Appello con reato prescritto: il giudice può assolvere o decidere sul civile?

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Nel giudizio di appello, se il reato è prescritto, il giudice può assolvere per insufficienza di prove o dichiarare l’estinzione del reato e decidere sulle statuizioni civili con la regola del “più probabile che non”? Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

Corte di Cassazione -SS.UU. pen.- sentenza n. 36208 del 28-03-2024

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Indice

1. La vicenda


Il Tribunale di Siracusa, all’esito di un giudizio ordinario, ritenuta provata la responsabilità penale dell’imputato per il reato ascrittogli (ossia: il delitto di cui all’art. 589 cod. pen.), con il concorso colposo della vittima, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di un anno di reclusione, nonché, in solido con il responsabile civile, al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede, oltre che al pagamento in loro favore di una provvisionale.
Ciò posto, avverso tale sentenza proponevano appello la difesa dell’imputato, le parti civili e il responsabile civile.
In particolare, la difesa dell’imputato eccepiva la nullità della sentenza ex art. 522 cod. proc. pen. assumendo che l’assistito era stato condannato per un fatto diverso da quello indicato nel capo di imputazione e, in ogni caso, nel merito, ne chiedeva l’assoluzione essendo provato che il fatto non sussiste o comunque non costituisce reato; in subordine, sollecitava la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
Le parti civili, dal canto loro, chiedevano affermarsi l’esclusiva responsabilità dell’imputato nella causazione dell’evento dannoso, e la condanna dello stesso all’integrale risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile; in subordine, aumentarsi la somma riconosciuta a titolo di provvisionale, mentre il responsabile civile chiedeva l’assoluzione dell’imputato ai fini degli interessi civili.
La Corte di Appello di Catania, a sua volta, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva l’accusato dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste, con revoca delle statuizioni civili.
Detto questo, contro questo provvedimento proponevano ricorso per Cassazione, ai soli effetti civili ai sensi degli artt. 576 e 622 cod. proc. pen., le parti civili costituite, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione delle regole 6 e 15 del Regolamento internazionale per prevenire gli abbordi in mare (di seguito COLREG) e degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., nonché mancanza o apparenza della motivazione in ordine alla contestazione di colpa specifica attribuita all’imputato, anche in relazione agli argomenti sviluppati nella comparsa conclusionale; 2) motivazione del provvedimento viziata da travisamento della prova e sua manifesta illogica e contraddittorietà, in ordine alla ritenuta insussistenza della colpa generica, sotto il profilo dell’imprudenza; 3) violazione degli artt. 125, comma 3, 129, comma 2, e 578 cod. proc. pen. nonché motivazione mancante o apparente, laddove era stata pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste in luogo della declaratoria di intervenuta prescrizione. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione da parte della Sezione quarta: nel giudizio di appello, se il reato è prescritto, il giudice può assolvere per insufficienza di prove o dichiarare l’estinzione del reato e decidere sulle statuizioni civili con la regola del “più probabile che non”?


La Sezione penale quarta, assegnataria del suddetto ricorso, prendendo atto che il terzo motivo di ricorso, letto nell’ottica della pronuncia della Corte costituzionale n. 182 del 2021, a suo avviso, sarebbe stato fondato perché il giudice di appello, trovatosi di fronte a un reato prescritto, avrebbe dovuto: ai fini penali, valutata l’insussistenza della evidenza  della prova dell’innocenza dell’imputato, concludere per l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione; ai fini civili, valutata la responsabilità dell’imputato in rapporto alla fattispecie dell’illecito aquiliano, applicata la regola di giudizio del «più probabile che non», pronunciarsi unicamente sul diritto delle parti civili al risarcimento del danno, rilevava però, per converso, che il motivo sarebbe risultato infondato qualora si fosse fatta applicazione del principio espresso dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2009 (cioè: la sentenza n. 35490 del 15/09/2009), essendosi la Corte distrettuale attenuta a esso.
Ebbene, a fronte di ciò, siffatta Sezione aveva dunque ritenuto che, per quanto interpretativa di rigetto, la sentenza n. 182 del 2021 costituisce un termine di riferimento non eludibile, perché la soluzione adottata appare comporre in un ragionevole equilibrio i diversi valori in gioco, ponendosi nella linea di tendenza anche normativa di una sempre più evidente distinzione tra azione penale e azione civile (citando Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, e l’impianto complessivo della c.d. Riforma Cartabia), mentre la pronuncia n. 35490, sempre a suo avviso, sarebbe espressione di un diritto vivente per il quale la presunzione di innocenza non è chiamata a svolgere, nell’ambito dei rapporti tra azione penale e azione civile, il ruolo di principio ordinatore, e si inscrive in un contesto culturale che trasmette all’azione civile le regole del giudizio penale in cui è stata ospitata.
Volendosi dunque discostare dal principio enunciato dall’arresto giurisprudenziale sancito in quella pronuncia del 2009, veniva rimessa la soluzione della questione alle Sezioni Unite, prospettata nei seguenti termini: “Se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l’assoluzione nel merito anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell”oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del ‘più probabile che non’”.

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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite


Le Sezioni unite – dopo avere richiamato le ragioni del principio di diritto enunciato nella sentenza n. 35490 del 15/09/2009, constatato come le Sezioni semplici si fossero attenute a siffatto principio e evidenziato come la Sezione rimettente ritenesse invece come quanto postulato in tale arresto giurisprudenziale dovesse essere rivisitato alla luce dell’interpretazione dell’art. 578 cod. proc. pen. operata dalla Corte costituzionale nella sentenza interpretativa di rigetto n. 182 del 2021 – procedevano all’esame della questione sottoposta al loro vaglio giudiziale, ossia se, dalla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 578 cod. proc. pen. operata dalla Consulta, consegua che è precluso al giudice di appello penale, al maturare del termine di prescrizione del reato, l’accertamento a favore dell’imputato dei presupposti per l’assoluzione nel merito nei termini nei quali è stato, invece, ammesso nella sentenza n. 35490 del 15/09/2009.
Orbene, le Sezioni unite postulavano innanzitutto che alla questione dovesse essere data soluzione negativa perché, a loro avviso, non vi era incompatibilità tra le due pronunce.
Premesso ciò, siffatte Sezioni consideravano necessario muovere dal presupposto che la sentenza interpretativa di rigetto del Giudice delle leggi pone un vincolo negativo di interpretazione (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021) nel senso che il giudice a quo non può attribuire alla disposizione di legge la portata esegetica ritenuta non corretta dalla Corte costituzionale, pur restando libero di optare a favore di differenti soluzioni ermeneutiche che, ancorché non coincidenti con quelle della sentenza interpretativa di rigetto, non collidano con norme e principi costituzionali (Sez. U, n. 23016 del 31/03/2004; Sez. U, n. 25 del 16/12/1998, dep. 1999; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995).
Il vincolo negativo posto dalla sentenza n. 182 cit., quindi, per i giudici di piazza Cavour, implica che l’art. 578 cod. proc. pen. non può essere interpretato nel senso che l’accertamento della responsabilità civile da parte del giudice di appello penale, esaurita la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato, equivalga ad affermazione, sia pur incidenter tantum, di responsabilità penale, dal momento che la ratio della pronuncia della Consulta è quella di evitare che, attraverso l’esame del fatto imposto dall’art. 578 cod. proc. pen. ai soli fini delle statuizioni sulla responsabilità civile, si giunga ad affermare de facto la responsabilità penale, così violando il principio di presunzione di non colpevolezza.
La situazione processuale oggetto della pronuncia della Consulta, difatti, riguarda il caso in cui «il giudice dell’impugnazione penale (giudice di appello o Corte di Cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere — in applicazione della disposizione censurata — sull’impugnazione ai soli effetti civili».
Il principio espresso nella sentenza n. 35490 del 15/09/2009 opera, invece, nel caso in cui non sia venuta meno per il giudice dell’impugnazione penale la cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato.
In altre parole, per la Corte di legittimità, l’esigenza di tutela della presunzione d’innocenza nei rapporti tra proscioglimento in rito dall’accusa penale e potere cognitivo del giudice dell’impugnazione sugli interessi civili non si pone nell’ambito applicativo del principio espresso dalla sentenza n. 35490 del 15/09/2009, concernente la possibilità per il giudice penale di privilegiare l’assoluzione nel merito dall’accusa penale sulla declaratoria di prescrizione, con parallela revoca delle statuizioni civili.
Da ciò, per il Supremo Consesso, si trae quindi conferma dal passaggio motivazionale (§ 6.2) della sentenza n. 182 cit. in cui si precisa che la disposizione dettata dall’art. 578 cod. proc. pen. «non opera né nelle ipotesi di proscioglimento nel merito (all’eventuale assoluzione dall’imputazione penale pronunciata dal giudice dell’impugnazione non segue la decisione sul capo civile), né nell’ipotesi di cause estintive del reato diverse dalla prescrizione o dall’amnistia» visto che la sentenza della Corte costituzionale fornisce la legittima esegesi dell’art. 578 cod. proc. pen., che regola il caso in cui «il giudice dell’impugnazione è chiamato a decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili dopo aver dichiarato l’estinzione del reato», lasciando impregiudicato il “diritto vivente” espresso dalla sentenza n. 35490  con riguardo al potere del giudice di appello di applicare l’art. 530, commi 1 e 2, cod. proc. pen. anche in assenza di rinuncia alla causa estintiva.
Il principio desumibile dalla sentenza n. 35490 del 15/09/2009, compatibile con l’interpretazione dell’art. 578 cod. proc. pen. espressa dalla Consulta, per la Suprema Corte, di conseguenza, riconosce, in definitiva, una forma di tutela che, addirittura perché consente di pervenire all’assoluzione, non pone in discussione la presunzione di innocenza, in linea con la giurisprudenza di Strasburgo, secondo la quale gli Stati contraenti, quindi anche la giurisprudenza, possono assicurare un livello di garanzie superiore rispetto allo standard minimo convenzionalmente assicurato.
Ciò posto, a questo punto della disamina, gli Ermellini ritenevano doveroso affrontare il tema dalla prospettiva eurounitaria, sottolineando che, nel testo del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva U.E. 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali), non è prevista alcuna disposizione direttamente funzionale alla tutela dell’interesse della parte civile, in linea con l’impostazione di principio della Direttiva, interamente proiettata al rafforzamento dei diritti procedurali dell’indagato e dell’imputato.
Il Considerando n.16 della Direttiva, invero, fa riferimento al dovere delle autorità pubbliche, ivi inclusa l’autorità giudiziaria, di non presentare l’imputato come colpevole «fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata».
La Direttiva richiama tra l’altro la presunzione di innocenza con riferimento a decisioni giudiziarie diverse da quella sull’accusa penale, ponendo l’accento sull’aspetto ultraprocessuale del principio e, in particolare, sulle modalità espressive alle quali l’autorità giudiziaria deve attenersi in questi casi, al fine di non manifestare il convincimento che la persona sia colpevole.
In merito alla regola probatoria, invece, il Considerando n.22, afferma che «la presunzione di innocenza risulterebbe violata qualora l’onere della prova fosse trasferito dalla pubblica accusa alla difesa», fermo restando che l’art. 6 § 2 della Direttiva, in applicazione di tale principio, prevede che «gli Stati membri assicurano che ogni dubbio in merito alla colpevolezza sia valutato in favore dell’indagato o imputato, anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta».
La Corte giustizia, 28/11/2019, DK, del resto, dal canto suo ha specificato, sia pure ad altri fini, che il «riferimento alla prova della “colpevolezza” di cui all’articolo 6 deve essere inteso nel senso che tale disposizione è volta a disciplinare la ripartizione dell’onere della prova solo in sede di adozione di decisioni giudiziarie sulla colpevolezza» (§ 33), mostrando così di privilegiare la prospettiva di una stretta correlazione tra presunzione di innocenza, regola probatoria e processo penale.
In termini generali, la Direttiva stabilisce che la presunzione di innocenza opera fino a quando non sia stata legalmente provata la colpevolezza (artt. 2 e 3) e che comunque nessuna disposizione della Direttiva potrà essere interpretata in modo da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali assicurati dalla CEDU o da altre previsioni di diritto internazionale o di qualsiasi Stato membro (art. 11).
L’art. 53 della Carta di Nizza, viceversa, rubricato «Livello di protezione», pone in collegamento i principi informatori del diritto dell’Unione Europea, oltre che con i princìpi costituzionali degli Stati membri, con quanto si andrà a dire in materia di protezione della presunzione di innocenza secondo la Corte EDU.
Conclusa la disamina di questa normativa sovranazionale, passando al piano ermeneutico, le Sezioni unite denotavano che nella giurisprudenza della Corte EDU l’art. 6 § 2 tutela il diritto di ogni persona a essere «presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata».
In particolare, tale diritto viene declinato in due modi: endoprocessuale e ultraprocessuale.
Più nel dettaglio, considerata come una garanzia procedurale nell’ambito del processo penale, la presunzione di innocenza impone al giudice di merito o a qualsiasi altra autorità pubblica, tra le altre condizioni, il divieto di formulare dichiarazioni premature circa la colpevolezza di un imputato (Corte EDU, 10/02/1995, Allenet de Ribemont c. Francia, §§ 35-36; Corte EDU, 27/02/2007, Negéak c. Slovacchia, § 88), fermo restando però che, tenuto conto, tuttavia, della necessità di garantire che il diritto protetto dall’art. 6 § 2 sia concreto ed effettivo, la presunzione di innocenza riveste anche un altro aspetto (ultraprocessuale) poiché il suo scopo generale, in questa prospettiva, è dunque quello di impedire che persone che hanno beneficiato di un proscioglimento siano trattate da agenti o autorità pubbliche come se fossero in realtà colpevoli del reato loro imputato (Corte EDU, 12/07/2013, Allen c. Regno Unito, § 94).
Ad ogni modo, ogni volta che la questione dell’applicabilità dell’art. 6 § 2 si pone nell’ambito di un procedimento ulteriore, il ricorrente deve dimostrare l’esistenza di un nesso tra il procedimento penale concluso e l’azione successiva, e tale legame può essere presente, ad esempio, quando l’azione successiva richiede l’esame dell’esito del procedimento penale e, in particolare, quando obbliga il giudice interessato ad analizzare la sentenza penale, effettuare uno studio o una valutazione degli elementi di prova contenuti nel fascicolo penale, valutare la partecipazione del ricorrente a uno o a tutti gli eventi che hanno portato all’accusa, o a formulare osservazioni sulle indicazioni che continuano a suggerire un’eventuale colpevolezza dell’interessato (Corte EDU, Allen, cit., § 104).
Oltre a ciò, era altresì rilevato come sia consolidata nella giurisprudenza della Corte EDU l’interpretazione dell’art. 6 § 2 nel senso della sua applicabilità al giudizio di risarcimento del danno da reato negli ordinamenti nazionali nei quali vi è concomitanza di giudizio su responsabilità penale e diritto al risarcimento del danno (Corte EDU, 25/07/1993, Sekanina c. Austria, § 22; Corte EDU, 21/03/2000, Rushiti c. Austria, § 27; Corte EDU, 20/12/2001, Weixelbraun c. Austria, § 24).
In particolare, nelle cause riguardanti il diritto della vittima al risarcimento da parte dell’imputato prosciolto, la Corte EDU ha ritenuto che la decisione sul risarcimento civile potrebbe implicare l’affermazione di colpevolezza, così creando un collegamento tra i due procedimenti idoneo a rendere applicabile l’art. 6 § 2 alla sentenza sulla domanda di risarcimento (Corte EDU, 11/02/2003, Y c. Norvegia, § 4) mentre, nel caso Corte EDU, 20/10/2020 Pasquini c. Repubblica San Marino, il sintagma «procedimento successivo» è stato riferito anche al giudizio di risarcimento del danno interno al processo penale, spettante, in alcuni ordinamenti nazionali, al medesimo giudice penale competente a dichiarare la prescrizione del reato, sempre a condizione che vi sia un collegamento tra i fatti dai quali ha tratto origine l’accusa e la decisione circa il risarcimento del danno.
Nel dettaglio, su tale assunto, la Corte di Strasburgo ha ritenuto applicabile l’art. 6 § 2 anche nel caso in cui il medesimo giudice che ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale per prescrizione proceda alla decisione circa il risarcimento del danno agli effetti civili.
Orbene, terminato tale excursus giurisprudenziale, si evidenziava come siffatta giurisprudenza sia a fondamento dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata operata dalla sentenza della Corte cost. n. 182 cit., secondo la quale il giudice chiamato a valutare la responsabilità civile da reato, una volta dichiarato prescritto il reato, deve accertare il fatto illecito senza esaminare, sia pure incidenter tantum, la responsabilità penale.
Con la sentenza Corte EDU, 9/03/2023, Rigolio c. Italia, il giudice di Strasburgo (§ 95) ha difatti ricordato ancora che, in materia di rispetto della presunzione di innocenza, il linguaggio utilizzato dall’autorità decidente riveste un’importanza cruciale quando si tratta di valutare la compatibilità con l’art. 6 § 2 della decisione e del ragionamento seguito.
Ebbene, da quanto sin qui esposto, le Sezioni unite giungevano alla conclusione secondo la quale nella giurisprudenza della Corte EDU non si rinvengono, in definitiva, affermazioni di principio dalle quali si possa desumere l’obbligo di applicazione della causa estintiva del reato con prevalenza rispetto alla pronuncia assolutoria all’interno del medesimo processo penale posto che all’azione civile di danno si è fatto riferimento solo per evidenziare l’obbligo delle autorità di non violare l’onore dell’autore del danno, ove prosciolto dall’accusa penale.
Per di più, sempre ad avviso degli Ermellini, la protezione giuridica offerta al diritto di difesa dell’imputato nella sentenza n. 35490 del 15/09/2009 si pone, d’altro canto, in diversa prospettiva rispetto alle garanzie che la Convenzione riconosce in funzione di tutela della presunzione d’innocenza e costituisce esplicazione del potere riconosciuto dalla Corte EDU agli Stati parte di accordare, attraverso il diritto interno, ai diritti e alle libertà che essa garantisce una protezione giuridica maggiore di quella che essa stessa attua (Corte EDU, 18/11/2021, Marinoni c. Italia; Corte EDU, 25/03/2021, Di Martino e Molinari c. Italia, § 39).
Concludendo, per la Corte di legittimità, il principio consacrato nella sentenza n. 35490 del 15/09/2009, che assicura la più ampia tutela del diritto di difesa, non può ritenersi in contrasto con la tutela della presunzione di innocenza.
Invero, se l’intervento della Consulta pone come punto fermo che alla pronuncia di estinzione del reato ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. non possa accompagnarsi, secondo una lettura convenzionalmente orientata della disposizione, l’affermazione, sia pur incidentale, della responsabilità penale dell’autore del danno, la tesi che fa derivare da tale esegesi il ripudio del principio espresso nella sentenza n. 35490 del 15/09/2009, per il Supremo Consesso, finisce per imporre al giudice di appello la mera presa d’atto della causa estintiva, fermo restando che tale ragionamento incorre, tuttavia, nel paradosso di negare, in virtù del principio di presunta innocenza, la possibilità per il giudice di valutare i presupposti dell’assoluzione nel merito, che rappresenta l’obiettivo primario del diritto di difesa.
Le Sezioni unite reputavano che, invece, per le ragioni di non incompatibilità tra la pronuncia della Consulta e quella delle Sezioni Unite in precedenza espresse, il vincolo negativo derivante per l’interprete dalla pronuncia costituzionale non incida sul principio affermato dalla sentenza n. 35490 del 15/09/2009.
Tanto più che l’imputato potrebbe aver scelto di non rinunciare alla causa estintiva confidando nel «diritto vivente» originatosi da tale sentenza e dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che vi ha fatto seguito.
In base alle considerazioni sin qui enunciate, le Sezioni unite formulavano pertanto il seguente principio di diritto: “Nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n.182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito”.

4. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito se, nel giudizio di appello, qualora il reato sia prescritto, il giudice possa assolvere per insufficienza di prove o dichiarare l’estinzione del reato e decidere sulle statuizioni civili con la regola del “più probabile che non”.
Come appena visto, le Sezioni unite propendono per la prima opzione ermeneutica postulando che, nel giudizio d’appello, se il reato si è estinto per prescrizione, il giudice, pur pronunciandosi sulle statuizioni civili, deve comunque valutare la possibilità di un’assoluzione nel merito, anche in presenza di prove insufficienti o contraddittorie, senza limitarsi alla sola dichiarazione della prescrizione.
Ove si verifichi una situazione di questo genere, per effetto di questo arresto giurisprudenziale, ben si potrà quindi chiedere l’assoluzione dell’imputato laddove vi siano prove insufficienti o contraddittorie.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché fa chiarezza su tale tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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