L’ammissibilità delle promesse unilaterali atipiche

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Il presente contributo analizza l’evoluzione ermeneutica in ordine al sistema delle fonti delle obbligazioni con particolare riferimento alle promesse unilaterali. In particolare, si affronterà il dibattito sull’ammissibilità delle promesse unilaterali atipiche sulla base del superamento dell’argomento letterale (art. 1987 c.c.) e sulla rilevanza della funzione esercitata dalle medesime in concordanza con il principio dell’autonomia negoziale orientata alla meritevolezza degli interessi (artt. 1322 c.c. 2, 3, 41, 42 Cost.). In un sistema giuridico che evolve sempre di più verso il principio della solidarietà sociale, garantito dalla legittimazione legale, è proprio l’autonomia negoziale a rappresentare la base di legittimazione per l’ammissibilità delle promesse unilaterali atipiche.

Indice

1. Fonti delle obbligazioni: dalla tipicità alla atipicità

Nel codice civile del 1865, improntato sui principi del diritto romano, il sistema delle fonti delle obbligazioni poteva definirsi come tipico. Infatti, l’art. 1097 c.c. stabiliva che le obbligazioni potessero nascere solo dalla legge, dal contratto, dal delitto, dal quasi contratto e dal quasi delitto. In particolare, nelle categorie del quasi contratto e del quasi delitto erano ricompresi, rispettivamente, tutti gli atti leciti diversi dal contratto in quanto privi dell’accordo (es. gestione di affare altrui) e tutti gli atti illeciti per cui si potesse rispondere a titolo di colpa, responsabilità oggettiva o per fatto altrui, capaci di generare obbligazioni.
Nel codice civile del 1942 c.c., invece, l’impostazione delle fonti delle obbligazioni è mutata secondo una visione atipica e più conforme allo sviluppo sistemico che ha interessato, da una parte l’evoluzione del principio dell’autonomia negoziale (1322 c.c.) e dall’altra, le esigenze di tutela in chiave solidaristica (poi costituzionalizzate ex art. 2 Cost.).
Secondo l’art. 1173 c.c., quindi, sono fonti di obbligazioni il contratto, il fatto illecito (anch’esso divenuto atipico per via della connessione all’ingiustizia del danno ex art. 2043 c.c.) ed ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità all’ordinamento giuridico. L’assenza del riferimento alla legge, rispetto all’impostazione precedente, non si traduce nell’incapacità di quest’ultima di generare obblighi giuridicamente vincolanti ma, al contrario, tale scelta deve essere letta in chiave di mera superfluità, dal momento che la legge permea e legittima le fonti stesse.
Il principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni trova la sua base giuridica nell’ultimo inciso dell’art. 1173 c.c. che disciplina una c.d. clausola aperta. Si deve evidenziare che il requisito della conformità all’ordinamento giuridico è posto a ulteriore garanzia del necessario rispetto della legge il quale, si pone come unico limite espresso al riconoscimento delle fonti suddette. Sempre il requisito della conformità all’ordinamento giuridico si pone, in ottica sistemica, in linea con il principio della meritevolezza degli interessi, posto a fondamento giuridico dell’autonomia negoziale (art. 1322 c.c.). In altre parole, il principio dell’atipicità delle fonti segna un passaggio evolutivo da un sistema improntato alla stretta legalità e fortemente limitante, ad un sistema accentrato sulla libertà negoziale senza, tuttavia, disancorarsi dalla legalità la quale, da limite tout court, ha assunto una funzione maggiormente garantista in funzione della tutela degli altri consociati.

2. Autonomia negoziale: l’atipicità e la relatività degli effetti

Il connubio tra il principio dell’autonomia negoziale e la tutela dei terzi è ulteriormente sancito dal principio della relatività degli effetti del contratto. Infatti, secondo il disposto dell’art. 1372 c.c. il contratto generalmente produce effetto solo tra le parti, sul presupposto che tra quest’ultime si sia raggiunto un accordo (principio del consenso). Ne discende che, il terzo estraneo all’accordo, di regola, non può subirne gli effetti, proprio in mancanza della sua partecipazione e quindi del suo consenso. Le uniche eccezioni ammesse sono solo quelle espressamente previste dalla legge (tipicità). Si pensi al contratto stipulato a favore di terzi (1411 c.c.) dalla cui disposizione si evincono due principi, ad oggi generalmente accettati. Il primo è la possibilità per il terzo di rifiutarne gli effetti, il secondo, di più ampio respiro è il principio dell’estensibilità degli effetti del contratto verso i terzi se questi sono vantaggiosi. Infatti, se si parte dalla considerazione che la legge svolga prevalentemente una funzione di tutela della sfera giuridica patrimoniale dei terzi, allora, ne discende che il limite della relatività degli effetti del contratto debba operare esclusivamente quando tali effetti siano sfavorevoli per i terzi. Ne consegue che, ad oggi, sia la dottrina che la giurisprudenza, abbracciano la possibilità per l’autonomia privata di estendere gli effetti del contratto verso i terzi quando questi siano positivi, fermo restando la possibilità di un loro rifiuto.

3. Le promesse unilaterali atipiche: ammissibilità

La problematica dell’estensione degli effetti verso soggetti terzi riguarda anche la promessa unilaterale che, per via della clausola aperta suddetta, costituisce fonte di obbligazione.
In via preliminare, bisogna ricordare che il nostro ordinamento giuridico, a differenza di quello tedesco, riconosce centralità al contratto e non recepisce la categoria del negozio giuridico (che può essere sia unilaterale, che basato sull’accordo di due o più parti) il quale, infatti, non trova alcuna disciplina espressamente ad esso dedicata. In verità, la categoria dei negozi giuridici viene ritenuta compatibile con il nostro ordinamento e quindi ammessa, sia in via di principio valorizzando l’autonomia negoziale, sia in termini di disciplina la quale, per effetto del disposto dell’art. 1324 c.c. si ricava da quella dettata per il contratto. Tale norma, in particolare, afferma che le norme che regolano i contratti sono estensibili, in quanto compatibili, agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale (aggancio all’art. 1174 c.c), salvo diversa disposizione di legge. Ecco, allora, che il combinato disposto degli artt. 1173 e 1324 c.c. sanciscono la legittimazione come fonte di obbligazioni degli atti unilaterali e pertanto delle promesse unilaterali.
In assenza di una disposizione normativa che ne definisce il tipo, che cosa sia una promessa unilaterale lo si ricava dall’interpretazione casistica e sistemica. Orbene, la promessa unilaterale consiste in una dichiarazione proveniente da un soggetto, promittente, con cui assume un’obbligazione a favore di un soggetto diverso, detto beneficiario, senza che sia a tal fine necessaria la sua accettazione.  Proprio in ragione dell’estensione in via unilaterale degli effetti nei confronti di un altro soggetto, l’art. 1987 c.c., interpretato letteralmente, ne sancisce la tipicità, ancorando la produzione dei medesimi solo nei casi espressamente previsti dalla legge. La tipicità delle promesse unilaterali rispetto all’atipicità del tipo contrattuale viene, tutt’ora supportata, da una parte della dottrina, oltre che dal tenore letterale della norma, sopra riporta, anche sulla base della centralità del connubio tra il principio dell’autonomia negoziale e il suo concretizzarsi nell’accordo. Tuttavia, il requisito della meritevolezza degli interessi, che prende corpo attraverso la causa in concreto (sintesi degli interessi) e la relatività degli effetti determinano l’irragionevolezza di tale tesi. Infatti, a prescindere dall’accordo, generalmente sia il contratto che le promesse unilaterali non possono produrre effetti nei confronti di soggetti terzi. Al contrario, proprio il principio della meritevolezza degli interessi, applicabile per via del disposto dell’art. 1324 c.c. anche alle promesse unilaterali, sancisce il superamento del dogma della relatività degli effetti quando questi siano favorevoli e quindi meritevoli secondo un giudizio socio-solidaristico (art. 2 Cost.). Infatti, sia la dottrina maggioritaria, che la giurisprudenza ammettono la possibilità di costituire promesse unilaterali atipiche in virtù dell’importanza della funzione rispetto al tipo. Inoltre, l’apertura verso il superamento della tipicità, la si rinviene anche dal punto di vista normativo. Infatti, l’art. 1333 c.c. nonché l’art. 1322, comma 2, c.c., esprimono normativamente la possibilità di addivenire alla stipulazione rispettivamente di atti unilaterali atipici e di contratti atipici (in questo caso, promesse unilaterali atipiche) purché realizzativi di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento (estensione del principio agli atti unilaterali ex art. 1324 c.c.). Inoltre, la tipicità espressa letteralmente dalla disposizione dell’art. 1987 c.c. che, come anticipato, riconosce capacità di produrre effetti obbligatori alle promesse unilaterali disposte dalla legge, è superata anche con riferimento al principio dell’intangibilità della sfera giuridica altrui finalizzata alla tutela dei soggetti terzi. La base la si rinviene sempre nel disposto dell’art. 1333 c.c. ove prevede la possibilità del rifiuto. Ebbene, è proprio nell’art. 1333 c.c. che i sostenitori della tesi oggi dominante trovano il fondamento normativo e la configurazione della promessa unilaterale.

4. Conclusione

In ragione dell’evoluzione dell’autonomia negoziale orientata al principio solidaristico (artt. 2, 3, 41, 42 Cost.), legittimata dalla legge stessa che si erge a garante della meritevolezza degli interessi (causa in concreto) e a tutela dei terzi (rifiuto), non solo non si rinvengono elementi ostativi ma, al contrario l’evoluzione economica-sociale del sistema, spinge sempre di più per l’atipicità delle promesse unilaterali. Ne consegue che, avendo legittimazione giuridica, alle promesse unilaterali atipiche possano essere applicati gli ordinari strumenti di tutela in quanto compatibili (art. 1324 c.c.), su tutti, in caso di inadempimento dell’obbligo, il ricorso all’azione ex art. 2932 c.c.

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Francesca Fuscaldo

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