Il Capo II del Titolo IV del D. lgs. n. 36/2023, il nuovo Codice dei contratti pubblici, reca i motivi di esclusione degli operatori economici dalle procedure di affidamento dei lavori, dei servizi e delle forniture. Invero, la Stazione appaltante è tenuta a verificare se, in capo all’operatore economico aggiudicatario, sussista il possesso dei requisiti di carattere generale previsti dalla normativa vigente.
Come è noto, la verifica dei requisiti generali in capo ad un concorrente è svolta attraverso l’utilizzo di un sistema digitalizzato, qual è, in particolar modo, il Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico (cd. FVOE), operativo presso la Banca dati ANAC.
La verifica di taluni requisiti generali, tuttavia, non è possibile per il tramite del FVOE, sicché la Stazione appaltante è tenuta ad effettuare i controlli sull’operatore economico attraverso corrispondenza, generalmente via PEC, con altre pubbliche amministrazioni.
Il presente contributo intende analizzare se – e in quale misura – è possibile applicare la disciplina di cui all’art. 17-bis della l. n. 241/1990, in materia di silenzio nei rapporti tra amministrazioni pubbliche, laddove, a fronte di un’istanza di verifica di taluni requisiti generali inoltrata da parte della Stazione appaltante ad una pubblica amministrazione, quest’ultima non trasmetta, nei termini fissati ex lege, alcuna risposta.
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Indice
1. La disciplina del silenzio-assenso
Prima di affrontare la questione di cui all’introduzione del presente contributo, è necessario ripercorrere la disciplina di cui all’art. 17-bis della l. n. 241/1990. Si tratta, invero, di una disposizione introdotta dalla riforma Madia, nel 2015, per regolare gli effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici.
Più nello specifico, l’art. 17-bis, co. 1, stabilisce che «Nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell’amministrazione procedente […]». Disposizione da leggersi in combinato disposto con il comma 2 del medesimo articolo, secondo cui «Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito […]»
In altri termini, l’art. 17-bis, co. 1, regola, tra l’altro, gli effetti del silenzio nei rapporti tra pubbliche amministrazioni, stabilendo come, nei casi in cui la legge prescriva l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta per l’adozione di un provvedimento amministrativo, la pubblica amministrazione competente debba comunicare la propria ostensione entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento. Laddove il termine previsto ex lege non sia rispettato, il successivo comma 2 ritiene applicabile la fattispecie di silenzio-assenso, intendendosi, in tal senso, l’assenso, il concerto o il nulla osta richiesto comunque acquisito, nonostante l’inerzia da parte della pubblica amministrazione competente.
Si tratta di una norma finalizzata ad evitare che il silenzio amministrativo si configuri quale ipotesi di ingiustificato aggravamento del procedimento, di talché in assenza dell’assenso, concerto o nulla osta richiesto dalla legge la pubblica amministrazione procedente non sia in grado di adottare il provvedimento amministrativo di propria competenza.
L’applicabilità del silenzio assenso nei rapporti tra pubbliche amministrazioni ha costituito una novità rilevante nella disciplina generale del procedimento amministrativo, positivamente accolta dalla giurisprudenza. Ed invero, l’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato, con il parere n. 1040/16 del 13 luglio 2016, aveva definito la disposizione di cui all’art. 17-bis della l. n. 241/1990 un «nuovo paradigma» nei rapporti interni tra le pubbliche amministrazioni, che, confermando la natura “patologica” e la valenza fortemente negativa che connota il silenzio amministrativo, completa, utilizzando le parole dei giudici di palazzo Spada, «un’evoluzione normativa che ha progressivamente fluidificato l’azione amministrativa, neutralizzando gli effetti negativi e paralizzanti del silenzio amministrativo, dapprima nei rapporti con i privati […] e ora anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni».
L’art. 17-bis, l. n. 241/1990, prevede un sostanziale limite all’applicabilità del silenzio assenso nei rapporti tra pubbliche amministrazioni: si tratta della fattispecie di cui al co. 4, secondo cui «Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi». In altri termini, quale causa ostativa all’applicazione del silenzio assenso di cui all’art. 17-bis, l. n. 241/1990, il legislatore ha previsto l’ipotesi in cui l’adozione di un provvedimento espresso sia obbligatoriamente prevista dal diritto euro-unitario, sicché, è evidente, non sia possibile, da parte della pubblica amministrazione procedente, proseguire l’istruttoria senza aver acquisito il necessario assenso, concerto o nulla osta, anche in assenza di una risposta dell’amministrazione competente nei termini ex lege.
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2. La rilevanza dei termini nel nuovo codice dei contratti pubblici
Come è noto, l’art. 1 del nuovo Codice dei contratti pubblici, D. lgs. n. 36/2023, introduce, tra i canoni ermeneutici cui le Stazioni appaltanti devono conformarsi nell’attività di gestione delle procedure di gara, il principio di risultato: «Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza».
È evidente, invero, l’intento del legislatore di ridurre (rectius: contenere) i termini di conclusione dei procedimenti di aggiudicazione delle procedure di gara, assurgendo il risultato a principio generale della contrattualistica pubblica, stimolando sia la massima tempestività nell’esecuzione del contratto, sia una scelta della pubblica amministrazione che valorizzi il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo nell’individuazione del contraente.
Non è un caso, infatti, che l’art. 1, All. I.3 del Codice, rubricato Termini delle procedure di appalto e di concessione[1], fissa i termini entro i quali le Stazioni appaltanti sono tenute a concludere le procedure di gara avviate, sia nel caso in cui sia utilizzato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi del comma 1, sia nell’ipotesi del criterio del minor prezzo, secondo il successivo comma 2, salvo «circostanze eccezionali» che, comprovate dal RUP, possano comportare una proroga del termine di conclusione del procedimento. E, ai sensi dell’art. 17, D. lgs. n. 36/2023, «Il superamento dei termini costituisce silenzio inadempimento e rileva anche al fine della verifica del rispetto del dovere di buona fede, anche in pendenza di contenzioso».
Dunque, il legislatore, individuati i termini entro i quali le Stazioni appaltanti devono concludere le procedure di gara avviate, si è preoccupato di disciplinare il caso opposto, ossia il mancato rispetto degli stessi, stabilendo che il superamento si configura quale ipotesi di silenzio inadempimento, tale da rilevare ai fini della verifica del rispetto del dovere di buona fede, principio, anche questo, generale, ai sensi dell’art. 5 del Codice.
Per gli operatori del settore, tuttavia, è nota la difficoltà, talune volte, di concludere le procedure di gara in termini congrui, in quanto il legislatore, nel semplificare, complica[2], rendendo l’attività amministrativa più lenta e non adeguatamente efficiente.
Tale è il caso dei controlli che la Stazione appaltante è tenuta ad effettuare in ordine al possesso dei requisiti generali in capo all’aggiudicatario, ai sensi delle disposizioni di cui al Capo II del Titolo IV del D. lgs. n. 36/2023, che, come è noto, riformulano quanto precedentemente disposto ex art. 80 del D. lgs. n. 50/2016.
Si tratta, invero, di verifiche che, nella maggior parte dei casi, la Stazione appaltante è in grado di effettuare per il tramite del sistema del Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico (cd. FVOE), operativo presso la Banca dati ANAC. Tuttavia, per la verifica di taluni requisiti[3], la pubblica amministrazione opera esternamente a detta Piattaforma, attraverso, principalmente, corrispondenza via PEC con altre pubbliche amministrazioni.
È evidente che la mancata risposta della pubblica amministrazione competente alla richiesta di verifica dei requisiti generali in capo all’aggiudicatario si qualifica quale silenzio della stessa. Ed il problema che ci si pone è se a tale silenzio possa applicarsi la disciplina di cui all’art. 17-bis della l. n. 241/1990. Ossia, in altri termini, ci si chiede se in caso di mancata risposta alla richiesta di verifica dei requisiti generali, la Stazione appaltante possa comunque procedere all’aggiudicazione, ritenendo applicabile al caso di specie l’istituto del silenzio assenso.
3. Il silenzio assenso e la verifica dei requisiti in capo all’aggiudicatario
Il quesito non è di semplice risoluzione.
Invero, la verifica dei requisiti generali in capo all’aggiudicatario è una fase imprescindibile di una procedura di gara, in quanto è atta a verificare l’affidabilità dell’operatore economico a cui si sta affidando l’esecuzione della prestazione contrattuale. È, infatti, una fase particolarmente delicata, insita in un contesto giuridico, quello della contrattualistica pubblica, che, come è noto, si presta particolarmente a fenomeni di natura corruttiva.
È dunque interesse, da parte della Stazione appaltante, condurre correttamente la verifica dei requisiti generali, onde evitare che sia disposta l’aggiudicazione di una procedura di gara nei confronti di un operatore economico che sia sprovvisto dei requisiti richiesti dalla normativa vigente.
Né il precedente D. lgs. n. 50/2016, né l’attuale Codice degli appalti, D. lgs. n. 36/2023, risolvono la questione posta – ossia se, in sede di verifica dei requisiti generali, in caso di mancata risposta dell’amministrazione competente al rilascio delle informazioni necessarie per procedere all’aggiudicazione, si possa ritenere applicabile la disposizione di cui all’art. 17-bis della l. n. 241/1990.
Allora, è evidente che, nel silenzio del legislatore nazionale, la questione posta possa essere risolta solo attraverso una lettura congiunta delle norme che regolano il procedimento amministrativo, ex l. n. 241/1990, le disposizioni in ordine alla documentazione amministrativa, ex d.P.R. n. 445/2000, ed i principi generali di cui al nuovo Codice, ex d. lgs. n. 36/2023.
Ed invero, se, utilizzando le parole del Consiglio di Stato, l’art. 17-bis della l. n. 241/1990 si configura quale «nuovo paradigma» nei rapporti interni tra le pubbliche amministrazioni, non se ne può certo escludere l’applicazione al settore dei contratti pubblici, anche, nel caso di specie, in sede di verifica del corretto possesso dei requisiti di carattere generale in capo all’aggiudicatario.
Ed infatti, come già anticipato, il legislatore nazionale, nell’approvazione del nuovo Codice, ha assurto il risultato a principio generale che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad osservare nell’espletamento delle procedure di gara. È evidente, in tal senso, che laddove il silenzio della pubblica amministrazione competente non sia qualificato quale silenzio assenso e si protragga nel tempo, la Stazione appaltante potrebbe non essere in grado di rispettare quei termini di cui all’All. I.3 del Codice, rientrando, così, nella fattispecie di responsabilità di cui all’art. 17, D. lgs. n. 36/2023.
Né tantomeno può ritenersi ostativo il limite di cui all’art. 17, co. 4, l. n. 241/1990, in quanto, in ordine alla verifica dei requisiti di carattere generale in capo all’aggiudicatario, il diritto dell’Unione Europea non richiede l’adozione di provvedimenti espressi.[1]
Dubbi sussistono, invece, sulla conseguenza di un’eventuale perdita dei requisiti generali da parte dell’aggiudicatario. O, ancora, se la pubblica amministrazione competente risponda in ritardo, a silenzio-assenso già acquisito, con esito negativo sulla verifica dei requisiti generali in capo all’operatore economico.
Alla luce della disposizione di cui all’art. 17-bis, l. n. 241/1990, il silenzio della pubblica amministrazione corrisponde a tutti gli effetti ad (un provvedimento di) assenso, sicché è evidente che la verifica dei requisiti generali può ritenersi correttamente compiuta da parte della Stazione appaltante. In tal senso, laddove venga disposta l’aggiudicazione e successivamente decadono i requisiti generali di cui alla normativa vigente, la conseguenza non può che essere la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 122 del d. lgs. n. 36/2023.
In ordine ad eventuali responsabilità del soggetto che ha disposto l’aggiudicazione, con l’applicazione del silenzio assenso di cui all’art. 17-bis, l. n. 241/1990, può ritenersi applicabile la disposizione di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 445/2000, che esonera da forme di responsabilità le pubbliche amministrazioni e i dipendenti che emanano atti «in conseguenza di false dichiarazioni o di documenti falsi o contenenti dati non più rispondenti a verità, prodotti dall’interessato o da terzi», fatti salvi i casi di dolo o colpa grave.
In altri termini, laddove, a seguito dell’applicazione dell’istituto del silenzio assenso, si ritenga sussistente una causa di esclusione di carattere generale con riferimento all’aggiudicatario, non ricadono, in capo al soggetto che ha disposto l’aggiudicazione, forme di responsabilità, in quanto l’atto emanato è conseguenza tanto dello stesso silenzio assenso, quanto di quanto auto-dichiarato dall’operatore economico in sede di partecipazione alla procedura di gara.
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- [1]
In ordine all’efficacia degli allegati, si veda l’art. 225, co. 16, del Codice, secondo cui «A decorrere dalla data in cui il codice acquista efficacia ai sensi dell’articolo 229, comma 2, in luogo dei regolamenti e delle linee guida dell’ANAC adottati in attuazione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, laddove non diversamente previsto dal presente codice, si applicano le corrispondenti disposizioni del presente codice e dei suoi allegati».
- [2]
Cfr. M. AINIS, La semplificazione complicante, in Federalismi.it, n. 18, 2014, p. 7, dal momento che, secondo l’Autore, «la mutevolezza delle regole è sempre in sé, un elemento di complicazione dei rapporti giuridici».
- [3]
Si veda, a titolo esemplificativo, la verifica di regolarità fiscale in ordine al corretto versamento dei tributi locali da parte dell’aggiudicatario. Come più volte ribadito dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 dicembre 2020, n. 7789; TAR Sicilia Palermo, Sez. III, 23.07.2021, n. 2288), il mancato pagamento dei tributi locali costituisce causa di esclusione dalle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici. Tuttavia, la comunicazione fornita dall’Agenzia delle Entrate (tramite sistema FVOE) non comprende i tributi di riscossione locale (cfr. parere dell’ANAC n. 295 dell’1/4/2020), sicché la Stazione appaltante è tenuta ad effettuare la succitata verifica attraverso corrispondenza PEC con le altre pubbliche amministrazioni locali.
- [4]
Si veda l’art. 88, co. 4 bis, D. lgs. n. 159/2011, secondo cui, decorso il termine di trenta giorni dalla richiesta delle certificazioni antimafia e dalla consultazione delle banche dati nazionali da parte delle Amministrazioni aggiudicatrici, queste ultime possono procedere in ogni caso alla stipulazione del contratto anche in assenza della comunicazione antimafia, configurandosi, così, un’ipotesi di silenzio assenso.
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