identico alle prescrizioni previste dall’art. 17 D.Lgs. 231/2001, poiché ‹‹ i) il risarcimento del danno a favore della persona offesa andrebbe a gravare sulle risorse patrimoniali della societas; ii) l’affidamento in prova al servizio sociale potrebbe avvenire attraverso l’adozione di idonei ed efficaci modelli organizzativi iii) lo svolgimento di lavori di pubblica utilità potrebbe essere spersonalizzato imponendo all’ente un dovere di contribuire patrimonialmente sempre a favore della collettività, e a tale scopo ben si presta la previsione della messa a disposizione del profitto confiscabile››[11].

Il Tribunale di Spoleto evidenzia che, l’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 17 D.Lgs. 231/2001, se avvenuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, non prevede un’estinzione tout court del reato, ma soltanto una mitigazione del trattamento sanzionatorio, escludendo l’applicabilità delle sanzioni interdittive: offrire all’ente la possibilità di sospendere il procedimento e accedere alla cd. probation equivarrebbe a consentirgli di eludere la disciplina prevista dagli artt. 17 e 65 D.Lgs. 231/2001, ottenendo anzi, senza alcun onere aggiuntivo, un beneficio molto più importante, l’estinzione del reato.

In conclusione dunque, il Tribunale di Spoleto, esclude con forza, l’ammissibilità della messa alla prova per gli enti, anche nei casi in cui lo stesso si sia dotato di compliance programs, anche se ritenuto ex post inidoneo, prima della commissione del fatto illecito dipendente da reato.

Non è possibile addivenire oggi ad un orientamento granitico sul tema, segno evidente dell’importanza che l’applicazione di un istituto come la messa alla prova, genererebbe in capo agli enti.

Sicuramente però la netta chiusura del Tribunale spoletino, a vent’anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 231/2001, amplifica ancor di più le distanze tra il modello italiano e quello diffuso oltreoceano, che ammette un’esclusione di responsabilità in presenza di condotte riparative e/o ripristinatorie successive alla commissione del fatto illecito.

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Note

 

[1] Cass. SS.UU. 31 marzo 2016, n. 36272;

[2] Trib. Milano, ordinanza 27 marzo 2017;

[3] Corte Cost. 230/2012;

[4] Cass. SS.UU. n. 5655/1984;

[5] Trib. Milano, ordinanza 27 marzo 2017;

[6] Trib. Bologna, ordin. 10 dicembre 2020;

[7] Trib. Modena, ord. 15 dicembre 2020;

[8] “Il Tribunale di Modena ancora sull’ammissibilità della persona giuridica al rito della sospensione del procedimento con messa alla prova: una conferma o una retromarche?”, a cura di G. Garuti, C. Trabace, in Giuris. Pen., 2020, 3;

[9] Dall’indagine svolta dal Confidustria nell’aprile 2017, è possibile riscontrare l’insuccesso nella prassi del sistema di prevenzione previsto dal D.Lgs. 231/2001, visto che solo una piccolissima parte delle realtà imprenditoriali presenti sul territorio italiano sono dotate di un modello di organizzazione e gestione;

[10] Trib. Spoleto, ord. 21 aprile 2021;

[11] Trib. Spoleto, ord. 21 aprile 2021;

Francesca Sforna

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