Fatto
Nell’ordinanza oggetto di commento, la corte di cassazione ha esaminato una fattispecie di responsabilità medica scaturita a seguito delle complicanze di un parto che aveva visto coinvolta una paziente, che a seguito delle stesse aveva dovuto subire un’isterectomia totale.
In particolare, quest’ultima si era recata presso l’ospedale per partorire e, a causa degli inadempimenti posti in essere dai sanitari che l’avevano assistita, la paziente, pur concludendo il parto e facendo quindi nascere la propria figlia, aveva dovuto subire un’isterectomia totale, dalla quale era derivata la impossibilità per la stessa di avere ulteriori figli.
In considerazione di ciò, la paziente, il proprio marito e la loro figlia neonata (quest’ultima rappresentata dai medesimi genitori) agivano in giudizio nei confronti della ASL locale nonché dei medici e dell’infermiera coinvolti nel parto, chiedendo il risarcimento dei danni subiti in proprio. In particolare, la paziente chiedeva il risarcimento del danno non patrimoniale subito a causa della lesione, mentre il marito e la figlia neonata chiedevano il risarcimento dei danni dai medesimi subiti in via riflessa a causa del fatto che, per l’isterectomia subita dalla paziente, questi ultimi non avrebbero potuto realizzare il programmato contesto familiare composto da più figli.
Il tribunale di Torre Annunziata accoglieva soltanto la domanda formulata dalla paziente danneggiata, condannando sia la struttura sanitaria che i medici e l’infermiera al risarcimento dei danni subiti dalla paziente per la lesione della propria salute; mentre rigettavano le domande formulate dagli altri attori, congiunti della paziente, ritenendo insussistenti i danni riflessi. Gli attori impugnavano, quindi, la decisione dinanzi alla corte d’appello di Napoli, la quale ultima riformava parzialmente la decisione di primo grado, da un lato, rigettando le domande formulate nei confronti dell’infermiera e di alcuni medici e, dall’altro lato, per quanto qui di interesse, accoglieva la domanda risarcitoria proposta dal marito della paziente, liquidando il risarcimento in via equitativa; mentre confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso il risarcimento del danno riflesso a favore della figlia neonata.
Non soddisfatti della decisione, gli attori ricorrevano in cassazione, anche in nome e per conto della propria figlia, chiedendo la riforma della sentenza di appello, per quanto qui di interesse, in ragione di due motivi: in primo luogo, poiché ritenevano errata la decisione della corte di appello di Napoli nel individuare il criterio equitativo per liquidare il danno non patrimoniale subito dal coniuge della paziente danneggiata; in secondo luogo, per non aver riconosciuto la sussistenza di danni riflessi anche a favore della figlia neonata derivati dalla perdita della madre della capacità di procreare e quindi di permettere alla neonata stessa di avere un giorno dei fratelli.
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La decisione della Corte di Cassazione
La corte di cassazione ha accolto parzialmente il ricorso promosso dai ricorrenti, ritenendo infondato il primo motivo, ma accogliendo il secondo.
Per quanto concerne il primo motivo di impugnazione, gli ermellini hanno evidenziato come la decisione della corte di appello di escludere il risarcimento danni a favore del marito, dovuto al turbamento da quest’ultimo subito per aver visto le sofferenze che la moglie aveva avuto a causa delle complicanze del parto, fosse corretta, in quanto i giudici territoriali avevano ritenuto che detto turbamento non fosse di rilievo e di importanza tale da superare quella soglia necessaria perché si possa configurare un vero e proprio danno non patrimoniale risarcibile.
A tal proposito, la corte di cassazione ha ricordato come l’indirizzo pacifico della stessa, ancora da confermare, riconosce che il danno non patrimoniale che deriva dalla lesione di diritti inviolabili della persona può essere risarcito soltanto se ricorrono i seguenti presupposti: (i) l’interesse che è stato leso abbia una rilevanza costituzionale; (ii) che la lesione sia grave, in quanto la stessa supera quella soglia minima di tollerabilità che il soggetto deve sopportare in ragione dei doveri di solidarietà che sono imposti a tutti consociati; (iii) che il danno non sia futile e quindi non si sostanzi semplicemente in un disagio.
Pertanto, essendosi la corte territoriale conformata a tali principi ed avendo accertato, con valutazione di fatto che non può essere disattesa dai giudici supremi, che il turbamento patito dal coniuge non superava la soglia di tollerabilità, gli Ermellini hanno ritenuto che la sentenza di secondo grado avesse correttamente escluso il relativo risarcimento del danno.
Dal punto di vista, poi, della quantificazione del danno rilesso subito dal marito (cioè quello dovuto alla perdita della possibilità di formare una famiglia numerosa a causa della perdita della capacità di procreare della moglie), la corte di cassazione ha confermato la correttezza della decisione di secondo grado che aveva deciso di liquidare in via equitativa detto danno.
Infatti, una volta che la corte di merito abbia accertato la sussistenza di tali danni riflessi attraverso dei criteri presuntivi, secondo la Corte di Cassazione è corretto che la quantificazione di detti danni avvenga attraverso lo strumento equitativo: tale scelta, pertanto, non può ritenersi arbitraria. Il giudice di merito, infatti, non avrebbe potuto tenere conto di circostanze diverse, non provate, per quantificare in maniera diversa il danno riflesso.
La corte di cassazione è poi passata ad esaminare il secondo motivo, che denunciava l’errore della corte territoriale per non aver riconosciuto il danno riflesso subito dalla figlia neonata della paziente danneggiata e legato alla impossibilità per la stessa di avere in futuro dei fratelli, ritenendolo, invece, fondato.
I giudici della corte d’appello di Napoli, infatti, avevano escluso la sussistenza di tale danno, connesso alla perdita di capacità di procreare della madre, ritenendo che non era possibile considerare l’esistenza di un pregiudizio della figlia neonata, derivante dall’impossibilità di accrescere la propria famiglia con dei fratelli, in quanto tale eventualità non poteva ritenersi rientrante nelle aspettative di una neonata.
Secondo gli ermellini, tale ragionamento del giudice di merito è contrario ai principi vigenti in materia, in quanto, se nel giudizio di merito viene accertato che i genitori del neonato avevano un progetto comune di vita volto a realizzare una famiglia più numerosa e viene altresì accertato che tale progetto non è più realizzabile a causa dell’evento di malpractice medica determinato dai sanitari (come nel caso di specie l’isterectomia della madre che impediva alla stessa di avere nuovi figli), deve ritenersi necessariamente che anche la figlia neonata abbia perduto la possibilità di avere uno o più fratelli e quindi di creare il vincolo affettivo che normalmente si crea tra fratelli.
Ebbene, i giudici della corte suprema ritengono che detto legame affettivo sia senza dubbio un valore che viene protetto dalla stessa costituzione (in particolare dall’articolo 29) e pertanto deve essere riconosciuto il risarcimento nel caso in cui tale legame viene perduto a causa della morte di un fratello che sia già nato. Di conseguenza, analogo diritto risarcitorio deve essere riconosciuto anche nel caso in cui venga del tutto preclusa la possibilità per il soggetto di acquisire detto legame affettivo con dei futuri fratelli (che non potranno nascere).
Se questi sono i principi di fondo in cui si muove la responsabilità per lesione del diritto al legame affettivo di un soggetto, secondo gli ermellini, non può avere alcun rilievo il fatto che tale soggetto sia appena nato nel momento in cui la condotta posta in essere dai sanitari ha leso il suo diritto ad avere un legame affettivo con i fratelli. Ciò in considerazione del fatto che l’impossibilità di avere dei fratelli determina comunque un pregiudizio, che si sarebbe manifestato nel corso della vita del neonato.
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