All’attenzione dei pratici del diritto si è posta all’attenzione la questione della possibile ricorrenza di anatocismo e usura anche nel credito fiscale, azionato con la cartella esattoriale.
Il tema nasce dalla constatazione per cui normalmente le cartelle esattoriali non indicano i calcoli effettuati dall’ente riscossore per la determinazione degli interessi e questi ultimi sono sempre di importo assai rilevante.
Il percorso argomentativo si comprende ponendo mente ai principi fondamentali del diritto amministrativo, ossia la imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’articolo 98 Cost.
La più accreditata dottrina di diritto tributario (Lupi) ricollega alla motivazione degli atti la funzione informativa del debitore e di garanzia del diritto di difesa di quest’ultimo.
La riprova di questo argomento viene esemplificata nel fatto che per le imposte dirette e per l’imposta sul valore aggiunto, l’atto può riferirsi a una pluralità di elementi del presupposto e può essere motivato da una eterogenea serie di ragioni di fatto e di diritto, la cui mancata enunciazione pone di fatto fuori gioco il diritto di difesa del contribuente (Lupi).
Se così non fosse, prosegue il medesimo autorevole scrittore, bisognerebbe concludere che il contribuente sarebbe obbligato a ricorrere al buio, ossia senza conoscere le ragioni dell’ente impositore, e a rinviare dunque le proprie difese tecniche al momento in cui, oramai a processo avviato, l’amministrazione avesse deciso di indicare le ragioni della rettifica (Lupi).
La motivazione, poi, svolge anche la importante funzione di delimitare in sede contenziosa l’oggetto del contendere, così inibendo alla pubblica amministrazione di far valere altre possibili ragioni della rettifica, diverse da quelle a suo tempo indicate in motivazione (Lupi). In sede contenziosa, pertanto, può discutersi esclusivamente degli elementi del presupposto cui si riferisce l’avviso di accertamento, nel quadro delle ragioni di fatto e di diritto esplicitate dall’atto amministrativo. Il medesimo autore avverte della necessità di distinguere tra motivazione dell’atto amministrativo e prova del credito sottostante, azionato con l’atto.
Mentre la motivazione si risolve nella dimostrazione, ossia con la sequenza argomentativa che si conclude logicamente con la debenza del tributo, la prova del relativo credito richiede uno sforzo ulteriore e maggiore rispetto al mero iter logico, costituito dalla motivazione.
Ciò spiega perché possano essere annullati atti motivati, ma che non offrono in giudizio le prove necessarie a giustificare il credito azionato dall’ente impositore (Lupi).
La motivazione, scrive abitualmente la giurisprudenza, deve contenere l’iter logico-giuridico su cui si fonda la pretesa fiscale (Lupi). Il principio si trova costantemente affermato dalla giurisprudenza.
Un corollario della giurisprudenza che, conformemente all’insegnamento della migliore dottrina, richiede a pena di nullità che l’atto sia motivato, si trae in materia di interessi maturati sul credito tributario.
Un’importante decisione di una corte territoriale ha concluso per la nullità della cartella esattoriale, e dunque per la sua conseguente impugnabilità avanti la competente commissione tributaria provinciale, laddove essa non riporti il resoconto, in forma scalare, della misura dei tassi di interessi annualmente applicati, dal giorno del dovuto alla data di notificazione della cartella stessa.
Ciò in quanto la mancata indicazione del metodo di calcolo degli interessi lede di fatto il diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. Tale decisione di merito deve essere riguardata con la massima attenzione, poiché essa apre un filone di contenzioso potenzialmente inedito per il tema di anatocismo e usura, ossia quello attinente al credito tributario, da discutersi avanti le commissioni tributarie.
In sostanza, usura e anatocismo ben possono verificarsi anche con riguardo al credito fiscale; deve concludersi, come detto, per la nullità dell’atto amministrativo che non indichi come sono stati calcolati gli interessi. La competenza a far valere la nullità della cartella di pagamento è delle commissioni tributarie.
Quanto poi al formante legislativo di settore, l’art. 7, comma 2-sexies, d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazione in l. 12 luglio 2011, n. 106, disponeva che gli interessi devono essere calcolati solo sull’importo dovuto a titolo di imposta.
In particolare, la norma in discorso recita testualmente come segue:
“All’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, dopo la parola: «ruolo» sono inserite le seguenti: «, esclusi le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi»”.
Il successivo comma 2-septies si preoccupa poi di regolamentare il diritto intertemporale, sancendo che il divieto si applica ai ruoli consegnati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 70, ossia la l. n. 106 del 2011: “La disposizione dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, come da ultimo modificato dal comma 2-sexies del presente articolo, si applica ai ruoli consegnati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
La legge ha subito evoluzioni e, in attuazione della delega fiscale contenuta nella l. 23 del 2014, il legislatore ha pensato di reintrodurre l’anatocismo. Il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 159, attuativo della prefata delega fiscale della l. 11 marzo 2014, n. 23, ha eliminato la disposizione (l’art. 13, comma 5, dello schema di decreto legislativo) che, in caso di rateizzazione delle somme iscritte a ruolo, statuiva il pagamento degli interessi sugli interessi e gli interessi sulle sanzioni. Inoltre, l’art. 13, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2013, dispone che “Per gli interessi di mora di cui all’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si applica il tasso individuato annualmente con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate”, così rimettendo la quantificazione del tasso moratorio a una fonte regolamentare che deve prevederne annualmente l’ammontare.
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