In materia di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi, nei casi in cui l’operato della Pubblica Amministrazione sia stato fuorviato dall’erronea o falsa rappresentazione dei luoghi da parte del privato (configurabile anche in presenza del solo silenzio su circostanze rilevanti), non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Nella sentenza qui in esame l’adito G.A. di Milano affronta il tema dell’annullamento d’ufficio, in via di autotutela, di un titolo edilizio.
Sul punto fa proprio l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, piuttosto univoco, secondo cui, in caso di permesso di costruire ottenuto in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto concesso senza che si renda necessaria alcuna ragione particolare di cura del pubblico interesse (T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. I, 12 giugno 2018, n. 574).
Chi presenta un’istanza di autorizzazione ad aedificandum ha l’onere di accludere dati, documenti e misurazioni idonei a dare esatta contezza della situazione dei luoghi con la conseguenza che, ove invece fornisca dati incompleti, non rispondenti alla superficie e al volume impegnati dalla progettata edificazione e comunque tali da fornire una errata rappresentazione dello stato dei luoghi, l’Amministrazione legittimamente interviene sul piano dell’autotutela e annulla d’ufficio il titolo abilitativo già rilasciato.
Pertanto, in materia di affidamento d’ufficio dei titoli edilizi, nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dall’erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (T.a.r. Liguria, sez. II, 10 novembre 2022, n. 940; T.a.r. Campania, Napoli, sez. III, 7 novembre 2016, n. 5141).
Deve poi escludersi che, in capo al privato che abbia scorrettamente prospettato le circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole, possa formarsi una posizione di affidamento legittimo, talché l’interesse al mantenimento in vita del titolo edilizio risulta recessivo di fronte all’interesse pubblico al ripristino della legalità violata (T.a.r. Basilicata, sez. I, 5 novembre 2008, n. 725).
A questo punto si rende necessario il richiamo alla previsione normativa di cui all’art. 19, comma 6-ter, L. n. 241/1990, la quale implica (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, 3 maggio 2019, n. 996) che, in caso di presentazione di una SCIA reputata illegittima, i soggetti che si considerano lesi dall’attività edilizia possano sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’ente locale e, in caso di inerzia di quest’ultimo, esperire l’azione avverso il silenzio ex art. 31 D.Lgs. n. 104/2010 (CPA), posto che, ai sensi dell’art. 2 L. n. 241 cit., la P.A. ha in generale il dovere di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un’istanza di parte mediante l’adozione di un provvedimento espresso, e che, se anche la richiesta di attivazione dell’autotutela non comporta di norma un obbligo di provvedere in capo alla pubblica amministrazione, lo speciale strumento di tutela giudiziale di cui all’ultimo comma dell’art. 19 L. n. 241 cit., ed all’art. 31 CPA, ha carattere di esclusività, con la conseguenza che la mancata conclusione del procedimento avviato con la diffida del privato finirebbe di fatto per privare lo stesso di ogni tutela davanti al Giudice, in palese violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 24, 111 e 113 Cost..
Ed allora, a fronte della denuncia del terzo circa l’irregolarità dell’intervento edilizio oggetto di una SCIA, l’Amministrazione ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo – e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un normale potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere – con una opzione interpretativa che così coniuga in modo equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del terzo, giacché – lungi dal legittimarlo a sollecitare i poteri inibitori senza limiti temporali – gli dà titolo ad attivare il solo potere di autotutela dell’Amministrazione, la quale deve naturalmente tenere conto dei presupposti che danno titolo all’esercizio di tale funzione e, in particolare, dell’affidamento medio tempore ingenerato nel destinatario dell’azione amministrativa, senza tuttavia vanificare le esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le proprie pretese (Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2016 n. 4610).
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Un simile orientamento, come è stato evidenziato (T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, 8 gennaio 2020 n. 18), non viene meno all’indomani della sentenza della Corte costituzionale 13 marzo 2019, n. 45 avendo essa statuito che “Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6 ter sono … quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i 60 o 30 giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6 bis), e poi entro i successivi 18 mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21 nonies). Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue”.
Pertanto, lo spirare del previsto termine di trenta giorni non preclude all’Amministrazione l’adozione delle misure inibitorie della SCIA, nelle forme e nel più lungo termine – dodici mesi – sanciti per i provvedimenti in autotutela dall’art. 21-nonies L. n. 241/1990 (T.a.r. Campania, Salerno, Sez. II, n. 18/2020 cit.);
E così, alla luce del disposto dell’art. 21-nonies, comma 2-bis, L. n. 241/1990, la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 8 novembre 2018 n. 6308) ha osservato che detta norma va interpretata nel senso che il superamento del rigido termine di dodici mesi (ante modifiche introdotte dall’art. 63, I, D.L. n. 77/2021, conv. con mod. dalla L. n. 108/2021 detto termine era pari a diciotto mesi) è consentito:
a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerente ai presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive);
b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente alla mala fede oggettiva) della parte, nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.
Con la precisazione, infine, che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dei provvedimenti sanzionatori in materia edilizia e che, in ogni caso, il termine ragionevole per la loro adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento della sua adozione.
I provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile (l’estraneità agli abusi assumendo comunque rilievo sotto altri profili), applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato (Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 9; da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2023, n. 2705).
Sotto questo profilo non rileva quindi la mancata coincidenza tra il costruttore dell’immobile (preteso autore dell’abuso, anche nei termini di falsa rappresentazione della realtà in sede di istanza presentata alla P.A.) e l’attuale proprietario che abbia acquistato l’immobile in buona fede.
Il Testo Unico dell’Edilizia: attività edilizia e titoli abilitativi dei lavori
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Donato Palombella | Maggioli Editore 2021
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