1. Tasso annuo nominale – tasso annuo effettivo
Non vi sono ormai più dubbi che la data del 26 ottobre 2008 verrà ricordata come il giorno in cui la matematica è divenuta un’opinione, anche se tale affermazione sarà proprio dei matematici a sollevare l’ira.
Nessuno me ne voglia, tanto meno i matematici, sappiano, loro, tuttavia che la questione che giornalmente si discute nelle aule di giustizia in materia di mutui è proprio una questione matematica ancor prima che giuri-dica.
Ha infatti diviso i Consulenti Tecnici d’Ufficio la questione se la formula matematica applicata al piano di ammortamento c.d. alla francese (di seguito a.f.) operi in regime di capitalizzazione composta oppure semplice e se – oggi anche di questo si discute – se la capitalizzazione composta generi o meno capitalizzazione degli interessi.
Tali incertezze hanno portato diversi Giudici a concludere che nel piano di ammortamento alla francese gli interessi operano in regime di capitalizzazione semplice e non composta sostenendo che ciò è provato dal fatto che gli interessi si calcolano sempre sul capitale residuo con la semplice for-mula: c*i*t / t*100.
Tale conclusione, seppur numericamente corretta è stata tuttavia mal interpretata e nelle pagine che seguono vi dimostrerò il perché.
Le teorie dei Consulenti lette nelle tante cause discusse, attraversano una vasta casistica ma non è di questa che tratterò nel presente lavoro ma della questione matematica e giuridica che ritengo plausibile alla luce della letteratura esistente e di quello strumento che guida ogni scienza: il ragiona-mento.
Per poter comprendere il problema è prima di tutto necessario stabili-re il significato dei termini che si usano in materia di contratti bancari. Primo tra tutto il TAN. Esso è il tasso puro applicato ad un finanziamento.
Viene utilizzato nella matematica finanziaria come termine di paragone con il tasso di rendimento delle attività finanziarie, (es. con il tasso di sconto) tale tasso tuttavia non corrisponde all’interesse realmente applicato al finanziamento, ma al tasso periodale moltiplicato per il numero di periodi in cui l’anno è ripartito, ad esempio se il tasso nominale annuo è il 10% avremo un tasso mensile (nominale) di 10% / 12 ovvero 0,833%.
Il TASSO ANNUO EFFETTIVO o TAE diversamente dal TAN, ed è ciò che da esso lo distingue, tiene conto della composizione degli interessi, ovvero, della capitalizzazione infrannuale (1) ovvero quando la liquidazione degli interessi avviene più di una volta all’anno e quindi si ha una restituzione di un interesse effettivo (TAE) diverso da quello nominale (TAN).
In termini di tasso effettivo, per convertire il tasso periodale in annuale non è tuttavia possibile utilizzare il medesimo metodo utilizzato per il TAN (ovvero quello della mera moltiplicazione del tasso periodale con il numero dei periodi): per convertire il tasso di interesse da mensile a annuale ed ottenere il tasso effettivo (ovvero effettivamente applicato ma sempre inferiore al costo complessivo del finanziamento poiché non include i costi accessori(2) , viene utilizzata la seguente formula i= (1+ik)k/h-1 dove è il numero di periodi in un anno e h il numero di periodi di conversione ed i il tasso nominale. Applicando tale formula per convertire nell’esempio in esame il tasso mensile, 0,833% in annuale, otterremo il tasso annuo effettivo TAE ovvero il 10,466924%.
Il TAE infatti tenendo conto della composizione degli interessi viene utilizzato per poter confrontare i diversi regimi di capitalizzazione.
Dunque, per fare due esempi, a fronte di un TAN del 10%, si ottiene il TAE che, con:
rata semestrale TAE = (1 + 0,1/2) 2– 1 = 10,25%
rata mensile TAE = (1 + 0,1/12) 2 – 1= 10,47%
È evidente ed incontestabile che nei contratti di mutuo con ammor-tamento c.d. alla francese, il TAN, utilizzato è sempre divergente dal TAE salva l’ipotesi della rata annuale, in tal caso TAN e TAE coincideranno
La ragione per cui ho ritenuto partire dalla differenza TAN / TAE è per far sorgere almeno il dubbio nel lettore, quantomeno chiedersi perché TAN e TAE divergono e se, dunque, la storia della capitalizzazione compo-sta degli interessi nel piano di ammortamento c.d. a.f. è o non è una bufala come molti vogliono far credere: ma è tuttavia necessario procedere per gradi, senza ovviamente, avere la presunzione di scrivere una lezione di mate-matica finanziaria per la quale rimando a chi vorrà, letto il presente lavoro, completare tale profilo e, perché no, correggerlo.
2. Regime di capitalizzazione semplice e regime di capitalizzazione composta
Il regime finanziario più semplice è appunto quello dell’interesse semplice (che si usa nelle operazioni finanziarie di breve periodo), che si ha quando I è proporzionale al capitale C e al tempo t dove la costante di proporzionalità è dato proprio dal tasso (3).
In regime di capitalizzazione semplice, l’interesse che viene successivamente maturato rimane distinto dal capitale e ad esso si aggiunge solamente alla fine. Le leggi di capitalizzazione che governano tale regime sono le seguenti:
I=C i t
formula dalla quale si ricava la proporzionalità tra I, C e t;
M=C(1+i t)
dove (1+i*t) è detto fattore di capitalizzazione semplice ed esprime il mon-tante prodotto da 1 euro di capitale nel tempo t.
Vengo adesso a descrivere il regime finanziario dell’interesse compo-sto (che viene usato per operazioni finanziarie a breve e a lungo termine) per cui l’interesse viene capitalizzato al termine di ciascun periodo e contribuisce alla valutazione dell’interesse nel periodo successivo.
Nelle operazioni finanziarie a lunga scadenza, si suddivide il tempo di impiego in periodi, e, alla scadenza di ciascuno di essi, si calcolano gli interessi semplici relativi al periodo trascorso e si aggiungono tali interessi al capitale ottenendo un nuovo e maggiore capitale fruttifero: per questo tale legge viene anche detta capitalizzazione degli interessi.
In base alla definizione data, un capitale C impegnato ad un interesse composto con capitalizzazione annua al tasso annuo unitario i genererà un montante o capitale finale M dopo un anno dato dalla somma
C + I dove I = C i
è l’interesse maturato nell’anno.
Si ottiene dunque che :
M1 = C + C i = C (1 + i).
Passando al secondo anno il capitale messo a frutto non è più C ma M1 e quindi il montante di C, alla fine del secondo anno, è:
M2 = M1 (1 + i) ovvero, C (1 + i)2
Da tali passaggi si arriva a definire che il montante composto M del capitale C, alla fine di un numero t di anni è pari a:
M = C (1 + i)t
La formula appena enunciata, detta anche convenzione esponenziale è una legge di capitalizzazione composta cosi come,
I = C [(1 + i)t -1]
dalla quale è possibile ricavare l’interesse complessivo maturato negli n anni; si noti che nell’espressione appena enunciata l’interesse è ancora direttamente proporzionale al capitale iniziale ma non più direttamente proporzionale al tempo in quanto la relazione non è lineare.
Passo adesso ad esaminare la capitalizzazione composta per tempi non interi. Mentre in regime di capitalizzazione semplice il problema si risolve frazionando il periodo, ovvero con una semplice divisione del periodo n in f sottoperiodi (ad esempio mesi), in regime di capitalizzazione composta il gioco è più complicato, ed ecco che torno all’inizio del mio ragionamento dove spero di essere riuscito a spiegare la differenza TAN / TAE.
In matematica finanziaria ho potuto riscontrare due metodi per risolvere il problema, l’uno detto metodo o convenzione lineare e l’altro metodo o convenzione esponenziale.
Indicando il tempo t la durata della capitalizzazione, con n la parte intera e con f la sua frazione, possiamo così riassumere:
t=n+f
Con il sistema lineare il montante al tempo t non intero si ottiene sommando al montante calcolato per gli n periodi interi in regime di interesse composto, l’interesse in regime semplice maturato su tale montante per la frazione di periodo residua per cui:
M(t) = C (1 + i)n + if [C (1 + i)n ]
ovvero,
C (1 + i)n (1 + if)
dalla quale è evidente il calcolo degli interessi sul capitale per il periodo intero n e per il periodo frazionato f.
Dall’enunciata equazione, deriva che il totale degli interessi I al tempo t sarà:
I(t)= C [(1 + i)n (1 + if) – 1]
Con il metodo esponenziale l’equazione è la seguente:
M(t)= C (1 + i)t
dove (1 + i)t è dato da
C (1 + i)n(1 + i)f
per cui il totale degli interessi I al tempo t sarà:
I(t)= C [(1 + i)t– 1]
Peraltro la formula
M = C (1 + i)t
è detta forza dell’interesse
Tra il metodo lineare e esponenziale sussiste tuttavia una lieve differenza dando il primo un risultato lievemente più alto rispetto al secondo.
Dati questi brevi richiami alla matematica finanziaria devo adesso esaminare la fattispecie dell’ammortamento a.f.
Con questo metodo di pagamento vengono presi in considerazione rimborsi graduati, sia del capitale mutuato, sia degli interessi maturati.
Nel caso specifico di ammortamento progressivo i rimborsi graduati sono costituiti da rate mensili costanti posticipate dove ciascuna rata, è com-posta da una quota capitale, che serve al rimborso della somma erogata, e da una quota interessi, che serve per pagare gli interessi sul debito residuo.
Continuando il ragionamento iniziato in merito alla capitalizzazione composta degli interessi, possiamo ora scrivere l’uguaglianza del montante di 1€ che capitalizza per un anno al tasso i e per 12 mesi al tasso equivalente mensile i12:
1 (1 + i)1 = 1 (1 + i12)12
Consideriamo adesso un debito S (l’ammontare del mutuo), estingui-bile in n rate mensili posticipare R, al tasso effettivo unitario mensile i12. .
Deve sussistere una condizione di equivalenza finanziaria fra la pre-stazione S all’epoca 0 e la successione degli importi (rate) R1, R2,.., Rn, alle diverse epoche.
Per calcolare S, ovvero il debito da estinguere, è necessario determinare il valore attuale, al tempo zero, di tutte le n rate da versarsi mensilmente.
Otteniamo dunque la seguente serie geometrica:
S= R(1 + i12)-1 + R(1 + i12)-2 + …. + R(1 + i12)-n
dove i rappresenta il tasso periodale di interesse, considerato il regime di capitalizzazione composta.
Attraverso alcuni passaggi si arriva alla formula:
È utile adesso vedere come si calcola la quota capitale contenuta nella rata s-esima; bisogna tenere presente che la caratteristica principale dell’ ammortamento a.f. è che la rata è costante e posticipata.
Dal momento che ogni rata è costituita da una quota capitale e da una quota interessi, e che le quote interessi vanno diminuendo di rata in rata perchè calcolate sul debito residuo, che a sua volta diminuisce, si rileva che, di rata in rata, di quanto diminuiscono le quote interessi, di altret-tanto aumentano le quote capitali: se indichiamo con Is la quota interessi e Cs la quota capitale, la rata mensile costante sarà data da:
R= Is + Cs
così pure
Is= Is-1 – Cs-1 * i12
Da tale formula si evince che gli interessi contenuti nella s-esima rata sono dati dagli interessi contenuti nella rata precedente, diminuiti degli interessi calcolati sulla quota capitale della rata precedente, che in quanto estinta non è più fruttifera.
Si ricava quindi che la rata s-esime è data da:
R= Is-1 – Cs-1 * i12 + Cs
da cui si ricava la quota capitale
Cs= R- Is-1+ Cs-1* i12
In matematica finanziaria la quota capitale è indicata anche in questo modo:
Cs= Cs-1 + Cs-1* i12
Da quanto esposto si ricava che, nell’ammortamento progressivo, le quote capitali, che figurano nelle varie rate, costituiscono una progressione geometrica di ragione , nota come legge di variazione delle quote capitali.
Per determinare il valore della quota capitale contenuta nella s-esima rata, attraverso vari passaggi che qui non interessano si giunge alla seguente formula:
Cs = R (1 + i12)-n+s-1
Così pure per determinare la quota interessi contenuta nella s-esima rata:
Is = R [1-(1 + i12)-n+s-1]
Le enunciate equazioni provano che all’atto del pagamento di una rata del mutuo, una parte viene destinata a pagare gli interessi maturati nel periodo precedente e la parte rimanente alla diminuzione del debito residuo.
Quest’ultima considerazione ha portato recenti pronunce a rite-nere che pagando gli interessi con ogni versamento, il piano di ammor-tamento a.f. operi in regime di capitalizzazione semplice.
In realtà quando si sottrae la quota capitale dal debito contabi-lizziamo anche la quota interessi che concorrerà a sua volta alla forma-zione della successiva quota interessi(4), posto che quest’ultima è il prodotto del debito del periodo precedente per il tasso di interesse:
R= Is-1 – Cs-1 * i12 + Cs
È a questo punto evidente e matematicamente provato che si stanno producendo interessi su interessi e quindi operando in regime della capitalizzazione composta.
In definitiva, l’interesse matura in capitalizzazione composta e viene calcolato sul debito residuo maggiorato degli interessi.
A riprova di quanto sostenuto possiamo vedere cosa accade si si operasse l’ammortamento in regime di capitalizzazione semplice.
Quest’ultimo presuppone che si paghi gli interessi sul debito resi-duo del periodo precedente: tale debito residuo lo si ottiene sottraendo al debito iniziale l’intero importo delle rate versate quindi anche la parte destinata al pagamento degli interessi.
In conclusione chi ha sostenuto e sostiene che il piano di ammorta-mento a.f. opera in regime di capitalizzazione semplice ritenendo di poter provare ciò con il calcolo degli interessi sul debito residuo commette, a mio parere un grave errore matematico poiché non tiene conto:
I. Da cosa e come è costituito il debito residuo;
II. Che con il sistema lineare il montante al tempo t non intero si ottiene sommando al montante calcolato per gli n periodi interi in regime di interesse composto, l’interesse in regime semplice maturato sul capi-tale per la frazione di periodo residua
III. Che nella capitalizzazione composta l’interesse è direttamente pro-porzionale al capitale iniziale ma non direttamente proporzionale al tempo come invece avviene nella capitalizzazione semplice
IV. Che nell’ammortamento a.f. quando si sottrae la quota capitale dal debito residuo contabilizziamo anche la quota interessi che concorre-rà a sua volta alla formazione della successiva quota interessi, posto che quest’ultima è il prodotto del debito del periodo precedente per il tasso di interesse:
V. R= Is-1 – Cs-1 * i12 + Cs
VI. In regime di capitalizzazione semplice gli interessi si calcolano sul debito residuo del periodo precedente: tale debito residuo tuttavia lo si ottiene sottraendo al debito iniziale l’intero importo delle rate ver-sate quindi anche la parte destinata al pagamento degli interessi.
VII. Il TAE è il tasso che tiene conto dell’effetto della capitalizzazione infrannuale ed è proprio tale effetto che lo distingue dal TAN
3. Capitalizzazione e anatocismo
Venendo adesso al piano giuridico la questione potrebbe essere più semplice. Occorre fare tuttavia una premessa, la capitalizzazione e l’anatocismo non sono sinonimi.
Mentre il concetto di capitalizzazione si riassume nel calcolo degli interessi sugli interessi, definizione prettamente matematica, il concetto di anatocismo, istituto esclusivamente giuridico, si definisce:
In mancanza di usi contrari , gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.
Perché sussista anatocismo è necessario che gli interessi siano scaduti; tale possibilità è tuttavia lecita a condizione che vi sia domanda giudiziale o in alternativa una convenzione tra le parti posteriore alla scadenza degli inte-ressi, in entrambi i casi è necessario che gli interessi siano dovuto per almeno 6 mesi: al di fuori di questi casi la produzione degli interessi su interessi scaduti è comunque sempre illegittima, salvo gli usi contrari.
Non mi dilungherò sul perchè l’uso in materia di anatocismo sia commerciale e non normativo e pertanto non in grado di derogare al generale divieto di anatocismo(5) , basti ricordare la storica sentenza della Suprema Cor-te di Cassazione a Sezioni Unite 04/11/2004, n.21095(6) .
Si può pertanto affermare che l’anatocismo è una ipotesi di capi-talizzazione ma non il contrario, e che dunque la capitalizzazione è il ge-nus e l’anatocismo la species.
La riforma apportata all’art. 120 TUB dall’art. 25 D. Lgs. 342/1999 è stato il primo passo verso una diversificazione tra i due concetti. Infatti il 2° comma dell’art. 120 UB esordiva:
Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa pe-riodicità di conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.
La formulazione usata dal legislatore non lascia dubbi: ciò che si vuo-le disciplinare non è solamente il fenomeno dell’anatocismo nella materia bancaria, ma un fenomeno ben più vasto e complesso quello della capitaliz-zazione degli interessi. I passi chiave della norma sono sicuramente il fatto che il legislatore demanda al CICR il compito di disciplinare la modalità di calcolo degli interessi sugli interessi (e non degli interessi sugli interessi sca-duti) e che non si tratta di una svista è dimostrato dalla parola seguente – maturati – dunque non scaduti – o quanto meno non necessariamente scadu-ti.
Non deve sorprendere che il legislatore si sia voluto addentrare in un concetto così vasto come quello della capitalizzazione e non si sia limitato a disciplinare nel dettaglio l’anatocismo bancario specie all’indomani della sentenza Corte di Cassazione, Sezione I, 11 novembre 1999 n.2374.
Il legislatore è ben consapevole che la questione è più complessa del solo anatocismo e che i contratti bancari non sono così trasparenti nella indi-cazione del reale costo dell’operazione finanziaria e in particolar modo sulla natura e operatività del tasso di interesse.
Non a caso all’art. 6 della delibera CICR del 9.02.2000 viene disci-plinata proprio la trasparenza consegnando nelle mani delle banche la chiave alla soluzione di ogni problema: è sufficiente che il contratto si esplicito nell’indicazione del fenomeno della capitalizzazione degli interessi e che faccia approvare specificatamente la relativa clausola.
Da questo punto di vista mi sento di affermare che il CICR, in quan-to organismo specializzato, avesse già in tempo non sospetto previsto che nel tempo sarebbero saltati fuori nuovi problemi in relazione a contratti bancari decisamente poco trasparenti e che il fenomeno dell’anatocismo, ma più in generale della capitalizzazione, necessitava di una particolare attenzione e disciplina.
Le banche hanno evidentemente ignorato il “suggerimento” del CICR e la “scialuppa di salvataggio” messa a disposizione e non credo per-ché ignoravano il fatto che nell’ammortamento a.f. gli interessi operano in regime di capitalizzazione composta.
La tesi appena espressa trova inoltre conferma nella recente ulteriore riforma dell’art. 120 c. 2 TUB operata dalla L. 27 dicembre 2013, n. 147 il cui art. 1, comma 629 norma entrata in vigore dal 1° gennaio 2014:
2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazio-ne, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
Adesso il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di inte-ressi , un mandato evidentemente più ampio rispetto al precedente; la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori non è più la condizione per poter derogare all’art. 1283, ma adesso viene formulata in un contesto ben diverso, e direi più opportuno, quello del sinallagma.
È indiscutibilmente un elemento di equilibrio tra le prestazioni con-trattuali prima ingiustificatamente sbilanciate in favore della banca che già percepiva e percepisce interessi esponenzialmente superiori agli interessi che pagano sui depositi.
Ma è il punto b) ad aver suscitato il maggior interesse poiché sancisce in via definitiva il divieto di capitalizzazione degli interessi da molti tuttavia, ancora una volta, confuso con l’anatocismo.
Intanto viene ribadito un principio consolidato dal 1971 Cass. 3479,(7) ovvero:
il semplice fatto che nelle rate di mutuo vengono compresi sia una quo-ta del capitale da estinguere sia gli interessi a scalare non opera un conglobamento nè vale tanto meno a mutare la natura giuridica di que-sti ultimi, che conservano la loro autonomia anche dal punto di vista contabile
Nel caso del mutuo, dunque, a carico del mutuatario di somme di denaro sono poste due distinte obbligazioni: l’una di restituire la somma ri-cevuta in prestito (art. 1813 c.c.), l’altra di corrispondere gli interessi al mu-tuante, salvo diversa pattuizione (art. 1815 c.c.).
Le due obbligazioni distinte ontologicamente e rispondenti a finalità diverse(8) .
Il punto b) è in realtà ancor più stringente di quello che si pensa. In-nanzi tutto è evidente da una prima lettura la contraddittorietà tra la prima parte
gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre inte-ressi ulteriori che
e
nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclu-sivamente sulla sorte capitale.
In effetti nella prima parte il legislatore allude (almeno ad una prima) capitalizzazione, che porta alla mente l’ipotesi dell’interesse moratorio sull’interesse corrispettivo, e all’ipotesi della capitalizzazione degli interessi corrispettivi addebitati su conto corrente ed oggetto di successiva calcolo di ulteriori interessi, mentre nella seconda parte specifica che gli interessi devo-no essere calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
Ad avviso di chi scrive il legislatore usa, nella prima parte il termine capitalizzazione in una accezione diversa: considera gli interessi già maturati come capitalizzati a cui pone poi nella seconda parte un divieto che indub-biamente ha carattere generale.
Al di là della formulazione discutibile è al momento pacifico che non c’è modo alcuno, nel nostro ordinamento giuridico di calcolare interessi sugli interessi, condizione non derogabile dalle parti: ed è questa una differenza essenziale con la formulazione dell’art. 6 della delibera CICR 9.02.2000 che consentiva alle parti di pattuire la capitalizzazione degli interessi a condizio-ne che la relativa clausola venisse specificatamente approvata.
4. Gli interessi nel mutuo
Quanto alle conseguenze che scaturiscono dalla violazione della norma in commento salta all’occhio che il legislatore non ha usato la nullità, né quella formula molto discussa in dottrina della mera inefficacia non sup-portata da una sanzione di invalidità.
La conseguenza, ad avviso di chi scrive, dal momento che la nullità deve essere comminata dalla legge, è da ricondursi all’inefficacia di una eventuale clausola difforme.
Anche in relazione al contratto di mutuo le ripercussioni di una tale modifica non mancano.
Basti pensare alla giurisprudenza che si era formata in merito all’applicabilità degli interessi moratori alla rata scaduta e non pagata. Per anni le banche hanno applicato l’interesse di mora all’intera rata, che sappia-mo essere composta da una quota capitale ed una quota di interessi generando, quindi, rispetto a quest’ultima vero e proprio anatocismo.
La Cassazione Civile con la sentenza n. 2593 del 20 febbraio 2003 ha applicato la norma imperativa prevista dall’art. 1283 c.c. anche ai contratti di mutuo.
Il principio espresso dalla Corte è chiaro: gli interessi scaduti per il mancato pagamento della rata, non possono produrre ulteriori interessi mancando usi normativi contrari ante 1942.
Occorre, in primo luogo, rilevare che in ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante il pa-gamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicché la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale stabilisca che sulle rate scadute decorrono gli interessi sulla intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall’art. 1283 c.c..
Pertanto avrebbe potuto calcolare gli interessi di mora su tutta la rata solo in presenza di una domanda giudiziale o di una convenzione stipulata successivamente alla scadenza del contratto a nulla rilevando la previsione contrattuale almeno sino all’entrata in vigore della delibera CICR 9.02.2000.
Come osserva la Corte (8) in merito all’anatocismo sui mutui non esisto-no usi delle camere di commercio prima del 1976 , così come negli accer-tamenti camerali delle consuetudini ed usi locali al 30 giugno 1961(9), rilevati dalla Direzione Generale del Commercio presso il Ministero dell’Industria e del Commercio non vi è traccia di anatocismo(10) .
In conclusione a Suprema Corte osserva che quando ci si trova di fronte ad un mutuo, con rate comprensive di capitale ed interessi, questi ul-timi “non si trasformano in capitale da restituire a chi l’ha concesso”(11) .
A far data 1 gennaio 2014, i principi espressi dalla S.C. nel 2003 tor-nano ad essere pienamente applicabili, infatti gli interessi, adesso, sono cal-colati esclusivamente sulla sorte capitale e a nulla varranno pattuizioni in de-roga alla norma di cui all’art. 120 c. 2 tub.
È mio parere che dovrà applicarsi ai contratti in corso il principio tempus regit actum per cui anche laddove i contratti hanno pattuito la calu-sola che prevede il calcolo degli interessi moratori sull’intera rata, a decorrere 1 gennaio 2014 tale clausola dovrà ritenersi non apposta.
Diversamente sino al 31.12.2013 resterà pienamente valida la delibe-ra CICR 9 febbraio 2000, che all’articolo 3, ha previsto espressamente la possibilità di pattuire la capitalizzazione periodica di interessi sui mutui ban-cari ed in genere sulle operazioni di finanziamento con piano di rimborso ra-teale.
La norma prevede infatti che, in caso di inadempimento del paga-mento di una o più rate da parte del debitore, sull’intero importo della rata (quindi anche sulla quota corrispondente all’interesse convenzionale) posso-no essere conteggiati interessi (da ritenersi moratori) fino al momento del pagamento.
Ciò significa che, in caso di inadempimento del mutuatario, è consen-tita la capitalizzazione di interessi convenzionali, costituendoli quale base di calcolo degli interessi moratori.
Non è invece ammessa dalla delibera CICR 9.02.2000 né la capitaliz-zazione degli interessi convenzionali per il calcolo dei successivi interessi sempre convenzionali, né la capitalizzazione degli interessi moratori per il calcolo di successivi interessi moratori.
In definitiva possiamo riassumere la regola così: interessi moratori non possono mai essere capitalizzati, interessi convenzionali possono essere capitalizzati solo per il calcolo degli interessi moratori.
Va però precisato che la capitalizzazione degli interessi convenzionali (ovvero corrispettivi) per il calcolo degli interessi moratori è possibile solo sulle rate scadute ed impagate al momento della risoluzione del contratto; non è invece possibile su quella a scadere, riguardo alle quali non può più cumularsi la quota capitale alla quota interessi(13) .
Per tale ragione se è vero che, per calcolare il costo del finanziamento in caso di inadempimento, non dovrà procedersi alla somma algebrica tra tasso corrispettivo e tasso moratorio (poiché calcolati su basi di calcolo di-verse), dovrà tuttavia tenersi conto dell’effetto della capitalizzazione degli interessi moratori sulla quota degli interessi corrispettivi contenuti nella rata scaduta e non pagata.
5. La capitalizzazione degli interessi e la trasparenza bancaria
Tornando al fenomeno della capitalizzazione degli interessi corri-spettivi nel piano di ammortamento a.f. è bene precisare che l’eccezione non si riferisce necessariamente, e comunque immediatamente, alla violazione dell’art. 1283 c.c. ovvero violazione del divieto di anatocismo, bensì alla vio-lazione della normativa sulla trasparenza bancaria riferibile, nel caso di specie all’art. 6 della delibera CICR 9.02.2000 (sino al 31.12.2013) in virtù del qua-le le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effet-to se non sono specificamente approvate per iscritto.
La questione della capitalizzazione degli interessi è reale e di primario interesse tant’è che sia del legislatore di primo che di secondo grado che la Banca d’Italia sono intervenuto per disciplinarla.
Si noti che l’art. 120 c. 2 TUB rimanda al CICR la modalità di cal-colo degli interessi sugli interessi,. e non degli interessi sugli interessi sca-duti. Tale formulazione è rimasta in vigore dal D.L. 394/2000 alla L. 27 dicembre 2013, n. 147 il cui art. 1, comma 629
Così pure, la delibera CICR 9.02.2000 disciplina il fenomeno capi-talizzazione e non anatocismo, da ultimo come la Banca d’Italia , nell’Allegato 1 del Provvedimento Banca d’Italia 29 luglio 2009, abbia indicato nell’elenco dei principali strumenti di trasparenza l’obbligo di indi-care i tassi di interesse su base annuale (con riferimento almeno all’anno civi-le), e nel caso in cui il contratto relativo all’operazione di raccolta del ri-sparmio o di finanziamento preveda la capitalizzazione infrannuale (degli in-teressi)l’obbligo di indicarlo rapportato su base annua, tenendo, quindi conto degli effetti della capitalizzazione.
Specifica poi, e condizioni economiche di una determinata operazio-ne, che preveda più voci di costo a carico del cliente, sono presentate in ma-niera tale che risulti facilmente comprensibile il costo complessivo.
Appare più che evidente la trasparenza in merito alla capitalizzazione degli interessi rappresenti un problema poiché l’effetto della capitalizzazione non è evidente e semplice da comprendere ed individuare e a ciò deve sop-perire l’attenzione del legislatore e delle parti poi nella redazione dei contrat-ti.
Come sottolineato da Cass. N.24795 del 2008, principio poi ripreso dal Collegio di Roma nella decisione n. 2651 del 2012, al cliente deve essere fornita una conoscenza utile ritenendo insufficiente la semplice lettura dell’atto notarile già formato e predisposto per la sottoscrizione in sede di stipula, poiché la sottoscrizione assumerebbe una sostanziale presa d’atto.
Non manca nel diritto positivo, e l’Arbitro finanziario ne ha affrontato nella pratica le difficoltà applicative, l’apertura ad una informazione perso-nalizzata.
Le fonti di riferimento sono l’art. 124 TUB e le Istruzioni di Vigilanza (non propriamente fonte) che a pag. 3 recita, “in applicazione del principio di proporzionalità la disciplina si articola secondo modalità differenziate in ra-gione alle esigenze delle diverse fasce di clientela”.
Le Istruzioni di Vigilanza identificano come categoria i c.d. “clienti al dettaglio” (consumatori, persone fisiche che esercitano professioni o attività artigianali e microimprese) per i quali vengono previsti obblighi comporta-mentali maggiori.
È aperto il dibattito tra la scelta da operare tra informazione differen-ziata e informazione personalizzata.
Mentre per la prima ipotesi sono richiesti diversi standards astrattamente idonei ed adeguati, nella seconda ipotesi si individuano informazioni comuni plasmate su caratteristiche concrete del singolo cliente.
Il Collegio di Milano nella decisione n. 3891/2012, afferma, tuttavia che : “adempimento di obblighi informativi gravanti si una impresa bancaria non può essere calibrato sulle qualità soggettive dei singoli clienti e che le in-dicazioni relative alla professionalità del ricorrente sono insufficienti anche al fine di configurare un concorso di colpa ex art. 1227 c.c.”.
La Cassazione giunge a tale conclusione attraverso il richiamo dell’art. 1337 c.c. ritenendo tale clausola generale fonte autonoma di doveri in-formativi.
Le informazioni pre-contrattuali, che hanno dunque la funzione di assen-so consapevole al contenuto del contratto, devono a loro volta soddisfare i requisiti della chiarezza e comprensibilità.
Nelle Istruzioni di Vigilanza, a pag. 4 si legge che i documenti informa-tivi sono redatti con modalità che garantiscono la correttezza, la completez-za e la comprensibilità delle informazioni, così da consentire al cliente di ca-pire le caratteristiche e i costi del servizio, confrontare con facilità i prodotti, adottare decisioni ponderate e consapevoli(14).
Il Collegio di Roma nella decisione n. 1419 del 2012 rileva come l’indicazione di buona fede informativa ex articolo 1337 cc sia altresì rinve-nibile nell’art. 5 comma 3 del Codice del Consumo: l’informazione resa al cliente deve assumere tono univoco senza alcuna ambiguità.
Nelle Istruzioni di Vigilanza, a pag. 4 si legge che i documenti informa-tivi sono redatti con modalità che garantiscono la correttezza, la completez-za e la comprensibilità delle informazioni, così da consentire al cliente di ca-pire le caratteristiche e i costi del servizio, confrontare con facilità i prodotti, adottare decisioni ponderate e consapevoli(15) .
Sempre le istruzioni di vigilanza, a pag. 83, prevedono, nell’ipotesi di “forme complesse di remunerazione”, l’obbligo per le banche di mettere a di-sposizione della clientela un “algoritmo che consenta un agevole calcolo dei costi”, così come l’art. 123 c. 1 lett. F TUB stabilisce il dovere di pubblicare, laddove possibile, in anticipo l’importo totale del dovuto da parte del con-sumatore.
Proprio quest’ultimo aspetto appare eluso in materia di mutuo banca-rio. L’effetto della capitalizzazione degli interessi è sempre stato taciuto, o forse ignorato, ma indiscutibilmente inerente il profilo dei costi del contratto di finanziamento.
A poco varrà, quando le banche riconosceranno che in effetti nel pia-no di ammortamento a.f. si genera capitalizzazione degli interessi, sostenere che comunque tale effetto è ricompreso nel TAEG (e ancora prima nel TEG che esprime rispetto al TAN proprio ed esclusivamente l’effetto della capita-lizzazione infrannuale), dal momento che ogni singolo costo deve comunque essere esplicitamente previsto, e quindi convenuto.
Appurato dunque che il piano di ammortamento a.f. genera capitaliz-zazione degli interessi, dobbiamo dare la corretta lettura al contratto di mu-tuo.
6. Art. 821, 1194, 1283 codice civile, una coerenza indiscutibile
Sul piano della trasparenza bancaria, e rispetto al principio della buona fede contrattuale, gli istituti di credito (intesi nella loro accezione più ampia) non possono occultare nei piani di ammortamento costi diversi e su-periori a quelli contrattualmente pattuiti e poi, specie, in riferimento all’aspetto dell’interesse composto, giustificarsi con l’art. 1194 c.c.
Infatti se è pur vero che in virtù di tale norma il creditore ha la facol-tà di imputare il rimborso da parte del debitore, prima agli interessi piuttosto che al capitale, o, comunque, con diverse proporzioni, tale scelta non giusti-fica la variazione (peggiorativa per il debitore) delle condizioni pattuite, al-trimenti finiremo per svilire la lettera stessa del contratto.
Infatti l’art. 1194 c.c. conferma, in realtà, l’indirizzo rinvenibile nel nostro ordinamento secondo cui l’interesse, in assenza di diversa pattuizione (sino all’entrata in vigore della D. Lgs. 147/2013), non può produrre ulteriori interessi. E’ di particolare pregio quell’attenta dottrina che ha osservato che
l’art. 1194 regola l’imputazione delle somme pagate con riferi-mento ai vari elementi costitutivi del debito, escludendo che il debitore possa pretendere di estinguere in primo luogo la parte capitale, perché in tal modo eliminerebbe la possibilità di un’ulteriore fruttificazione a vantaggio del creditore, senza ri-storarlo, oltre tutto, dell’eventuale sacrificio affrontato per otte-nere il pagamento(16) .
L’autore, mette in evidenza la ratio della norma: se fosse consentito, senza accordo delle parti, al debitore, di estinguere prima il capitale rispetto agli interessi e spese, il creditore subirebbe un ingiusto danno derivante dal fatto che gli interessi non possono produrne di nuovi mentre il capitale si.
Il sistema è coerente: i frutti si percepiscono giorno per giorno in ra-gione della durata del diritto (art. 821 c. III c.c.), così come gli interessi (scaduti) non producono ulteriori interessi se non nei casi previsti dall’art. 1283 c.c..
In questa lettura l’art. 1194 si pone come norma di chiusura, ovvero dal momento che gli interessi non producono ulteriori interessi, il pagamento del capitale potrà effettuarsi solamente dopo aver estinto l’obbligazione inte-ressi e spese
La definizione è rilevante per la necessità di tener separati i due ob-blighi (della restituzione del capitale e degli interessi) a tutti gli effetti e, in particolare, nel senso che gli interessi sono frutti e non si incorporano con il capitale fino al momento della domanda giudiziale o della convenzione po-steriore alla loro scadenza (cfr. art. 1283 c.c.).
Quindi, gli interessi pur essendo maturati giorno per giorno si cumu-lano formando un credito diverso da quello del capitale limitatamente infrut-tifero ossia produttivo di interessi soltanto se il cumulo rinvenga da conven-zione posteriore alla scadenza o da domanda giudiziale.
È generalmente accettato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza che il legislatore considera gli interessi frutto di capitale e precisamente frutti civili, cioè che si differenziano dalla cosa “come corrispettivo del godimento che altri ne abbia” (cfr. art. 820 c.c.).
In realtà la lettura coordinata degli art. 821 c. III c.c. e 1194 ci inse-gna che al legislatore del 1942 era chiara la distinzione tra capitalizzazione ed anatocismo.
Quest’ultimo istituto è residuale dal momento che sussiste da sempre nel nostro ordinamento una regola ben precisa: gli interessi non producono altri interessi, almeno di regola.
Infatti siamo di fronte a norme derogabili dalla volontà delle parti (sempre nei limiti temporali della D. Lgs. 147/20139), la questione, tuttavia, oggi dibattuta forse in modo impreciso, e probabilmente più complicato, quello, appunto, dell’anatocismo.
Anche laddove fosse mancata una normativa sulla trasparenza, la mancanza di una pattuizione che descrive le modalità operative del tasso di interesse, portano alla naturale e automatica applicazione dei principi generali espressi nell’art. 821 c. III c.c. la cui ratio è confermata e garantita dall’art. 1194 c.c.
Stante il principio generale ascrivibile agli art. 820 e 821 c.c., nel momento in cui nel contratto le parti non pattuiscono il regime in cui opera il tasso di interesse (semplice o composto, considerando che in quest’ultimo caso si genera capitalizzazione degli interessi), si deve ritenere che l’interesse operi, in virtù dei principi generali espressi, in regime di capitalizzazione semplice.
7. Conclusioni
Come premesso, da un punto di vista giuridico, una volta appurata l’applicazione del metodo matematico, in assenza di valida pattuizione, gli interessi capitalizzati dovranno essere restituiti, ma vediamo a che titolo.
Se riteniamo che in assenza di specifica clausola (specificatamente approvata) la pattuizione si riducibile ai principio generali espressi dagli artt. 820 e 821 c.c., allora dovremo ritenere che non di vizio del contratto si tratta ma di inadempimento contrattuale poiché in fase esecutiva vengono fatti pa-gare una quantità di interessi superiore a quelli pattuiti.
Tale tesi, tuttavia non tiene conto che il piano di ammortamento alle-gato al contratto costituisce parte integrante dello stesso, e come tale rilevan-te al fine della determinazione dell’oggetto del contratto.
Sotto questo profilo la questione potrebbe divenire più complicata: nel contratto si trovano indicazioni tra loro contrastanti.
Da un lato viene indicato un tasso annuo nominale e nessuna indica-zione in merito al regime in cui opera, dall’altro abbiamo un piano di ammor-tamento che si sviluppa in regime di capitalizzazione composta me nessuna clausola in tal senso.
Tale contrasto potrebbe determinare la nullità dell’oggetto per inde-terminatezza ex art 1349 c.c. con la conseguente applicazione dell’art. 1284 u.c. c.c. per effetto sostituzione automatica della clausola nulla ex art. 1339 c.c., ovviamente in regime di capitalizzazione semplice: diversamente fini-remmo per non dare alcuna importanza al piano di ammortamento che viene assunto a parte integrante del contratto.
Quest’ultimo aspetto potrebbe tuttavia trovare risposta proprio nell’art. 6 delibera CICR 9 febbraio 2000 dove nell’ultima parte stabilisce che:
Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno ef-fetto se non sono specificamente approvate per iscritto.
La norma sanziona con l’inefficacia la clausola sulla capitalizzazione non specificatamente approvata, che nel caso degli ammortamenti a.f. non è neppure pattuita.
Potrebbe dunque essere sostenuto che il piano di ammortamento allegato è inefficace rimandando quindi alla pattuizione del tasso l’unico elemento valido per la determinazione dell’oggetto del contratto che resterebbe dun-que pienamente valido.
In ultima analisi non può che richiamarsi l’art. 1283 c.c. che volontaria-mente è stato lasciato come ultimo argomento.
Non ci sono dubbi che dimostrare la capitalizzazione degli interessi sia da un punto di vista probatorio più semplice rispetto all’anatocismo per il quale è necessario altresì provare che la capitalizzazione si è generata per effetto dell’applicazione degli interessi su interessi scaduti e non semplicemente ma-turati, ma anche tale passaggio è in realtà una questione meno complessa di quella che potrebbe sembrare.
In effetti le banche che si sono difese senza negare l’esistenza di una ca-pitalizzazione composta degli interessi hanno tuttavia sostenuto che gli inte-ressi non vengono calcolati su interessi scaduti ma semplicemente maturati: una tale lettura tuttavia, mi pare ignori la coesione tra contratto e piano di ammortamento allegato.
Il contratto di mutuo deve leggersi in guisa con il piano di ammortamen-to.
dalla convenzione esponenziale
M = C (1 + i)t
si ricava come gli interessi maturino in corrispondenza dei periodi indicati con t (tempo). T, indica pertanto il numero dei periodi e quindi delle rate , periodi che convenzionalmente corrispondono alle scadenze delle rate.
È quindi nello sviluppo dell’intero piano di ammortamento che passa attraverso periodi/scadenze che si genera l’effetto della capitalizzazione che per effetto della convenzione (sulla scadenza) è quindi riconducibile all’anatocismo.
Appurata e accolta la tesi dell’anatocismo la conseguenza sarà la vio-lazione dell’art. 1283 c.c. e quindi la nullità delle pattuizioni stipulate in vio-lazione e la conseguente applicabilità dell’interesse in regime di capitalizza-zione semplice per tutta la durata del rapporto e l’eventuale ripetibilità degli interessi effetto della capitalizzazione (anatocismo).
Negli ultimi anni abbiamo assistito nella materia del diritto bancario e dei sistemi finanziari a continui ripensamenti da parte della giurisprudenza.
È pur vero che l’esigenza di individuare da un lato i limiti all’autonomia contrattuale e il corretto rispetto della normativa sulla traspa-renza, e dall’altro di comprendere questioni connesse con il diritto ma che trovano la loro collocazione in altre scienze come quella matematica e nella fattispecie finanziaria, evidenziano la “giovinezza” della materia che 15 anni di contenzioso non sono riusciti a maturare.
Certamente l’ausilio di Consulenti Tecnici ben preparati nella materia sono non solo un utile strumento, ma direi addirittura indispensabile per ri-solvere questioni matematiche molto complesse e che solo recentemente hanno trovato spazio nelle aule di giustizia.
Sotto il profilo strettamente giuridico è vero che si continua ad assi-milare l’anatocismo alla capitalizzazione anche quando il primo non è ogget-to di causa trascurando l’importanza della disciplina sulla trasparenza.
Nella sentenza in commento il Tribunale anche paventando l’ipotesi che l’ammortamento alla francese possa essere governato dalla legge dell’interesso composto, questo avrebbe la sola funzione di determinare la rata senza provocare alcun effetto anatocistico: il punto è che se è vero il primo assunto non può essere vero il secondo (ritenendo che il Tribunale ab-bia ritenuto di assimilare l’anatocismo alla capitalizzazione dal momento che nella precisazione delle conclusioni dell’attore non mi pare aver letto anato-cismo).
In sostanza, se uso l’interesse composto ( o meglio il regime dell’interesse composto) per determinare la rata gli interessi in essa contenuti non potranno che essere composti non pare possibile una conclusione diver-sa, peraltro per richiamare il contenuto del presente lavoro, se il TAN differisce dal TEG è conseguenza naturale che il costo dell’operazione include an-che la capitalizzazione degli interessi.
I prossimi mesi ci daranno contezza delle tesi qui espresse.
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NOTE
(1)In realtà la capitalizzazione non è solo un fenomeno infrannuale ma si sviluppa per tutta la durata del piano di ammortamento. Infatti la riconducibilità del tempo in periodo e sotto periodi è solo frutto di una convenzione.
(2)si veda formula del TAEG e ISC
(3)Badate bene, non si tratta di una banalità perché sarà proprio questo un indice per distinguere il regime semplice da quello composto e quindi poter poi riconoscere quale è il reale regime in cui opere il piano di ammortamento a.f.
(4)Ovvero abbiamo sottratto la rata e aggiunto gli interessi.
(5)Nel codice civile possiamo rinvenire rinvio agli usi contrari , attribuendo ad essi funzione integrativa derogatoria della disciplina prevista dalla legge , agli art 1283, 1457, 1510, 1528, 1665, 1739, 1756, 2148 del codice civile.
In cinque di queste norme – artt. 1457 1510 1528 1665 1756 – è usata la locuzione “in mancanza di patto o uso contrario” ovvero “salvo patto o uso contrario”.
(6)In tal senso: Cass. Civ. 18 settembre 2003, n. 13739; Cassazione Civile, Sez. I, 1 ottobre 2002, n. 14091; Corte di Cassazione, Sezione I, 28 marzo 2002 n. 4498; Corte di Cassazione, Sezione I, 28 marzo 2002 n. 4490;Corte di Cassazione, Se-zione I, 1° febbraio 2002 n. 1281; Corte di Cassazione, Sezione I, 11 novembre 1999 n. 12507; Corte di Cassazione, Sezione III, 30 marzo 1999 n. 3096; Trib. Mon-za 21 febbraio 1999; Trib. Busto Arsizio, 15 giugno 1998; Trib. Vercelli 21 luglio 1994; Pret. Roma 11 novembre 1996, ecc.
(7)In tal senso anche Cass. 6 maggio 1977, n. 1724 e n. 2593 del 20 febbraio 2003
(8)Cassazione Civile con la sentenza n. 2593 del 20 febbraio 2003
(9)Diversamente sostenuto precedentemente dalla S.C. nei rapporti bancari esiste un uso normativo contrario che viene considerato perfettamente legittimo v. Cass. 7571/92 e 6631/81.
(10)Ovvero oltre 30 anni dopo l’emanazione del codice civile
(11)Né sui conti correnti (presenti solo in due province), né sui mutui.
(12)Evoluzione giurisprudenziale (che peraltro prende le mosse dalla precedente sen-tenza n. 5286/2000 della Corte di Cassazione consente all’interessato, previa veri-fica delle condizioni di pagamento di un tasso superiore a quello di usura, anche per un periodo di un semplice trimestre, di chiedere il rimborso delle somme even-tualmente versate in eccesso, o di opporsi ai decreti ingiuntivi od alle esecuzioni fondate su titoli aventi ad oggetto richieste di somme costituite anche dagli inte-ressi anatocistici.
(13)Cassazione 18 maggio 2005, n. 20449.
(14)A.A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari regole Zanichelli Bologna 2013
(15)A.A. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari regole Zanichelli Bologna 2013
(16) U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, Vol. XVI t. 2, Cicu – Messineo, Giuffré, 1984 pag. 149.
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