Lineamenti essenziali dell’istituto della collazione
La divisione ereditaria ha per oggetto, normalmente, il relictum.
Nel caso però che esistano eredi, che siano discendenti o coniuge del de cuius, nel patrimonio da dividere rientrano anche i beni donati ad alcuno di tali coeredi (detti: collatizi), con la sola eccezione di quelle donazioni escluse dalla legge o dalla espressa dispensa del donante.
La collazione, prevista dall’art. 737 del codice civile, impone infatti al coniuge ed i ai discendenti – che rivestano la qualità di eredi – di conferire tutto ciò che hanno ricevuto in donazione dal de cuius.
Presupposti della collazione sono:
– che vi siano più eredi;
– che almeno uno di loro sia stato beneficiato dal de cuius con una donazione;
– che non vi sia nella legge, o non sta stata fatta dal de cuius, dispensa della donazione dalla collazione.
L’effetto pratico della collazione è che tutti i beni donati agli eredi collatizi vanno ricondotti nella massa dei beni comuni, per poi procedersi alla divisione in proporzione delle rispettive quote legittime o testamentarie.
Volume consigliato
L’eredità giacente
La trattazione delle questioni legate alla giacenza dell’eredità presuppone l’esame di alcune problematiche di carattere generale, che il Legislatore e gli operatori cercano di risolvere con l’applicazione delle norme in materia.La questione della situazione che si crea tra il momento dell’apertura della successione e l’accettazione non è evidentemente risolta dalla regola per la quale l’effetto dell’accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione. Invero, la finzione della retroattività, al pari della attribuzione dei beni, in assenza di eredi allo Stato (art. 586 cod. civ.), non elimina le questioni poste dalla vacanza di un titolare del patrimonio che possa compiere atti gestori, e nei confronti del quale possano essere esercitate le pretese dei terzi.Il presente volume, con un serio approccio di studio, ma senza trascurare l’aspetto pratico, vuole essere uno strumento per il Professionista che si trovi a risolvere questioni ereditarie in cui manchi, seppur temporaneamente, un titolare, con tutte le problematiche che ne derivano, nel tentativo di tutelare gli interessi del proprio assistito, sia esso erede, legatario o creditore del defunto.Giuseppe De MarzoConsigliere della Suprema Corte di Cassazione, assegnato alla I sezione civile e alla V sezione penale; componente supplente del Tribunale Superiore delle Acque; componente del Gruppo dei Referenti per i rapporti con la Corte Europea dei diritti dell’uomo; autore di numerose monografie e di pubblicazioni giuridiche, ha curato collane editoriali; collabora abitualmente con Il Foro italiano.
Giuseppe De Marzo | 2019 Maggioli Editore
24.00 € 22.80 €
Viene dibattuta, anche se ai soli fini teorici, la giustificazione della collazione: mentre c’è chi ha ricondotto la scelta del legislatore alla tutela di un superiore interesse familiare[1], sembra preferibile l’opinione secondo la quale, con la collazione, il legislatore tende ad assicurare quella che normalmente è la volontà del testatore: quella, cioè, di considerare le donazioni fatte ad alcuno dei discendenti od al coniuge come una semplice anticipazione (in acconto o a saldo) dell’eredità, e non come un’attribuzione preferenziale.[2]
L’esempio più evidente di tale modo di pensare sono le attribuzioni fatte per l’avvio del figlio ad un’attività produttiva o professionale, o per il pagamento dei suoi debiti: si tratta di spese cui il genitore, di regola, provvede non già perché intenda preferire il figlio beneficiario rispetto agli altri, ma per dargli un acconto sull’eredità, di cui questo ha un concreto ed attuale bisogno (e che presumibilmente avrebbe dato agli altri, con la medesima generosità, se anche quelli si fossero trovati nella stessa situazione).
L’attribuzione dei beni, da ridistribuire per effetto della collazione, non avviene in parti necessariamente uguali, ma in proporzione delle rispettive quote.
Mancando ogni distinzione legislativa tra i due casi, deve infatti affermarsi la operatività della collazione non solo nel caso di successione legittima, ma anche in quello di successione testamentaria.[3]
Nella successione testamentaria, ovviamente, resterà aperta ogni questione sulla quota destinata a ciascun erede, ed alla conseguente ripartizione dei benefici della collazione.
Soggetti tenuti alla collazione
L’istituto della collazione, che risale addirittura all’editto pretorio, ha sempre riguardato i soli discendenti.
Solo con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ne ha radicalmente rafforzato la posizione successoria, il coniuge è divenuto soggetto della collazione ereditaria.
L’innovazione è stata di così grande rilevanza che – tuttora – abbiamo difficoltà ad accettare l’idea che il coniuge superstite debba beneficiare di quelle donazioni eseguite dal de cuius in favore dei figli anche molti anni prima del matrimonio: soprattutto nel caso, non solo scolastico, dell’anziano de cuius che contragga matrimonio poco prima della morte, con un coniuge più giovane.
La posizione successoria preferenziale, che oggi spetta al coniuge, si riscontra anche nella disciplina della collazione: il coniuge è infatti l’unico soggetto esentato dal conferire le donazioni “di modico valore”, che i discendenti – viceversa – debbono conferire.
I soggetti tenuti alla collazione sono coloro:
– che rivestono la qualità di figlio, di discendente, o di coniuge;
– che abbiano ricevuto donazioni o assegnazioni soggette a collazione;
– che assumano la qualità di erede.
La rinuncia alla qualità di erede costituisce l’unica maniera di sottrarsi alla collazione.
La donazione, infatti, si presume bensì come un’anticipazione dell’eredità: ma essa ha comunque un carattere dispositivo pieno ed irrevocabile, determinando l’effettivo trasferimento del bene donato.
Pertanto, eliminata la collazione con la rinuncia all’eredità, la donazione resta pienamente valida ed efficace, con il solo limite della intangibilità delle quote di riserva degli altri legittimari.
E’ quindi logico (anche se non frequente come ci si attenderebbe) che il donatario rinunci all’eredità, ogni qualvolta la donazione ricevuta ecceda il valore della quota che gli spetterebbe come erede.
Collazione e azione di riduzione
La collazione e l’azione di riduzione sono cose ben differenti tra loro, sia quanto a presupposti, che quanto ad effetti.
In primo luogo, l’azione di riduzione tende a reintegrare la quota minima spettante all’erede riservatario; e tale quota si calcola, in virtù dell’art. 556 c.c., sommando al relictum tutto ciò che sia stato donato dal de cuius, sia ad estranei che ad eredi, senza alcuna possibilità di dispensare i donatari da tale riunione fittizia.
Mediante la collazione, viceversa, si tende semplicemente a ridistribuire tra gli eredi collatizi (discendenti o coniuge) le donazioni a loro fatte, ad eccezione di quelle che – per legge o volontà del de cuius – devono ritenersi dispensate, cioè fatte proprio per avvantaggiare il donatario rispetto agli altri eredi; restano escluse, quindi, le donazioni fatte ad altri soggetti, quelle dispensate dalla collazione, quelle escluse dalla legge ed i legati.
Diversi, poi, sono i soggetti:
– perché nella collazione il donatum va conferito solo dagli eredi collatizi;
– mentre qualunque donatario, ancorchè estraneo e non erede, è soggetto all’azione di riduzione.
Con la collazione, poi, occorre conferire tutte le donazioni, ancorchè vecchissime: mentre l’azione di riduzione, siccome tende semplicemente a reintegrare la quota riservata al legittimario (quella che comunemente chiamiamo la legittima), non colpisce tutte le donazioni, ma solo quelle che – cominciando dall’ultima in ordine di tempo – siano necessarie per ricostituire il valore della quota di riserva.
Un’altra differenza notevole nella portata pratica degli effetti della collazione e di quelli dell’azione di riduzione, sta in ciò:
– che la collazione consente sempre al donatario di ritenere i beni donati, essendo prevista per i beni mobili solo la collazione “per equivalente”, e rimanendo il donatario sempre libero di scegliere – nel caso di collazione di immobili – di ritenere l’immobile conferendone il valore equivalente; e lascia comunque salvi i diritti del terzo, che sia divenuto nel frattempo creditore ipotecario, oppure acquirente del bene donato;
– la riduzione, invece, consente solo eccezionalmente al donatario di ritenere l’immobile (e precisamente, in base all’art. 560 c.c., nel caso di eccedenza minore di un quarto della disponibile), e non fa salvi i diritti dei terzi che nel frattempo siano divenuti acquirenti, creditori ipotecari, o affittuari del bene immobile donato; l’immobile oggetto della riduzione, infatti, deve essere restituito libero da pesi di qualunque genere, e addirittura può essere richiesto – previa escussione del patrimonio del donatario – anche al terzo acquirente: il cui acquisto diverrà sicuro soltanto trascorso il termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione.
La scelta tra azione di riduzione e quella di collazione, infine, non è del tutto libera: nel caso in cui esistano donazioni ad eredi collatizi (e, come vedremo, perfino nel caso di dispensa dalla collazione), infatti, l’azione di riduzione è del tutto inutile, essendo sufficiente, al fine di far conseguire al coerede la porzione legittima, la collazione.[4]
L’azione di riduzione sembra quindi avere una maggiore incidenza (mentre l’azione di collazione sembra trovare un generalizzato clima di sfavore).
Basti pensare al caso dell’erede che deduca la dissimulazione di una donazione, effettuata simulatamente come vendita:
– se agisce per la divisione, previa collazione della donazione dissimulata, l’erede infatti non è terzo rispetto al contratto simulato, in quanto subentra nella posizione del de cuius; e, non essendo terzo, incontra i limiti di ammissibilità della prova testimoniale, stabiliti dall’art. 2721 del codice civile;
– se invece agisce per la reintegra della quota di riserva, l’erede è terzo rispetto alla donazione dissimulata, essendo titolare di un diritto personale alla riserva: e perciò la prova per testimoni della simulazione sarà ammissibile senza limiti. [5]
Infine, un’altra differenza sta nella prescrizione: mentre l’azione di riduzione si prescrive con il decorso del termine decennale ordinario a far data dall’apertura della successione, l’azione di collazione è invece imprescrittibile come l’azione di divisione ereditaria.
Tale imprescrittibilità, tuttavia, deve fare i conti con la necessità che il donatario sia pure erede: conseguentemente, ove non si verifichi da parte del donatario l’accettazione tacita, decorso il termine decennale di cui all’art. 480 c.c. non sarà possibile esercitare l’azione di divisione (al fine di giovarsi della collazione) per la sicura, e definitiva, mancanza della qualità di erede in capo al donatario.[6]
Nel sistema del codice, la collazione costituisce una fase della divisione ereditaria.
Per tale motivo la giurisprudenza prevalente ha affermato che, per procedere alla divisione (ed alla collazione), occorre che ci sia un relictum da dividere, e – addirittura – un relictum di significativo valore.[7]
La dottrina, viceversa, ammette la collazione anche nel caso che, mediante le donazioni, il de cuius abbia esaurito tutto il proprio patrimonio[8].
E la ragione di tale orientamento sta in ciò: che proprio attraverso la collazione – che si verifica automaticamente senza necessità di apposita domanda giudiziale – si determina una massa da dividere.
Dispensa dalla collazione (e dispensa dalla imputazione ex se)
La disciplina della collazione è derogabile: lo stesso art. 737 c.c. ammette la dispensa dalla collazione: ma specifica, al comma 2, che la dispensa non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile.
Ciò significa che, qualora una donazione ecceda il limite della disponibile (che è possibile conoscere solo all’apertura della successione), la dispensa opera esclusivamente per la parte che tale limite non supera, mentre – per la restante parte – si tratta di una donazione non dispensata.
E che in tal caso automaticamente, senza necessità di domanda da parte di alcuno, la porzione eccedente deve essere conferita ai coeredi collatizi per la divisione.
La conseguenza pratica della disposizione di cui al secondo comma dell’art. 737 è notevole: perché tale norma, privando di effetto la dispensa (oltre il limite della disponibile), consente di eliminare la necessità dell’azione di riduzione, e di pervenire al medesimo risultato anche decorso il termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione.
Il donatario dispensato dalla collazione rimane soggetto esclusivamente all’azione di riduzione, né più ne meno come il donatario – non dispensato – che rinunci all’eredità.
La dispensa dalla collazione ha senza dubbio carattere rafforzativo della donazione: si discute perciò in dottrina sulla necessità, o meno, della stessa forma richiesta per la donazione.[9]
E’ generalmente ammessa la dispensa tacita, desumibile però soltanto da una chiara, ed inequivoca, manifestazione tacita di volontà.
E si ritiene che la dispensa, quando sia contenuta nello stesso atto di donazione, sia irrevocabile.
Per converso, il donante è libero di includere nella collazione anche donazioni o attribuzioni che normalmente non sono soggette a collazione: e del pari, di imporre la collazione anche ad eredi che non siano i discendenti o il coniuge.
Nella maggior parte dei casi pratici, le donazioni non contengono la dispensa dalla collazione, ma soltanto l’indicazione che l’attribuzione “viene fatta in conto di legittima e, per il di più, sulla disponibile”.
Tale formula, assai infelice, non ha nulla a che vedere con la collazione, giacché sono sottoposti alla collazione tutti i beni donati, indipendentemente dal fatto che siano stati prelevati dalla legittima o dalla disponibile.[10]
La formula citata, addirittura, esprime spesso l’esatto contrario di quanto vuole il donante: il quale, equivocando sul valore di tale espressione, probabilmente vuole beneficiare il donatario e rendere la donazione inattaccabile da parte degli altri eredi.
Invece, esistono due soli possibili modi di avvantaggiare il donatario:
1) escludere il suo obbligo di conferire quanto ricevuto per donazione ai coeredi collatizi (con l’effetto che della donazione si dovrà tener conto esclusivamente ai fini della riunione fittizia per il calcolo della quota di riserva spettante ad altri);
2) escludere il suo obbligo di computare quanto ricevuto per donazione nella sua quota di riserva (con l’effetto che, in ipotesi, il donatario potrà non solo trattenere quanto ricevuto per donazione, ma – in aggiunta – reclamare la sua quota di riserva).
Il primo vantaggio si ottiene, evidentemente, con la dispensa dalla collazione (art. 737 co. 1 c.c.);
il secondo, con la dispensa dalla imputazione ex se (art. 564 co. 2 c.c.).[11]
L’art. 564 c.c., infatti, stabilisce che il legittimario deve imputare alla sua porzione legittima quello che ha ricevuto per donazione o per legato, a meno che non ne sia stato espressamente dispensato: si presume, quindi, la volontà del donante di imputare ogni donazione alla legittima.
E’ allora evidente che il donante può avvantaggiare il donatario, dispensandolo dalla imputazione ex se: in modo che la donazione non si consideri imputata alla legittima ed il donatario possa conseguire, con l’azione di riduzione, sia quanto ricevuto per donazione, sia quanto spettantegli come porzione legittima, sempre con il limite della quota riservata ad altri legittimari.
La dispensa dalla imputazione ex se non incide sul diritto degli altri coeredi di chiedere la collazione, ma – su tutt’altro piano – consente al donatario, che agisca in riduzione, di non dover tener conto della donazione nel computo della sua porzione legittima.
Perciò le due dispense, dalla collazione e dalla imputazione ex se, non operano affatto sullo stesso piano, e l’una non presuppone necessariamente l’altra[12].
Le due dispense possono certamente coesistere: sicchè il donante raggiungerà il massimo beneficio per il donatario, qualora lo dispensi espressamente sia dalla collazione, che dalla imputazione ex se.
Oggetto della collazione
Oggetto della collazione è tutto ciò che i collatizi abbiano ricevuto, sia direttamente che indirettamente, per donazione, dal defunto.
Occorre però che il bene donato (sia mobile che immobile) esista al momento della collazione: la cosa perita, infatti, è soggetta a collazione soltanto nella ipotesi di perimento per causa imputabile al donatario.
Nel caso che il bene abbia subito dei miglioramenti, le migliorie apportate dal donatario (o anche dal suo acquirente, in base all’art. 749) vanno detratte nei limiti del loro valore al tempo dell’apertura della successione, così come le spese straordinarie non dovute a colpa del donatario;
per converso, i deterioramenti successivi alla donazione non vanno considerati, qualora siano imputabili a colpa del donatario (art. 748 c.c.).
Diverso dal caso di perimento, è la consumazione dei beni dei quali non si può fare uso se non consumandoli: si effettua, in tal caso, la collazione del valore che tali beni avrebbero avuto al momento dell’apertura della successione;
resta invece irrilevante il normale deterioramento delle cose che con l’uso si deteriorano, il cui valore è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano (art. 750).
Rientrano nella collazione pure i frutti e gli interessi dei beni donati: ma solo a partire dall’apertura della successione.
A proposito delle donazioni indirette, è assai rilevante l’ipotesi – frequentissima – di acquisto di immobile con denaro proprio del disponente, e intestazione del bene a nome del donatario.
La giurisprudenza, ormai da qualche anno, sembra pacifica nell’individuare – per effetto dello stretto collegamento tra la dazione del denaro e l’acquisto dell’immobile – una donazione indiretta dell’immobile (e non una donazione del denaro): sicchè, in tal caso, oggetto della collazione sarà l’immobile – al valore del momento della successione – e non già il denaro.[13]
Le donazioni soggette a collazione sono quelle aventi carattere personale: oltre alle donazioni ricevute dall’erede collatizio, rientrano in collazione – per il discendente che succeda per rappresentazione – anche le donazioni eseguite in favore del rappresentato, ancorchè il rappresentante – rinunciando all’eredità di questo – non ne abbia in alcun modo beneficiato (art. 740 c.c.).
L’ onerosità di tale disposizione è solo apparente, perché la posizione dell’erede collatizio viene compromessa non già da quest’obbligo di collazione, ma dalla rinuncia da lui fatta alla successione del rappresentante (o dalla mancata conservazione del bene da parte del rappresentante).
Tale norma, viceversa, tutela i coeredi i quali non devono subire – per effetto della rappresentazione – pregiudizio del loro diritto alla collazione del bene donato al rappresentante.[14]
Conferma del carattere personale della donazione soggetta a collazione è costituita dalla norma che esclude dalla collazione le donazioni eseguite in favore del coniuge o dei discendenti dell’erede collatizio, ancorchè questo ne abbia beneficiato succedendo a quelli (art. 739 c.c.).
La norma dell’art. 738 esclude dalla collazione le donazioni di modico valore, ma soltanto quelle fatte al coniuge.
Ne consegue l’obbligo – per gli altri soggetti – di conferire anche le donazioni di beni mobili, il cui valore sia oggettivamente non rilevante e che comunque non incidano in maniera apprezzabile sul patrimonio del donante, e perfino le donazioni remuneratorie, con la sola esclusione delle liberalità di cui all’art. 770 co. 2 c.c. (fatte in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi), cui il legislatore espressamente nega la qualifica di donazioni.
Per come specificato dagli artt. 741 e 742 del codice civile, sono soggette a collazione le spese fatte dal de cuius:
– per assegnazioni a causa di matrimonio (restando escluse però le spese nuziali che non eccedano la misura ordinaria);
– per avviare gli eredi all’esercizio di un’attività produttiva o professionale (restando escluse però le spese per il mantenimento e l’educazione, e le spese ordinarie per l’istruzione artistica e professionale);
– per premi di assicurazioni sulla vita in loro favore;
– per pagare i debiti degli eredi, sempre che il debito sia effettivamente dell’erede (e non si verifichi surrogazione).
Non sono in ogni caso soggette a collazione, oltre a quelle sopra evidenziate, le spese sostenute per malattia, né le liberalità di cui all’art. 770 co. 2 c.c..
L’art. 743 richiede, per esonerare dalla collazione gli utili conseguiti per effetto di una società con il defunto, l’esistenza di un atto di data certa, che regoli le condizioni società, e la mancanza di frode a danno del defunto.
Si è però giustamente osservato[15] che nel caso di azienda familiare il regolamento della società è stabilito dalla legge: e che in tal caso, pertanto, non occorre alcun atto di data certa.
Volume consigliato
L’eredità giacente
La trattazione delle questioni legate alla giacenza dell’eredità presuppone l’esame di alcune problematiche di carattere generale, che il Legislatore e gli operatori cercano di risolvere con l’applicazione delle norme in materia.La questione della situazione che si crea tra il momento dell’apertura della successione e l’accettazione non è evidentemente risolta dalla regola per la quale l’effetto dell’accettazione risale al momento nel quale si è aperta la successione. Invero, la finzione della retroattività, al pari della attribuzione dei beni, in assenza di eredi allo Stato (art. 586 cod. civ.), non elimina le questioni poste dalla vacanza di un titolare del patrimonio che possa compiere atti gestori, e nei confronti del quale possano essere esercitate le pretese dei terzi.Il presente volume, con un serio approccio di studio, ma senza trascurare l’aspetto pratico, vuole essere uno strumento per il Professionista che si trovi a risolvere questioni ereditarie in cui manchi, seppur temporaneamente, un titolare, con tutte le problematiche che ne derivano, nel tentativo di tutelare gli interessi del proprio assistito, sia esso erede, legatario o creditore del defunto.Giuseppe De MarzoConsigliere della Suprema Corte di Cassazione, assegnato alla I sezione civile e alla V sezione penale; componente supplente del Tribunale Superiore delle Acque; componente del Gruppo dei Referenti per i rapporti con la Corte Europea dei diritti dell’uomo; autore di numerose monografie e di pubblicazioni giuridiche, ha curato collane editoriali; collabora abitualmente con Il Foro italiano.
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[1] Cariota-Ferrara, Gazzara, Cicu e Rescigno.
[2] Cass. 27-01-1995 n. 989; in dottrina, A. Burdese, La divisione ereditaria, in Tratt. Vassalli; P. Forchielli, Della divisione, in Commentario Scialoja – Branca, Zanichelli, 1970; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Giuffrè, 1983
[3] cfr. il testo dell’art. 737 nella sua formulazione (1942) anteriore alla riforma del diritto di famiglia: “eccettuato il caso che il donante o il testatore abbia altrimenti disposto”
[4] Cass. 6-03-1980 n. 1521.
[5] Cass. 21-04-1998, n. 4024.
[6] Cass. 30-10-1992 n. 11831.
[7] Trib. Pavia, 20-01-1989; Cass. 17-11-1979 n. 5982; Cass. 1-04-1974 n. 913; per la necessità, addirittura, di un relictum di valore non modico, Cass. 25-11-1975 n. 3935;
contra: Cass. 6-06-1969 n. 1688
[8] Bianca; Forchielli.
[9] per la necessità che la dispensa sia contenuta in un atto compiuto con le medesime forme della donazione, o in un testamento, tra gli altri, G. Santarcangelo; G. Azzariti.
contra: G. Capozzi
[10] Cass., 27-01-1995 n. 989.
[11] Cass. 6-06-1983 n. 3852: la specificazione che la donazione è fatta sulla disponibile non comporta dispensa dalla imputazione ex se.
[12] G. Santarcangelo; Cass. 29-07-1961 n. 1845; Cass. 16-07-1969 n. 2633.
[13] Cass. 15-11-1997 n. 11327; Cass. 14-05-1997 n. 4231; Cass. 22-06-1994 n. 5989; Cass. 8-02-1994 n. 1257.
[14] Cass. 9-11-1971 n. 3163.
[15] G. Azzariti, La divisione, in Tratt. dir. Privato Rescigno.
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