Torna ad occuparsi la terza sezione della Corte, a distanza di alcuni mesi dalla sentenza n.13816 del 2 aprile 2008 della stessa sezione – commentata da questo autore in maniera più estesa su questa rivista del 22/5/08 – delle problematiche afferenti la tutela penale dei c.d.beni immateriali e delle opere dell’ingegno privi del regolare contrassegno Siae, modificandone i presupposti sino ad oggi considerati dalla giurisprudenza per escluderne la sanzionabilità.
Come si ebbe modo di rilevare nel commento alla sentenza appena citata, la Corte allora sfruttò l’occasione per precisare che, “in esito alla decisione della Corte di Lussemburgo (Corte di Giustizia Europea, sentenza 8 novembre 2007 in proc.Schwibbert) il giudice nazionale è tenuto a disapplicare – fino al momento in cui sarà perfezionata la procedura di notifica – la regola interna che impone l’obbligo di apporre sui supporti il marchio Siae in vista della loro commercializzazione, frustrando con ciò il rilievo penale di tutte le norme della legge sul diritto d’autore (n.633/41 e succ.modif.) che prevedono quale elemento costitutivo della condotta tipica l’indispensabile apposizione del contrassegno Siae, atteso che le risoluzioni della Corte di Giustizia Ue vanno necessariamente a ricadere su tutte le disposizioni normative che successivamente all’entrata in vigore della direttiva n.83/98/CEE, hanno introdotto la necessità del timbro Siae per le varie tipologie di supporti”.
Con analoga decisione n. 21579 del 29 maggio 2008, la VII sezione penale della medesima Corte ha inoltre inteso puntualizzare che: “…relativamente ai reati aventi ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, la sola mancanza del contrassegno Siae che non sia stato comunicato dallo Stato italiano alla Commissione europea in adempimento della normativa comunitaria relativa alle “regole tecniche”, nel senso affermato dalla Corte di Giustizia Ce, non può valere neppure come mero indizio dell’illecita duplicazione o riproduzione, essendo ciò inibito dalla inopponibilità ai privati dell’obbligo di apposizione del predetto contrassegno sino ad avvenuta comunicazione (Fattispecie relativa al reato di cui all’art.171-ter comma 1, lettera c) della legge n.633 del 1941 e successive modifiche)”.
In ultima analisi la terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n.35562 del 24 giugno-3 settembre 2008, ha ulteriormente chiarito che: “L’inottemperanza alla procedura di notifica, vanificando l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae, ha come ulteriore e necessitato effetto quello di rendere inefficace ab origine anche la disposizione sanzionatoria dell’articolo 171-bis nella parte indicata, in quanto finalizzata in via specifica ed esclusiva ad assicurare l’effettivo rispetto dell’obbligo”.
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Ribaltando – quanto meno parzialmente – i risultati ermeneutici sino a quel momento raggiunti dalla coeva giurisprudenza, i giudici di legittimità della terza sezione penale hanno invece statuito con la sentenza in commento che: “La decisione della Corte di giustizia della Comunità europea dell’8 novembre 2007 (cosiddetta sentenza Schwibbert) impone la disapplicazione della norma contenente l’obbligo del contrassegno Siae allorché tale elemento lo si utilizza per discriminare la libera circolazione del prodotto, ma non quando lo si valuti come indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, l’illegittima duplicazione”.
La vicenda portata all’attenzione della Corte e oggetto di quest’ultima decisione, della quale se ne riportano alcuni significativi stralci (per completezza vedasi in particolare Guida al Diritto n.44/08), trae origine da un ricorso presentato dal difensore di un imputato di origine nordafricana avverso la sentenza di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 1800,00 di multa, resa nei suoi confronti dalla Corte d’Appello di Catania – confermativa della sentenza di condanna emessa in primo grado dal Tribunale catanese – per avere, in violazione dell’art.171-ter comma 2 della legge 633/41 e successive modificazioni, detenuto per la vendita 280 CD per play station, 395 CD musicali e 925 musicassette abusivamente riprodotti e privi del contrassegno della SIAE.
Il difensore dell’imputato, richiamando la sentenza Schwibbert della Corte di Giustizia della Comunità Europea dell’8 novembre 2007, invocava l‘assoluzione del proprio assistito dal reato in contestazione.
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Nel dirimere la controversia ricorda anzitutto la S.C., in via preliminare, che la c.d. sentenza Schwibbert della Corte di giustizia Ce non può spiegare alcuna efficacia sulla fattispecie normativa contestata al ricorrente (art.171-ter, comma 2), essendo tale decisione riferibile alla disposizione di cui all’art.171-ter, lettera d), nonché alle altre norme costruite sulla condizione dell’apposizione del contrassegno Siae quale elemento necessario per la commercializzazione delle stesse, ma non anche alle violazioni sostanziali del diritto d’autore come l’illecita duplicazione, la vendita o la detenzione al fine di vendita di supporti illecitamente duplicati.
Per tali casi infatti, l’assenza del sigillo Siae potrà assumere una valenza meramente indiziaria, adeguata a comprovare unitamente ad altri elementi l’illecita riproduzione.
Rileva inoltre la Corte, a comprova di ciò, che assai spesso nella prassi dell’attività di repressione dei reati i richiami alla mancanza del predetto contrassegno vengono posti in evidenza non tanto per confutare un’autonoma figura di reato, ma piuttosto per dimostrare l’illecita riproduzione di prodotti o supporti che ne sono privi.
Ecco allora che, seguendo il ragionamento della Corte, in tali situazioni non viene nemmeno in rilievo un problema di disapplicazione della norma, posto che “il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista e quindi la violazione di una norma contenente una regola tecnica, ma la violazione sostanziale del diritto d’autore, ossia l’illecita duplicazione o detenzione di supporti illecitamente duplicati”.
I giudici supremi ritengono pertanto di non poter condividere le affermazioni della precedente giurisprudenza (tra cui anche Cass.pen. 6 marzo 2008, Bouijlaib), secondo cui in seguito alla sentenza c.d. Schwibbert l’assenza del contrassegno Siae resterebbe priva di ogni valenza indiziaria, non esistendo per il privato alcun obbligo di apposizione del contrassegno in parola atteso che, pur essendo stato prefigurato dal legislatore a tutela del diritto d’autore nel suo complesso, non è previsto in tutti i paesi della Comunità Europea e per tale motivo la norma che ne contiene la precettività deve considerarsi quale specificazione tecnica.
Deve invero tenersi in conto che detto obbligo di contrassegno assume nel nostro paese una finalità più semplice e generale: quella di agevolare in maniera incisiva la repressione dei reati in materia di violazioni dei diritti d’autore e favorire, al contempo, la sollecita identificazione dei supporti abusivamente duplicati.
Tale finalità, secondo la decisione in commento, non contrasta affatto con il diritto comunitario non andando ad intralciare la libera e legittima circolazione dei beni immateriali.
Ed ecco perché la sentenza Schwibbert non può comportare la disapplicazione della norma che impone l’obbligatorietà del contrassegno, quando tale elemento lo si utilizzi come indizio per vagliare, nella concorrenza di altri elementi, la illegittima duplicazione, piuttosto che per discriminare la libera circolazione dei prodotti.
Opinando diversamente si finirebbe per disapplicare non solo le disposizioni basate sul predetto obbligo di contrassegno, ma anche tutte le altre norme penali relative alle violazioni sostanziali del diritto d’autore che non siano state in alcun modo segnate dalla pronuncia della Corte di Giustizia.
In definitiva, le norme che fanno riferimento all’apposizione obbligatoria del marchio Siae debbono essere disapplicate dal giudice italiano solamente quando detta apposizione sia valutata come condizione essenziale per la libera commercializzazione de prodotto, posto che solamente in tale evenienza la normativa statale si trova in conflitto con il diritto comunitario, mentre tale conflitto non sussiste quando si tratta di prevenire le frodi o garantire il consumatore.
Il marchio Siae è stato posto infatti anche a tutela dei consumatori, al fine di poter riconoscere i prodotti autentici e differenziarli da quelli contraffatti, nonché al fine di prevenire le frodi.
Dette finalità non contrastano affatto con il diritto comunitario e con le regole tecniche poste dalla sentenza Schwibbert.
Avv.Alessandro Buzzoni
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