Ancora una pronuncia della suprema Corte sul delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte

Cassazione penale, Sez. III, 4 aprile 2006, n. 17071, depositata in Cancelleria il 18 maggio 2006

 

Il reato di cui all’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, secondo cui “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a lire cento milioni, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”, contrariamente a quanto disposto dall’abrogato art. 97, c. 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è configurabile indipendentemente dall’avvenuta effettuazione, ad opera dell’Amministrazione finanziaria, di accessi, ispezioni e verifiche, o dalla preventiva notificazione di inviti, richieste, atti di accertamento o di iscrizione a ruolo.

Pertanto, il delitto in esame si perfeziona con il compimento di atti simulati di alienazione o di altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale delle pretese erariali, anche in mancanza di un’azione esecutiva o di una procedura di accertamento già avviate.*

* A cura di Massimo Sperduti

 

Breve commento alla sentenza

 

La sentenza massimata chiarisce, si spera in modo definitivo, che la configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è subordinata al preventivo esperimento di procedure accertative o esecutive da parte dell’Amministrazione finanziaria, bensì alla idoneità dell’atto simulato o fraudolento a porre in pericolo l’adempimento dell’obbligazione tributaria. Si assiste, infatti, ad una anticipazione della tutela penale rispetto alla previsione contenuta nell’art. 97, c. 6 del d.P.R. n. 602 del 1973.

Tale pronuncia spazza via i dubbi ingenerati dalla decisione, della stessa Corte, del 26 gennaio 2005, la quale aveva stabilito, similmente a quanto previsto dalla disposizione abrogata, che il reato in esame è configurabile ove ricorra, nel caso concreto, “l’esistenza di specifiche procedure di riscossione di imposte dirette sui redditi o sul valore aggiunto”[1].

Una certa dottrina, tuttora, concorda con l’interpretazione appena citata, ritenendo che l’interessato debba essere comunque a conoscenza dell’inizio di una procedura coattiva di riscossione delle imposte non pagate o di azioni accertative intraprese dagli organi dell’Amministrazione finanziaria nei suoi confronti.

Si sostiene, infatti, che sarebbe difficile dimostrare la sussistenza dell’elemento psicologico richiesto dalla disposizione incriminatrice in capo al contribuente allorchè non si sia verificato alcuno di quei “fatti”, previsti dalla disposizione abrogata (accessi, ispezioni, ecc.), che lo abbiano messo in allarme spingendolo al compimento di un atto fraudolento idoneo a rendere vano il recupero del credito da parte dell’Amministrazione finanziaria[2].

Al contrario, altri autori avevano già sposato la tesi più recente della suprema Corte[3], richiedendo, altresì, la preesistenza di un debito tributario rispetto al comportamento fraudolento o simulato posto in essere dal contribuente[4].

In ispecie, alcuni dei predetti autori sostengono che la sussistenza di una posizione debitoria nei confronti dell’erario nel momento in cui vengono portati a compimento gli atti depauperativi del patrimonio costituisca un elemento essenziale ai fini della configurabilità e della delimitazione della portata della fattispecie penaltributaria di nuovo conio; infatti, solo in questa ipotesi l’atto fraudolento realizzato sarebbe dotato di attitudine offensiva nei confronti del bene tutelato dalla norma[5].

Ad una attenta lettura della disposizione in esame non sembrerebbe possibile elaborare dei limiti “temporali” entro i quali la condotta posta in essere dal reo possa essere considerata meritevole di sanzione penale; con ciò si vuole dire che la tutela apprestata dall’art. 11 consiste nel garantire il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria attraverso la stigmatizzazione di tutti quei comportamenti (simulati o fraudolenti) che siano in grado di ridurre o eliminare la garanzia patrimoniale del creditore – Fisco, ivi compresi quelli preordinati all’inadempimento di un debito tributario futuro.

Appare, infatti, evidente che, qualora l’atto di distrazione del patrimonio, idoneo a frustrare la procedura di riscossione coattiva, venga realizzato con la finalità di non adempiere un debito tributario che sorgerà in epoca successiva al compimento del predetto atto, la fattispecie in esame verrebbe comunque integrata.

Si pensi all’ipotesi dell’imprenditore che al fine di non pagare l’Iva o le imposte dirette, sapendo di dover realizzare nei mesi a venire operazioni economiche di una certa rilevanza che dovranno essere fatturate, distragga beni propri attraverso negozi simulati idonei a vanificare le pretese erariali.

Tale conclusione sembrerebbe confortata dalla mancata riproposizione, da parte del legislatore, nella formulazione letterale della norma in esame del termine “dovuti” in relazione alle imposte, alle sanzioni e agli interessi, al pagamento dei quali il reo intende sottrarsi. Ciò significa che gli atti depauperativi possono essere realizzati in un momento in cui, secondo le disposizioni fiscali vigenti, non sia sorta alcuna obbligazione tributaria e, pertanto, l’imposta ancora non sia “dovuta”.

Non appare, quindi, condivisibile l’orientamento secondo il quale “la condotta fraudolenta non sarà punibile ove la stessa venga realizzata prima che sia maturato l’obbligo tributario.”[6]

D’altra parte, in molti casi il contribuente è a conoscenza dell’ammontare delle imposte da pagare ancor prima che decorra, sulla base delle disposizioni tributarie vigenti, l’obbligo di versamento.

Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte, si deve concludere che il reato de quo sussiste anche quando l’obbligo di versamento delle imposte sorga successivamente al compimento degli atti di distrazione preordinati (e idonei, secondo una valutazione ex ante) a rendere inefficace in tutto o in parte la procedura di riscossione coattiva che verrà attivata in conseguenza del mancato adempimento del predetto obbligo.

 

 

Dott. Massimo Sperduti

Rag. commercialista

Revisore Contabile

massimo.sperduti@studenti.unicam.it



[1] Sentenza n. 9251 del 26 gennaio 2005, sez. VI, depositata in Cancelleria il 9 marzo 2005.

[2] In questa direzione Bellagamba G., Cariti G., “I reati tributari”, Milano, 2004, p. 140.

[3] A tal proposito si veda Izzo G., “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”,

in “Il Fisco”, 5 giugno 2000, n. 23, p. 7554 ss.; dello stesso autore, “Equivoci interpretativi sul delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”, in “Il Fisco”, 3 luglio 2006, n. 27, p. 1 –  4209 ss. Inoltre, si vedano Lei M., “Brevi note sull’ambito applicativo del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in “Il Fisco”, 10 luglio 2006, n. 28, p. 1 –  4375 ss.; Tarantini G., Esposito G., “La nuova disciplina dei reati tributari”, Padova, 2000, p. 16; Capello P., “Dolo e colpa nei reati societari, tributari e fallimentari”, in “Enciclopedia”, collana diretta da Cendon P., Padova, 2002, p. 332.

[4] Di Amato A, Pisano R., “I reati tributari”, in “Trattato di diritto penale dell’impresa”, diretto da Di Amato A., Padova, 2002, p. 651.

[5] Lei M., “Brevi note sull’ambito applicativo del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, cit.

[6] Zannotti R., “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in AA.VV., “Diritto penale tributario”, a cura di Musco E., Milano, 2002, p. 219, 220.

Dott. Sperduti Massimo

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