Volume consigliato
Il licenziamento nel settore privatoCon un approccio per quesiti e problemi, si offre una panoramica della normativa in tema di licenziamenti nei rapporti di lavoro privato, le cui disposizioni si sono stratificate e sovrapposte nel tempo in relazione alla natura e alle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, al settore, alla qualifica, alla data di assunzione, alla data di licenziamento, al tipo di rapporto, creando un sistema difficilmente intellegibile per l’operatore. Verrà illustrato come distinguere il licenziamento dalle ipotesi affini, quale forma deve rivestire e per quali motivi si può legittimamente licenziare, con quale procedura e con quale tempistica; come impugnare un licenziamento, attraverso quali adempimenti da compiere prima del giudizio e come evitare le decadenze di legge, come impostare un ricorso avverso un licenziamento illegittimo e quali sono le caratteristiche del rito da seguire. Saranno passati in rassegna i principali vizi che possono affliggere l’atto espulsivo, indicato con quali mezzi dimostrarne la sussistenza, come si riparte l’onere della prova, e, in parallelo, quale tutela è stata accordata dal legislatore al lavoratore nelle diverse e sofferte fasi evolutive della disciplina della materia (legge n. 604/1966, legge n. 300/1970, legge n. 92/2012, D.Lgs. n. 23/2015,D.L. n. 87/2018 ed altre): in particolare, in quali casi viene accordata la reintegra nel posto di lavoro e in quali casi è disposto il risarcimento del danno, nonché le diverse modalità per la sua quantificazione. Per ciascun argomento verrà dato conto dello stato della giurisprudenza sulle principali problematiche solle- vate dalla normativa, anche con riferimento al diritto dell’Unione Europea.Maria Giulia Cosentino Magistrato ordinario, prima ancora avvocato, funzionario del Ministero delle Finanze, borsista al primo corso concorso per dirigenti pubblici della S.N.A.; oggi giudice del lavoro presso la Corte d’Appello di Roma e dal 2016 giudice tributario componente della Commissione Tributaria Provinciale di Roma. Fra il 2012 e il 2016 è stata componente del Comitato Pari Opportunità del Distretto e della Commissione per gli esami di Stato per il conseguimento del titolo di Avvocato. Dopo l’ingresso in magistratura, dal 2001 al 2004 è stata giudice civile a La Spezia; dal 2004 al 2010, fuori ruolo, ha ricoperto l’incarico di giurista esperto per la semplificazione normativa ed amministrativa presso il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri; dal 2008 al 2010, anche Vice Capo del Settore Legislativo per il Ministro per l’Attuazione del Programma di Governo; dal 2010 al 2017 giudice del lavoro presso il Tribunale di Roma. Autrice di numerose pubblicazioni in tema di diritto del lavoro; diritto del pubblico impiego; pari opportunità nella pubblica amministrazione; semplificazione normativa; diritto dell’ambiente e dell’energia. Maria Giulia Cosentino | 2019 Maggioli Editore 22.00 € 17.60 € |
Aspetti generali della libertà di opinione del lavoratore
Il quadro delle tutele della libertà e dignità del lavoratore si completa con la protezione della libertà di opinione. In generale va innanzitutto ricordato il diritto, sancito dall’articolo 1 dello Statuto, di libera manifestazione del pensiero, nei luoghi di lavoro, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme del medesimo Statuto. La norma intende circoscrivere uno spazio di libertà inalienabile del lavoratore, protetto dalla tutela della riservatezza sancita dal successivo articolo 8.
L’ampia valenza protettiva dell’articolo 1 può dispiegarsi in particolare in relazione a quelle libere manifestazioni del pensiero che coinvolgono anche l’impresa (il c.d. diritto di critica verso quest’ultima), rafforzando l’idea secondo cui l’esercizio di diritti fondamentali_se contenuto entro limiti espressivi adeguati e non lesivo, di per sè, dell’onore del datore di lavoro_esclude la rilevanza quale giusta causa di licenziamento del relativo comportamento del lavoratore (in argomento: v. per più ampi svolgimenti: Mazzotta: 1986, 1878 ss e, in giurisprudenza: Cass 1173/86; Cass. 4952/1998 e Trib. Roma 26 giugno 2000).(C.f.r.:Mazzotta “Diritto del Lavoro, ed. Giuffrè, pag. 514 ss).
Riflessioni più specifiche sul diritto di critica
La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni mezzo, garantita a tutti dalla nostra Carta fondamentale all’articolo 21, costituisce uno dei principi cardine di ogni democrazia che si rispetti, al punto da poter essere considerata unità di misura della democraticità di un ordinamento nazionale. Quando, poi, la libera espressione del proprio pensiero si esplica nell’ambito del rapporto e dei luoghi di lavoro (articolo 1 Stat. Lav.) e diventa critica mossa nei confronti delle scelte del datore di lavoro, la sua tutela sopporta non solo il limite del rispetto dei diritti della personalità, e dunque del decoro e della reputazione dell’impresa,a sua volta specificazioni della libertà di iniziativa economica_che possono essere sacrificati solo se la critica persegue un interesse superiore collettivo_ ma anche quelli che dottrina e giurisprudenza hanno definito i c.d. limiti interni al diritto di critica del lavoratore.
Perchè la critica del lavoratore nei confronti dell’impresa o di suoi rappresentanti o superiori gerarchici sia legittima deve avere a oggetto fatti veri, che rispondano ai criteri di veridicità ed oggettività riscontrabile, nonchè pertinenti, coerenti e funzionali allo scopo che la critica stessa persegue, astenendosi da accuse infondate e dai contorni meramente diffamatori (c.d. “principio della continenza sostanziale”) e deve altresì essere esternata per il mezzo di forme verbali o scritte rispettose dei criteri della correttezza e della civiltà, che non contengano, in particolare, espressioni denigratorie o scurrili che risultino offensive e ingiuriose. Il superamento di tali limiti attraverso l’utilizzo di espressioni da parte del lavoratore che minano il c.d. “minimo etico”, attribuendo all’impresa o ai suoi rappresentanti qualità apertamente disonorevoli, espressioni volgari ed infamanti o deformazioni tali da suscitare disprezzo e derisione, ovvero fatti penalmente rilevanti privi di un fondamento di verità, è stato più volte qualificata dalla giurisprudenza una condotta idonea a ledere il rapporto fiduciario posto necessariamente alla base del rapporto di lavoro e porsi, dunque, come giusta causa di licenziamento del lavoratore, autore della critica scorretta (Cass. Civ. Sez. Lavoro 14527/2018) (C.f.r., per tutto: Spataro “Critica del lavoratore fondata? Licenziamento ingiustificato, da www.altalex.com).
Considerazioni finali
Le nuove riflessioni sul diritto di critica, legittimante un licenziamento, che la scorsa volta partivano dall sentenza del 2018 sopra riportata, ora muovono dalla sentenza di Cassazione 18410/2019, la quale ha ritenuto invece ingiustificato il licenziamento se la critica al datore di lavoro muova entro i confini della continenza sostanziale e anche del c.d. “minimo etico”. Più specificamente, come si vede, tuttavia, la critica, anche in questo caso, innanzitutto muove dall’articolo 21 Cost., prima ancora che dalle disposizioni dello Statuto dei Lavoratori e ha, di fatto, molte analogie con altri campi, come la scriminante del diritto di critica e di cronaca, in ambito penalistico, proprio a motivo del principio di continenza. D’altro canto, sarebbe anche difficile vedere nella critica un elemento che leda il contratto, il sinallagma e, pertanto, affinchè vi sia la giusta causa, se tale critica risulti falsa, inveritiera, certamente lederebbe il rapporto di fiducia tra datore e prestatore. Di più: come è dato evincere non a caso la libertà di pensiero è tra le prime norme dello Statuto dei lavoratori. Tuttavia, i richiami normativi e Costituzionali impongono non tanto un raffronto, ma un rispetto di valori, che giocoforza, in diritto, si deve tradurre in un quid che viene a ledere il rapporto di fiducia e, conseguentemente, la causa che da vita al contratto di lavoro. Dunque in quet’ottica vanno analizzate le pronunce sul diritto di critica, tra le quali l’ultima e, precisamente, la pronuncia Cass. Civ. Sez. Lav. 18410/2019.
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