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1. Introduzione. L’estensione degli ambiti di giurisdizione esclusiva, l’ampliamento dell’oggetto del giudizio dal singolo atto al rapporto e l’introduzione del giudizio risarcitorio pongono la problematica relativa alla possibile applicazione nel giudizio amministrativo di principi ed istituti tipicamente processualcivilistici, anche in assenza di uno specifico richiamo normativo.
E’ questo il caso sia della “domanda riconvenzionale” che della “chiamata in giudizio del terzo”, nella duplice accezione del “litisconsorzio” e della “chiamata in garanzia”; con riferimento ad entrambi gli istituti – accomunati dall’effetto di ampliare l’oggetto originario del giudizio attraverso la proposizione di domande ulteriori – appare lecito interrogarsi, in assenza di espresse previsioni normative, sulla loro applicabilità nei giudizi avanti al giudice amministrativo e sulla disciplina processuale eventualmente utilizzabile.
Per altro, le considerazioni che andrò a svolgere saranno egualmente riferibili sia ai giudizi risarcitori conseguenti all’illegittimo esercizio del potere amministrativo (fase risarcitoria conseguente ad un giudizio di legittimità) che ai giudizi risarcitori in materie attribuite alla giurisdizione esclusiva (nei quali potranno essere fatte valere anche pretese risarcitorie conseguenti a meri comportamenti illeciti) che, infine, ai giudizi aventi ad oggetto pretese patrimoniali in materie attribuite alla giurisdizione esclusiva (nei quali la pretesa potrà avere fonte, anche latu sensu, contrattuale).
Ed invero, anche indipendentemente dall’eventuale adesione alla soluzione ricostruttiva secondo la quale quella del risarcimento del danno costituirebbe un’ulteriore materia di giurisdizione esclusiva attribuita al giudice amministrativo, non v’è dubbio che nel giudizio risarcitorio si discuta pur sempre di un diritto soggettivo, anche solo strumentale alla tutela dell’interesse legittimo, – la competenza a conoscere il quale è stata trasferita dall’autorità giudiziaria ordinaria al giudice amministrativo anche per esigenze di concentrazione e rapidità – e che pertanto ci si debba interrogare sull’utilizzazione da parte di quest’ultimo degli strumenti processuali tipici della “tutela dei diritti”.
E’, infine, opportuno chiarire che – in relazione alla novità delle tematiche, alla natura dell’incontro ed alla qualità degli interlocutori – le mie considerazioni hanno carattere problematico e le soluzioni proposte non devono essere considerate certezze, neppure soggettive.
2. La domanda riconvenzionale. E’ a tutti noto che per tale si intende quella proposta dal convenuto nei confronti dell’attore nell’ambito del medesimo processo, al fine di ottenere un provvedimento a sé favorevole, diverso e indipendente dal rigetto totale o parziale della domanda dell’attore; il codice di procedura civile disciplina solo i tempi e i modi di proposizione della domanda riconvenzionale nel processo ordinario di cognizione, nonché ne determina gli effetti sulla competenza in relazione alla pretesa originaria dell’attore, mentre tralascia di fornire una definizione dell’istituto e di individuarne le condizioni di ammissibilità.
2.1. Con riferimento alle esigenze di definizione dell’istituto deve richiamarsi la distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale; nella giurisprudenza civile[1] viene evidenziato come, a fronte della comune deduzione di un diritto diverso da quello oggetto della domanda dell’attore, si differenzi la finalità della deduzione del convenuto: ove egli chieda solo la reiezione della domanda attrice, per incompatibilità del diritto opposto in riconvenzionale, si avrà eccezione riconvenzionale; ove egli chieda, invece, una pronunzia favorevole indipendente dal rigetto totale o parziale della domanda dell’attore si avrà domanda riconvenzionale.
Per altro, differisce tra le due ipotesi anche il valore dell’accertamento giurisdizionale: nella prima (eccezione) si avrà solo un accertamento incidenter tantum del diritto opposto dal convenuto in via riconvenzionale, destinato a spiegare effetti limitati al giudizio nel quale è posto in essere; nella seconda (domanda) l’accertamento avrà efficacia di cosa giudicata tra le parti ex art. 2909 cod. civ., anche nelle eventuali liti che insorgessero in futuro tra le stesse parti relativamente ad altre pretese derivanti dal medesimo rapporto.
2.2. Con riferimento alle condizioni di ammissibilità della domanda riconvenzionale, a fronte di una contrapposizione dottrinaria tra una soluzione restrittiva – secondo la quale ex art. 36 cod. proc. civ. (che contempla espressamente le sole riconvenzionali che “dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”) il convenuto potrebbe proporre solo domande riconvenzionali che presentino un rapporto di connessione con la domanda dell’attore rendendo opportuna la trattazione e la decisione congiunta della domanda dell’attore e di quella del convenuto, in esito ad accertamenti uniformi, anche al fine di prevenire in tal modo il rischio di un potenziale conflitto di giudicati – ed una liberista – secondo la quale ex art. 104 cod. proc. civ. (che consente all’attore la contestuale proposizione di una pluralità di domande anche non connesse tra di loro) al convenuto sarebbe comunque consentito proporre domande riconvenzionali prive di qualsiasi collegamento con la pretesa dell’attore -, la giurisprudenza civile[2] appare orientata nel senso di richiedere la sussistenza di un “collegamento obiettivo” tale da implicare, in ossequio al principio dell’economia dei giudizi, l’opportunità del simultaneus processus, opportunità la cui valutazione è riservata al giudice di merito con un apprezzamento sottratto al sindacato di legittimità.
3. Ammissibilità della eccezione riconvenzionale nel giudizio amministrativo risarcitorio. Così, sia pure sommariamente, delineate le caratteristiche di massima dell’istituto processualcivilistico, appare possibile tentare di fornire una prima, articolata, risposta al quesito sulla sua utilizzabilità nell’ambito del giudizio amministrativo risarcitorio.
Deve darsi una risposta senz’altro positiva al quesito sull’ammissibilità dell’eccezione riconvenzionale, e ciò anche nelle ipotesi nelle quali il giudice amministrativo sarebbe carente di giurisdizione (esclusiva) a conoscere in via principale del diritto fatto valere in via riconvenzionale.
Già l’art. 7, co. 3, della l. n. 1034/1971 (nel testo previgente alla modifica introdotta dalla l. n. 205/2000) prevedeva che il giudice amministrativo “…nelle materie deferite alla sua giurisdizione esclusiva, conosce anche di tutte le questioni relative a diritti”, restando riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità dei privati individui e la risoluzione dell’incidente di falso.
Sebbene il nuovo testo del medesimo comma 3, come modificato dalla l. n. 205/2000, si riferisca espressamente ai poteri decisori del giudice amministrativo nei confronti delle questioni relative all’eventuale risarcimento del danno e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, non credo che dalla novella legislativa possa desumersi alcun effetto restrittivo dei suoi poteri di accertamento.
Ed invero:
la finalità della modifica legislativa era quella di ampliare, e non restringere, l’ambito dei poteri cognitori del giuidice amministrativo;
la seconda parte del comma, recante l’individuazione delle questioni riservate alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, è rimasta immutata;
risulterebbe illogica l’attribuzione in sede di giurisdizione esclusiva di poteri cognitori su diritti inferiori a quelli spettanti in sede di legittimità.
L’art. 8 della l. n. 1034/1971 continua, infatti, a prevedere che “nelle materie in cui non ha competenza esclusiva,” il giudice amministrativo “decide con efficacia limitata di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale” con esclusione solo dell’incidente di falso e delle questioni concernenti lo stato e la capacità dei privati, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio.
L’accertamento in ordine all’eccezione riconvenzionale spiegherà, comunque, effetti esclusivamente nel giudizio in corso ai fini dell’accoglimento, o meno, della domanda del ricorrente/attore, trattandosi in ogni caso di un accertamento incidenter tantum.
4. Ammissibilità della domanda riconvenzionale nel giudizio amministrativo risarcitorio. Credo che la risposta debba essere più articolata, invece, per quanto attiene all’ammissibilità delle domande riconvenzionali vere e proprie.
4.1. Già in linea di principio, infatti, potrebbe dubitarsi dell’ammissibilità di una domanda che venga proposta dinanzi al giudice amministrativo da una amministrazione contro un privato; e ciò con specifico riferimento alla tradizionale nozione della giustizia amministrativa quale strumento di “tutela nei confronti della pubblica amministrazione” (art. 103 Cost.). Ed invero la proposizione della domanda riconvenzionale da parte dell’amministrazione contro il privato sembrerebbe rientrare, invece, nella nozione di “tutela dei diritti” dell’amministrazione, riservata all’autorità giudiziaria ordinaria.
Tuttavia l’attuale stato di evoluzione della giustizia amministrativa, con attribuzione di giurisdizione esclusiva su “tutte le controversie” relative a materie amplissime (ad es., servizi pubblici ex art. 33 D.Lgs. n. 80/1998) e la trasformazione della nozione di giurisdizione esclusiva quale “giurisdizione piena” sui rapporti, consente, a mio avviso, di superare tale rilievo preliminare.
4.2. Deve, ancora, osservarsi che la proposizione di una domanda riconvenzionale richiede lo svolgimento di un’attività giurisdizionale di accertamento piena e completa e si conclude con una pronunzia avente efficacia di cosa giudicata tra le parti.
Conseguentemente essa potrà essere ritenuta ammissibile solo se proposta avanti al giudice avente giurisdizione sulla materia; credo, quindi, che debba escludersi, già per considerazioni attinenti alla giurisdizione, l’ammissibilità di una domanda riconvenzionale proposta avanti al giudice amministrativo con riferimento a materie esulanti dalla sua giurisdizione esclusiva.
4.3. Per altro, anche nell’ambito delle materie di giurisdizione esclusiva potrebbe ritenersi che, in assenza di alcuna norma processuale che lo disciplini, l’istituto sia inapplicabile avanti al giudice amministrativo.
Una siffatta soluzione non mi sembra, però, condivisibile per le seguenti considerazioni:
nell’ordinamento processuale amministrativo è sempre esistito, in realtà, uno strumento finalizzato all’introduzione, da parte del controinteressato, di una domanda ulteriore, rispetto a quella proposta dal ricorrente, destinata ad ampliare l’oggetto del giudizio in corso: il ricorso incidentale;
proprio la l. n. 205/2000 ha introdotto un ulteriore strumento processuale finalizzato all’ampliamento dell’oggetto del giudizio in corso: il ricorso per motivi aggiunti avverso gli ulteriori provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso;
rimangono valide anche nell’ordinamento processuale amministrativo quelle considerazioni – relative al principio di economia dei giudizi, con riferimento alla opportunità di una trattazione e decisione congiunta della domanda dell’attore e di quella del convenuto, in esito ad accertamenti uniformi, anche al fine di prevenire in tal modo il rischio di un potenziale conflitto di giudicati – poste a fondamento e giusitificazione dell’istituto nell’ambito processualcivilistico;
la configurazione della nuova giurisdizione amministrativa esclusiva in termini di “giurisdizione piena” e tendenzialmente parallela a quella ordinaria, nell’ambito delle materie ad essa attribuite dalla legge, non sembra compatibile con una limitazione delle facoltà processuali delle parti, ove esse non siano espressamente escluse dalle norme processuali amministrative o, comunque, rispetto ad esse incompatibili.
Inoltre, la giurisprudenza amministrativa, che ha avuto sin qui modo di esaminare problematiche relative alle domande riconvenzionali nelle materie di giurisdizione esclusiva, ha sempre dato per scontata la loro (astratta) ammissibilità, soffermandosi invece sulle modalità processuali di loro proposizione.
4.4. Ammessa, quindi, la proponibilità della domanda riconvenzionale nell’ambito della giurisdizione esclusiva amministrativa, rimane da valutare la problematica relativa ai rapporti tra questa e la domanda principale; in particolare dovrà operarsi un’opzione tra la soluzione restrittiva – secondo la quale il resistente potrebbe proporre solo domande riconvenzionali che presentino un rapporto di connessione con la domanda del ricorrente – e quella liberista – secondo la quale al resistente sarebbe comunque consentito proporre domande riconvenzionali prive di qualsiasi collegamento con la pretesa del ricorrente.
In assenza dei riferimenti testuali, e dei relativi vincoli interpretativi discendenti dagli artt. 36 e 104 cod. proc. civ., credo sia corretto aderire ad una soluzione, intermedia e connotata da pragmatismo, analoga a quella alla quale è pervenuta la giurisprudenza civile nel senso di richiedere la sussistenza di un “collegamento obiettivo” tra le domande, tale da implicare l’opportunità del simultaneus processus, in ossequio al principio dell’economia dei giudizi, opportunità la cui valutazione rimane riservata al giudice.
Pur non essendo, quindi, necessario che le due contrapposte domande siano legate da un rapporto di connessione oggettiva per identità o comunanza del titolo giuridico posto a fondamento, dovrà purtuttavia sussistere un legame giuridico-fattuale che richieda, o quanto meno consigli, una comune attività istruttoria ed una contestuale decisione.
Detta soluzione in qualche modo limitativa, per altro, non conduce a risultati concreti analoghi e sovrapponibili a quelli conseguenti alla soluzione in precedenza suggerita con riferimento alla necessaria sussistenza di giurisdizione amministrativa esclusiva su entrambe le contrapposte domande; ed invero ben potrebbero configurarsi situazioni di completa autonomia delle domande pur nell’ambito della stessa materia di giurisdizione esclusiva e, al contrario, connessioni giuridico-fattuali tra domande rientranti in materie di giurisdizione esclusiva tra loro diverse.
4.5. Residua, infine, da valutare la problematica relativa alla individuazione dei soggetti legittimati a proporre la domanda riconvenzionale: se tali siano solo gli intimati/resistenti o anche eventuali controinteressati.
Ferma restando l’esigenza della sussistenza del rilevato “collegamento obiettivo” tra le domande, non mi sembra che esistano motivi ostativi alla proponibilità di domande riconvenzionali anche da parte di eventuali controinteresssati.
5. Modalità di proposizione della domanda riconvenzionale. Come ho già anticipato, la giurisprudenza amministrativa che si è, sin qui, occupata di domanda riconvenzionale lo ha fatto con specifico riferimento alle modalità di sua proposizione.
Da tali pronunzie, per altro di numero relativamente esiguo[3], è possibile verificare l’esistenza di una convergenza, per quanto attiene specificamente all’esigenza che la domanda riconvenzionale sia portata a conoscenza del ricorrente attraverso la sua notificazione[4], e di una divergenza per quanto riguarda la forma dell’atto contenente la domanda stessa.
Ed infatti, alcune pronunzie[5] propendono per la soluzione dell’utilizzo della prima memoria di costituzione in giudizio, notificata a tutte le parti interessate, mentre altre[6] propendono per la soluzione dell’utilizzo dello strumento del ricorso incidentale.
Appare evidente che la contrapposizione non assume un rilievo meramente formale sul tipo di atto da utilizzare (ricorso o memoria), né sul profilo della necessità della notifica (comunque richiesta dalla giurisprudenza prevalente), ma sui termini di proposizione della domanda: mentre non sussistono termini perentori per la costituzione – momento nel quale dovrebbe essere formulata la domanda riconvenzionale nell’ipotesi che essa dovesse essere proposta con la memoria di costituzione – siffatti termini esistono per la proposizione del ricorso incidentale che, ai sensi degli artt. 22 l. n. 1034/1971 e 37 T.U. n. 1054/1924, deve essere proposto nel termine perentorio di trenta giorni successivi al deposito del ricorso principale, mediante notifica al ricorrente ed alle eventuali altre controparti, e depositato nei successivi dieci giorni.
Personalmente ritengo preferibile la seconda soluzione per le seguenti, concorrenti, considerazioni:
essa consente di utilizzare un istituto processuale già esistente nell’ordinamento processuale amministrativo, senza necessità di ibridazione e trapianto di normative di dettaglio del codice di procedura civile in assenza di specifico richiamo;
appare comunque conforme al principio processualcivilistico che prevede la formulazione della domanda riconvenzionale nel primo atto difensivo, da compiersi entro un termine decadenziale[7];
risponde alle esigenza di economia dei mezzi processuali (attività istruttoria comune alle due domande) ed impedisce l’utilizzazione di iniziative dilatorie da parte del resistente;
appare coerente con l’opzione di richiedere comunque la notifica della domanda riconvenzionale.
Dalla natura di nuova domanda discende, infine, l’esigenza di apposito mandato speciale al procuratore da parte dell’attore-ricorrente in via riconvenzionale.
6. Proposizione della domanda riconvenzionale e giudice competente a conoscerla. In tema di competenza, gioverà dare preliminarmente conto di un recente orientamento del Consiglio di Stato[8], secondo il quale nel processo amministrativo avente ad oggetto esclusivamente risarcimento danni e diritti patrimoniali, in mancanza di apposite norme idonee a definire i criteri sostanziali di riparto della competenza territoriale – non potendosi utilizzare le regole sancite dagli artt. 2 e 3 l. n. 1034/1971, in quanto dettate per giudizi in tutto o in parte impugnatori –, devono trovare applicazione i criteri sostanziali di competenza territoriale previsti dal codice di procedura civile.
In assenza di norme specificamente finalizzate a risolvere eventuali problemi di modifica della competenza presso il giudice amministrativo, appare lecito interrogarsi se la proposizione di una domanda riconvenzionale possa comportare un tale effetto, nelle ipotesi nelle quali il giudice della domanda principale non sia egualmente competente a conoscere della domanda riconvenzionale, l’uno e l’altro individuati ai sensi della l. n. 1034/1971 (ove si controverta di azione risarcitoria connessa ad un atto amministrativo) o ai sensi del codice di procedura civile (ove si controverta di azione risarcitoria c.d. pura).
Esclusa la sussistenza di problematiche relative alla competenza per valore, devono essere esaminate le ipotesi relative ad eventuali modifiche, con riferimento alla domanda riconvenzionale, della competenza territoriale o di quella c.d. “funzionale” inderogabile del giudice amministrativo adito.
Per quanto attiene alla prima ipotesi non dovrebbero esservi difficoltà a ritenere prevalente il principio dell’attrazione della riconvenzionale avanti al giudice competente a conoscere della domanda principale ai fini dello svolgimento del simulteneus processus.
Per quanto, invece, attiene alla seconda dovrebbe ritenersi che la competenza funzionale inderogabile – ad esempio nell’ipotesi dell’Autorità garante delle comunicazioni – non possa non prevalere determinando o lo spostamento di tutto il giudizio presso il giudice funzionalmente competente a conoscere della riconvenzionale, o la pura e semplice inammissibilità della riconvenzionale proposta al giudice funzionalmente incompetente.
In realtà, per altro, il “proposto” requisito di ammissibilità del “collegamento obiettivo” tra le domande dovrebbe rendere piuttosto remote tali ipotesi.
7. La chiamata in giudizio di un terzo. Il fenomeno della chiamata in giudizio di un terzo deve essere ricollegato nel processo civile al concetto di litisconsorzio, e cioè alla presenza in giudizio di una pluralità di parti. Tralasciando in questa sede il c.d. litisconsorzio iniziale (processo che inizia già con una pluralità di parti), dobbiamo soffermare l’attenzione sul c.d. litisconsorzio successivo (processo che si arricchisce di altre parti in corso di causa), nell’ambito del quale si collocano gli istituti del litisconsorzio necessario (art. 102 cod. proc. civ.) e del litisconsorzio facoltativo, ad istanza di parte (art. 106 cod. proc. civ.) o per ordine del giudice (art. 107 cod. proc. civ.).
Comune a tali ipotesi risulta l’effetto dell’ampliamento del numero delle parti in causa, ben differenziati sono invece i presupposti e la dinamica.
7.2. Le ipotesi di litisconsorzio necessario discendono dalla norma di carattere generale di cui alll’art. 102 c.p.c., secondo il quale “se la decisione non può pronunciarsi che nei confronti di più parti queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito”. L’inosservanza di tale adempimento ad opera della parte più diligente è sanzionata dall’art. 307 cod. proc. civ. con l’estinzione del processo.
Oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, si ritiene che si versi in ipotesi di litisconsorzio necessario tutte le volte che la sentenza debba essere pronunciata contemporaneamente nei confronti di più parti, risultando la sentenza – in difetto della chiamata in giudizio delle parti mancanti – “inutiliter data” anche per le stesse parti originariamente presenti nel processo.
Ciò accadrà in ipotesi di “rapporto sostanziale plurisoggettivo unico”, la cui intima inscindibilità deve trovare riscontro in un rapporto processuale parimenti plurisoggettivo e inscindibile[9].
A ben vedere, quindi, la chiamata in giudizio del litisconsorte necessario pretermesso non determina alcun effetto ampliativo dell’oggetto del giudizio, ma piuttosto attiene al concetto di reintegrazione processuale del contraddittorio, inizialmente instaurato in ambito soggettivo più circoscritto rispetto al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
7.3. L’effetto ampliativo dell’oggetto del giudizio si determina, invece, nelle ipotesi di litisconsorzio facoltativo, nelle quali alla pluralità di parti corrisponde una pluralità cause, tra loro collegate da un rapporto di connessione per l’oggetto o per il titolo (connessione propria) o dalla necessità della risoluzione di identiche questioni aventi carattere pregiudiziale (connessione impropria); in particolare, le cause trattate mantengono una loro autonomia, risultando concentrate nell’ambito dello stesso processo per effetto della valutazione discrezionale ed incensurabile del giudice in ordine allo svolgimento del simulteneus processus[10]; purtuttavia l’unitarietà del giudizio incide sulla formazione del convincimento del giudice in quanto i fatti risultano accertati in modo uniforme rispetto a tutti i litisconsorti, ciascuno dei quali potrà giovarsi dell’altrui attività difensiva.
7.4. Con specifico riferimento alla chiamata in giudizio del terzo, il codice di procedura civile prevede le due, distinte, ipotesi di chiamata ad istanza di parte (art. 106 cod. proc. civ.) o per ordine del giudice (art. 107 cod. proc. civ.).
7.4.a. L’art. 106 cod. proc. civ. prevede che “ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita”; nel primo caso la parte afferma che la titolarità del rapporto giuridico per cui è causa, o di altro rapporto ad esso connesso oggettivamente o legato dal nesso di pregiudizialità, faccia capo al terzo; nel secondo caso il convenuto chiama in causa il proprio garante per averne aiuto nella difesa e, in caso di soccombenza, per esercitare l’azione di regresso.
La chiamata del terzo, oltre che dal convenuto, potrà essere richiesta anche dall’attore, se l’interesse sia sorto in conseguenza delle difese prodotte dal convenuto con riferimento a specifiche eccezioni, con le quali questi faccia valere fatti impeditivi, modificativi o estintivi della domanda, ad una domanda riconvenzionale o ad una chiamata in garanzia.
Nella prima ipotesi essa si configura quale facoltà difensiva libera del convenuto[11], il quale dovrà farne dichiarazione, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, richiedere il differimento della prima udienza e provvedere alla notificazione della citazione nel rispetto dei termini di comparizione rispetto alla data della nuova udienza fissata dal giudice.
Nella seconda ipotesi, invece, l’attore dovrà, a pena di decadenza, richiedere l’autorizzazione alla chiamata del terzo in occasione della prima udienza e provvedere alla citazione del terzo nel termine eventualente fissato dal giudice.
7.4.b. L’art. 107 cod .proc. civ. stabilisce che il giudice, se lo ritiene opportuno, ordina l’intervento del terzo al quale la causa è comune.
La giurisprudenza[12] ha avuto modo di chiarire che “la chiamata in causa del terzo per ordine del giudice a norma dell’art. 107 c.p.c., può mirare tanto ad evitare al terzo gli effetti pregiudizievoli della sentenza resa fra le parti (nel qual caso non è necessario che le parti originarie propongano alcuna domanda nei confronti del chiamato, e l’allargamento dell’ambito del giudizio riguarda i soli limiti soggettivi dello stesso) quanto a prevenire la possibilità di giudicati contraddittori (inducendo chi agisce ad estendere in confronto del terzo la domanda, con conseguente allargamento dei limiti oggettivi del giudizio), ma in entrambi i casi, pur determinandosi in vista del superiore interesse al corretto fuzionamento del processo una limitazione al principio della libertà di agire, non vi è alcuna proposizione d’ufficio della domanda né sostituzione del giudice alle parti nell’estensione del giudizio, onde non risultano derogate le regole di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. che individuano nella domanda e nell’eccezione di parte i limiti dell’attività giurisdizionale”.
Ai sensi dell’art. 270 cod. proc. civ., la chiamata in giudizio iussu iudicis può essere disposta in qualsiasi momento e, ove nessuna delle parti provveda alla citazione del terzo per l’udienza fissata dal giudice, la causa verrà cancellata dal ruolo.
7.5. Con specifico riferimento ai giudizi risarcitori, deve prestarsi particolare attenzione alla chiamata in garanzia ex art. 106 cod. proc. civ., mediante la quale un terzo viene chiamato in un processo civile, affinché risponda in luogo del convenuto, oppure affinché sia condannato a rispondere di quanto il convenuto sarà tenuto eventualmente a prestare all’attore.
Nel primo caso, quando l’affermazione delle responsabilità dell’obbligato principale e del garante trovano fondamento negli elementi costitutivi della medesima fattispecie, la garanzia si suole definire “propria”; nel secondo, quando la responsabilità dell’uno o dell’altro traggono origini da diversi rapporti giuridici ed è esclusa l’esistenza di ogni legame tra il preteso creditore e il garante, la garanzia si suole definire “impropria”.
La realizzazione di un simultaneus processus tra la causa principale e quella di garanzia implica una valutazione di economia processuale, da compiersi secondo i parametri previsti dall’art. 103 cod. proc. civ.: essa presuppone che si tratti di un caso di connessione per l’oggetto e/o per il titolo, oppure di un caso di contestazione della titolarità del rapporto giuridico controverso, oppure ancora di un caso di pregiudizialità-dipendenza.
Ed infatti, se – come abbiamo già visto – il convenuto non ha bisogno di alcuna autorizzazione per la chiamata in garanzia del terzo, il giudice ben potrà disporre la separazione delle cause quando la continuazione della loro riunione renderebbe più gravoso, o ritarderebbe, il processo.
8. Ammissibilità della chiamata in giudizio del terzo nel giudizio amministrativo risarcitorio. Ci si deve, a questo punto interrogare sull’ammissibilità dell’utilizzazione di siffatti istituti nel giudizio amministrativo risarcitorio in assenza, anche in questo caso, di espressi rinvii alla disciplina del codice di procedura civile.
In realtà la giurisprudenza amministrativa[13] mostra di avere compiuto solo qualche sporadico riferimento all’art. 107 cod. proc. civ., ritenendo ammissibile la chiamata in giudizio iussu iudicis, del terzo “al quale la causa è comune” e cioè del terzo che, pur non essendo controinteressato in senso tecnico, potrebbe subire conseguenze dal giudicato; ciò probabilmente perché la tematica della pluralità di parti nel giudizio amministrativo di legittimità è stata sempre, e soltanto, esaminata e risolta attraverso il concetto formale di controinteressato, anche nelle ipotesi nelle quali la complessità dei rapporti amministrativi e l’ampiezza degli effetti del giudicato avrebbero già dovuto consigliare di prendere in considerazione una nozione più sostanziale di controinteressato, probabilmente sovrapponibile a quella di litisconsorte necessario.
8.2. In linea di principio le considerazioni in precedenza svolte al fine di dimostrare l’ammissibilità delle domande riconvenzionali – in ordine alla pienezza della giurisdizione amministrativa esclusiva, all’esigenza di riconoscere alle parti strumenti processuali analoghi a quelli processualcivilistici ed alla opportunità di conseguire economie di mezzi processuali e di prevenire potenziali contrasti tra giudicati – possono conservare validità anche a proposito della chiamata in giudizio del terzo.
Mentre nell’ambito dei giudizi risarcitori devoluti al giudice amministrativo appare piuttosto difficile configurare l’esigenza di integrare il litisconsorzio necessario – quanto meno perché, nelle ipotesi di risarcimento danni conseguente all’annullamento di un atto amministrativo, esso dovrebbe già essere realizzato attraverso l’evocazione in giudizio dei controinteressati – ben potranno verificarsi ipotesi di litisconsorzio facoltativo, sia in termini di vere e proprie chiamate in garanzia rispetto alla domanda risarcitoria del ricorrente sia in termini di chiamata in giudizio del terzo al quale la parte, o il giudice, ritenga comune la causa.
In tutte tali ipotesi, l’assenza di un espresso ostacolo normativo e l’esigenza di rispetto del principio di economia dei giudizi – con riferimento alla opportunità di una trattazione e decisione congiunta delle domande, in esito ad accertamenti uniformi anche al fine di prevenire in tal modo il rischio di un potenziale conflitto di giudicati – inducono a dare una risposta positiva al quesito.
8.3. Ovviamente, proprio in considerazione della autonomia dei diversi rapporti contestualmente dedotti in giudizio, dovranno ricorrere – si pensi ad eventuali ipotesi di chiamata in garanzia impropria – i requisiti della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere del rapporto garantito/garante e del “collegamento obiettivo”, tale da implicare l’opportunità del simultaneus processus.
9. Modalità della chiamata in giudizio del terzo. Per quanto attiene alla realizzazione del litisconsorzio facoltativo, la problematica di maggiore rilievo è quella relativa ai termini ed alle modalità con i quali le parti debbano introdurre un’eventuale chiamata in giudizio del terzo.
Ed invero – se per l’intervento iussu iudicis non vi sono difficoltà a ritenere che il giudice amministrativo possa disporlo in qualunque momento del giudizio, salvo ad interrogarsi sulla sorte del processo in ipotesi di mancata ottemperanza delle parti al suo ordine – più problematica appare la gestione processuale di una chiamata ad istanza di parte.
Ed invero, esigenze di celere, ordinato e razionale svolgimento del processo impongono che essa sia proposta entro un termine perentorio nelle prime battute del processo (così come avviene nel processo civile) e che sia autorizzata dal giudice previa valutazione, anche nel contraddittorio delle parti, della sussistenza delle condizioni per lo svolgimento del simulteneus processus.
Potrebbe, quindi, individuarsi nel ricorso incidentale lo strumento di introduzione della richiesta al giudice di chiamata in giudizio del terzo, da realizzarsi – dopo l’autorizzazione del giudice – attraverso la notifica al terzo di apposito ricorso con specifico mandato.
Comune alla chiamata ad istanza di parte e iussu iudicis è la problematica relativa all’individuazione dell’organo – collegio, quale organo giudicante, o Presidente, o suo delegato, nell’esercizio dei poteri presidenziali istruttori – abilitato ad adottare l’autorizzazione/ordine per l’effettuazione della chiamata del terzo.
Personalmente – con ciò richiamando quanto in altre sedi già sostenuto a proposito dell’ammissione delle “prove costituende”, ma con la consapevolezza di essere stato sul punto smentito dalla l. n. 205/2000 – propenderei per la soluzione collegiale in considerazione della delicatezza delle valutazioni da compiere e dell’incidenza della decisione sull’ulteriore svolgimento dell’attività processuale. Purtuttavia non posso fare a meno di riconoscere che la soluzione presidenziale sia l’unica in grado di evitare un eccessivo allungamento dei tempi processuali sia in fase di decisione sull’istanza di chiamata del terzo che in fase di svolgimento dell’istruttoria nel simultaneus processus.
Dalla sua qualità di parte processuale, discenderà che il terzo è titolare di tutte le facoltà difensive di legge, nell’ambito del rapporto controverso del quale sia anche parte sostanziale.
Salvatore Veneziano
Consigliere del T.A.R. Sicilia – Palermo
Note:
· Testo della relazione svolta in occasione dell’incontro di studio “Potere amministrativo e Responsabilità civile”, tenutosi a Roma nei giorni 10, 11 e 12 ottobre 2002.
[1] Cassazione, sez. III civ. 17.03.1990, n. 2235, e sez. II civ. 3.04.1992, n. 4091.
[2] Cassazione, sez. I civ. 26-2-1990, n. 1431.
[3] TAR Campania, Na, sez.I, n. 1611 dell’11.04.2001; TAR Lombardia, Mi, sez.III, n. 2930 del 30.03.2001, n. 2177 del 14.03.2001, n. 1912 del 18.07.1998; TAR Puglia, Ba, sez.II, n. 1374 del 26.04.2001; TAR Marche, n. 290 dell’11.02.2000; TAR Umbria, n. 714 del 17.08.1999; Cons. Stato, sez. V, n. 353 del 31.01.2001.
[4] Solo TAR Lombardia, Mi, sez.III, n. 1912/1988 sembra propendere per l’applicazione integrale delle norme processualcivilistiche, che non richiedono la notificazione della comparsa di risposta contenente la domanda riconvezionale.
[5] TAR Puglia, Ba, sez.II, n. 1374/2001; TAR Marche, n. 290/2000.
[6] TAR Campania, Na, sez.I, n. 1611/2001 e Cons. Stato, sez. V, n. 353/2001, che conferma sul punto TAR Umbria n. 218/1999.
[7] Cassazione, sez. III civ., 28-07-1999, n. 8224.
[8] Sez. IV, n.400 dell’1.02.2001 e sez. V, n. 5108 del 26.09.2000.
[9] Cassazione, SS.UU., 3.02.1989, n. 670.
[10] Cassazione, sez.III civ., 28.03.1997, n. 2770.
[11] Corte Costituzionale, 3.04.1997, n. 80.
[12] Cassazione, sez. III civ., 11.02.1997, n. 1267.
[13] Consiglio Stato, sez. IV, n. 258 dell’11.02.1998 e TAR Lazio, III, n. 2045 dell’1.07.1999. TAR Lazio, III, n. 1144 del 4.05.1999 sembra invece riferire l’art. 107 cod. proc. civ. anche alle ipotesi di litisconsorte necessario pretermesso.
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