Il problema giuridico che nella sostanza il Collegio è chiamato a risolvere è quello volto ad accertare se sia o meno irragionevole il disciplinare di gara nella parte in cui ha richiesto, quale requisito di partecipazione, il possesso di un patrimonio netto pari ad almeno € 2.000.000,00.
Sul punto va ricordato che la normativa vigente non preclude alle Stazioni appaltanti la possibilità di chiedere requisiti ulteriori, logicamente connessi all’oggetto dell’appalto. Per cui nel bando di gara l’Amministrazione appaltante può di certo autolimitare il proprio potere discrezionale di apprezzamento mediante apposite clausole, rientrando nella sua discrezionalità la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara d’appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito.
Per quanto più specificatamente concerne il requisito del patrimonio netto – che, a norma dell’art. 2424 cod. civ., è costituito dal capitale, dalle riserve e dagli utili – la giurisprudenza amministrativa ha avvertito che esso costituisce un indice che ben può essere utilizzato per saggiare la capacità economica e finanziaria degli aspiranti contraenti.
Tuttavia, appare al collegio eccessivo, sproporzionato e non congruente in relazione alla finalità perseguita l’importo minimo – pari ad € 2.000.000,00 – del patrimonio netto che le imprese devono possedere.
FATTO
1. Con bando pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata n. 34 del 1 luglio 2006, l’Azienda Sanitaria U.S.L. n. 5 di Montalbano Jonico (d’ora in poi: Azienda) indiceva una gara a procedura aperta per l’appalto del servizio di pulizia e sanificazione nei locali dei vari presidi e distretti dell’Azienda, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per un importo complessivo (per un quinquennio) di € 6.250.000,00.
Il disciplinare di gara richiedeva che, a pena di esclusione dalla gara, i partecipanti dovessero presentare, tra l’altro, << 1.m) dichiarazione di possedere al 31/12/2005 un patrimonio netto di almeno Euro 2.000.000,00>> e prescriveva, altresì, che, in caso di partecipazione alla gara di associazioni temporanee tra imprese, << I requisiti di cui ai punti…1m) devono essere posseduti per almeno il 60% dall’impresa mandataria e/o consorziata (eseguente il servizio) e per almeno il 40% dalle imprese mandanti e/o consorziate (eseguenti il servizio)..>>.
2. Con atto notificato il 12 e 13 settembre 2006, depositato il successivo giorno 23, la Logica Servizi S.r.l., impresa operante nel settore dei servizi di pulizia e sanificazione di ambienti ospedalieri, impugna le riportate previsioni del disciplinare di gara, sostenendo di non essere in possesso del requisito di capacità economica e finanziaria costituito dal patrimonio netto al 31/12/2005 di € 2.000.000,00 e di non poter, pertanto, partecipare alla gara indetta dall’Azienda.
Assume che i requisiti di capacità economica e finanziaria sono già stabiliti dall’art. 13 del D.L.vo n. 157/95, cosicché la previsione dell’ulteriore requisito costituito dal possesso di un patrimonio netto di € 2.000.000,00 al 31/12/2005 si rivelerebbe illogico, irrazionale e sproporzionato in relazione alla natura dell’appalto, oltre che lesivo del principio della libera concorrenza.
Invero, nel settore degli appalti di pulizia, il 90% del fatturato delle imprese esercenti sarebbe costituito da manodopera ed il 5% da macchinari utilizzati per l’attività, e si tratterebbe di voci non ricomprese tra il patrimonio netto aziendale.
Anche la previsione secondo la quale, nel caso di partecipazione alla gara di associazione temporanee di imprese, << I requisiti di cui ai punti…1m) devono essere posseduti per almeno il 60% dall’impresa mandataria e/o consorziata (eseguente il servizio) e per almeno il 40% dalle imprese mandanti e/o consorziate (eseguenti il servizio)..>> rivelerebbe la patente illegittimità del requisito costituito dal possesso al 31/12/2005 di un patrimonio netto di € 2.000.000,00, in quanto indicherebbe il possesso di vincolanti percentuali in ordine al possesso del contestato requisito sì da incidere non solo sul principio di libera concorrenza, ma anche sulla possibilità di liberamente costituire associazioni tra imprese per la partecipazione a procedure ad evidenza pubblica.
3. Per resistere alla presente impugnativa, si è costituita in giudizio, in data 4 ottobre 2006, l’Azienda che, anche con successive memorie difensive del 17 ottobre 2006 e del 28 settembre 2007, ha dedotto l’inammissibilità, l’irricevibilità e l’infondatezza del ricorso.
4. Con atto notificato il 15 giugno 2007 e depositato il successivo giorno 20, ha spiegato intervento ad opponendum la Markas Service S.r.l., nella dichiarata qualità di aggiudicataria della gara in questione, deducendo l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del ricorso.
5. La ricorrente, con memorie depositate il 17 ottobre 2006 ed il 28 settembre 2007, ha ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
6. L’istanza cautelare è stata respinta con ordinanza collegiale n. 345/06 del 18 ottobre 2006, riformata in appello con ordinanza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 257/07 del 16 gennaio 2007.
7. Alla pubblica udienza del 4 ottobre 2007, dopo ampia discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla resistente Azienda nell’assunto che la clausola del bando sarebbe stata impugnata quando era ormai decorso il termine di 60 giorni decorrente dalla data di pubblicazione del bando stesso nel Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata, avvenuta in data 1 luglio 2006.
L’eccezione è priva di ogni fondamento in quanto il ricorso è stato notificato in data 12 settembre 2006 (data della spedizione dello stesso a mezzo posta da parte dell’ufficiale giudiziario all’Azienda), quindi tempestivamente, anche a voler considerare come dies a quo la data di pubblicazione del bando indicata in ricorso (28 giugno 2006), avuto riguardo al periodo (dal 1 agosto al 15 settembre) di sospensione feriale dei termini processuali, tra i quali va certamente ricompreso anche quello per la notificazione del ricorso.
2. Ancora in via preliminare, deve essere affrontata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, sollevata sia dalla resistente Azienda sia dall’interventore ad opponendum, imperniata sul rilievo che la ricorrente non avrebbe mai presentato domanda di partecipazione alla gara.
Anche tale eccezione è priva di pregio.
*****, invero, in merito ricordare che, come è noto, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente chiarito che l’onere di immediata impugnazione del bando di gara è riferito alle clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione perché determinano un immediato arresto procedimentale, cioè alle clausole che comportano la sicura esclusione dalla gara, mentre tutte le altre vanno impugnate insieme con l’aggiudicazione, dal momento che solo in caso d’aggiudicazione ad altri sorge l’interesse del concorrente a impugnare il bando con gli altri atti della procedura (cfr. per tutti Cons. St., Ad. pl., 29 gennaio 2003, n. 1). Pertanto, i bandi di gara, se contenenti clausole immediatamente lesive dell’interesse degli aspiranti, come appunto quella che si riferisce ai requisiti soggettivi di partecipazione, devono essere immediatamente ed autonomamente impugnati, con conseguente inammissibilità sia dell’impugnazione rivolta solo contro il provvedimento di esclusione dalla gara, che costituisce atto meramente esecutivo ed applicativo del bando, sia dell’impugnazione contestuale del bando stesso e dell’esclusione, ove siano decorsi i termini per ricorrere contro il bando medesimo (da ultimo Cons. Giust. amm. Reg. Sic, 27 ottobre 2006, n. 615, e T.A.R. Lombardia, sede Milano, sez. I, 17 gennaio 2007, n. 50, e T.A.R. Piemonte, 16 gennaio 2007, n. 10).
Inoltre, la stessa giurisprudenza ha anche precisato che in caso di impugnazione della lex specialis di gara da parte di un’impresa appartenente al settore coinvolto dalla procedura, che già in base alle prescrizioni del bando (ritenute illegittime) verrebbe esclusa, non è richiesto che tale soggetto sia poi tenuto a presentare domanda di partecipazione alla gara al fine di potere contestare le clausole del bando per lui lesive (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2006, n. 6026, T.A.R. Veneto, sez. I, 8 novembre 2006, n. 3739; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 30 maggio 2007, n. 573).
Con riferimento a tali principi costantemente affermati dalla giurisprudenza, il ricorso deve ritenersi ammissibile perché esso investe una clausola del bando richiedente un requisito di ammissione alla procedura non posseduto dalla ricorrente, cosicché, nella specie, la presentazione della domanda di partecipazione si sarebbe risolta in un inutile formalismo (cfr, tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 8 agosto 2005, n. 4207).
3. Sempre in linea preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla Markas Service con l’atto di intervento e ulteriormente sviluppata nel corso della discussione orale, imperniata sulla omessa impugnazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara, adottato nelle more del giudizio, il che denoterebbe altresì un comportamento acquiescente della ricorrente.
Si tratta, invero, di stabilire se sussistano i presupposti perché si verifichi il fenomeno della caducazione automatica dell’atto invalido per vizio dell’atto presupposto, con conseguente esonero dall’impugnazione dell’atto successivo.
A tal riguardo, la giurisprudenza afferma che quando l’atto finale, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto preparatorio, non ne costituisce conseguenza inevitabile, perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, anche di terzi soggetti, la immediata impugnazione dell’atto preparatorio non fa venir meno la necessità di impugnare l’atto finale.
L’impugnazione dell’atto finale, invece, non è necessaria se, impugnato l’atto presupposto, fra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione –consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti. Tale ipotesi ricorre certamente nella vicenda in esame perché l’annullamento del bando di gara (o di una sua clausola attinente ad un requisito di partecipazione alla procedura) non può non travolgere l’aggiudicazione, sicché la mancata impugnazione di quest’ultima non determina l’improcedibilità del ricorso (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. V., 8 agosto 2005, n. 4207).
4. Così risolte le questioni preliminari, può utilmente passarsi all’esame del merito del ricorso, che è da ritenersi fondato nei termini di seguito precisati.
4.1. Il problema giuridico che nella sostanza il collegio è chiamato a risolvere è quello volto ad accertare se sia o meno irragionevole il disciplinare di gara nella parte in cui ha richiesto, quale requisito di partecipazione, il possesso, al 31/12/2005, di un patrimonio netto pari ad almeno € 2.000.000,00.
Sul punto va ricordato che, come è noto, la normativa vigente non preclude alle Stazioni appaltanti la possibilità di chiedere requisiti ulteriori, logicamente connessi all’oggetto dell’appalto. Per cui nel bando di gara l’Amministrazione appaltante può di certo autolimitare il proprio potere discrezionale di apprezzamento mediante apposite clausole, rientrando nella sua discrezionalità la fissazione di requisiti di partecipazione ad una gara d’appalto diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, salvo però il limite della logicità e ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2006 n. 5377; T.A.R. Puglia, sez. Lecce, sez. II, 12 dicembre 2006, n. 5850; T.A.R. Abruzzo, Pescara, n. 573/07 cit.).
Per quanto più specificatamente concerne il requisito del patrimonio netto- che, a norma dell’art. 2424 cod. civ., è costituito dal capitale, dalle riserve e dagli utili- la giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le altre, T.A.R. Emilia-Romagna, Sez. I, 20 giugno 2003, n. 816; T.A.R. Umbria 23 gennaio 2002, n. 36) ha avvertito che esso costituisce un indice che ben può essere utilizzato per saggiare la capacità economica e finanziaria degli aspiranti contraenti.
Tuttavia, appare al collegio eccessivo, sproporzionato e non congruente in relazione alla finalità perseguita l’importo minimo –pari ad € 2.000.000,00- del patrimonio netto che le imprese devono possedere.
Ed invero, se, come si legge nella nota del 2 ottobre 2006 a firma del dirigente dell’U.O. Provv.to/Economato dell’Azienda resistente (doc. n. 3 della produzione del 4 ottobre 2006), la previsione del requisito in questione è stata dettata dall’esigenza di acquisire un <<…elemento di maggiore garanzia di solvibilità della ditta, tenuto conto che il 90% dell’importo delle fatture mensili afferenti il servizio espletato riguarda i costi della sola manodopera e che i tempi di pagamento, di norma, avvengono non prima dei 90 giorni dalla data di ricezione delle fatture…>>, la suindicata finalità ben poteva essere perseguita con la previsione di un importo, relativo al requisito in questione, sensibilmente inferiore a quello indicato nel disciplinare di gara. Ciò in quanto si trattava di verificare in capo agli aspiranti contraenti il possesso di un ulteriore (rispetto a quelli previsti dall’art. 13 del D.L.vo n. 157/95 e già indicati nel disciplinare di gara) elemento di solvibilità finanziaria, richiesto a garanzia del pagamento delle retribuzioni e dell’acquisto dei materiali necessari per lo svolgimento dell’attività (e, quindi, in definitiva, dell’efficiente prestazione del servizio di pulizia e sanificazione) per il periodo temporale ricompreso tra la data di emissione delle fatture e quella di pagamento delle stesse (a novanta giorni).
D’altronde, come fatto rilevare dalla ricorrente, la previsione di un così elevato importo richiederebbe la produzione di fatturati di rilevante entità (nell’ordine di centinaia di milioni di euro), al fine di acquisire le risorse necessarie per la costituzione di un patrimonio netto di entità pari a quella richiesta dalla lex specialis, posto che, nel settore degli appalti del settore dei servizi di pulizia, il 90% del fatturato è destinato al pagamento delle retribuzioni delle maestranze impegnate nel servizio ed all’acquisto del materiale occorrente.
4.2. Neppure vale a mitigare la sproporzionata entità del patrimonio netto richiesto la previsione della suddivisione del requisito de quo in capo a più soggetti che partecipino alla gara in associazione di imprese, sia perché l’associazione tra imprese è soltanto eventuale e gli aspiranti contraenti devono essere posti nelle condizioni di partecipare singolarmente alle procedure ad evidenza pubblica, sia, comunque, perché la previsione del possesso del requisito di che trattasi in capo alla mandataria nella misura minima del 60% conduce pur sempre alla richiesta di un patrimonio netto (pari ad € 1.200.000,00) di eccessiva e sproporzionata entità in relazione alla peculiare natura dell’appalto ed avuto altresì riguardo alle finalità perseguite dalla stazione appaltante.
4.3. Per le esposte ragioni, in accoglimento del ricorso nei termini dianzi indicati, deve essere annullata la previsione del disciplinare di gara che richiede, quale requisito di partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica, la << 1…m) dichiarazione di possedere al 31/12/2005 un patrimonio netto di almeno Euro 2.000.000,00..>>.
4.4. L’annullamento della suindicata clausola del disciplinare di gara comporta, evidentemente, l’automatica caducazione della previsione –ormai privata del suo indefettibile presupposto- secondo la quale, nel caso di partecipazione alla gara di associazioni temporanee di imprese, il requisito di cui al punto 1 m) deve essere posseduto per almeno il 60% dall’impresa mandataria e/o consorziata (eseguente il servizio) e per almeno il 40% dalle imprese mandanti e/o consorziate (eseguenti il servizio).
5. Le spese di giudizio vanno poste a carico della soccombente Azienda e vengono liquidate, tenuto conto dell’esito del giudizio, nella misura indicata in dispositivo, in favore dei difensori antistatari che ne ha fatto espressa richiesta nella memoria conclusiva.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio nei confronti della Markas Service s.r.l..
P.Q.M.
IL Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il bando di gara in parte qua.
Condanna l’Azienda Sanitaria U.S.L. n. 5 di Montalbano Jonico al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessivi € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre al contributo unificato ed agli altri accessori di legge.
Compensa le spese di giudizio nei confronti della Markas Service S.r.l.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 04/10/2007 con l’intervento dei signori:
***************, Presidente
*******************, ***********, Estensore
*********************, Consigliere
Depositata in Segreteria il 21 novembre2007.
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