Il tema della responsabilità solidale del committente, nei rapporti con l’appaltatore e/o il subappaltatore e rispettivi dipendenti, riveste particolare importanza in considerazione dei mutamenti normativi che si sono susseguiti negli ultimi anni.
Le novità apportate dal Legislatore nazionale, infatti, hanno inciso, in maniera significativa, sulla posizione del soggetto committente di opere e/o servizi, oggi “esposto” a concreti pregiudizi di natura economica quale conseguenza dell’eventuale omesso versamento dell’appaltatore e/o del subappaltatore di stipendi, contributi previdenziali e/o assistenziali.
Il principio della responsabilità solidale del committente nei contratti di appalto e subappalto trae fondamento giuridico dalle norme che seguono:
(i) l’articolo 1676 c.c.[1], che configura la possibilità, in capo ai dipendenti dell’appaltatore, di proporre azione diretta nei confronti del committente “per conseguire quanto è loro dovuto fino alla concorrenza con il debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”;
(ii) l’articolo 29, comma 2, del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (“Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30[2]”) che prevede “salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché’ con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi[3], comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”.
Con riferimento al rapporto fra le su estese norme, appare evidente come il novellato articolo 29 del Decreto Legislativo n. 276/2003 garantisca al lavoratore un regime di tutela sicuramente più favorevole. Si parla, appunto, di principio di responsabilità solidale “senza tetto” del committente, invocabile in un più ampio lasso temporale e da parte di una categoria di soggetti più vasta (includendo anche i dipendenti del subappaltatore) rispetto a quella prevista dalla norma codicistica – suscettibile oramai di un’applicazione residuale, atteso il carattere speciale della norma sopra esaminata – dalla quale si desume che, se al tempo della proposizione della domanda, formulata dai dipendenti, il committente abbia già onorato per intero il proprio debito nei confronti dell’appaltatore – vale a dire abbia corrisposto integralmente il corrispettivo previsto dal contratto d’appalto d’opera o di servizio – nulla più è tenuto a versare ai dipendenti creditori dell’appaltatore e/o subappaltatore.
In breve sintesi, il Decreto Semplificazioni e Sviluppo[4], convertito, dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, in Legge 28 giugno 2012, n. 92 recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” (la c.d. “Legge di Riforma del Mercato del Lavoro”) – riformando l’art. 29 del Decreto Legislativo n. 276/2003 – ha configurato, da un lato, l’obbligo del committente di rispondere, unitamente all’appaltatore e/o ad eventuali subappaltatori, delle inadempienze di questi in ordine ai trattamenti retributivi (ivi incluse le quote di trattamento di fine rapporto maturate dai lavoratori impiegati nell’esecuzione dei lavori e/o dei servizi), ai contributi previdenziali ed ai premi assicurativi, dall’altro il conseguente onere in capo al lavoratore e/o all’istituto di previdenza ed assistenza e/o assicurativo che dovesse intentare un contenzioso giudiziale per il recupero dei predetti crediti, di citare in giudizio, oltre al datore di lavoro inadempiente, anche il soggetto committente – che potrà, comunque, invocare il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore e/o del subappaltatore – configurando, in tal modo, una sorta di “litisconsorzio necessario” tra i vari soggetti coinvolti nella filiera dell’appalto.
In tale impostazione era però – almeno inizialmente – attribuita ai CCNL – sottoscritti dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore – la facoltà di deroga alle disposizioni dettate dall’articolo 29 del Decreto Legislativo n. 276/2003, riconoscendo allo strumento della contrattazione di primo livello la possibilità di definire metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, al fine di prevenire eventuali irregolarità – tramite, ad esempio, un monitoraggio costante e certificato dei suddetti adempimenti retributivi e contributivi – e, conseguentemente, di escludere il rischio della configurazione della responsabilità solidale in capo al soggetto committente.
La novella legislativa ha suscitato, sin da subito, parecchie perplessità in capo ad esperti della materia giuslavoristica in merito alla sua concreta applicazione: non era chiaro, infatti, sulla scorta del mero dato letterale del testo normativo in commento, identificare quale potesse essere il CCNL idoneo a derogare alla disposizione speciale del Decreto attuativo della Legge Biagi: quello delle imprese committenti? (che beneficiano dell’esonero della responsabilità solidale), quello delle imprese appaltatrici? (dal momento che la novella incide sulle posizioni giuridiche riconducibili ai lavoratori assoggettati al CCNL).
Sul punto è intervenuto il più recente Decreto Lavoro[5] cha ha “apparentemente” ristretto la possibilità di deroga al regime di “responsabilità a catena” tramite la sottoscrizione di accordi sindacali, limitando tale facoltà alla sola parte retributiva, con esclusione, pertanto, degli aspetti previdenziali (in altre parole contributi previdenziali e premi assicurativi).
Restando sempre nell’ottica delle modifiche apportate dal Decreto Lavoro, suscita notevoli perplessità “l’immunità” riconosciuta agli enti pubblici, in una evidente esigenza di tutela delle “casse pubbliche”. Escludendo, di fatto, le Pubbliche Amministrazioni – committenti di un appalto pubblico – dalla sfera di applicazione dell’art. 29 del Decreto Legislativo n. 276/2003, la loro corresponsabilità (nonostante alcune pronunce giurisprudenziali abbiano ritenuto applicabile il regime solidale anche nei confronti dello Stato[6] ) si limita a quanto previsto dall’art. 1676 c.c.: ovvero la P.A. risponderà in solido con l’appaltatore – e non con l’eventuale subappaltatore – dei debiti retributivi solo nella misura del corrispettivo pattuito nel contratto d’appalto e non ancora liquidato dall’ente e non, quindi, per l’intero debito retributivo dei lavoratori – non autonomi – coinvolti nell’appalto.
Appare evidente, pertanto, come l’esclusione delle pubbliche amministrazioni tra i committenti solidalmente responsabili costituisce un evidente contrasto con il principio di uguaglianza sancito all’art. 3 della Costituzione vuoi in quanto riconosce una posizione di ingiustificato privilegio alle pubbliche amministrazioni rispetto ai privati (con evidenti distorsioni concorrenziali del mercato), vuoi in quanto pone in una situazione di obiettivo svantaggio il lavoratore occupato nell’ambito di un contratto di appalto stipulato con un committente pubblico.
L’esigenza, tanto sbandierata, di tutelare la finanza pubblica dall’evasione contributiva e fiscale unitamente all’immunità della stessa pubblica amministrazione non hanno fatto altro che riconoscere, indirettamente, priorità alla “tutela” della finanza pubblica rispetto ai diritti dei lavoratori.
Sul fronte lavoristico, inoltre, il Decreto Lavoro ha esteso la solidarietà ex art. 29 del Decreto Legislativo n. 276/2003 anche ai compensi e agli obblighi di natura contributiva e assicurativa dei lavoratori legati da contratti di collaborazione a progetto e/o da vecchi CO.CO.CO., non includendo però i lavoratori autonomi[7]. Ed infatti, la ratio sottesa all’istituto della solidarietà è volta a tutelare i lavoratori per i quali gli obblighi previdenziali e assicurativi sono prevalentemente assolti dal datore di lavoro/committente e, pertanto, non suscettibile di applicazione nei confronti di soggetti – quali architetti, ingegneri – che sono tenuti loro stessi all’assolvimento dei relativi oneri. Una diversa interpretazione condurrebbe ad una inusuale coincidenza tra trasgressore e soggetto tutelato dalla solidarietà, ampliando ingiustificatamente le effettive responsabilità del committente, con evidenti distonie sul piano delle finalità proprie dell’istituto.
L’obiettivo di ricercare un equilibrio tra esigenze di finanza pubblica e di semplificazione degli adempimenti per le imprese si è infranto in sede parlamentare – ne rimane traccia di questo “fallimento” nelle innumerevoli disposizioni di indirizzo contraddittorio che dal gennaio 2012 all’agosto 2013 si sono susseguite – creando, verosimilmente, scetticismo fra gli operatori per i quali è divenuto ancora più importante valutare la convenienza del meccanismo dell’appalto, sul presupposto che – differentemente dall’ipotesi in cui venga impiegato proprio personale dipendente – la regolarità contributiva e retributiva dell’appaltatore e/o subappaltatore fuoriesce dalla sfera di controllo del committente che, ciò nonostante, resta obbligato in via solidale con questi.
[1] L’articolo 1676 del codice civile stabilisce che “Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza con il debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.
[2] Riconosciuto anche come “Decreto attuativo della Legge Biagi”.
[3] Il riferimento ai “trattamenti retributivi” significa che l’appaltatore ed il subappaltatore sono tenuti a garantire ai rispettivi lavoratori dipendenti il trattamento economico e normativo previsto dal relativo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.
[4] Decreto Legge n. 5 del 9 febbraio 2012.
[5] Cfr. art. 9, comma I del Decreto Legge n. 76 del 28 giugno 2013 recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonchè in material di IVA e altre misure finanziarie urgenti”, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99.
[6] Cfr. Corte d’Appello di Torino, Sez. Lav., 8 marzo 2012.
[7] Cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Circolare n. 5 del 2011.
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