La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13562 del 13/03/2024, ha sancito l’annullamento della sentenza di appello per mancata uniformità al principio di diritto della sentenza di rinvio.
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Indice
1. I fatti
La Corte di appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, emetteva sentenza con la quale confermava la decisione del Tribunale di Milano con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede e al pagamento di una provvisionale di euro 8.000 a favore della parte civile, in relazione al reato di cui all’art. 368 cod. pen., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Avverso tale sentenza, è stato proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi:
– Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 627, commi 2 e 3, 597, commi 1 e 3 cod. proc. pen., con particolare riferimento al beneficio di cui all’art. 163 cod. pen., all’obbligo imposto ai sensi dell’art. 165, primo comma, cod. pen. ed alla statuizione di cui all’art. 539, comma 2, cod. proc. pen. Nello specifico, la Corte territoriale ha ripristinato la statuizione relativa alla provvisionale immediatamente esecutiva nonché l’obbligo imposto a norma dell’art. 165, primo comma, cod. pen., destinato ad incidere in via diretta sul beneficio della sospensione condizionale della pena. Infatti, laddove il pagamento dell’importo liquidato a titolo di provvisionale non fosse stato eseguito entro il termine di un mese dal passaggio in giudicato della sentenza, l’imputato sarebbe stato privato della possibilità di godere del beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. Questo è il risultato della revoca della provvisionale originariamente concessa dal Tribunale e, conseguentemente, del beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. che fu riconosciuto in favore dell’imputato a prescindere dall’ottemperanza all’obbligo imposto ex art. 165, primo comma, cod. pen. La Corte territoriale, insomma, ad avviso della difesa, avrebbe riservato all’imputato un trattamento peggiorativo rispetto alle statuizioni contenute nel provvedimento reso all’esito del secondo grado di giudizio, in palese violazione del divieto di reformatio in peius.
– Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. con riferimento alla mancata ottemperanza al principio di diritto enucleato nella sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di Cassazione in ordine all’art. 368 cod. pen. e, in particolare, alle modalità attraverso cui accertare la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di calunnia.
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2. Annullamento della sentenza di appello per mancata uniformità al principio di diritto del rinvio: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, premette, in relazione al primo motivo, che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che “il divieto di reformatio in peius esplica la propria efficacia anche in sede di giudizio di rinvio, con la puntualizzazione, tuttavia, che, qualora la sentenza di secondo grado sia stata annullata per ragioni esclusivamente processuali, il parametro cui occorre fare riferimento è costituito dalle statuizioni contenute nella pronuncia del primo giudice”.
La ratio di tale principio consiste nel fatto che, nelle ipotesi indicate, non vi è stato il consolidamento di alcuna posizione di carattere sostanziale in capo all’imputato, onde legittimamente il principio del divieto di reformatio in peius va declinato in rapporto a quanto statuito dalla sentenza di primo grado.
Nel caso di specie, invero, all’esito del giudizio di legittimità, la Suprema Corte ritenne necessario annullare la prima sentenza della Corte di appello di Milano, disponendo il rinvio per nuovo giudizio innanzi alla Corte territoriale: ciò è avvenuto per motivi attinenti all’illogicità delle argomentazioni attraverso cui era stata affermata la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di calunnia, cui si aggiunse l’ulteriore errore commesso dai giudici del merito che avevano omesso di rilevare l’inutilizzabilità patologica da cui erano affette le dichiarazioni rese dalla parte civile, ad avviso della Corte, malamente esaminata quale mero testimone nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Viene, inoltre, rammentato che “allorquando la sentenza di secondo grado venga annullata per ragioni diverse da quelle di tipo esclusivamente processuale, il divieto di reformatio in peius va rapportato non già alla sentenza di primo grado, ma a quella di secondo grado, annullata”.
In relazione al secondo motivo, invece, la Corte evidenzia come la sentenza impugnata non solo ometta di uniformarsi alla sentenza di annullamento ma non procede nemmeno ad una nuova valutazione del materiale probatorio al fine di verificare l’attendibilità della fonte.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione afferma che la Corte territoriale aveva in primis il compito di uniformarsi con i principi dettati dalla sentenza di rinvio senza cadere, soprattutto, nella violazione del divieto di reformatio in peius ed, in secondo luogo, di procedere ad una specifica valutazione della credibilità del testimone tenuto conto di tutto il materiale probatorio raccolto, senza limitarsi a registrare solo la diversità delle prospettazioni rese, omettendo, anche in questo caso, di uniformarsi al principio di diritto enunciato in sede di rinvio.
Per questi motivi, la Suprema Corte dispone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
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