Indice:
- Il caso deciso dal Tribunale di Brescia
- Ammissibilità dell’arbitrato irrituale da clausola compromissoria statutaria per la soluzione delle controversie aventi ad oggetto la validità di deliberazioni assembleari
- Conservazione della clausola compromissoria statutaria per arbitrato irrituale
1. Il caso deciso dal Tribunale di Brescia
Con la sentenza in commento, la sezione specializzata per le imprese del Tribunale di Brescia ha dichiarato la nullità di un lodo irrituale pronunciato secondo equità, perché in contrasto con l’art. 36 d.lgs. 5/2003, ai sensi del quale “Anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell’art. 829, secondo comma, del codice di procedura civile quando (….) l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari”.
In particolare, ritenuto l’ “(…) art. 36 del d.lgs. 5/2003, lex specialis integrativa delle disposizioni generali previste dal codice di procedura civile (cfr. art. 808-ter) in materia di arbitrato irrituale”, in quanto “ … pacificamente applicabile alle controversie, in punto di validità di delibere assembleari, oggetto di clausola compromissoria” e rilevato che essa “ … produce gli effetti di cui all’art. 1419, comma secondo, c.c., determinando la sostituzione di diritto della parte della clausola compromissoria statutaria affetta da nullità”, il tribunale ha dichiarato la nullità del lodo impugnato, perché adottato nell’ambito di un arbitrato irrituale e pronunciato secondo equità.
Di seguito, la fattispecie all’esame del tribunale.
Con deliberazione assembleare del 16.12.2014, la società Alfa aveva disposto “la riduzione del capitale per perdite al di sotto del minimo legale e il contemporaneo aumento del medesimo ex art. 2482-ter c.c.”.
Impugnata ai sensi dell’art. 2479 ter c.c. da un socio dissenziente, per il mancato raggiungimento del quorum statutariamente previsto per la sua adozione, la validità della deliberazione era stata rimessa alla decisione di un arbitro unico, in base alla clausola compromissoria statutaria dispositiva di un “arbitrato irrituale secondo equità”. L’arbitro unico accoglieva l’impugnazione annullando la deliberazione.
La società e soci che avevano espresso voto favorevole all’adozione della deliberazione impugnavano in sede giurisdizionale il lodo, facendo valere plurimi vizi; nel corso del giudizio, il giudice istruttore, per quel che interessa in questa sede, rilevava d’ufficio e indicava alle parti, ai sensi dell’all’art. 101 c.p.c., la questione relativa alla nullità del lodo, per contrasto con il già richiamato art. 36 d.lgs. 5/2003.
La questione rilevata d’ufficio dal giudice istruttore, poi condivisa dal collegio, è stata posta a fondamento della decisione, che, come sopra accennato, ha dichiarato la nullità del lodo, aggiungendo che “ … l’arbitro unico, una volta investito della controversia, avrebbe dovuto accertare preliminarmente la nullità parziale della clausola compromissoria e prendere atto del meccanismo di sostituzione automatica previsto dall’art. 36 del d.lgs. 5/2003, prospettando alle parti, in sede di accettazione dell’incarico, la necessità di pronunciare (i) un lodo rituale e (ii) secondo diritto, a dispetto del contenuto (parzialmente invalido) della clausola stessa.”
Quindi, secondo il tribunale, la norma di cui all’art. 36 del decreto legislativo n. 5/2003 si applica anche alle clausole compromissorie che prevedano arbitrati irrituali, e determina la nullità parziale della clausola, la quale, tuttavia, resta valida ed efficace, previa sostituzione automatica con il contenuto della previsione legale.
La pronuncia presenta almeno un duplice profilo di interesse.
Il primo, settoriale e specifico, riguarda la questione, dibattuta in dottrina e variamente risolta in giurisprudenza, della ammissibilità dell’arbitrato irrituale da clausola compromissoria statutaria per la soluzione delle controversie endosocietarie, in generale, e relative alla impugnazione di deliberazioni assembleari, in particolare[1].
Il secondo, di portata generale e di più ampio rilievo sistematico, evidenzia la – del tutto condivisibile (come anche recentemente rilevato dalla giurisprudenza di legittimità) – tendenza dei giudici di merito di preservare, mantenendone validità ed efficacia, le clausole contenute nell’ambito di regolamenti negoziali che includano disposizioni ritenute in contrasto con norme imperative o altrimenti nulle.
2. Ammissibilità dell’arbitrato irrituale da clausola compromissoria statutaria per la soluzione delle controversie aventi ad oggetto la validità di deliberazioni assembleari
Iniziando dal primo profilo, è noto che, secondo talune opinioni, non è ammissibile l’arbitrato irrituale da clausola compromissoria statutaria per la soluzione delle controversie endosocietarie, e, specificamente, per le liti aventi ad oggetto la validità delle deliberazioni assembleari[2].
In particolare, parte della dottrina, la cui opinione pare condivisa dal Tribunale di Brescia, trae la inammissibilità dell’arbitrato irrituale per la soluzione di tali controversie dal disposto dell’art. 36 cit.: osservato che la disposizione impone la controllabilità del lodo sulla validità della deliberazione assembleare per error in iudicando de iure ai sensi dell’art. 829, comma 2, c.p.c. (oggi, art. 829, comma 3, c.p.c.); considerato che tale mezzo di impugnazione è applicabile al solo lodo rituale, mentre il lodo irrituale, come oggi ribadito dall’art. 808 ter c.p.c., è contestabile con le ordinarie azioni di impugnazione contrattuale dinanzi al giudice ordinariamente competente in primo grado; se ne deduce l’inammissibilità dell’arbitrato irrituale quale mezzo di risoluzione delle controversie de quibus e dunque l’invalidità della clausola compromissoria statutaria che lo preveda (invalidità da taluni ritenuta totale e da altri parziale, come si vedrà).
Ad avviso di chi scrive, questa impostazione non è condivisibile.
E’ incontestato e incontestabile che l’arbitrato irrituale è istituto che ha le proprie radici nell’autonomia privata, e che trova il proprio necessario, ed esclusivo, fondamento, nel principio di autonomia negoziale.
Pertanto, da un lato, come la storia e la realtà applicativa dell’istituto confermano, non è la sua ammissibilità a dover essere oggetto di una specifica previsione legale autorizzativa, bensì è il divieto di fare ricorso ad esso a richiedere una inequivoca disposizione legale ostativa; da un altro lato, l’ambito di applicazione dell’istituto coincide naturalmente con l’ambito di rilevanza dell’autonomia privata, e quindi con l’insieme costituito dalle situazioni giuridiche disponibili, salvo espresso divieto di legge (come peraltro indica, con disposizione di portata generale, l’art. 806, comma 1, c.p.c.).
Dunque, l’arbitrato irrituale per la soluzione delle controversie relative a diritti disponibili è sempre ammesso, salvo un divieto di legge.
Questo divieto (che, ad esempio, si ricava dall’art. 12 del codice del processo amministrativo, che ammette il solo arbitrato rituale secondo diritto per le controversie su diritti soggettivi rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) non è però previsto agli artt. 34-36 del d.lgs 5/2003 sull’arbitrato societario, né da esse è ricavabile.
Il complesso di disposizioni dettate per l’arbitrato societario, infatti, disciplina, da un lato, l’oggetto e gli effetti di clausole compromissorie statutarie (art. 34), e, dall’altro lato, le regole inderogabili del procedimento arbitrale (art. 35), imponendo poi la decisione secondo diritto con lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, comma 2 (art. 36) “Anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile … quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari”.
Come è stato condivisibilmente sottolineato, se è vero che alcune delle richiamate disposizioni (per esempio, proprio il richiamo all’impugnazione del lodo di cui all’art. 36, comma 1) sono applicabili solo all’arbitrato rituale, e alcune di esse (non tutte, peraltro, incompatibili con l’arbitrato irrituale) sono espressamente qualificate come inderogabili (art. 35), vi sono altre norme (come l’art. 34, comma 2, sulle modalità di nomina degli arbitri da prevedere nella clausola compromissoria) che risultano applicabili anche all’arbitrato irrituale[3].
D’altro canto, l’istituto è espressamente preso in considerazione dall’art. 35, comma 5, che – nel contesto di una disciplina dell’arbitrato da clausola compromissoria statutaria – chiaramente presuppone l’ammissibilità per la decisione delle controversie endosocietarie, anche dell’arbitrato irrituale (“La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validita’ di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell’efficacia della delibera”).
Non sembra, quindi, che dalle richiamate disposizioni possa dedursi, con il grado di univocità e chiarezza richiesto per una limitazione del principio dell’autonomia negoziale, un divieto per i privati di fare ricorso all’arbitrato irrituale quale mezzo di risoluzione delle controversie relative a situazioni giuridiche disponibili.
Lo stesso art. 36 d.lgs. 5/2003 non prevede tale divieto, né appare possibile desumerlo a contrario dall’incompatibilità del regime di impugnazione prescritto da tale disposizione con il lodo irrituale.
Se, infatti, è incontestabile che l’art. 36, comma 1 (ai sensi del quale il lodo, necessariamente rituale, sulla validità delle delibere è sempre impugnabile per errore di diritto ex art. 829, comma 2, oggi comma 3, c.p.c.) non è compatibile con il lodo irrituale (il quale è contestabile in un ordinario giudizio di cognizione e non è censurabile per errores in iudicando de iure), non sembra che da ciò possa dedursi, quale necessaria e ineludibile conseguenza, l’inammissibilità dell’arbitrato irrituale per la soluzione delle controversie sulle delibere assembleari[4].
Infatti, laddove una controversia relativa alla validità di una delibera assembleare sia risolta da un lodo irrituale – definito dall’art. 808-ter c.p.c. come una “determinazione contrattuale” – e il dictum degli arbitri sia in contrasto con una norma imperativa, esso è contestabile, in via di azione o di eccezione, per nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c.[5].
Il che, come condivisibilmente osservato[6], implica un significativo ampliamento del regime di rilevabilità della invalidità del lodo irrituale contrario nel suo contenuto a norma imperativa, rispetto al lodo rituale affetto dal medesimo vizio: il lodo irrituale sarebbe affetto da nullità ai sensi delle disposizioni del codice civile e, quindi, soggetto al relativo regime giuridico (nullità assoluta, imprescrittibile ed insanabile), con conseguente possibilità di rilevare il vizio in misura certamente maggiore di quanto non avvenga rispetto al lodo rituale, in ordine al quale vige l’onere dell’impugnazione ex art. 829 c.p.c.
E ciò, si otterrebbe senza far discendere da una previsione normativa (ancora una volta, l’art. 36 del decreto legislativo 5/2003) una conseguenza dalla medesima non imposta, e cioè la preclusione per i privati, nell’esercizio del principio di autonomia negoziale, di scegliere l’arbitrato irrituale quale mezzo di risoluzione delle controversie in tema di deliberazioni assembleari.
3. Conservazione della clausola compromissoria statutaria per arbitrato irrituale
Venendo al secondo profilo di interesse, è opportuno richiamare la recente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 31 dicembre 2021, n. 41994), in tema di nullità parziale del contratto di fideiussione omnibus.
Per quanto ai presenti fini rileva, con la sentenza in esame è stata definitivamente e autorevolmente confermata la centralità del principio (e già Cass. 3556/2020, 24044/2019) della conservazione dell’effetto voluto dalle parti, pur nella valutazione complessiva della (necessaria) conformità dell’assetto negoziale rispetto allo schema legale, chiarendosi espressamente che “… con la regola 1419, primo comma, c.c. – ignota al codice civile del 1865, come pure al code civil, provenendo dall’esperienza tedesca – insieme agli analoghi principi rinvenibili negli artt. 1420 e 1424 c.c., enuncia il concetto di nullità parziale ed esprime il generale favore dell’ordinamento per la “conservazione”, in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorchè difformi dallo schema legale, da ciò si fa derivare il carattere eccezionale della estensione della nullità che colpisce la parte o la clausola dell’intero contratto, con la conseguenza che è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto”.
In virtù, quindi, della primaria tutela del valore dell’autonomia negoziale, contemplato dall’articolo 1322 del codice civile e cardine del nostro sistema di diritto sostanziale, tutte le volte in cui, si dice, siano scindibili gli effetti della varie previsioni contrattuali, l’eventuale nullità dell’una non potrà ineludibilmente cagionare la nullità dell’altra, e l’assetto negoziale complessivo, se del caso previa sostituzione automatica con la clausola conforme a legge, potrà e dovrà continuare a regolare la relazione fra i soggetti dell’ordinamento.
L’allegazione e la prova della inscindibilità delle previsioni negoziali, unitamente alla assenza di utilità residua del regolamento contrattuale, spetterà alla parte che voglia ottenere l’accertamento della nullità integrale del contratto.
Tale pronuncia si colloca nell’ambito di un più vasto filone interpretativo, che, sia con riferimento a norme sostanziali che processuali, privilegia una declinazione applicativa che implichi la conservazione dell’effetto voluto dalle parti, come emergente dalla concreta utilizzazione dell’istituto: così, con riferimento all’applicazione dell’art. 418 c.p.c. e al caso di proposizione inammissibile di una domanda di nullità, si è ritenuto di poter valutare la stessa alla stregua di eccezione di annullabilità (Cass. 7.10.2004, 19985).
In tema di questioni afferenti i contratti bancari, si può fare riferimento, per esempio, a quanto chiarito da Cass. S.U. n. 24675 del 19 ottobre 2017, per la quale “allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso di svolgimento del rapporto, la soglia d’usura come determinata sulla base delle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto“.
Tornando adesso alla fattispecie che ha dato occasione a queste riflessioni, sembra che, laddove si condivida l’interpretazione per cui non è ammissibile l’arbitrato irrituale da clausola compromissoria statutaria, occorra applicare anche in tale settore il canone ermeneutico dell’utile per inutile non vitiatur già richiamato, come previsto dal nostro ordinamento (a ben vedere da varie disposizioni, dall’art. 1367 c.c., in tema di interpretazione del contratto, all’art. 1419 c.c., ma anche, come visto, 1420 e 1424 c.c., in tema di nullità delle clausole) e valorizzato dalla più attenta e recente giurisprudenza.
Pertanto, ove si accolga questa premessa, appare certamente preferibile – come ritenuto dal Tribunale di Brescia[7] – qualificare l’invalidità della clausola compromissoria non quale nullità radicale (con conseguente frustrazione della volontà manifestata dalle parti per la soluzione in via arbitrale delle controversie e riespansione della potestas iudicandi del Giudice Ordinario), bensì quale nullità parziale della convenzione arbitrale con sostituzione ex art. 1419, comma 2, c.c. delle pattuizioni invalide con la norma imperativa dispositiva dell’arbitrato rituale. E, pertanto, per la conservazione, previa sostituzione, nella clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, della clausola invalida (istitutiva dell’arbitrato irrituale), con la clausola legalmente valida di cui all’art. 36 d.lgs. 5/2003.
Note:
[1] Al riguardo, si vedano, per tutti: E.F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 517 ss; P. Biavati, Il procedimento nell’arbitrato societario, in Riv. arb., 2003 ss., 27 ss.; F. Carpi, Profili dell’arbitrato in materia di società, ivi, 2003, 411 ss.; M. Bove, L’arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disciplina di diritto comune, in Riv. dir. proc., 2008, 931 ss.; M. Piazza, Sull’applicabilità dell’arbitrato irrituale societario derivante da clausola compromissoria statutaria della normativa speciale prevista dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, in Riv. arb., 2010, 482 ss.; I. Pagni, Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune in materia societaria dopo l’intervento della Cassazione n. 24867/2010, in Le Società, 2011, 450 ss.; C. Consolo, Arbitrato libero e liti societarie: compatibile salvo nella versione statutaria, che ha valenza irriducibilmente giurisdizionale, in Giur. it., 2017, 1934 ss. (per le società di capitali); R. Maruffi, Clausola compromissoria statutaria e arbitrato irrituale, in Riv. arb., 2018, 803 ss.; B. Sassani, Considerazioni fugaci sull’arbitrato societario irrituale, in Tutela giurisdizionale e giusto processo, Scritti in memoria di Franco Cipriani, III, Bari, 2020, 1917 ss.; F. Auletta – A. d’Angelis, L’arbitrato irrituale da clausola compromissoria statutaria e “l’oggetto del giudizio […] costituito dalla validità di delibere”, in Le Società, 2021, 589 ss.
[2] Per riferimenti, v. la nota 1.
[3] Come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità assolutamente prevalente: Cass. Civ. 9 ottobre 2017, n. 23550; Cass. Civ. 28 luglio 2015, n. 15841; Cass. Civ. 17 febbraio 2014, n. 3665; Cass. Civ. 10 ottobre 2012, n. 17287; Cass. Civ. 9 dicembre 2010, n. 24867.
[4] Così, invece, M. Bove, op. cit., 953; I. Pagni, op. cit., 457; B. Sassani, op. cit., 1925; P. Biavati, op. cit., 47; R. Maruffi, op. cit., 816; F. Auletta – A. d’Angelis, op. cit., 592; Cass. Civ. 21 gennaio 2016, n. 1101.
[5] L. Salvaneschi, Arbitrato, Bologna 2014, 182-183; F. Campione, Il lodo arbitrale irrituale e la sua impugnazione, Pisa, 2020, 67 ss., 174 ss.; in giurisprudenza, Cass. Civ. 10 luglio 2015, n. 14431.
[6] A. Motto, Compromettibilità in arbitrato delle controversie di impugnazione delle deliberazioni assembleari, in Le Società, 2021, 1257 ss. specie 1269-1270.
[7] E da parte della dottrina (F. Auletta – A. d’Angelis, op. cit., 592) e della giurisprudenza (Cass. Civ. 21 gennaio 2016, n. 1101).
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