La salute riproduttiva nel mondo
La sentenza della Corte Costituzionale n. 151/2009 si è pronunciata sull’illegittimità costituzionale dei commi 2° e 3° dell’art. 14 della L. 40/2004 sulla Procreazione medicalmente assistita. L’intervento del legislatore, prima di tale pronuncia, è sicuramente criticabile in quanto tocca i diritti della persona. La giurisprudenza, in precedenza, aveva già operato un’abrogazione delle Linee Guida del 2004. La recente pronuncia di legittimità pone dei limiti alla discrezionalità dell’attività medica, ponendo al centro del sistema il consenso del paziente.
La legge suddetta, in questi anni, è stata biasimata molto di più dal punto di vista politico, che tecnico giuridico anche se, come un noto autore ha detto, l’ingresso nella società naturale “famiglia” dell’artifizio cancella il lutto della speranza perduta. Metodica, la disposizione normativa vede la sua ratio in semplici finalità di cura. Permangono i problemi, nonostante la summenzionata pronuncia giurisprudenziale dell’ammissibilità o meno della Fecondazione eterologa e dell’impianto in caso di morte del coniuge donante.
Nel mondo il declino della fertilità è ormai evidente. Nel 1994 viene definita la concezione di salute socialmente riproduttiva. Al contrario, si è solo in presenza di un malessere riproduttivo, inteso come patologia. Molte strutture sanitarie non italiane finanziano completi cicli di procreazione assistita. Tra il 1960 e il 1970, l’indice di fertilità nei paesi sotto sviluppati era tasso 6-7%. Man mano, in ogni parte del globo quest’ultimo si è abbassato: tasso 2,1 % nei paesi sviluppati, 1, 43% Germania, 1, 5 (il più basso) in Spagna. I fattori di rischio sono molteplici : problemi ambientali, attraverso sostanze chimiche che interferiscono con la vita riproduttiva,(Interferenti ormonali: pletore di sostanze che hanno la possibilità di danneggiare la salute riproduttiva. Già segnalati tali agenti nel 1962.
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Essi alterano le situazioni ormonali e sono responsabili di neoplasie, dovute proprio all’utilizzo di pesticidi e diserbanti. Dal 2002 si è registrato un forte calo della procreazione naturale. La fecondazione in vitro e l’iniezione intracellulare hanno aumentato i parti “artificiali”. Altri fattori che hanno portato al calo della fertilità sono stati l’aumento delle malattie trasmissibili sessualmente (250 milioni di casi dal 2002, tra cui molti casi per Chlamydia) e i disturbi alimentari( Anoressia mentale e Bulimia). Là dove c’è una mancanza di cibo,infatti, vi sono dei pericolosi scompensi. E’ importante non privarsi del cibo, né abusarne, in quanto ciò crea seri problemi all’ovulazione.
A questi fattori, si sono aggiunti anche l’aumento dell’età matrimoniale, l’urbanizzazione che, se mal organizzata, aumenta gli indici di sterilità della coppia. La sterilità è definita come incapacità di concepire per un periodo di un anno (Sterilità Primaria) o successivamente alla nascita di un figlio ( Sterilità Secondaria). La fecondazione in vitro è regolata da protocolli di terapie farmacologiche, attraverso l’impianto di più follicoli. Ma, in questo modo, si ottiene un concepimento “sicuro”? Sono possibili diagnosi pre – impianto per segnalare alla futura donna che l’embrione da impiantare è malato?
La procreazione medicalmente assistita tra legge, corte costituzionale, giurisprudenza di merito e prassi medica
Il rigetto delle Linee Guida del 2004 è dovuto a molteplici ragioni. La ratio della legge 40/2004 è meramente ideologica, lo dimostra chiaramente l’art. 1 della stessa, il quale fissa i termini in cui è lecito il comportamento dell’operatore sanitario. E’ consentito solo a coppie sterili ed infertili di utilizzare queste tecniche. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 151/09, ha opposto una serie di limitazioni. Nel 1956, anno in cui ci fu la prima pronuncia, da parte del Tribunale di Roma, circa un caso di procreazione medicalmente assistita, il medico era libero nel suo operare, dovendo seguire solamente le regole dell’arte e dell’esperienza.
Una pronuncia della Cassazione del 1999 si è pronunciata su uno spinoso quesito: Il marito che ha acconsentito alla fecondazione eterologa può disconoscere il bambino? Questa pronuncia sosteneva di si. In seguito il Tribunale di Cremona si è pronunciato diversamente su un caso analogo. Il Tribunale di Roma nel 2000 aveva stabilito che la maternità surrogata era lecita e possibile. La legge 40/04 rappresenta uno “sfavor” per la pratica della procreazione medicalmente assistita, con il divieto di fecondazione eterologa. In tal caso, in Germania, in caso di disconoscimento di paternità da parte del coniuge prima non dissenziente, che è considerato lecito, lo stesso deve contribuire al suo mantenimento.
Il seguito, il Tribunale di Catania (caso isolato) stabilì che le diagnosi pre – impianto dovevano essere vietate. Nel 2004 il Tar Lazio annullò le Linee guida, quando precedentemente i tribunali di Cagliari e di Firenze le avevano disapplicate. Sentenza 151 / 09: Riduzione nel massimo di tre di embrioni da impiantare (Si sottolinea che non tutti e tre posso attecchire e non posso essere impiantati contemporaneamente per il rischio di parti plurigemellari) .
Pur nonostante la riduzione embrionale è vietata, in quanto conduce ad una pratica abortiva, in alcuni casi contraria ai disposti della L. 194/78 sull’aborto. Il non attecchimento, inoltre, provoca altre situazioni lesive per la donna, come l’aumento di rischi di patologie e un pregiudizio della donna e del feto, con rischi, come precedentemente detto, di gravidanze plurigemellari. La novità della sentenza rispetto alla legge è che si possono produrre più embrioni ed il medico decide quanti impiantarne, valutando una serie di condizioni, decidendo quali crioconservare. PROBLEMA: Compatibilità del disposto dell’ultima riga della sentenza 151/09 con la legge sull’aborto – “L’impianto deve essere effettuato il prima possibile senza pregiudizio per la salute della donna.”
Il contratto di procreazione medicalmente assistita: alcuni aspetti problematici
La legge non menziona mai il contratto di procreazione assistita, pur essendo lo stesso un “tipico” contratto a prestazioni corrispettive, con un soggetto che versa una somma di danaro per ricevere una prestazione, in questo caso medica. All’inizio tale contratto è stato annoverato “erroneamente” nel contratto a prestazioni corrispettive, poi inquadrato nel classico contratto “atipico”, lecito perché persegue fini meritevoli. Con tale accordo l’autonomia dei contraenti, però, era limitata, in quanto i principi fondamentali, regolanti il suo contenuto erano dettati dalla L. 40/04. Da tali contratti derivano oneri di prestazioni e obblighi per la struttura sanitaria e divieti alla prestazione del richiedente.
Il momento di perfezionamento del contratto è dato dalla sottoscrizione del modulo del consenso informato. La forma veniva disposta dettagliatamente dalla legge summenzionata e dalle linee guida. Ma l’atto non tollera condizioni. E’ un contratto puro? La forma è ab sub stantia da cui deriva una tutela del figlio, dei suoi interessi futuri, non soltanto, quindi, volto, in tal modo, a tutelare i diritti del richiedente. PROBLEMA: Affidamento della gestante. Analogia con la promessa di matrimonio, prevista dalla Costituzione, in quanto, anche qui, ci si obbliga ad indennizzare le eventuali spese sostenute al non revocante. Dopo la fecondazione la volontà del richiedente non è più importante, un eventuale revoca sarebbe nulla. A tutela del diritto costituzionale alla salute, disposto dall’art. 32, la madre non può revocare, quindi,ma non può essere obbligata all’impianto.
Bisogna valutare, certamente le esigenze della madre, ma in caso di revoca ingiusta la stessa deve indennizzare il non revocante e la struttura sanitaria, al contrario, ella è giustificata e il suo comportamento non porta a nessuna conseguenza negativa. La legge 40/2004 ha finalità terapeutiche, lo stesso articolo 1 dispone indirettamente che vi hanno accesso alla stessa determinati soggetti per finalità specifiche, tra cui non vi è lo scopo di far generare figli sani. Il dettato normativo non precisa come accertare queste situazioni di sterilità ed infertilità, dimostrata solo dalle dichiarazioni degli interessati.
Dalle linee guida si evince che nel caso di sterilità primaria basti un atto medico specializzato, mentre nel caso di sterilità secondaria un attestato di un medico abilitato. La legge vieta l’utilizzazione di queste tecniche per fini eugenetici e la sentenza n. 151/09 non ha modificato la parte sull’imprevedibilità della patologia e le conseguenze. I requisiti soggettivi a)Adottabilità b) Consenso informato. Colmare le deficienze informative dei richiedenti, essendo informati non solo dei rischi etici, ma anche giuridici e delle possibili alternative (adozione, conseguenze portanti alla crioconservazione).
L’informazione in questione, ovviamente, si riferisce anche ai costi. I richiedenti devono essere maggiorenni (capacità d’agire piena) coppie (diritto alla bigenitorialità desumibile dalla legge sull’adozione L 184/83, art. 30 Cost.; Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, Legge sull’affido condiviso 55/2004). La dottrina, per non contrarietà all’art. 3 della Cost, include tra i soggetti legittimati anche il minore emancipato. Per scelta del legislatore non è ammessa la rappresentanza, ex art. 1387 c.c.; né il potere di tutore e amministratore di sostegno, in quanto si tratta di atti personalissimi.
Tale tecnica è vietata anche per coloro che sono di ugual sesso. Il medico, in generale, sulla base della propria discrezionalità, può vietare l’accesso, in caso di situazioni di incompatibilità. Inoltre, è vietata la fecondazione post – mortem.La ratio è ravvisabile nel fatto che la procreazione non è solo un fatto biologico, ma anche fonte di trasmissione di valori, attraverso l’istruzione e l’educazione del nascituro da parte di entrambi i genitori. Essa, inoltre è permessa per le coppie coniugate o conviventi, in quanto il legislatore, nel primo caso confida nella stabilità del matrimonio.
Per le coppie conviventi, invece, vi è un’assenza di disciplina e, quindi, ci si basa solo sulle dichiarazioni rese dalla coppia di fatto, non tralasciando il requisito necessario della non occasionalità del rapporto (dal concepimento fino alla nascita), data da indici di vita, come la coabitazione e l’organizzazione dell’esistenza familiare. Non sono stati posti limiti di tempo come all’adozione (3 anni). La struttura può, per giustificati motivi medico – sanitari,dopo aver valutato anche i dati “formali” dei richiedenti, non potendo entrare nel merito. I richiedenti, dal loro canto, possono presentare ricorso per motivi di mera illegittimità.
Quando l’embrione è malato, ad esempio, la struttura può rifiutare l’impianto, in quanto è in ballo la salute della madre. Il concepito è un soggetto di diritto, ma non ha la piena capacità giuridica, e la sua tutela avviene indirettamente, attraverso la volontà della madre, il cui diritto alla salute prevale, rispetto a quello alla vita dell’embrione, in quanto soggetto di diritto già venuto ad esistenza. Per quanto riguarda la patologia di tale contratto, la mancanza dei requisiti tassativi, posti in essere dalla legge 40/04,pone la nullità del contratto. Si ammette, in più, la risoluzione del contratto, secondo le norme del codice civile, e l’art. 14 della legge 40/04 sulla crioconservazione ammette una risoluzione per impossibilità della prestazione contrattuale.
Famiglia e procreazione medicalmente assistita: Rapporti genitoriali e parentali, nonché status filiationis
Le linee guida del 2008, integrative di quelle del 2004, lasciano intendere che, rispetto alla procreazione per via naturale, quella medicalmente assistita, che comporta un consenso informato, che giustifichi le eventuali ragioni della terapia, che vi è una maggiore responsabilità dei genitori, per un’eventuale trasmissione delle malattie ai figli. In questo modo il bene della vita giustifica anche, da un lato, il “diritto a non nascere”. L’art. 1 della legge 40/4004, disciplinante i diritti dell’embrione, potrebbe legittimare una valutazione del diritto a nascere o a nascere sani. Non sono stati negati i diritti dell’embrione, il quale oggi esiste nella sua fisicità evidente ed autonoma.
L’embrione rappresenta una vita indipendente dal grembo materno, in quanto dotato di propria soggettività e diritti. Vi può essere l’applicazione di alcune norme della filiazione biologica a quella artificiale. Bisogna valutare caso per caso .Il capo terzo dell’art. 8 della legge prevede lo status dei figli nati da fecondazione omologa. Lo status giuridico di un figlio nato attraverso la tecnica della procreazione assistita è sufficientemente indicato, secondo la dottrina, nell’art. 6: figlio legittimo. A tale contesto possono sicuramente applicarsi gli art. 231 e 232 c.c.,disponesti rispettivamente la presunzione di paternità e di concepimento. Il ricorso alla P.M.A vanifica l’art. 235, in quanto è omesso, da parte della legge, il disconoscimento nel caso di tradimento o impianto effettuato ad insaputa del marito.
Per quanto riguarda l’elemento probatorio, la domanda fonda sull’art. 3 della legge (ammissibilità delle prove genetiche). L’art. 233 c.c. prevede che sarà ammesso il disconoscimento solo nei casi tassativamente previsti dall’art. 235 c.c. Il concepimento secondo le tecniche della P.M.A coincide con il rito della gestazione e con quello successivo dell’impianto.
Dopo il 300esimo giorno può verificarsi un’ipotesi d’impianto post – mortem. Cosa fare? L’art. 1 della legge in esame tutela anche il concepito, nonostante la morte del marito, prevedendo l’impianto, che può essere ammesso anche in caso di ritardo dovuto ad una malattia temporanea della donna. Ma la L. 40/2004 riconosce una terza categoria di figli? La dottrina maggioritaria sostiene di no, disponendo che essi sono figli legittimi, in caso di matrimonio, figli naturali riconosciuti ,in caso di convivenza. Nel caso di un mancato consenso o espresso in maniera difforme dalla coppia in precedenza, si impedirebbe di assumere al nato lo status previsto dall’art. 8.
La procreazione eterologa: poche norme, molti interrogativi
Procreazione eterologa significa che la coppia accede alla PMA o per scelta o per necessità, attraverso l’utilizzazione di gameti altrui. Il divieto di procreazione eterologa comporta problemi riguardanti segreti familiari e maggiori rischi per l’identità genetica. La legge 40/04 dispone che la suddetta tecnica è vietata, che la coppia, in caso di adozione della stessa, non è vietata. Inoltre, è vietato il disconoscimento ed è vietata l’impugnazione del riconoscimento in caso di difetto di 263 c.c. L’art 9 dispone che la madre non può essere nominata e che il donatore di gameti non ha nessuna relazione con il concepito.
Le sanzioni, come sopra suddetto, non colpiscono la coppia, ma il medico responsabile per l’impianto. La criticità è che il consenso prestato dalla coppia fa si che gli stessi non possano operare il disconoscimento di paternità (riconosciuto solo in caso di coabitazione o impotenza) o l’impugnazione ex art. 263 c. in caso di adulterio. E cosa viene detto circa il figlio? Del figlio non è detto nulla, quindi, in via teorica, egli potrebbe impugnare.
Nella coppia convivente il problema è che il potere d’impugnazione viene attribuito a chiunque abbia interesse. Il convivente può anche non riconoscere il figlio. Tale disciplina aumenta due fenomeni: a) procreazione all’estero b) Procreazione clandestina. Il nato può sapere chi sono i suoi genitori biologici. La legge non lo disciplina come per l’adozione in cui il legittimato, compiuti 25 anni, il genitore, anche prima per gravi motivi. Il donatore di gameti, al contrario, può chiedere di non essere menzionato. Perché la coppia non viene sanzionata? E perché al seconda comma dell’art. 9 la sanzione è minore per gli omosessuali?
Il problema della soggettività del concepito alla luce dell’art. 1 della legge 40/2004
L’art. 1 della L. 40/4004 ultimo comma prevede la soggettività del concepito. Tutto tace a livello giurisprudenziale e dottrinale ma, anche se non vi è una connessione evidente tra concepito e embrione non si posso certamente negare diritti a quest’ultimo. Una sentenza del Tar Lazio del 21 gennaio del 2008 ha statuito che, anche se non vi è una definizione di embrione nella legge, l’equazione tra quest’ultimo e concepito è evidente.
Ormai, con l’incostituzionalità dei commi 3° e 4° dell’art. 14 della legge, da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 151/09,si discorre pacificamente di un bilanciamento di interessi posto alla base della discussa normativa. Con tale provvedimento giurisdizionale si è posta una deroga al principio generale della crioconservazione, aprendosi una profonda crepa tra i principi costituzionali e quelli propri della disciplina codicistica.
Un’accreditata tesi dottrinale afferma con forza la soggettività del concepito, affermando che la capacità giuridica si dilata fino a coinvolgere la fase pre-natale. Un’altra tesi dispone che la nozione di concepito si ridimensiona, attraverso una parità di trattamento con il nato, comportando la necessità di prevedere una tutela minima (art. 2). Ovviamente permane una non equivalenza del diritto alla vita e alla salute della madre e quello alla salvaguardia dell’embrione in quanto, in caso di necessità, si sacrifica quest’ultimo, non considerato ancora “soggetto di diritto venuto ad esistenza”.
La Cassazione, con sentenza n. 10741/09 ha previsto una responsabilità del medico e della struttura sanitaria nei confronti della madre e del nascituro malformato, disponendo che non avrebbe avuto diritto al risarcimento quest’ultimo, qualora si trattasse dell’esistenza per il concepito di un diritto a non nascere. La soggettività giuridica rappresenta una concezione più ampia di quella espressa dalla capacità giuridica delle persone fisiche, dovuta al fatto della non coincidenza tra soggetto e persona. Una chiara espressione è data dagli enti collettivi.
Il nascituro risulta titolare di alcuni interessi sostanziali, come il diritto alla salute e all’identità personale acquisendo, quindi, lo status di soggetto di diritto. Pertanto l’attribuzione della soggettività non da più la possibilità di definire l’embrione come cosa. Non sussiste più, in definitiva, un frazionamento del ciclo pre – embrione/embrione. La tutela del concepito avviene attraverso i criteri della dignità e dell’umanità, ravvisabili non solo nell’art. 1 della Convenzione di Oviedo, ma anche nel Protocollo Aggiuntivo del 1988 il quale vieta la clonazione riproduttiva di esseri umani, non dimenticandoci sul capitolo dedicato alla dignità presente nella Carta di Nizza e le Convenzioni americane, che stabiliscono un limite di tempo al divieto.
In Germania vi è una legge a tutela degli embrioni, che sanziona l’uso illecito degli stessi. La giurisprudenza tedesca mostra, pur tuttavia, una flessibilità della legge. In Francia, la legge 653 del 1994 qualifica il concepito come essere umano e ne impone il rispetto sin dall’inizio. Ma, in caso di scelta tragica si ricorre alla soppressione di embrioni o gli stessi vengono destinati alla ricerca? Nella legge 40/2004 vengono sanzionati entrambi e nulla si dice su un loro uso lecito.
Ancor’ oggi vi è un conflitto tra libertà del concepito e il diritto della madre a non sottoporsi a trattamenti pre-natali. Tesi A) neanche per gravi esigenze del feto si può obbligare ad un trattamento pre – impianto la madre. Tesi B) La madre non ha un diritto potestativo. E’ necessario un bilanciamento tra la posizione primaria della gestante e il diritto alla salute del concepito. Un’importante sentenza del Tribunale di Palermo del 29 dicembre del 1998 ha disposto che in caso di morte del padre, è legittimo proseguire con i tentativi di inseminazione, in quanto è preferibile la sopravvivenza dell’embrione, piuttosto che la sua distruzione.
Il problema degli embrioni residui
Gli embrioni residui sono quelli che rimangono dopo che si è proceduto all’impianto e quest’ultimo ha avuto un buon esito. Problematiche: 1) Quanti e quali sono gli embrioni che possono essere impiantati? 2) E’ possibile una revoca ed un rifiuto dell’impianto? 3) Il medico, per fondati motivi, a causa dell’impossibilità oggettiva dell’impianto, può non procedervi. (Vuoto legislativo su una possibile alternativa). Il legislatore conosce il problema e dispone una sorta di censimento degli embrioni crioconservati (art. 17 L 40/2004).
Ma perché porre un limite di tre embrioni, visto che non si sa se e quanti daranno esito positivo? Perché non impiantarli tutti? La Corte Costituzionale, con questa ultima sentenza, ha sottolineato che, in base al criterio di ragionevolezza, per l’impianto, bisogna tener conto delle caratteristiche della donna. Inoltre, la legge 40/2004 rinvia alle linee guida del 2008, considerate fonte regolatrice delegata, la sorte degli embrioni sovrannumerati.
L’art. 1 della disposizione normativa in esame stabilisce i diritti dell’embrione, indipendentemente dal suo impianto, costituendo ciò un’assoluta novità. L’art. 17 della legge 40/04 stabilisce le modalità e i termini della crioconservazione, quando non si vogliano sopprimerli. In tale caso si pongono non solo questioni etico-giuridiche, ma anche di costi, predisposti in appositi capitali di spesa. La sentenza 151/09 elimina il limite dei tre embrioni e l’impianto unico e contemporaneo. Permane, a questo punto, il problema della quantità. L’art. 13 stabilisce, inoltre, limiti alla ricerca sugli embrioni rimasti. Allora, a questo punto ci si chiede: Cosa farne?
La diagnosi preimpianto dell’embrione: problemi interpretativi e responsabilità
La questione della diagnosi pre – impianto è ancora aperto. La dottrina risalente coglie nella legge l’intento univoco del legislatore di tutelare in modo assoluto l’embrione, anche a discapito diritti costituzionalmente garantiti alla madre. L’art. 13, 2° comma, della legge 40/04, secondo la dottrina, vieterebbe ciò, statuendo che lo stesso costituisce uno strumento per selezionare gli embrioni sani e separarli da quelli malati. In seguito, accertato lo stato di salute dell’embrione, ci interroga sulle finalità eugenetiche dello stesso (Causa: Nazismo). Forse, alla luce degli orrori del passato, sarebbe più giusto ridefinire il termine “eugenetica” , suddividendola in positiva( da evitare) e negativa (da preferire, per evitare eventuali trasmissioni di malattie geneticamente trasmissibili al nascituro).
La diagnosi pre- impianto fonda le sue radici sull’autodeterminazione della coppia e su diritto della donna a salvaguardare il suo sviluppo psico-fisico. Il tribunale di Bologna, con una sentenza del 2009, ha ammesso, eccezionalmente, alla tale strumento una coppia interessata da sterilità secondaria o successiva. Il tribunale di Cagliari, nel 2005, aveva negato l’accesso, a coppie in tali situazioni, statuendo che l’accesso contrastava con l’interesse psico-fisico della donna. Già il Tribunale di Cagliari, prima di quello di Bologna, aveva ammesso la coppia alla diagnosi pre – impianto, sulla scorta degli art. 13 e 14, 5° comma, della legge 40/04, disponendo, inoltre, che la donna ha il diritto di sapere quanti e quali sono gli embrioni sani.
Precedentemente alla sentenza della Consulta, n. 151/09, anche il Tribunale di Firenze, con tre ordinanze, aveva disposto l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, 2° e 3° comma. La sentenza n. 151/09 fissa due principi cardine da seguire nella pratica della procreazione medicalmente assistita. Essi sono ravvisabili in: a) Centralità del medico b) Tutela della salute della donna. Alcuni autori sostengono che il provvedimento della Corte, in via meramente interpretativa, legittimerebbe la diagnosi pre-impianto. Altri sostengono che la legge, nonostante tale intervento, rimanga invariata. La giurisprudenza di legittimità e di merito, invece, sostiene il contrario.
Procreazione medicalmente assistita e responsabilità medica
Il medico può, in base alla supremazia attribuitagli dall’ultima sentenza della Corte Costituzionale, assistere la donna in questo percorso di vita, ma può anche, per motivate e gravi ragioni, rifiutarsi di sottoporre la paziente all’impianto. E’ dato certo che egli, ormai, sia garante dei diritti del concepito e che la sua eventuale responsabilità si fondi sugli art. 2, 3 e 32 della Costituzione. Inoltre, si aggiungono alle altre fonti costituzionali.
L’art. 31, 2° comma, che tutela,secondo un orientamento, non solo la maternità, ma anche il suo accesso. Il legislatore, nella legge 40/04, ha previsto due tipi di sanzioni a carico del medico: a) Amministrativa b) Disciplinare. Inoltre, le fonti civilistiche di tale responsabilità sarebbero da ravvisarsi negli art. 1176, 2° comma, c.c., che prevede la diligenza qualificata del professionista, e l’art. 2236 c.c., riguardante la prestazione d’opera professionale. Si stabilisce, inoltre, che in caso di utilizzo della procreazione medicalmente assistita, il consenso deve essere prestato dalla coppia in ogni stadio del procedimento in corso. In caso il medico non chieda il consenso degli interessati e, comunque, proceda a tale tecnica invasiva, potrebbe essere sottoposto ad una sanzione amministrativa ma, l’art. 12 della legge non prevede ciò.
Tale sanzione, però, secondo la dottrina più accreditata, vi sarebbe anche in caso di mancanza di consenso con esito positivo dell’impianto. Inoltre, se la coppia non viene informata dello ius poenitendi potrebbe ottenere un ristoro ,magari mediante sanzione amministrativa, da applicarsi al sanitario? E’ importante sottolineare, per rispondere a tal quesito, che la tecnica, una volta iniziata, giunta ad un certo punto, diviene irrevocabile.
Ovviamente, occorre ribadire che tutte le sopravvenienze, intervenute nel corso del trattamento, non assumono rilevanza ai fini della responsabilità medico -sanitaria. In molte sentenze del Tar viene affermata una responsabilità oggettiva a carico del sanitario. B) La sanzione disciplinare è prevista dal Codice deontologico medico in via facoltativa. Forse tra i compiti dell’operatore sanitario vi è anche quello di dare un indirizzo alternativo agli embrioni residui, autorizzando, magari l’impianto dell’embrione “solo” in un’altra coppia.
La responsabilità della struttura
La struttura sanitaria può essere responsabile esclusivamente o solidalmente con il medico, per eventuali deficienze organizzative della prestazione. La legge 40/04 indica alcune strutture autorizzate a tale tipo di trattamento dalle Regioni e inserite da un apposito elenco. Tra queste vi sono le ASL, le aziende private, le cliniche universitarie e le case di cura private. La giurisprudenza tratta in maniera organica tutte le strutture, indipendentemente dalla loro natura giuridica, in quanto sia le pubbliche, sia le private incidono in ugual modo sul diritto alla salute. Il rapporto tra le aziende ospedaliere e il paziente è di natura contrattuale, essendo la stessa obbligata ad effettuare la prestazione su richiesta del “cliente”.
Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinari sono concorsi nel ritenere sussistenti gli effetti protettivi del nascituro e del padre in caso di errore medico rilevato durante la gestazione. In caso di non esatta diagnosi pre- impianto il risarcimento è dovuto solo ai genitori, perché il nato non è legittimato a causa del non riconoscimento del diritto a non nascere se non sani. Pertanto il rapporto contrattuale, inquadrato nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale del medico, è stato oggetto di feroci critiche: a) Il dolo o la colpa grave sono espressione di una responsabilità personale, non organica. b) L’ambito di operatività è più ampio. c) La giurisprudenza ha precisato che tale riferimento vale solo per prestazioni medicalmente tipiche e che tale rapporto è autonomo, in quanto affiancato all’obbligo principale della prestazione sanitaria.
Quindi, la struttura può rispondere anche se non vi è stato un errore medico. L’errore medico ha portato alcuni ad affermare che l’azienda sanitaria è responsabile direttamente, in virtù di un rapporto organico con il medico, ed altri a sostenere la sua responsabilità indiretta, ex art. 1228 c.c. Affinché vi sia un rapporto organico, è sufficiente che l’ente abbia poteri di vigilanza e controllo del medico, inserito nella sua struttura, e che quest’ultimo non operi per la stessa occasionalmente.
La giurisprudenza, in tal contesto, ritiene applicabile l’art. 2043 c.c., applicabile anche quando materialmente la donna non ha individuato l’autore dell’illecito. Il Decreto legislativo 196/03 rinvia alla disciplina dell’art. 2050 c.c. il caso di errata trattazione di dati nelle cartelle cliniche, invece, per quanto riguarda il prelievo del liquido dal follicolo non con attrezzature idonee, spetta all’ente sanitario dimostrare che l’evento è dovuto al caso fortuito o ad ipotesi di imprevedibilità ed eccezionalità.
Una sentenza a SS.UU. della Suprema Corte, precisamente la n. 13533/01, ha disposto che il paziente dovrà provare il contratto e il sorgere di nuove patologie, allegando la necessaria documentazione, mentre la struttura sanitaria, solidalmente o meno con il medico, dovrà dimostrare l’infondatezza del fatto, dimostrando che, anche se quest’ultimo c’è non è a se imputabile. Pertanto, il termine di prescrizione decorre dal momento in cui il danneggiato abbia conoscenza della malattia.
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