Analisi dell’azione relativa al danno temuto

Il caso giuridico in esame si inserisce in un contesto di controversie legate al danno temuto.
Per quanto concerne le azioni di nunciazione, è fondamentale comprendere la loro natura intrinseca: l’azione relativa al danno temuto (ai sensi dell’art. 1772 c.c.) non richiede la certezza o la verifica pregressa del danno, ma si basa sul ragionevole pericolo che il danno possa concretizzarsi. L’azione di danno temuto, delineata dall’art. 1772 c.c., presuppone un legame causale tra l’entità e il danno, consentendo al detentore dei diritti reali di godimento, al proprietario o al titolare di altri diritti reali, di segnalare all’autorità giudiziaria l’esistenza di un potenziale pericolo grave per la res di sua pertinenza o sotto suo possesso, avvalendosi del rimedio previsto dall’art. 1172 del Codice Civile.
L’articolo 1172 c.c., centrato sulla segnalazione di timori di danno, agevola l’intervento celere dell’autorità competente al fine di prevenire danni significativi e, all’occorrenza, di stabilire adeguate misure cautelative per attenuare le possibili conseguenze dannose. L’azione di denuncia del timore di danno, formalizzata dall’articolo sopra citato, rappresenta il mezzo giuridico attraverso il quale il soggetto legittimato può esporre concretamente fondate preoccupazioni in relazione a strutture, anche situate sul terreno circostante. Tale azione si materializza quando sussiste la convinzione che opere esistenti possano comportare pericoli gravi e imminenti, permettendo l’invocazione dell’autorità giudiziaria per risolvere la situazione di emergenza.
I presupposti giuridici essenziali per l’avvio di tale azione includono la presenza di un pericolo di danno proveniente da una res a un’altra, con una contemporanea prossimità e gravità del potenziale danno. Un requisito ulteriore è rappresentato dal “ragionevole timore”, ossia la giustificata paura che il danno possa manifestarsi in un futuro prossimo. È fondamentale sottolineare che l’azione non verte su un danno certo, ma piuttosto su un timore attuale e probabile, valutato secondo il giudizio ragionevole di una persona media.
Un elemento cruciale dell’azione è la stretta correlazione tra le res coinvolte; la segnalazione si concentra esclusivamente sulla relazione diretta tra le cose coinvolte e non riguarda i rapporti tra la persona e la cosa. Sono legittimati ad attivare l’azione il detentore, il proprietario o il titolare di altri diritti reali. Nel caso di comunione indivisa, anche i comproprietari possono intraprendere l’azione contro gli altri comproprietari, qualora l’assenza di accordo ostacoli la risoluzione del pericolo.
Per quanto concerne la legittimazione passiva, essa si estende principalmente al proprietario, che è tenuto ad intraprendere le necessarie attività per prevenire l’insorgenza del pericolo o rimuoverne la causa. Tuttavia, la sfera di responsabilità può coinvolgere anche il detentore o chi detiene la disponibilità della cosa dalla quale il pericolo di danno è presumibilmente originato.
Il procedimento per la presentazione dell’azione si concretizza mediante un ricorso presso il giudice competente, nel quale devono essere fornite tutte le circostanze che giustificano la considerazione del potenziale danno come grave.

Indice

1. Un caso concreto dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia: l’azione di danno temuto 


Con ricorso, depositato il 14.03.2021, l’avvocato F.S. quale procuratore dell’ A.C., proprietaria dell’alloggio sito nel comune di S.S.B., ed assegnato alla signora M.M., ha proposto azione ai sensi dell’art. 1172 c.c., 669 bis e 688 c.p.c., lamentando la presenza di notevoli infiltrazioni di acqua all’interno dell’immobile e provenienti dal tetto di copertura dell’edificio condominiale.
–            Nello specifico l’avv. F.S. deduceva che:” A.C. – è proprietaria di un alloggio sito nel comune di XXXXXX. L’edificio in cui è ubicato il predetto immobile è costituito da un corpo di fabbrica composto da sei piani fuori terra e da n.18 unità immobiliari, di cui n. 14 alloggi, n. 2 garage e n. 2 magazzini. L’unico alloggio di proprietà dell’A.C., posto all’ultimo piano, è stato regolarmente assegnato alla Sig.ra M.M.. Accade che nel corso dell’anno 2015 vennero per la prima volta rilevate alcune infiltrazioni d’acqua piovana a carico dell’intero edificio. Più precisamente, a seguito di sopralluogo esperito dal Comune di XXXX, la Polizia Municipale con nota n. 334/15 trasmise all’A.C. la relazione sullo stato delle infiltrazioni d’acqua (All.1). Ebbene non essendo A.C.  proprietaria dell’intero immobile, ma semplice condomina proprietaria di un singolo alloggio, con distinte note prot. nn. 0259 e 3705 del 2016 provvedeva a diffidare gli altri proprietari degli alloggi del fabbricato ad adottare ogni utile iniziativa per l’esecuzione dei lavori necessari ad eliminare le infiltrazioni riscontrate, nonché a costituire il condominio ai sensi dell’art. 1129 c.c. (All.2) (All3). Solo due anni dopo, ossia con delibera n. 2 del 2017 l’assemblea dichiarava la costituzione del condominio rimandando ad assemblea successiva la nomina dell’amministratore; In data 15.03.2017, giusto verbale n. 4, veniva conferita nomina quale amministratore del condominio allo Studio Tecnico del geom. D.S., con sede in via XXXX (All. 4). A seguito di ciò A.C. invitava reiteratamente il geom. S., nella qualità di amministratore p.t., ad attivarsi per la risoluzione della problematica insorta, ma il tutto senza esito alcuno (All.5). Venendo all’attualità, negli ultimi mesi del 2019, a causa delle avverse condizioni atmosferiche che hanno interessato i luoghi e, dunque verosimilmente hanno notevolmente compromesso la struttura dell’edificio questa Azienda ha provveduto, tramite i propri tecnici, a redigere perizia tecnico-estimativa (All.6) evidenziando e quantificando i danni riscontrati nell’appartamento abitato dalla Sig.ra M.M. Per conseguenza, ha sollecitato ancora una volta l’intervento dell’amministratore del condominio ad assumere le iniziative necessarie (All.7), il quale anche ha inteso dare riscontro con nota del 22.01.2021 (All.8) rappresentando di essersi dimesso dalla carica ma senza documentarne tale circostanza. Ne consegue che fino alla formalizzazione delle dimissioni, ai sensi di legge, il geometra G.S. deve ritenersi a tutti gli effetti amministratore p.t. attualmente in carico del Condominio “Il T” C.F. XXXXXX. Orbene tutte le circostanze sopra richiamate, in primis la condotta negligente ed omissiva dell’amministratore del condominio, e l’impossibilità per A.C. di intervenire direttamente su parti comuni di beni condominiali e/o di diversi proprietari; unitamente al peggioramento dello stato dell’immobile inducono a ritenere esistente un pericolo, certo e concreto, di aggravamento dei danni già esistenti e che potrebbe dar luogo ad un pregiudizio definitivo ed irreparabile per le cose e le persone, di talché si impone il ricorso alla procedura di danno temuto ex artt. 669 bis e 688 c.p.c. e 1172 c.c.. Difatti a norma dell’art. 1172 c.c., il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o possessore può denunziare all’autorità giudiziaria l’esistenza di una situazione di fatto, dalla quale temi derivi danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso. E’ necessario, tuttavia, che sussista un altro elemento affinché la fattispecie si verifichi, ancorché la norma dell’art. 1172 non ne faccia alcuna menzione: esso è rappresentato dal comportamento omissivo del proprietario, o più, in generale, di colui che abbia legittima disponibilità del bene da cui genera il pericolo di danno. Si è verificato, quindi, un non facere del denunciato, la violazione, cioè, di un (obbligo di) facere concretantesi nella disattenzione degli obblighi di custodia e manutenzione che gravano su chiunque abbia la legittima disponibilità di un bene, a prescindere dal titolo di proprietà, di possesso, o di mera detenzione. E che su questo punto la giurisprudenza sia unanime e costante soccorre recente ordinanza del Tribunale di Oristano che testualmente recita: “Per comune opinione, acquisita in dottrina e in giurisprudenza, l’azione di danno temuto può essere esercitata anche nei rapporti tra comproprietari. “. Ed ancora:”, purché la parte istante non sia in condizione di provvedervi autonomamente. La impossibilità del denunziante di rimuovere il pericolo di propria iniziativa può essere determinata dal dissenso opposto dagli altri comproprietari. Nel caso in cui il giudice sia chiamato a comporre il contrasto insorto, il provvedimento interdittale può comportare un ordine di pati nei confronti dei dissenzienti, anziché di facere o non facere (Cass. n. 1778 del 2007, in fattispecie relativa all’impossibilità di ovviare al pericolo in autonomia, da parte degli interessati, per il dissenso degli altri comproprietari alla collocazione di un nuovo manufatto in una parte comune). Questo insegnamento esige un coordinamento con la disciplina legale in materia condominiale, per il caso in cui il pericolo promani dalle parti comuni di un edificio. Nel condominio, infatti, la gestione di iniziativa individuale è, di regola, vietata dall’art. 1134 c.c., in difetto di autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea, con la conseguente esclusione del diritto al rimborso, salvo che si tratti, eccezionalmente, di anticipazione di spesa urgente. Sulla nozione di urgenza, che si distingue dal meno restrittivo presupposto della mera trascuranza, di cui all’art. 1110 c.c., cui è condizionato il relativo diritto nella comunione in generale, le Sezioni Unite hanno chiarito che la parola designa la stretta necessità, limitandosi il rimborso alla spesa che deve essere sostenuta senza ritardo, ossia quella la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, secondo il criterio del buon padre di famiglia. Il maggior rigore del legislatore nell’ammettere la gestione individuale in luogo di quella collettiva dipende dalla virtuale perpetuità del condominio, che rende opportuno evitare interferenze del singolo condomino nell’amministrazione delle parti comuni dell’edificio (Cass. sez. un. n. 2046 del 2006)”. (Cfr. Trib. Oristano, ord. 3 ottobre 2017) Tutto ciò premesso la ricorrente Azienda, come sopra rappresentata e difesa  CHIEDE che l’Ill.mo Giudice adito voglia, ai sensi degli artt. 688 e 669 c.p.c. e 1172 c.cc. disporre: – in via cautelare, al fine di accertare lo stato dei luoghi, la nomina di una CTU tecnica; – all’esito ordinare l’esecuzione delle opere necessarie ad eliminare lo stato di pericolo; Con vittoria di spese, diritti e onorari del presente giudizio –
–            All’udienza pubblica del 26.01.2023 il Giudice adito si riservava di provvedere.
–            Si riporta integralmente, parte della sentenza, che ha confermato in toto la tesi dell’avvocato F.S. 

2. Sentenza di accoglimento totale


È stata disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio; osserva: preliminarmente, va rigettata l’eccezione del resistente G.D. in ordine alla carenza di legittimazione passiva sul presupposto che lo stesso non è più amministratore a seguito delle dimissioni comunicate nel mese di giugno 2019; dagli atti di causa risulta che la comunicazione delle dimissioni da parte del resistente e diretta anche ad A.C.  sia avvenuta in data 22.01.2021. Sul punto giova osservare che, per costante giurisprudenza, l’amministratore, benché cessato, deve continuare ad eseguire il proprio incarico al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni fino a quando non venga sostituito da un nuovo amministratore: trattasi, in tali ipotesi, della cd. prorogatio o, anche detta, perpetuatio dei poteri. In effetti, l’istituto della prorogatio imperii, di conio giurisprudenziale, si verifica tutte le volte in cui si abbia la cessazione dell’amministratore di condominio, per scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c., per dimissioni, per revoca o per altra causa, senza che l’assemblea provveda a nominare un nuovo mandatario. Pertanto, finchè il neo amministratore non viene nominato e non accetta la carica, permane il precedente mandatario e lo scopo risiede nel garantire al condominio una continuità nella gestione dell’edificio. La Suprema Corte, con ordinanza n. 12120 del 17/05/2018 in tema di prorogatio dei poteri dell’amministratore ha stabilito che “ La “perpetuatio” di poteri in capo all’amministratore di condominio uscente, dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c. o per dimissioni, fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta “perpetuatio” all’interesse ed alla volontà dei condomini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell’assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore cessato dall’incarico” ( in senso conforme, Cass. 14 maggio 2014, n. 10607). In virtù dell’istituto della prorogatio imperii, l’amministratore di condominio cessato dall’incarico, fino alla nomina del nuovo amministratore, ha il potere di eseguire le attività urgenti ed indifferibili per evitare danni ai beni condominiali e agli interessi comuni, senza diritto ad ulteriori compensi. L’art. 1129 c.c., comma 8, così come modificato dalla legge n. 220/2012, recita infatti: “Alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”. L’istituto della prorogatio imperii opera non solo nei casi di cessazione dell’incarico per scadenza del termine previsto dall’art. 1129 c.c., comma 10, ma anche nel caso di dimissioni dell’amministratore. Se la nomina del nuovo amministratore è contestuale alla cessazione dell’incarico, non può ritenersi operante l’istituto della prorogatio; in tal caso l’amministratore uscente deve solo prodigarsi per consegnare all’amministratore entrante in tempi brevissimi tutta la documentazione. Orbene, dagli atti di causa non risulta alcuna delibera assembleare che abbia provveduto alla nomina di un nuovo amministratore in sostituzione del geom. De Stefano, non manifestandosi, in tal senso, la volontà dei condomini contraria al mantenimento dei poteri gestori in capo al D. In conclusione, alla luce dell’art. 1129, co. 8 c.c. nonché della costante giurisprudenza di legittimità e di merito, il D, benchè abbia comunicato le sue dimissioni nel giugno 2019, riveste la carica di amministratore del Condominio “Il T.” in regime di prorogatio imperii fino a quando l’assemblea dei condomini non provveda alla nomina di un nuovo amministratore; pertanto, ai fini della sussistenza della legittimazione passiva, il resistente D.S. rappresenta ed agisce in nome e per conto del Condominio di via G.F. In relazione all’azione proposta, tenuto conto che la ricorrente agisce quale proprietaria dell’immobile, lamentando la sussistenza di una situazione di fatto che determina un pericolo di danno grave, anche sotto il profilo della probabile evoluzione nel senso della inutilizzabilità in tutto o in parte di tale bene, la domanda va correttamente qualificata come di danno temuto, con la conseguenza che dovrà valutarsi la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 1172 c.c.; essendo sostanzialmente non contestata la sussistenza dei fenomeni lamentati all’interno dell’immobile di pertinenza della parte ricorrente ed essendo invece controversa la loro attualità e l’imputabilità al Condominio resistente, nonché la loro incidenza sulla modalità di godimento del bene, è stato necessario disporre consulenza tecnica d’ufficio; dall’accertamento tecnico espletato, le cui risultanze sono argomentate in maniera del tutto logica e priva di vizi, sono emerse chiaramente le seguenti circostanze: a. l’immobile oggetto di causa è sito alla Via G.F., all’ultimo piano f.t. di un fabbricato, risalente agli anni 70, composto da n. 6 piani f.t., avente una struttura in calcestruzzo cementizio armato ed una copertura con tetto a due falde con relativo manto di copertura in lastre di fibrocemento (c.d. eternit); b. il fabbricato è composto da n. 18 unità immobiliari di cui n. 14 alloggi, n. 2 garage e n. 2 magazzini. L’A.C. è proprietaria di un solo alloggio posto all’ultimo piano assegnato alla Sig.ra M.M. U.I. n. XXXX, identificato al N.C.E.U. al Foglio di Mappa n° XX– P.lla n° XX – Sub XX; c. il fabbricato, in generale, si presenta in pessimo stato di conservazione. I prospetti presentano delle zone in cui l’intonaco è ammalorato, così come anche le parti a vista in calcestruzzo cementizio armato, tipo balconi sono in uno stato di degrado avanzato; il tetto di copertura, realizzato a due falde, presenta un manto di copertura in lastre di eternit. Le lastre, alcune di esse assenti, disconnesse e/o rotte, si presentano ormai degradate e, a causa delle continue infiltrazioni d’acqua, causano notevoli danni all’appartamento dell’ultimo piano di proprietà dell’A.C. e notevoli disagi al nucleo familiare a cui lo stesso è stato assegnato; e. tale immobile, situato all’ultimo piano del fabbricato, presenta evidenti e diffusi fenomeni di infiltrazione che hanno provocato rigonfiamenti, parziale distacco degli intonaci e delle pitture del soffitto, oltre alla formazione di muffe; f. in particolare, tutti i vani dell’immobile, ad esclusione dell’ingresso e dei corridoi (ricadenti per la maggior parte in corrispondenza della linea di colmo del tetto) risultano colpiti dai fenomeni infiltrativi (come evidenziato dal materiale fotografico allegato alla CTU); g. almeno nei vani del salone e della cucina, le condizioni di salubrità degli ambienti sono ben al di sotto dei minimi accettabili, in quanto sono presenti nei soffitti delle evidenti e caratteristiche muffe causate dalla continua umidità, che rende l’aria interna impregnata da un persistente e pungente cattivo odore, che potrebbe peggiorare le condizioni di salute della Signora M.M.;  le cause di queste continue infiltrazioni di acqua nel soffitto interno all’abitazione in questione sono da ricercarsi nelle pessime condizioni del tetto di copertura che presenta un manto di copertura costituito da lastre di eternit in pessime condizioni; i. questa condizione del tetto di copertura provoca, durante gli eventi piovosi, la caduta e l’accumulo di acqua nel sottostante vano intercapedine tra il manto di copertura (lastre eternit) e l’estradosso superiore del soffitto dell’abitazione in causa, che col tempo filtra nella struttura di quest’ultimo impregnandola fino a percolare all’interno dell’abitazione; j. i rimedi atti ad eliminare le cause sono stati descritti alle pagg. 7 e 8 della CTU espletata; k. le infiltrazioni sono risultate attive, tenuto conto di quanto riportato dal tecnico nel paragrafo della relazione dedicato alla descrizione del fenomeno. La deduzione del resistente D.S. in ordine alla necessità che la ricorrente debba rivolgersi ai singoli condomini per la risoluzione dei problemi relativi alle parti comuni, stante l’inesistenza del condominio per il mancato pagamento degli oneri condominiali da parte dei condomini, non può trovare accoglimento, sul presupposto che l’esistenza del condominio, quale ente di gestione unitario e rappresentativo dei singoli condomini, prescinde dalla circostanza del pagamento degli oneri condominiali; infatti, secondo giurisprudenza consolidata (ex multis, Cass. Ordinanza n. 12626 del 2021; Cass. n. 1208 del 2017; n. 26557 del 2017; n. 22856 del 2017; n. 4436 del 2017; n. 16562 del 2015), la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio, accordata dall’art. 1131 cod. civ. nei limiti delle sue attribuzioni in ordine alle liti aventi ad oggetto interessi comuni dei condomini, dà luogo unicamente ad una deroga rispetto alla disciplina generalmente valida per ogni altra ipotesi di pluralità di soggetti del rapporto giuridico dedotto in lite, sopperendo all’esigenza di rendere più agevole la costituzione del contraddittorio nei confronti del condominio, nel senso di evitare la necessità di promuovere il litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini. Il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune. Quanto al fumus boni iuris deve, quindi, ritenersi la ricorrenza dei fenomeni lamentati e la sussistenza del nesso causale tra i medesimi e le condizioni del manto con funzione di copertura, con la conseguenza che dei pregiudizi deve rispondere il Condominio, quale custode del tetto di copertura dell’edificio. Quanto al periculum in mora, ugualmente deve ritenersi positivamente accertato il presupposto, in quanto le infiltrazioni rilevate determinano una costante umidità e formazioni di muffe all’interno dei vani dell’immobile della ricorrente, situazione che, se protratta, nel tempo può determinare danni alla salute di coloro che vi abitano. Deve, quindi, emettersi condanna nei confronti del Condominio resistente ad eseguire l’intervento di rifacimento totale del manto di copertura indicato alle pagg. 7 e 8 della relazione, mentre con riguardo all’intervento per l’eliminazione delle infiltrazioni, dal momento che il medesimo va eseguito esclusivamente sulla porzione di immobile di proprietà della ricorrente, quest’ultima potrà provvedervi autonomamente, ottenendo dal Condominio resistente il rimborso delle relative spese a titolo risarcitorio; le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo; le spese di consulenza tecnica vanno poste definitivamente a carico del resistente; P.Q.M. condanna il Condominio di via G. F. n. 2 alla immediata esecuzione dell’intervento di rifacimento totale del manto di copertura indicato alle pagg. 7 e 8 della relazione tecnica; condanna il Condominio resistente al pagamento delle spese del procedimento in favore della ricorrente che liquida, in € 4.000,00 per compensi ed € 287,00 per spese, oltre spese generali, iva e cpa; pone le spese di CTU definitivamente a carico del Condominio.”

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Fulvio Scarpino

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