La dichiarazione di inammissibilità della questione sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale acquista un valore inestimabile allorquando il Giudice delle leggi si sofferma sulla legislazione che è alla base della questione per offrire al giudice remittente gli strumenti idonei alla soluzione della controversia che altro non vuol dire che una sorta di richiamo per il giudice remittente, che, però, rimane fine a se stesso ovverossia senza alcuna conseguenza di carattere professionale.
Ci troviamo di fronte ad una pronuncia di inammissibilità “utiliter data”.
Prima di passare all’esame della vicenda sottoposta al vaglio del Giudice delle leggi, appare quanto meno opportuno un richiamo, per quel che concerne la materia del patrocinio a spese dello Stato, alla disposizione dell’art. 106 d.p.r. n. 115/2002 laddove viene sanzionato il difensore che ha patrocinato una domanda giudiziale dichiarata inammissibile e per ciò stesso ritenuto non meritevole del giusto compenso.
Peraltro, la parte rappresentata, ammessa al beneficio, ne esce indenne, stante il divieto per il difensore di chiedere e percepire compensi o rimborsi, a qualunque titolo, dal proprio assistito, incorrendo altrimenti in un grave illecito disciplinare (art. 85 del d.P.R. n. 115 del 2002).
Ora, dalla lettura della sentenza in esame, emerge che una mera conoscenza della normativa applicabile alla vicenda favorisce agevolmente la soluzione della stessa con buona pace per l’art. 95 cod. proc. civ., secondo il quale la soddisfazione del credito per le spese del processo esecutivo è condizionata all’utile collocazione sul ricavato, ciò che troverebbe difficoltà in caso di incapienza del credito dichiarato nel procedimento di espropriazione presso terzi.
Indice:
1. La sentenza n. 109/2022 della Corte Costituzionale
Prendiamo in esame la sentenza n. 109 del 2022 che ha dichiarato la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale concernente, tra l’altro, l’art. 95 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, terzo comma, 36 e 111, primo comma, della Costituzione.
Nel corso di un procedimento dinanzi al Tribunale di Pavia per espropriazione presso terzi – nel quale, a fronte di un credito precisato come da precetto nell’importo di euro 31.242,70, oltre interessi legali sul capitale dal dovuto al saldo, il terzo pignorato ha reso la dichiarazione di esistenza di un credito per euro 153,60 – il difensore della creditrice procedente, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha domandato la liquidazione dei compensi per la somma, già ridotta del cinquanta per cento rispetto ai valori tariffari medi, di euro 1.057,50, oltre alle spese generali al quindici per cento, al contributo per la cassa di previdenza degli avvocati e all’imposta per il valore aggiunto (IVA).
L’istante si duole in quanto il giudice dell’esecuzione non dovrebbe ”limitare l’onorario alla esigua somma realizzata con l’esecuzione, sul presupposto che la regola dettata dall’art. 95 cod. proc. civ., secondo la quale la soddisfazione del credito per le spese del processo esecutivo è condizionata all’utile collocazione sul ricavato, non riguardi l’ipotesi in cui il creditore pignorante sia ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Ciò in quanto, ad avviso del difensore istante, l’antinomia tra la suddetta disposizione, recante la disciplina generale in materia di spese nel processo esecutivo, e la norma, dettata dall’art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», per la liquidazione delle spese in favore della parte ammessa al beneficio, dovrebbe essere risolta, in base al criterio di specialità, accordando preferenza a quest’ultima”.
Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Pavia, ritiene, pertanto, necessaria una pronuncia di incostituzionalità dell’art. 95 cod. proc. civ., in quanto incompatibile con il principio di uguaglianza sostanziale espresso dall’art. 3, secondo comma, Cost.laddove nei procedimenti esecutivi in cui il creditore procedente sia stato ammesso al patrocinio per i non abbienti, l’applicazione della regola per la quale il credito per le spese dell’esecuzione può essere soddisfatto nei soli limiti del ricavato comporterebbe «una irragionevole ed ingiustificata parità di trattamento di situazioni geneticamente e concretamente differenti».
Orbene, la decisione di inammissibilità della Corte costituzionale non rimane isolata nel provvedimento stesso ma si arricchisce nella parte motiva di elementi di diritto tali che, pur censurando l’operato del giudice, indica come superare il ritenuto impedimento normativo alla liquidazione del giusto compenso del difensore nonostante l’incapienza del credito dichiarato nella espropriazione presso terzi.
La Consulta premette che il giudice non ha doverosamente argomentato l’applicabilità dell’art. 95 cod. proc. civ. che limita la liquidazione dei compensi a favore del difensore alla capienza del ricavato della espropriazione forzata, anche nella ipotesi in cui al pagamento di tali compensi sia tenuto a provvedere l’erario.
Fatta questa premessa, la Corte rimprovera al giudice la mancata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale in tanto in quanto sarebbero emerse ragioni di ordine testuale e sistematico idonee ad escludere l’operatività della norma censurata.
La Corte rammenta al giudice a quo che nella liquidazione del compenso del difensore patrocinatore a spese dello Stato, la regola espressa dall’art. 95 cod. proc. civ., secondo la quale il credito per le spese della procedura esecutiva può ottenere soddisfazione nei soli limiti della capienza del ricavato, non può trovare applicazione in tanto in quanto la disciplina del patrocinio per i non abbienti e le norme sul governo delle spese del processo si rivolgono a rapporti distinti e autonomi come chiarito nella sentenza della Corte di Cassazione. 22448/2019 e nella ordinanza della stessa Corte 18223/2020.
Afferma il Giudice delle leggi che il rapporto che origina dal provvedimento di ammissione al beneficio si instaura direttamente tra il difensore e lo Stato, e ad esso le parti del giudizio rimangono totalmente estranee mentre quello che scaturisce dalla statuizione sulle spese di lite intercorre, invece, tra dette parti ed è disciplinato, nel processo di cognizione, dal principio della soccombenza e, nel processo esecutivo, dalla regola della soggezione del debitore all’esecuzione.
La Corte richiama, quindi, l’art. 83, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 per confermare l’autonomia dei due rapporti laddove viene sancito che per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, né è di ostacolo il comma 3-bis dell’art. 83 del d.P.R. n. 115 del 2002, a mente del quale il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta e ciò in quanto “il referente temporale introdotto dalla disposizione anzidetta è, infatti, meramente indicativo del termine preferibile per provvedere sulla liquidazione, senza, tuttavia, che al giudice sia precluso di pronunciarsi su di essa dopo aver deciso definitivamente sul merito, avendo tale norma la finalità acceleratoria di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente al provvedimento che definisce il giudizio”.
La Corte conclude l’argomento circa l’autonomia del provvedimento di liquidazione dei compensi a carico dell’erario nel processo esecutivo richiamando l’art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 (recupero delle spese anticipate dallo Stato) laddove viene previsto che “le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli articoli 2755 e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario”.
Infatti, si legge nella sentenza in esame, “tale previsione implica che, una volta che il difensore del creditore ammesso al beneficio abbia ottenuto dal giudice dell’esecuzione la liquidazione delle proprie spettanze secondo i criteri indicati dall’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 – e dunque in base ai valori medi dei parametri di cui all’art. 4 del decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247) e con il dimezzamento imposto dall’art. 130 del citato testo unico – è lo Stato che, per rivalersi delle somme anticipate, partecipa, in via privilegiata, alla distribuzione della somma ricavata o assegnata”
2. Conclusione
Orbene è di tutta evidenza che la Consulta in casi analoghi a quello qui esaminato assume un ruolo attivo, ovverossia nella decisione di rito che potrebbe limitare ad una pronuncia di inammissibilità offre collaborazione nel suggerire al giudice a quo la soluzione di legge e dando in motivazione la soluzione del caso con una sentenza appunto “utiliter data”.
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