Secondo la Quinta Sezione del Consiglio di Stato può essere disposta l’esclusione di una concorrente da una gara d’appalto pubblica allorquando la stazione appaltante si avveda che l’impresa in questione si sia resa responsabile di grave negligenza o malafede nell’esecuzione di una precedente commessa, affidatale dalla medesima P.A., in ragione di quanto emerso a seguito di un’indagine penale: all’esito di questa, infatti, il titolare della capogruppo-mandataria dell’associazione temporanea d’imprese, nel frattempo decretata aggiudicataria provvisoria, era stato rinviato a giudizio per i reati di cui agli artt. 355, 356 e 640 c.p..
E’ questo il principio più rilevante espresso dalla sentenza n. 5299/2015, depositata lo scorso 20 novembre.
I Giudici di Palazzo Spada hanno respinto il ricorso proposto in appello avverso la sentenza n. 1183/2012 emessa dal T.A.R. Bari, avanzato da quell’a.t.i., avente ad oggetto il provvedimento, dalla stessa subito, di espulsione dalla procedura ad evidenza pubblica bandita da un Comune pugliese dopo che, all’atto della verifica dei requisiti previsti dall’art. 38 D.Lgs. 163/2006, l’ente locale avesse per l’appunto appurato il coinvolgimento del rappresentante della società capogruppo in quell’indagine, e ciò nonostante fosse passato circa un lustro da quel momento.
La particolarità del caso risiede soprattutto nella qualificazione della condotta presuntivamente illecita, fatta sussumere nell’ambito della lettera f) appena citata: sebbene questa norma, come noto, prevede infatti che debbano essere esclusi dalle procedure contemplate dal Codice dei Contratti quei concorrenti “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante” vale a dire punisce i responsabili di negligenze od imperizie manifestatisi nell’esecuzione del contratto, i Giudici hanno ritenuto che ricadesse nel suo ambito applicativo anche la lesione della fiducia tra P.A. e privato derivante dal rinvio a giudizio all’epoca disposto nei confronti di quel soggetto, che peraltro nel 2014 è stato poi assolto dal Tribunale penale per insussistenza del fatto. Si tenga presente che la lett. c) dell’art. 38 medesimo prescrive invece la necessità di escludere il concorrente nei cui confronti sia stata accertata la responsabilità, con condanna passata in giudicato, relativamente alle condotte passibili di intaccare la c.d. “moralità professionale”, tenendosi altresì conto che “l’esclusione e il divieto (n.d.r. di contrarre con la stazione appaltante) in ogni caso non operano quando il reato è stato depenalizzato ovvero quando è intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima”.
A ciò sono giunti rilevando come l’ampia discrezionalità di cui godono le stazioni appaltanti in simili ipotesi ovverosia allorchè debbano valutare se sia presente l’elemento fiduciario tra i contraenti prescinde da altre considerazioni, come ad esempio quella in base alla quale quel soggetto era solo imputato e, quindi, da ritenersi innocente ai sensi dell’art. art. 27, comma 2, della Costituzione.
Occorre peraltro sottolineare, dato che la circostanza è risultata determinante, come, nel caso deciso con la sentenza in rassegna, i fatti contestati al titolare dell’impresa capogruppo dell’a.t.i. poi estromessa dalla gara, ancorchè ritenuti privi di rilevanza penale, si siano comunque verificati; a maggior ragione, secondo il Consiglio di Stato, il Comune affidante aveva il dovere di vagliare la loro idoneità ad intaccare la propria fiducia, da riporre nei confronti del raggruppamento, cosa che ha condotto l’ente locale ad arrestare la procedura e ad escludere l’offerente.
Ciò detto, la statuizione in commento ha avuto cura di precisare sia la necessità di preservare lo spazio all’interno del quale la stazione appaltante gode di discrezionalità, che è invalicabile dal Giudice salvo il riscontro di attività amministrativa priva di motivazione ovvero palesemente illogica, irrazionale o basata su elementi di fatto erroneamente intesi, sia la diversa caratura che possono assumere i medesimi eventi di fronte al Giudice penale rispetto a quello che da essi può arguire l’Amministrazione in sede di verifica dei requisiti di ordine generale previsti dall’art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici; in tale decisone è dato leggere infatti quanto segue: “Non rileva pertanto che i fatti valutati dall’Amministrazione per addivenire alla decisione di rilevare grave negligenza o malafede nell’esercizio di un precedente rapporto contrattuale tra le parti, se oggetto di indagine penale, siano sub iudice, né che non siano stati oggetto di condanna, poiché ciò che giustifica la scelta di esclusione è solo l’imperizia emersa nel corso dell’attività professionale, che a sua volta ha leso quel rapporto di fiducia nella capacità professionale dell’impresa. La legge non esclude che determinati fatti di rilievo penale, laddove costituenti ipotesi di grave errore professionale, possano essere valorizzati ai fini della sussistenza della causa ostativa di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, indipendentemente dalla astratta configurabilità o meno della causa ostativa contemplata alla precedente lettera c). In altri termini, un determinato fatto penalmente rilevante può essere inquadrato alternativamente o cumulativamente, a seconda del verificarsi dei rispettivi presupposti di legge, all’interno delle due disposizioni normative (lettera c e lettera f), non rinvenendosi nel sistema contrattualistico pubblico alcun divieto alla sussumibilità delle fattispecie di reato nella categoria del grave errore professionale e, per converso, alcuna riserva del penalmente sensibile alla categoria della moralità professionale strettamente intesa. Ne discende che ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, è solo che un determinato fatto, quantunque avente qualificazione penale, possa essere forma di manifestazione di un grave errore professionale, prescindendosi in ogni caso dalla sussistenza di una pronuncia giudiziale passata in giudicato, come è invece previsto dalla precedente lett. c)”.
In altre parole si è sancito che la fiducia che deve necessariamente mantenersi tra le parti può essere irrimediabilmente intaccata anche dalla sola apertura di un’indagine penale rinvenutasi a carico dei soggetti contemplati dall’art. 38 stesso, per quelle fattispecie di reato ivi menzionate, qualora la commissione di quei fatti possa arrivare a costituire una lesione del vincolo fiduciario; la stessa sentenza n. 5299/2015 precisa come “La sussistenza delle circostanze di fatto apprezzate con il provvedimento impugnato non è stata infatti esclusa da detta sentenza penale (n.d.r. quella che aveva poi assolto l’imputato) … sicché ben poteva la s.a. tenerne conto ai fini della emanazione del giudizio circa la sussistenza dell’elemento fiduciario di cui trattasi”.
A nulla sono valsi gli sforzi della concorrente per dimostrare la propria idoneità ad assumere il servizio oggetto dell’appalto di cui, come detto, era stata nel frattempo dichiarata provvisoriamente aggiudicataria.
Sempre secondo la decisione in commento, del resto, “il concetto normativo di “violazione dei doveri professionali” cui la norma in questione fa riferimento abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili “gravi” (Consiglio di Stato, sez. III, 13 maggio 2015, n. 2388) e richiede che la responsabilità risulti accertata e provata con qualsiasi mezzo di prova, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 dicembre 2006, n. 7104) o di un accertamento della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’Amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara. Ai fini dell’accertamento della legittimità del provvedimento di esclusione dalla gara, pertanto, assume rilievo decisivo la circostanza che la stazione appaltante illustri compiutamente le ragioni per le quali – in considerazione dei pregressi rapporti contrattuali – sia venuto meno un adeguato livello di fiducia nei confronti dell’impresa partecipante”.
Ecco quindi che, secondo la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, l’operato del Comune pugliese non poteva considerarsi illegittimo, avendo quest’ultimo adeguatamente motivato la propria decisione di estromettere dalla procedura l’a.t.i. la cui capogruppo è stata ritenuta responsabile di comportamenti, commessi nel corso dello svolgimento della commessa precedentemente affidatale e suscettibili di ingenerare quella carenza di fiducia tra le parti, in mancanza della quale la stazione appaltante deve astenersi dal far svolgere alla compagine sociale medesima il servizio oggetto della procedura di selezione.
Ciò che può essere considerato sufficiente per l’esclusione dell’offerente è pertanto la valutazione da parte dell’Amministrazione sull’accadimento che ha comportato l’incrinarsi del rapporto, sempre che tale conclusione poggi su motivazione plausibile, come enunciato dalla decisione in rassegna laddove si è precisato che “E’ stato quindi non illogicamente ritenuto dalla stazione appaltante che i comportamenti in questione avessero costituito grave inadempimento contrattuale, sotto il profilo della violazione del dovere di diligenza qualificata da un comportamento colposo o doloso, e che fossero idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la s.a.”.
Occorre tenere altresì presente come l’analisi dei fatti compiuta dalla commissione giudicatrice sia connotata da ampia discrezionalità, tanto che il sindacato del Giudice Amministrativo sul punto, come sopra anticipato, è limitato alle eventuali censure di evidenti illogicità od errori di fatti commessi durante la verifica in parola, perché altrimenti si porrebbe in essere un’inammissibile usurpazione da parte del Giudice delle funzioni riservate alla P.A. procedente (in questo senso si vedano ad esempio Cons. di Stato, Sez. V, sent. n. 5063 del 14/10/2014; Cons. di Stato, Sez. III, sent. n. 149 del 14/01/2013).
Si rammenta altresì che in giurisprudenza si rinvengono svariati precedenti deponenti per la legittimità di un giudizio assunto prescindendo dallo svolgimento, in altre sedi, delle valutazioni ivi effettuate: secondo altra sentenza (la n. 943 del 25/02/2015) della Sezione Quinta del Consiglio di Stato “nelle gare d’appalto, ai fini dell’esclusione per gravi motivi o negligenza prevista dall’art. 38 lett. f) D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163, non è, infatti, necessario un accertamento della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’Amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla Stazione appaltante che bandisce la gara, che abbia fatto venir meno la fiducia nell’Impresa (Cons. St., Sez. V, 25 maggio 2012, n. 3078)”; nello stesso senso anche Cons. di Stato, sez. V, sent. n. 4512 del 28/09/2015; T.A.R. Palermo, Sez. II, sent. n. 1335 del 08/06/2015; T.A.R. Napoli, Sez. III, sent. n. 2567 del 08/05/2015.
Nemmeno la risalenza nel tempo delle condotte può giovare a chi ne è stato protagonista, atteso che i Giudici d’appello hanno avuto modo di rammentare come “la normativa comunitaria (n.d.r. l’art. 45, par. 2, lett. d), della Direttiva 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE, riferimento di allora visto che il bando fu pubblicato nel 2010 e quindi ben prima dell’emanazione della nuova Direttiva n. 2014/24/UE) consenta di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali commessi”, indipendentemente perciò dall’epoca in cui sono stati posti in essere.
Da ultimo si evidenzia come il Consiglio di Stato abbia esaminato, respingendola e confermando pertanto anche sotto questo profilo la sentenza di primo grado, la censura con la quale si lamentava l’illegittimità delle funzioni assunte in quel caso da un dirigente del Comune, poiché quest’ultimo aveva dapprima svolto la funzione di presidente della commissione giudicatrice e successivamente, dopo aver accertato la malafede dell’aggiudicataria provvisoria, aveva anche approvato gli atti della commissione medesima; a parere dell’a.t.i. ricorrente le attività compiute ed i ruoli rivestiti sarebbero stati tra di loro incompatibili.
Il rigetto di tali tesi è stato basato sulle considerazioni secondo cui il Collegio, aderendo all’orientamento che ha ritenuto legittimo l’operato di un dirigente comunale il quale sia stato presidente del seggio di gara, responsabile del procedimento ed abbia in seguito anche provveduto ad approvare gli atti della procedura di selezione (Cons. di Stato, Sez. V, sent. n. 2445 del 27/04/2015, citata ed espressamente fatta propria dalla decisione oggetto della presente nota), ha sancito essere conforme al dato normativo una simile evenienza: l’art. 107 del D.Lgs. 267/2000 (Testo Unico delle Leggi sugli Ordinamenti degli Enti Locali) prevede infatti, al terzo comma, che ai dirigenti sono attribuiti “tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente: a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso; b) la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso”, ragion per cui è esente da censure l’aver fatto ricoprire ad un solo dirigente quei ruoli sopra menzionati. Sul punto si è altresì sottolineato, al fine di confermare la legittimità dell’azione amministrativa della P.A., che la ricorrente non aveva dedotto “la sussistenza di interesse personale o professionale del dirigente di cui trattasi”, ipotesi, questa sì, che avrebbe causato l’insorgenza del dovere di astensione da parte del dirigente coinvolto nella questione, trattandosi all’evidenza di una situazione di conflitto di interessi.
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